Capitolo 2 - Se non voglio, non voglio - II
«Non le mangi quelle?» Dante indica le tre polpette di polpo nella mia vaschetta.
Scuoto il capo. «No. Prendile pure». Gliele avvicino, lui ne prende subito una con la forchetta di plastica.
«Vuoi che ti vada a prendere qualcos'altro?» Punta il pollice verso il chiosco alle sue spalle. «Non hai mangiato granché».
«No, tranquillo. Sono solo un po' stanca. È stata una giornata pesante». Prendo il bicchiere di aranciata e acchiappo la cannuccia con le labbra. Il ghiaccio si è sciolto troppo, adesso non sa quasi di niente. «Allora, tuo fratello? Come sta?»
Dante mastica. Inghiotte. «Intossicazione alimentare, ma gli capita spesso. Mangia certe cose assurde. Mi dispiace per lui, ma sono contento di essere tornato. Ormai i viaggi di famiglia sono una noia mortale».
«Anche noi viaggiavamo. Ci è capitato più volte di andare all'estero. Grecia, Francia, Italia...» Sistemo una ciocca di capelli dietro l'orecchio, perdendo lo sguardo sul tavolo di legno.
Chissà se riuscirò a farlo ancora. Sebbene a volte senta ancora il bisogno di scappare, restare a Mount Barker mi tranquillizza. Ho fatto un gran passo avanti impegnandomi a venir fuori dalla mia confort zone viaggiando fino a Adelaide. La Howard ha ragione. Magari un giorno prenderò di nuovo l'aereo.
«Davvero? E adesso non viaggiate più?»
Fisso Dante, le punte dei capelli biondi splendono rischiarate dagli ultimi raggi del tramonto. A qualche metro da lui, vicino al chiosco, due ragazze lo squadrano e sghignazzano. O forse ridono di me.
«Le nostre priorità sono cambiate». Taglio corto, rivolgendo un'occhiata ai dintorni. C'è altra gente seduta ai tavoli da picnic sistemati sulla pedana rialzata. Quando c'è l'alta marea, a volte l'acqua arriva fin qui e mi piace osservarla dalle fessure fra le travi di legno.
«È per tua madre?»
Volto il capo di scatto, puntando gli occhi nei suoi. «Cosa ne sai tu di mia madre?» Non ne abbiamo mai parlato. Anzi, non abbiamo mai avuto una conversazione tanto personale.
Corruga la fronte, forse confuso dal mio tono duro. «È sulla sedia a rotelle, no? È venuta al campus lo scorso anno».
Sollevo le sopracciglia. «Oh... è vero». Ha insistito per assistere al breve intervento che ho tenuto durante l'assemblea del mio corso, aperta a tutti perché ospitava esperti di Archeologia e Storia medievale. Era solo una piccola ricerca, ma ci teneva a vedermi sul palco.
«È qualcosa di risolvibile o...?»
Lo fisso senza replicare. Perché queste domande? Non gli era mai interessato prima di oggi.
«Scusami, ma non voglio parlare di mia madre». Sono cose che riguardano la mia famiglia, non argomenti di conversazione fra una polpetta di polpo e l'altra.
«Okay, okay. Andiamo via o vuoi fare un giro in spiaggia?»
«Andiamo. Ho dei compiti da finire».
Mi alzo in piedi e sistemo le coppette di carta, le posate e il resto a seconda del materiale. Scruto i dintorni cercando di ricordare dove sono i bidoncini della raccolta differenziata.
«Quello non lo togli mai?»
Guardo Dante, che accenna con il capo al mio polso sinistro. «Fa parte del mio look» rispondo sbrigativa, avviandomi verso i cassonetti.
«Look che adoro, fra parentesi. Questo vestito bianco che hai messo ti sta da Dio, ma quel polsino nero mi ha sempre incuriosito. Sei una fan del volley?» dice alle spalle, pronunciando l'ultima frase per fare una battuta.
