1. Il passato è sempre presente

10 Gennaio 2015

Dopo tanti anni mi sono abituata: non risento più delle 24 ore di volo. Sarà che ho avuto la piacevole compagnia di un ragazzino poco più che ventenne, pronto a lasciare la sua Italia per andare oltre oceano alla ricerca di felicità; con lui solo uno zainetto di tela blu che ha riposto nelle cuccette con tanta facilità che mi ha fatto pensare sia vuoto, o meglio contenente speranza, solamente tanta speranza. Quando noi lasciammo il nostro porto sicuro per quella che all'epoca era conosciuta se non altro per essere la "terra dei canguri", sapevamo ben poco di quello che ci aspettava. Mentre, oggi sono in tantissimi i ragazzi che partono senza ripensamenti con un biglietto di sola andata; alcuni sentono il bisogno reale di evadere, altri inseguono quella che ormai definirei "moda". Oltre le due chiacchiere scambiate con lui, ho passato il tempo restante rivolta all'oblò, con gli occhi fissi e persi nella profondità delle acque e nel verde di tutti i Paesi attraversati. E sono quelle acque che hanno cullato il mio cuore e hanno fatto scivolare piacevolmente la mia memoria ormai arrugginita verso gli anni in cui qui, accanto a me, al mio sedile, era sempre presente LUI. Perché dov'ero io, era LUI. Devo ammettere che volare con lui prolungava il tempo. Le 24 ore di volo sembravano un'eternità in cui si accavallavano le sue urla fobiche e critiche agli aerei e a qualsiasi cosa in evoluzione, alle mie risatine soffocate. Ha avuto sempre paura di volare -il che è in contrasto al suo sogno: volare per sentirsi libero, senza una casa, senza una meta, ma figlio del cielo che danza leggero nell'aria, guidando la sua ballerina di vita. ME.- Il suo ricordo non mi rattristisce, ma mi fa sobbalzare il cuore e venire la pelle d'oca. Distolgo lo sguardo dall'oceano e mi giro a sinistra per cercare i suoi occhi. Ma ci sono solamente tante persone di tante nazionalità, di tanti colori, di tante lingue e di tante età. La maggior parte è nel fiore della giovinezza; anagraficamente sono la più anziana in questo aereo, ma né i miei 70 anni né il bianco-argento dei miei capelli potranno mai portarmi via la sensazione di essere ancora quella ragazzina innamorata della vita e ancor di più del suo Uomo! Da allora non sono poi cambiate tante cose: ad esempio, indosso ancora la collana a forma di cuore con una perla interna. Non l'ho mai tolta, nemmeno il giorno del nostro matrimonio. Ricordo ancora perfettamente quando me la regalò. Eravamo in Spagna. Era la nostra prima vacanza. In una calda sera di settembre, pochi giorni prima del rientro in Italia, passeggiavamo sul lungo mare come d'abitudine, con i cuori scaldati non solo dalle temperature, ma anche dalle note degli artisti di strada che arrivavano ogni sera lì, si appoggiavano sul marciapiede, iniziavano a raccontare storie d'amore accompagnati dalla loro chitarra e da un cappellino mal andato come portamonete buttato a mezzo metro da loro. E come ogni sera, noi passeggiavamo abbracciati, io con la testa adagiata sul suo petto e dondolante a ritmo di musica. Ma quella sera lui mi condusse verso un negozio che prima d'ora non avevo mai notato. Si trattava di una gioielleria assai raffinata. Lui entrò e iniziò a guardare con occhio esperto ogni singolo gioiello e a scartarne molti secondo chissà quale logica. Quando io finii di visitare tutto il negozio, lui si trovava ancora alle prime vetrine. Per un uomo scherzoso come lui, era raro e nello stesso tempo affascinante vederlo così serio. Mi avvicinai e gli chiesi: "Vuoi comprare qualcosa di carino a tua madre?". Oh mio dio come ero ingenua! Anche dopo anni questa caratteristica non l'ho mai persa. E a lui piaceva questo mio essere spesso ancora bambina. Come risposta lui mi trascinò con entusiasmo dal commesso e si fece dare due collane; me le pose davanti e mi chiese: "Quale preferisci?". Impiegai un po' per capire che si trattava di un regalo per me, ma appena lo feci mi sentii il viso avvampare e gli occhi inumidirsi. Ero emozionata e innamorata. Non fu difficile scegliere: la collana con la perla, proprio come la perla che avevamo visto giorni prima in un museo. Lui, senza esitare, me la mise e mi osservò compiaciuto.

A distanza di circa 50 anni, ogni volta che accarezzo la perla che decora il mio collo, sento lui accanto a me che mi guarda con gli occhi sorridenti.

"Ladies and Gentlemen, welcome to Brisbane". I miei ricordi sono stati così potenti e quasi reali che non mi hanno fatto accorgere dell'atterraggio. Mi volto e noto che il ragazzino che ha volato accanto a me è già in piedi prima del dovuto, pronto a rimettersi lo zainetto in spalla. Gli altri quasi sincronicamente e meccanicamente maneggiano i loro telefonini per riaccenderli e comunicare di essere arrivati. Io non ho fretta: aspetto che la folla scenda e poi, con tutta comodità, attraverso pian piano il corridoio dell'aereo e poggio i piedi sull'asfalto che circonda l'aeroporto. Rimango a fissare a terra e inevitabilmente mi viene da ridere, ripensando a ciò che io e il mio -all'epoca- fidanzato avevamo fatto appena atterrati per la prima volta in Australia. Sempre con calma, mi dirigo all'interno. E' un sollievo non dover fare la fila al ritiro bagagli: devo ringraziare mia figlia Lyla per avermi fatto portare solo lo stretto necessario nella mia borsa a spalla, altrimenti io avrei pressando nella valigia l'intero armadio, pur sapendo che il mio ritorno lì sarebbe durato solo due giorni.

Manca poco più di un'ora all'incontro con il Signor Porter. Avrò tempo in abbondanza per cercare di rimettere piede in quella casa e non essere travolta da un miscuglio esplosivo di emozioni. Devo farcela. Lo devo a LUI.



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