17. Mani legate

Gwes strinse i denti, sentendo le unghie lerce delle guardie trapassarle la pelle attraverso la sottile camicia.

Tentò di normalizzare il respiro e far rallentare lo sbattere insistente del cuore contro le costole, ma la strategia parve solo aggravare la situazione. Qualcosa di grosso e pesante sembrò incastrarsi in gola, insieme alle urla, mozzandole il fiato.

Per un istante ebbe l'impulso di tossire...

Il soldato dietro di lei le strattonò le braccia, facendole evadere un sibilo di dolore dalle labbra sigillate.

Deglutì e si morse la lingua, decisa a non desistere davanti a quelle tacite minacce.

La Medusa oscillava sulle basse acque sporche di alghe, approdata al porto di Haja. Gli scricchiolanti pontili erano ora brulicanti di rozze guardie intente ad esaminarli neanche fossero animali esotici piombati dal cielo.

La giovane non poteva fare a meno di provare un ardente disgusto dei confronti di quei bifolchi vestiti di rosso, tanto che non aveva neppure tentato di difendersi mentre uno di loro la afferrava da dietro, sigillandole i polsi in una morsa ferrea.

Per la vita... si ripeteva ogni volta che il desiderio di mollare le si affacciava nella testa madida di dolore.

Kile e gli altri non erano stati altrettanto accondiscendenti nei confronti della sicurezza hajana. Gwes udiva distintamente gli strepiti della sua ciurma mentre, puntellati con i fucili, venivano condotti sulla terra ferma, ringhianti come bestie.

Liz le lanciò un'occhiata sperduta mentre una guardia le legava con stretti nodi le mani dietro la schiena, spingendola bruscamente a seguire gli altri.

La ragazza chiuse gli occhi, reprimendo un altro attacco di tosse e avvertendo un improvviso giramento di testa.

Calmati, si impose lasciandosi portare sulla riva, affiancata dalla propria ciurma.

Notò con curiosità alcune guardie avessero la bocca coperta da un drappo di stoffa, forse nell'infantile tentativo di fermare il contagio del Morbo che ormai dilaniava in ogni Terra. Cosa che, senza l'antidoto, era impossibile...

Uno di loro, probabilmente il generale o quale pezzo grosso, fece un passo avanti. La sua giacca rossa sventolava nella brezza marittima che li sfiorava gentilmente, profumata di sale.

-Chi di voi è il capitano?- domandò, il tono piatto.

L'equipaggio tacque, le labbra segnate da molteplici piaghe a furia di morderle.

Gwes li percepì fremere di rabbia. Buona parte di questa, lo sapeva, era nutrita nei suoi confronti. Nonostante conoscesse l'importanza di quella missione non riusciva a non biasimarli.

L'uomo grugnì, infastidito. Si voltò verso le sue guardie e una di loro fece spallucce. Tornò a guardarli con più decisione, facendo un ulteriore passo in avanti, nel tentativo di incutere timore.

-Non so se sono stato chiaro- declamò a denti stretti -Chi è il vostro capitano?

Gwes sentì Claire deglutire, accanto a sé.

-Non è qui- sibilò Kile, dopo un istante di silenziosa tensione -E anche ci fosse non avete il diritto di interrogarci- nei suoi occhi scuri guizzò un lampo di determinazione -Siamo uomini liberi.

La guardia accennò un sorriso amaro, sporgendosi verso di lui.

-Come sarebbe a dire "non è qui"?- domandò, il tono che diveniva lento e mellifluo mentre, dietro di lui, gli altri soldati sembravano gongolare, godendosi quello spettacolo inatteso.

Kile lo sfidò con lo sguardo.

-Significa che la persona a cui obbedisco non è su questa maledetta isola infetta!- sbraitò prima di sputare a terra, indignato.

Il volto della guardia si contrasse in una smorfia.

-Non abbiamo chiesto noi quest'epidemia- fece, ritraendo il capo e guardando Kile dall'alto in basso -E, comunque sia, non eravate tenuto a farci visita, se vi repelliamo tanto- aggiunse, gelido.