Butto la spazzatura, lui mi affianca per gettare la sua.
«È un'abitudine che ho da tanto. Se non lo metto, sento freddo». Racconto una mezza verità.
Dante sorride. «È una cosa strana». Aggrotto la fronte e aggiunge: «In senso positivo! Ti distingue dalle altre».
Mi distingue... Eppure, quanto mi piacerebbe essere come le altre. Comune. Senza nessun polsino. Nessuna vergogna.
«Come tu ti distingui con l'orecchino?» Indico il cerchio dorato che ha al lobo destro.
Tocca l'anello con l'indice. «È sexy, vero?» Ammicca.
Alzo le spalle. «Discutibile». Molto, a dire il vero.
Dante ridacchia e mi passa un braccio attorno alle spalle. «Sai che sulla strada di ritorno un canguro ci è venuto addosso?» dice mentre ci avviamo verso la sua auto.
Lo fisso stupita. «Sul serio?» So che capita spesso, soprattutto di notte, ma è la prima volta che ascolto un'esperienza diretta.
Annuisce. «Ed era anche bello grosso. Per fortuna il pick-up di mio padre ha un paraurti anti-canguro enorme o avremmo rischiato grosso».
«E il canguro?»
Dante alza le spalle. «Se n'è andato saltellando. Noi abbiamo segnalato l'incidente e ci siamo sorbiti un lungo interrogatorio per far capire che è stato lui a venirci addosso e per fortuna i rilievi che hanno fatto ci hanno dato ragione. Non immagini che multe fanno se sospettano atti violenti contro gli animali».
Mettiamo piede nel parcheggio semi-vuoto, non c'è molta gente a quest'ora nonostante l'autunno sia cominciato da poco. I controlli per prevenire gli attacchi dei coccodrilli sono ridotti rispetto alla mattina e l'Adelaide Festival of Arts concentra cittadini e turisti lungo il viale di North Terrace, in centro città. Il festival è cominciato da dieci giorni e ancora non ho partecipato a un solo evento. Volevo andarci con Aki – anche se a lei interessano solo il cabaret e le esibizioni di danza –, però è così concentrata a far finta che non le piace Harper da accettare un sacco di appuntamenti.
Entriamo in auto, afferro la cintura e la tiro per bloccarla, ma Dante mi stringe la mano, fermandomi.
«Cosa...?» Sollevo il capo per guardarlo, lui mi bacia. «A-Aspetta...»
«È tutta la sera che voglio baciarti, Sun» mormora sulle mie labbra.
Lascio andare la cintura e ricambio il bacio. Le sue labbra sono sempre voraci, dominano le mie senza darmi l'occasione di stare al passo. Dante insinua una mano fra i miei capelli nell'istante in cui le lingue si scontrano, avvicinando i nostri corpi.
Chiudo gli occhi e cerco di farmi trasportare. Bacia bene, non è il primo ragazzo che mi bacia, e il suo carattere allegro mi piace, ma... Stringo di più le palpebre, concentrandomi sul suo profumo pungente per smettere di pensare.
Dante mi accarezza la coscia, infilando le dita sotto la gonna del vestito, e gli stringo il polso per fermarlo; allontana la mano, ma l'appoggia subito sul fianco e sale verso il seno.
«No. Aspetta» mi lamento, bloccandolo di nuovo.
«Lasciati andare, Sun...» sussurra lascivo.
Ci provo, cerco di andare oltre e di non farmi dominare dai brividi gelidi che hanno ricoperto la mia pelle in un solo istante. Tento con tutte le mie forze di ignorare il cuore che batte forte nelle orecchie, le mani che tremano e sudano.
Dante mi stringe un seno e geme, portando a galla il fango.
L'oscurità.
La colpa.
«No!» Poggio le mani sul suo petto e lo spingo.
Mi guarda confuso. «Ma che ti prende?»
«Cosa prende a te! Hai detto che volevi baciarmi, non toccarmi» ansimo, il corpo trema e la cena si agita nello stomaco. Spingo una mano sul petto, sperando di calmare la furia all'interno.
