20. Al cospetto del Governatore


Elfiys taceva, il fiato ridotto a brevi respiri controllati.

I suoi seriosi occhi grigi erano puntati sul Governatore, una figura altera che, dal suo giaciglio, un trono trapunto di rosso, scrutava i presenti con uno sguardo enigmatico che anima viva era mai riuscita a interpretare totalmente. Per molti versi, sebbene altrettanto severa, Elfiys rimpiangeva il governo di sua madre.

Ambiguo, tenebroso, freddo.

Aggettivi dentro cui Edet Hak Kye si poteva riflettere come sulla superficie lucida di uno specchio d'argento.

I freddi occhi neri e la mascella squadrata lo rendevano simile ad una statua di marmo, una figura scolpita nella solida pietra; priva di qualunque emozione, lontana da qualsiasi genere di empatia.

Elfiys, nel profondo, ne era sempre stata intimorita. Le sensazioni, dentro di lei, si agitavano furiosamente, incrociando quello sguardo sterile; la sgradevole percezione che ci fosse qualcosa di errato, tracce di veleno.

A dispetto dei suoi timori più intimi, la donna si impose di tenere la testa alta e le mani giunte dietro la schiena. Anni di sofferenza al servizio di quel tiranno le avevano insegnato a reprimere ogni minima forma di emotività, se non voleva essere sopraffatta.

La sua storia era costellata di troppi fallimenti per concedersi di crollare ancora.

Le prigioniere, al contrario, stavano tremando.

Elfiys scorgeva nitidamente il terrore dipinto sui loro volti cerei, lampi di orride consapevolezze, che si scontravano brutalmente contro il vibrante orgoglio giovanile tipico di coloro che hanno trascorso la vita all'inseguimento della libertà.

Lady Fays represse un impulso di compassione. Non poteva permetterselo.

La voce sibilante del Governatore Hak frantumò la tensione di cui si era intessuta la sala del trono, costringendo Elfiys a concentrarsi sull'immediato presente.

L'uomo fece un cenno annoiato della mano verso il generale Biiat, in piedi accanto alla donna e con il cappello scuro che definiva il suo rango portato di sbieco sulla testa a uovo.

– Non è necessario che rimaniate qui, generale – la sua voce somigliava ad una sporca melodia di violini scordati – Lady Fays e le sue guardie saranno sufficienti per il nostro piccolo processo – sull'ultima parola tese lievemente un angolo della bocca in un sorriso gelido.

Biiat avvampò di colpo e, silenziosamente, Elfiys gioì della sua inaspettata uscita, anche se ciò significava rimanere l'unico ostacolo tra il Governatore e i giovani ostaggi. Questo pensiero la incupì nuovamente.

L'ometto affianco a lei annuì meccanicamente e, con un rapido inchino, si liquidò, accompagnato al ticchettio dei suoi stivali sul marmo levigato.

Improvvisamente la sala del trono sembrò a Elfiys cento volte più immensa. Deglutì a vuoto.

– Ordunque – il Governatore le rivolse un altro dei suoi sorrisi glaciali – Cosa mi avete portato, mia cara?

La donna si schiarì la gola.

– Queste ragazze sono state ritrovate su un vecchio mercantile privo di bandiera insieme a due uomini marchiati dal governo lamiano – esordì – Non hanno proferito parola da quando il generale Biiat ha ordinato l'uccisione dei loro compagni.

Gli occhi freddi di Hak si andarono a posare sulle tre ragazze, legate con strette corde e costrette in ginocchio a pochi metri dal trono.

La giovane con i capelli ricci e la pelle di un marrone tenue sostenne coraggiosamente il suo sguardo, sebbene le ombre che le segnavano gli zigomi rivelassero quanto dovesse essere esausta, provata da una stanchezza interiore che Elfiys conosceva bene.

– Se sono giunte fino a qui ci sarà un motivo, non le pare, milady? – l'uomo si sporse in avanti, allargando il sottile ghigno – Oppure desideravano soltanto mettere fine alle loro esistenze in modo dignitoso?

La donna si inumidì le labbra.

– Non ci è dato saperlo, signore.

Ci fu un istante di opprimente silenzio. Elfiys si torse nervosamente le dita dietro la schiena.

– Bene – Hak fece infine ondeggiare la testa di lato, in un gesto flemmatico – Uccidetele.

Il cuore di Fays perse un battito.

Le guardie, alle sue spalle, caricarono i fucili con uno scatto raccapricciante. Il corpo di Elfiys venne attraversato da una scarica di brividi violenti, la sua umanità che protestava autoritaria contro quel barbaro abuso di potere, le parole però incastrate in gola, la voce incapace di collaborare.

Per un secondo alla donna parve di vedere le figure delle ragazze accasciarsi a terra, fatalmente trafitte, le mattonelle intonse macchiate di sangue...

Ma, invece degli spari, a rompere quell'attimo fu il suono mille volte più potente di un brutale attacco di tosse.

La giovane dalla pelle bruna si piegò in due sotto lo sguardo sconvolto delle compagne. Venne scossa da fremiti, come sull'orlo di un conato di vomito e gli occhi le si rivoltarono nelle orbite.

Dimentica del proprio ruolo e dei fucili puntati, Elfiys si precipitò da lei.

I colpi di tosse rimbombavano sulle pareti come rombi di tuono e le guance della ragazza si rigarono di lacrime.

– No!

Lady Fays si congelò, a un soffio dal soccorrere la prigioniera. Lo sguardo che rivolse al Governatore era saturo di rabbia e confusione, eppure la paura che colse negli occhi dell'uomo la fece desistere.

