Capitolo XXXVIII | Sindrome di Stoccolma


Cherry

Il messaggio di William arriva proprio mentre sto finendo di posizionare dei frutti di bosco sopra la dolce copertura di una cheesecake.

Lascio il telefono sbuffando e vado a sistemare la torta nell'espositore. Florine con la cornetta in mano mi guarda perplessa, sorride nervosamente prima di mettere giù.

«Ti prego, dammi buone notizie»

«Era l'impresa per cui lavora Chantelle. Vogliono che ci occupiamo della festa di compleanno del sindaco di Newberry. È una buona notizia, no?» dice con l'aria di chi sta ampliando la domanda non solo all'interlocutore ma anche a sé stesso.

«Mi prendi per il culo?» 

Un bambino che mangia una ciambella in solitaria mi guarda con la bocca spalancata. Ha i denti o, meglio, quei pochi denti che rimasti, sporchi di glassa rosa e perline colorate. 

«Magari la Barbie non lo sa neanche. Insomma, non è la sua impresa e al ballo di fine estate hai conosciuto tutti i suoi collaboratori, sbaglio o ti hanno fatto i complimenti? È stato chiaro, ci vogliono nel team» 

«Ma si dà il caso che, la Barbie, faccia parte del team. E se volesse svergognarmi davanti a tutta la città? Forse dovrei consultarmi con Will prima» ipotizzo immaginandomi lo scenario nella testa.

«Ci hanno offerto settemila dollari» confessa la mia collega mangiucchiandosi le pellicine del pollice. 

«Porca puttana!» esclamo facendo finire la ciambella del bambino a terra. Ci guarda sconvolto.

«Sì, quello che ho pensato anch'io» continua agitando una mano.

Settemila dollari. Sette, zero, zero, zero. Cifra a tre zeri. Bollette, affitti, stipendi e fornitori.  

«Non possiamo rifiutare, lo sai?» dice Flo, cominciando a morsicarsi il povero pollice. 

No, non possiamo proprio. Non dopo gli ultimi mesi di difficoltà, abbiamo bisogno di accaparrarci clienti e, in questo caso, più sono ricchi meglio è. 

Il bambino osserva me e la mia collega come se stesse guardando la prima della nuova stagione del cartone preferito.

«Ti offro un'altra ciambella se non lo dici a tua madre» propongo cercando di porre rimedio. 

«Due ciambelle. E a-a-nche una cioccolata calda! Con i marshmallow»

Piccolo bastardo sdentato.

Le mani di William mi massaggiano bene la schiena, assicurandosi di insaponarmi bene ogni millimetro di pelle ancora tremolante dal piacere. La mezzanotte è passata da un pezzo, è sbucato a casa mia dopo essere riuscito a svincolarsi da una cena di lavoro per una grossa trattativa andata in porto. Non ci vedevamo da giorni ed è stato difficile parlare per più di cinque minuti senza finire a letto, sul pavimento o sull'isola della cucina.

«Ti ero mancato tanto» afferma immergendo una spugna di mare tra le nuvole di bolle saponose. 

«Sparisci per giorni, devo godermi al massimo questi momenti»

«Devo starti lontano per poterti proteggere» dice baciandomi una spalla. 

«E quanto durerà? Non volevo essere un'amante, eppure, mi sento come se lo fossi» sbuffo giocando con la schiuma.

«Beh, prima ti eccitava questa condizione» risponde lasciandomi un altro bacio sulla pelle bagnata.

«Prima, adesso rischia di annoiarmi, non sono una persona molto paziente»

«È una minaccia velata?» chiede ridendo mentre strofina la spugna sul mio collo.

«No, dico solo che non è più tanto piacevole» continuo soffiando su una grossa bolla che arriva sopra le nostre teste.

«Non ho alternative al momento, ho James alle costole e mio padre alle calcagna»

«Come procede la parte del puttaniere?» chiedo non riuscendo a trattenere un sospiro.

«Lo sai che finirà presto, giusto?» mi rassicura, stringendomi.