«Ma è normale toccarsi quando ci si bacia». Lo dice con una tale ovvietà da farmi passare per pazza.
«Per me non lo è e vorrei che non lo facessi». Da quando siamo tutti uguali? Perché ciò che va bene per una persona dovrebbe andare bene anche per un'altra? Non ha senso.
Aggrotta la fronte. «Ti ho solo toccato un seno sopra i vestiti».
«Sopra o sotto non cambia niente. Se non voglio, non voglio!» sbotto, stringendo l'abito all'altezza del seno.
Sbuffa infastidito. «Sono quasi tre mesi che ci vediamo e credevo non fosse un problema, arrivati a questo punto».
«E allora? Potevano anche essere passati tre anni, ma questo non ti dà il diritto di mettermi le mani addosso». Che accidenti gli è preso stasera? Ci siamo sempre andati con calma ed è questo di cui ho bisogno. Il resto non m'interessa.
Dante sospira. «Okay, okay. Scusa, non volevo farti arrabbiare e credevo lo volessi anche tu. È che...» Passa una mano sulla fronte con fare nervoso. «Mi hanno detto che gli sei saltata addosso quando non c'ero» mormora senza distogliere lo sguardo dal mio.
Sbatto le palpebre, confusa. «Di cosa stai parlando?»
«Di Arena» sibila con disprezzo.
Spalanco gli occhi. «Io non sono...» Mi zittisco. Accidenti, l'ho fatto eccome. Sospiro. «Senti, sai com'è il rapporto fra me ed Elián e sì, forse avrò un po' esagerato, ma non hai motivo per prendertela».
Corruga la fronte. «Sì che ce l'ho. Ci frequentiamo, no?»
«No» rispondo secca.
Solleva le sopracciglia. «No?»
«Sei stato tu il primo a dire che volevi qualcosa senza impegno e io sono d'accordo. In tre mesi ci siamo visti a stento una volta a settimana. Questo non è frequentarsi, ma passare del tempo insieme quando si ha tempo». Ha dimenticato il nostro accordo? A entrambi piace visitare le gallerie e passare in libreria. Le effusioni le abbiamo aggiunte da poco, ma non può correre così. Soprattutto perché noi non abbiamo una relazione di quel tipo.
«E tu baci tutti i ragazzi con cui "passi del tempo insieme"?» replica piccato.
«E tu baci tutte le ragazze che vedi di tanto in tanto?» Vuole farmi sentire in colpa? Non lo credevo così meschino.
«Io sono un maschio» sbotta risentito.
«E che c'entra? Abbiamo lo stesso tipo di libertà o, in questo caso, di non libertà».
È sempre il solito discorso: un ragazzo che fa conquiste è un gran figo, una ragazza che fa lo stesso è una poco di buono. Lo pensano anche di Aki, ma nessuno sa niente di lei.
Mi fissa infastidito, scuote il capo. «Questa conversazione sta andando sempre peggio. Se non vuoi essere toccata, okay, scusami. Ora ti riaccompagno alla tua auto» dice sistemandosi dritto sul sedile.
«Meglio». Prendo la cintura e la blocco.
Dante accende il motore. «Vorrei riprendere il discorso quando saremo entrambi più calmi. Sulla questione del frequentarsi» mormora, voltandosi per guardare dietro e fare retromarcia.
«Sai come la penso». Se non gli sta più bene il nostro accordo è giusto che me lo dica. Ho provato a lasciarmi andare, ma non ci riesco. È troppo per me.
In breve, raggiungiamo il chiosco di souvenir dove lavoro. Esco dal pick-up di Dante, lo saluto e mi dirigo verso la macchina di mio padre. Quando sono all'interno, libero un lungo sospiro.
Me la sono vista davvero brutta. Per poco non mi veniva un attacco di panico, sarebbe stato un disastro provare a gestirlo in quelle circostanze. Devo impegnarmi di più, non posso buttare all'aria tutti i miei progressi.