– È infetta! – chiarì Hak, la voce attraversata da una nota isterica, una corda di violino che si spezza – Non la tocchi, Fays!

Il sangue le pulsava furiosamente nelle tempie e ogni parte di lei urlava di ignorare l'avvertimento, sciogliere i nodi delle corde, lasciare alla ragazza il tempo di respirare...

Davanti agli occhi le balenò il ricordo del bambino. Il volto straziato con cui l'aveva guardata partire, stretto tra le braccia di un uomo che non aveva mai amato.

Una memoria che non era mai sbiadita; che, nonostante i suoi disperati sforzi di dimenticare, non se n'era mai andata, logorandola ogni giorno di più.

Elfiys deglutì, la gola arida. Arretrò lentamente, senza staccare lo sguardo dalla ragazza scossa dagli spasimi e dalle lacrime che gocciolavano come perle sul pavimento di marmo.


La camera da letto del governatore era avvolta da un tanfo pestilenziale, un misto di sudore e pesce andato a male.

Claire arricciò il naso e strattonò ancora una volta le catene che la tenevano ancorata alla sponda dell'immenso letto a baldacchino in velluto rosso, ovviamente senza risultato. Nella mente riusciva ancora a udire la tosse aggressiva che aveva scosso Gwes, una serie di colpi bassi e rauchi, che avevano grattato nelle profondità della sua sanità mentale.

Rabbrividì al ricordo della voce discordante del Governatore, dopo che la donna dai capelli ramati aveva provato a soccorrere l'amica.

"Chiudetela nelle segrete" il tono era una via di mezzo tra il ribrezzo e l'esasperazione "Domani verrà soppressa all'alba."

Claire non ricordava di aver mai avuto tanta voglia di strangolare qualcuno.

Hak si era poi rivolto a Liz.

"Lady Fays, assicuratevi di interrogare quella piccola in privato. In caso si riveli non collaborativa, vi autorizzo a usare metodi non, come dire?, convenzionali." Il sorriso che aveva mantenuto durante quello spaventoso ordine aveva riempito Claire di disgusto. Accanto a lei, Gwes continuava a tossire, il fiato mozzato. Liz era impallidita tanto che la sua pelle sembrava ridotta ad una patina trasparente, iniziando a tremare come una vela agitata dal vento.

Infine l'uomo aveva guardato Claire dritta negli occhi e, nel mezzo della nebbia di panico che le offuscava la mente, il solo pensiero razionale che lei era stata in grado di generare era un commento acido riguardo all'orribile completo porpora che quel pallone gonfiato aveva avuto la faccia tosta di indossare. Nemmeno nel ducato di Caleeb – dove andavano di moda i pantaloni a zampa e i gilet a pois – avrebbero avuto il coraggio di vestire quell'obbrobrio.

"La bionda portatela nelle mie stanze" il ghigno che aveva distorto le labbra del Governatore di Haja le aveva fatto quasi paura "Una perla del genere non dovrebbe essere gettata."

Claire non aveva neanche provato a ribellarsi quando le mani robuste delle guardie – per la terza volta in un giorno – l'avevano afferrata per le braccia e trasportata quasi di peso su per una rampa di scale bianche, intimandosi di conservare in faccia l'espressione altezzosa con cui si rivolgeva di norma al resto dell'equipaggio della Zefiro.

Gli omaccioni l'avevano mollata in quell'ambiente velenoso, incatenandola al letto con un grugnito. E poi se n'erano andati. Lasciandola sola con i suoi crucci.

Per più di un'ora la ragazza era rimasta seduta, rigida, il polso arrossato dalla morsa del metallo, a fissare con sguardo tremolante i raggi del sole pomeridiano filtrare attraverso le tende rosate come rivoli di sangue.

In una un'altra situazione a Claire non sarebbe affatto dispiaciuta un po' di privacy, in mezzo alla frenesia della vita da pirata, ma l'unico desiderio che riusciva a mettere a fuoco in quel momento era quanto avrebbe voluto svenire e risvegliarsi in qualunque altro luogo, lontano da lì, distante dal tanfo di marcio. Scoprire che era stato tutto un brutto sogno.

Quando la porta della camera si spalancò con un cigolio, gli occhi di Claire, pungenti come schegge di ghiaccio, schizzarono verso la figura che ora si stagliava sulla soglia. In quell'occhiata la ragazza riversò tutto il suo dissenso, tutta la sua voglia di strappargli quel sorriso gelido dal volto quadrato.

Il Governatore Hak accostò gentilmente la porta dietro di sé, senza distogliere lo sguardo dalla pirata.

– Salve, piccola perla – mormorò, avvicinandosi a lei con un paio di passi calmi. Si chinò e allungò piano una mano verso il volto di lei. Nei suoi occhi scuri scintillò qualcosa di perverso, che provocò a Claire un brivido lungo la schiena.

La giovane tentò di scostarsi, ma un dolore bruciante al polso la congelò sul posto, costringendola a stringere i denti.

Il contatto delle dita di Hak contro la sua guancia le fece formicolare il viso, nauseata.

– Ci divertiremo, insieme, vedrai – quella voce, un coro di melodie prive d'armonia, la spaventava. Per la prima volta in vita sua, Claire ebbe paura di un uomo.

Mentre i palmi ruvidi del Governatore le percorrevano il corpo, la sola cosa che impedì alla ragazza di impazzire fu la pressione fredda e famigliare del pugnale nascosto nello stivale...

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