Non ne sono convinta, in una settimana James è venuto a farmi visita almeno due volte in pasticceria, sempre alla ricerca di qualcosa che non fossero dolci. Lo sappiamo entrambi che non finirà presto ma preferiamo non rovinare questi momenti a disposizione. Annuisco, cercando di aderire meglio al suo petto caldo con la schiena.

Le mani del ragazzo mi inondano il viso d'acqua calda e fumante. Appena strizza la spugna gialla sul mio collo, inclino la testa verso sinistra, godendomi quella sensazione di calore. Strofina delicatamente sull'incavo mentre l'altra mano continua a raccogliere e versare acqua sui miei capelli, le sue dita si insinuano nei miei riccioli pesanti, sposta meglio la chioma per scoprirmi meglio la nuca. Il suo polpastrello segue la parte dietro il mio orecchio, fino ad arrivare ai muscoli cervicali. Sta percorrendo la mia cicatrice. La sua cicatrice

Mi scosto immediatamente rimettendo i miei capelli al loro posto. Stringo le ginocchia sentendomi a disagio.

«Non l'avevo mai vista. Come te la sei fatta?» chiede sbucando dalla mia spalla. I capelli neri sono incollati al suo viso curioso. Una ciocca scura gocciola sulle sue labbra invitanti. I suoi occhi mi guardano facendosi più seri. Non leggermi, non farlo.

Fingo una risata borbottando qualcosa su una caduta maldestra ma William torna a ispezionarmi la zona dell'orecchio destro. Sento le lacrime pungermi gli occhi, non voglio che la veda. Che la tocchi. Che la scopra. 

«Te l'ha fatta lui?»

Jacks è ubriaco, quando rientra a casa litighiamo, sono stanca. Ho pulito tutto il giorno cercando di non pensare a dove fosse, non rispondeva alle mie chiamate. Ho trovato dei blister di antidepressivi nella scatola del tabacco nascosta nel suo comodino. Litighiamo, dice che devo farmi i fatti miei. Quando vede che la scatola è vuota comincia a gridare. Dice che ne ha bisogno, che è colpa mia. È brutto quando mi urla contro, mi sputacchia addosso e gli angoli della sua bocca sono ricoperti di una schiumetta bianca. Si avvicina minaccioso mettendomi con le spalle al muro. Mi fa paura ma mi spaventa ancora di più vederlo impasticcato di psicofarmaci non prescritti e ubriaco. Gli dico di smetterla, che si sta facendo male, che non lo riconosco, che quando fa così lo odio. Che lo amo troppo per non intervenire. Strilla con le mani in testa che sono una pazza, che dovrei prendermeli anch'io perché sono paranoica

«È stato un incidente» bisbiglio sentendomi ancora più nuda del dovuto. Sento il petto di William contro i miei bronchi muoversi nervosamente. Riempie i polmoni di aria e vapore fino a farli scoppiare.

Jackson mi afferra per le spalle minacciandomi, dice che tira giù la casa se non escono fuori le sue pillole. Piango, mi arrabbio e continuiamo a gridarci l'uno sopra l'altro. Dice che sono una stronza, che la mia famiglia mi ha abbandonato per questo. Che sono una troia. Dice, dice, dice. Cose senza senso, prive di logica. Diventa qualcosa di orribile, di disumano. E improvvisamente, l'amore della mia vita diventa il mio nemico. Ogni parola che pronuncia mi fa morire. Sento caldo, non respiro bene, lo prego di allontanarsi, di lasciarmi stare. Ma lui tira un pugno contro il muro, proprio vicino la mia faccia e sento un dolore al petto, come se stessi soffocando. Ogni suo movimento sembra così tanto rumoroso da perforarmi i timpani e farmi scivolare nel terrore.

«Non ha punti di sutura» continua con voce bassa William.

Lo spingo via proprio mentre le mani cominciano a tremarmi convulsamente. Non riesco neanche più a urlare. Jacks è isterico, piange, impreca, bestemmia. Gli tiro uno schiaffo quando poggia la testa minacciosamente sulla mia urlando oscenità. Dice che sono violenta, che dovrei farmi curare, che mi denuncerà, che gli ho rovinato la vita. Che non merito il suo amore.