Sulla strada di ritorno per Mount Barker procedo verso casa a un'andatura più lenta del solito. Il racconto di Dante sul canguro che è saltato addosso all'auto di suo padre mi ha stupita e preoccupata al tempo stesso. La macchina di papa è un 4x4 rialzato e massiccio, ma non ha il paraurti anti-canguro. La National M1 è circondata da boschi, non mi stupirei di vederne spuntare uno dal nulla.
Entro in città e proseguo verso il mio quartiere, ma come sempre vengo distratta. Parcheggio accanto al marciapiede, prendo la borsa e scendo. A quest'ora il parco è deserto, i bambini sono a cena o forse già a letto.
Cammino verso l'altalena e mi siedo. È buio, le plafoniere stradali rischiarano l'ambiente ma non bastano per restituire a questo posto il calore che si avverte di giorno, quando i bambini gridano e sorridono allegri.
Mi dondolo con i piedi, appoggiando la testa alla corda laterale. Fisso lo scivolo rosso, il quadrato con la sabbia, la giostra tonda che gira – come si chiama? Non l'ho mai saputo –, il dondolo e la struttura in legno dove ci arrampicavamo da piccoli. Mi faceva paura camminare sulle catene sospese, ma mi facevo forza per af frontarle insieme a Elián, più spaventato di me. Ogni volta che arrivavamo sul lato opposto del passaggio dicevo a Elián che eravamo diventati un po' più forti e che presto lo saremmo diventati così tanto da non piangere più quando ci prendevano in giro.
«Tu sei già forte, mentre io resterò sempre così».
«Così come?»
«Debole. Una femminuccia».
«Disegnare non ti rende una femminuccia! Quando riempirò la mia galleria dei tuoi dipinti, tutti si ricrederanno e saranno loro le femminucce!»
Sospiro, dondolandomi ancora un po'.
Oggi non l'ho salutato. Dovrei sentirmi contenta di essere riuscita almeno a vederlo da lontano, però non lo sono. Accerchiato da quelle ragazze urlatrici mi è parso ancor più distante. Con loro parla e sorride, con me no.
È per ciò che ho fatto. Ciò che ha visto.
Guardo il cielo scuro, le stelle brillano comediamanti ma non mi affascinano. Saranno sempre più buie del sole.
Angolo Autrice
Ecco che scopriamo il rapporto fra Dante e Sun. Dire che stanno insieme è un parolone. Anzi, Sun è molto decisa su questo, mentre lui sembra più interessato.
In questa parte vengono fuori alcuni degli argomenti che saranno trattati in CPN:
1. Il fatto che qualcosa "si faccia" non vuol dire che vada bene per tutti. Siamo persone diverse e soprattutto nei primi approcci (ma anche dopo, il rispetto viene prima di tutto) bisogna prestare attenzione a ciò che desidera l'altro.
2. Attacchi di panico. Sun ne ha sofferto molto in passato e ora va meglio, ma purtroppo i Disturbi di panico sono qualcosa che non spariscono mai del tutto (di base è così, poi dipende dall'incidenza di essi sul singolo individuo).
3. Ansia. Sun ha riconosciuto casa propria come il luogo sicuro che tiene lontana l'ansia e tutto ciò che la allontana da casa le crea agitazione, ma ci sta lavorando. Essersi iscritta a Adelaide e viaggiare tutti i giorni ha resto "sicuro" anche questo pezzo di quotidianità. Perché è così che funziona: si allarga il cerchio dei posti sicuri riappropriandosi della libertà.
Ci sono anche altri elementi, ma di quelli vi parlerò più avanti. Se non conoscete le mie storie, sappiate che mi piace parlare di argomenti reali, però non come se vi stessi propinando un saggio soporifero. Ciò che ho inserito nel racconto vi verrà mostrato nella quotidianità dei personaggi.
Detto ciò, lasciatemi un vostro pensiero!
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