-Non ho chiesto io di venire qui- il pirata strinse gli occhi -Obbedisco solo agli ordini, signore- di sfuggita lanciò un'occhiataccia all'indirizzo di Gwes, che si irrigidì. Tornò a scrutare la guardia dritto negli occhi -Volevo solo che lei lo sapesse, prima di contagiarmi con quella sua dannata malattia.

I presenti trattennero il respiro.

-Kile, ora basta.

Era stato Benedict a parlare. Il suo sguardo d'ebano era severo, immobile. Non ammetteva repliche.

Il collega sbuffò, ma stette zitto, abbassando il capo.

-Sembra che tu abbia più buon senso del tuo amico- disse il tale in rosso, soddisfatto, rivolgendosi a Benedict.

Il marinaio dalla pelle scura lo squadrò per un secondo, silenzioso.

-Non voglio problemi- rispose, la voce ferma che non tradiva emozione.

L'altro sorrise, quasi divertito.

-Oh, ma li avrai- annuì lentamente, senza smettere di sorridere malignamente -Eccome se li avrai...

Fu solo un secondo e la sua mano ricoperta di calli scattò dietro la nuca di Benedict, stringendoglisi sui capelli arruffati.

Una cappa di ghiacciata avvolse il resto della ciurma. I loro occhi si sgranarono d'orrore.

Le restanti guardie caricarono i fucili, puntandoli verso di loro: qualsiasi ribellione sarebbe stata punita.

Gwes iniziò a tremare. Una sua perla di sudore gocciolò a terra.

L'hajano ruotò con violenta il collo di Benedict mentre quello emetteva un gemito strozzato, impotente e con gli arti immobilizzati dalle funi. Con la mano libera la guardia puntò l'indice su un tatuaggio impresso poco sopra la spalla destra, un cerchio tagliato da tre righe orizzontali.

Il simbolo militare di Lam.

Tolse la mano di scatto e fece un paio di passi indietro con un ghigno malevolo che gli aleggiava sulle sulle labbra ritorte.

-E non pensare che non l'abbia visto anche su di te!- esclamò di punto in bianco, puntando un dito ostile verso Kile, la cui espressione ora rivelava un incontaminato terrore. Il generale scoppiò a ridere sguaiatamente e quella voce gutturale si propagò sulle onde -Credevate di farla franca? Credevate di potermi ingannare?!- intanto continuava a indietreggiare, fino a superare la linea dei fucili -Le forze di Lam non dovranno mai più varcare i porti di quest'isola, chiaro?

Ma non ci fu il tempo di rispondere.

Non ci fu il tempo di un ultimo respiro...

...e due spari esplosero.


Elfiys ridusse le labbra a una sottile fessura mentre accettava la mano del cocchiere e scendeva cautamente dalla carrozza.

-Milady- l'ometto si inchinò esageratamente mentre la donna metteva piede sulla strada che correva parallela alla costa.

Si accigliò ulteriormente, studiando la desolazione che regnava per la sua città natale, un'atmosfera di orrido silenzio che la pestilenza aveva gettato su quelle vie un tempo pullulanti di vita.

Una morsa le strinse il cuore, seguita dall'ennesima serie silenziosa di insulti nei confronti del Morbo che aveva distrutto la sua felicità e la fiducia nel destino.

Si aggiustò la leggera sciarpa che le avvolgeva il collo e tentò di lisciare le pieghe del lungo vestito scarlatto che volteggiava nell'aria frizzante, ricreando gli incandescenti bagliori di una fiamma allegra.

Uno dei due cavalli sbuffò e pestò uno zoccolo a terra mentre il sorriso del cocchiere, alle sue spalle, si incrinava appena.

-Milady, ho una famiglia che mi attende a casa- disse, tentando di mascherare la fretta -Ha bisogno di altro prima che vada?

Elfiys si concesse ancora un istante di immobilità, i capelli ramati fuggiti dall'intricata acconciatura che danzavano nella brezza salmastra del porto. In lontananza scorse un gruppo di soldati marcianti e sospirò, volgendosi nuovamente all'ometto dietro di lei.