«Non c'era bisogno, l'ho medicata con delle graffette» rispondo persa nel flashback.

Ho ancora i lividi dell'ultima litigata, avevamo fatto pace ieri, avevamo fatto l'amore ed era rientrato con del cibo cinese per farmi contenta. Avevamo riso sul divano fantasticando sui nostri bimbi. Le sue dita affondano sulla mia carne facendomi male, gli tiro il secondo schiaffo urlandogli di allontanarsi. I suoi occhi sembrano indemoniati.

«Questa voleva almeno dieci punti. Non sei andata all'ospedale, perché?»

Jacks mi strattona dalle spalle violentemente, sbattendomi contro la libreria con sua tutta la sua forza. Mi faccio male alla schiena, provo a tirargli un calcio e lui, urlando fuori controllo, affonda le dita con forza facendomi piangere per il dolore. Ha bisogno delle sue pillole. Mi spinge ripetutamente contro il mobile in legno che si scuote pericolosamente

«Te l'ho detto, è stato un incidente» mento chiudendo gli occhi, nella speranza di interrompere quel ricordo proiettato vividamente nella mente.

Dalla libreria casca un vaso in ceramica, si frantuma sulla mia testa. Quando sento il dolore arrivare e il sangue colare, urlo con tutta la mia forza tirandogli un calcio sulla pancia, Jacks è magro. Scheletrico ormai. Si accascia a terra portandosi una mano sull'addome, guardandomi terrorizzato. Sento la rabbia morire, il panico scorrermi dritto al cervello. Jackson si lamenta per il dolore. 

«Non sei andata perché sennò avresti dovuto denunciarlo, vero?» domanda nervoso il ragazzo, girandomi di lato per guardami meglio il viso. Quando Will scopre i miei occhi è come se non ci fosse alcun filtro, alcun ostacolo. Perfora tutto senza neanche sforzarsi ed è come se, adesso, fosse in prima fila nella sala di quel flashback. 

Corro ai suoi piedi inginocchiandomi, provo a toccargli lo stomaco per vedere cosa gli ho fatto. Sono un mostro, è tutta colpa mia, so come si sente senza le sue pillole. Jacks mi tocca la testa, la sua mano gocciola sangue. Piange. Mi circonda con le sue braccia lunghe tenendomi saldamente la ferita. Gli chiedo scusa, ci chiediamo scusa, mi bacia, dice che non voleva. Singhiozza promettendomi che non succederà più.

«Non l'ha fatto apposta» recito falsamente abbassando lo sguardo.

Le mani di William mi toccano le palpebre, sto piangendo. Ma non è un pianto di dolore, né di rabbia. È un pianto strano, spento, muto eppure incessante. Mi nasconde tra le sue grandi braccia cullandomi, baciandomi ripetutamente la testa. 

«Respira, respira» mi invita dolcemente con voce alterata.

Jacks torna con un sacchettino della farmacia, mi prende per mano correndo verso il bagno, piange mentre mi disinfetta la ferita. Lo rassicuro dicendogli che non mi fa male, mento. Mi mette le graffette e stringo i denti per non urlare. Mi chiede ancora perdono, non voleva. Piange, piange come un bambino e le sue mani tremano. Gliele bacio. 

«Bambina, respira. Sei qua con me» 

Jacks viene sul divano con le mie patatine preferite, limone e pepe rosa, ci incolliamo uno sull'altro mentre fumiamo una canna, la prima di tante. Guardiamo un film e ridiamo come matti. I suoi commenti su Ciao di Una notte da leoni mi fanno venire le lacrime. Ci teniamo la mano mentre mi promette di portarmi al mare domani. Dice che non esco da tanto e che non va bene. Prende il blister e manda giù una pillola con un po' di vino. Mi chiede ancora scusa, faccio lo stesso. Gli chiedo dello stomaco, ha un livido. Dice che gli fa male, mi sento morire. Lo amo da morire. 

«Scusami. Ti prego, non piangere».


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