Abbozzò un sorriso gentile e scosse il capo.

-La ringrazio, procedo da sola- rispose con il tono venato di malinconia.

L'altro ricambiò il sorriso e si esibì in un altro rapido inchino. La donna lo guardò arrampicarsi sul seggio davanti alla carrozza e spronare i cavalli al trotto, gli zoccoli che schioccavano sulle pietre ormai levigate dal tempo.

Aspettò che il mezzo avesse svoltato l'angolo per iniziare a camminare verso i soldati prima avvistati, la fronte ora percorsa da una ruga di rigidità.

In cuor suo nutriva ancora la speranza che non si trattasse di nulla di troppo grave, che qualche altro mercante del sud, sbalzato dalle correnti invernali, fosse entrato nel raggio d'azione del cannocchiale di qualche guardia paranoica.

Le ultime due volte era bastato che le mostrassero un permesso ufficiale per continuare il viaggio verso la contea di Gitioon o il ducato di Caleeb perché la questione fosse sollevata senza troppe scartoffie... Allora perché una parte di lei non voleva credere che sarebbe stato così facile?

Quando iniziò a sentire l'odore pungente del sangue la certezza che, questa volta, le cose fossero andate diversamente da una semplice chiacchierata formale iniziò ad avvolgerle la mente e cospargerla di ansia.

Si bloccò a metà di un passo una volta avvistati i cadaveri di due uomini ammassati malamente in un angolo, trafitti in petto da un colpo di fucile.

Deglutì a vuoto mentre un brivido gelido l'attraversava da capo a piedi.

Hak non sarà contento... non si impedì di pensare, profondamente scossa da quella macabra visione.

Si accorse dopo un attimo del generale Biiat, il quale avanzava verso di lei con ostentata sicurezza.

L'uomo faceva dondolare le braccia avanti e indietro, mentre un sorriso soddisfatto gli piegava le labbra, mettendogli una scintilla orgogliosa negli occhi castani.

-Lady Fays!- la accolse con le braccia aperte -Sono contento che lei sia finalmente qui!

Elfiys non rispose al saluto, irrigidendosi sul posto.

-Che cosa stai facendo?- domandò, aspra.

L'uomo sospirò, come si fosse aspettato una simile reazione da parte sua.

-Milady, erano lamiani- tentò di giustificarsi, indicando con la testa di due corpi ora circondati da mosche ronzanti -Nemici...

-Avreste prima dovuto chiedere consiglio a me- lo interruppe lei, prendendosi tra pollice e indice la pelle tra le sopracciglia -Non c'è sempre bisogno di uccidere.

Biiat strabuzzò gli occhi.

-Ho solo pensato che...

Elfiys alzò un dito, troncando le sue parole.

-Il vostro compito non era pensare, ma domandare consiglio a me, generale- disse, poi si adombrò -E certamente non uccidere degli esseri umani.

L'uomo alzò mestamente gli occhi al cielo, poi si inchinò leggermente, non del tutto convinto di quanto la donna stava dicendo.

-Come desiderate, milady. Non accadrà più- le concesse infine.

Ci fu un attimo di pausa e lo sguardo della donna ebbe il tempo di esplorare il porto, posandosi sul peschereccio privo di bandiere ora ormeggiato poco lontano. Aggrottò la fronte.

-C'erano solo due uomini a bordo?- chiese poi.

Biiat si affrettò a scuotere la testa.

-Ci sono altre tre ragazze.

L'altra gli scoccò un'occhiata in tralice.

-Mi sorprende che non le abbiate uccise, generale- disse, la voce piena di astio.

-Non erano marchiate da Lam- si giustificò l'uomo, forse non cogliendo l'acidità del tono -Potrebbero semplicemente essere state rapite dai lamiani e non avere colpa...

-Questo sarà il governatore a deciderlo- declamò Elfiys, alzando il capo -Portatele a palazzo.



Nota:

Perdonate la ripubblicazione. Mi sono accorta della mancanza di un paio di paragrafi che non erano stati copiati e sono stata costretta a compiere un passaggio in più.

Grazie della pazienza.

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