Cherry
Sono passati appena due giorni dal disastro del ballo di fine estate. Ancora stordita dagli eventi, ho deciso di chiudermi in laboratorio e fabbricare dolci a più non posso.
Mentre con la sac-à-poche decoro una torta nuziale di tre piani, ripenso a William, al macigno che si porta dentro, a sua sorella Eloise e a Dan. Adesso che riesco a vedere il quadro completo mi viene un nodo alla gola. Ricordo quando Forrester mi disse che la loro faida era cominciata quando una ragazza aveva preferito lui a Will, che pezzente! La cosa che mi fa rabbrividire è che non sono certa se intendesse Georgette o la povera Eloise.
I miei pensieri sono annodati, sento una violenta rabbia nei confronti del banchiere, la vecchia Cherry vorrebbe andare a picchiarlo. Ma non sono più quella Cherry.
Una cosa però è certa, le mani di William hanno punito le sue malsane intenzioni.
Adesso, quando penso a Morgan, non vedo più i nostri battibecchi, le sue cadute di stile e la sua arroganza, non vedo più la sua spessa corazza. Vedo il ragazzo che ha pianto nel mio letto con le mani fra i capelli.
Penso alle sue premurose attenzioni che mi hanno lasciato di stucco, alla sua delicatezza disarmante. Al modo in cui ci siamo legati nel giro di qualche ora. In un certo senso le nostre anime si sono sfiorate, abbracciate e consolate. Ho resistito all'impulso di chiamarlo almeno una ventina di volte. Come stai? Cosa fai? Volevi fare l'amore con me? Ti senti in colpa con te stesso per esserti mostrato fragile ai miei occhi? Ti tormenti ancora per Eloise?
L'unica conclusione chiara a cui sono arrivata è che io e il proprietario della mia pasticceria non possiamo stare troppo vicini. Ricordo il pollice sulle labbra, le sue dita tra i capelli, il suo corpo marmoreo, il suo desiderio, il suo "lo so" ridotto a un filo di voce.
Lo sa, lui lo sa che voglio, ma non posso. Mi correggo, vogliamo ma non possiamo. Sì, questo ormai lo sappiamo entrambi.
«Cher cosa stracazzo stai facendo? Ti sei fatta una canna senza di me?» esclama Florine facendomi schizzare dalla sedia. Ho finito di decorare la torta nuziale da un pezzo e, senza accorgermene, ho stritolato ossessivamente il sacchettino sporcando tutto il grembiule e il pavimento di crema di burro.
Florine si avvicina e si inginocchia ai miei piedi preoccupata.
«Ascolta, lo ammazzo senza troppi problemi. L'importante è che in gabbia mi porti la Nutella» constata seria.
«Flo» borbotto ridendo «Non stavo pensando a Forrester, sto bene, davvero»
«Dovresti denunciarlo»
«Sono troppo confusa per prendere qualsiasi decisione. Io... non lo so»
«Ti senti in colpa? Non permetterti!» mi minaccia puntandomi il dito con il furore di una nonna quando comunichi che non hai fame.
«No, certo che no. Mi sento solo stupida per essermi fidata» confido stritolandomi le dita.
«Non sei tu stupida, intesi? Nessuno poteva sapere fosse fuori di testa»
Annuisco poco convinta.
«Flo» sussurro con un filo di voce «mi piace».
«Oh, guarda un po', non l'aveva capito nessuno!» mi prende in giro roteando gli occhietti con l'aria da so tutto io. Mi strappa la tasca da pasticciere dalle mani e in un baleno mi spara la crema sul petto.
Balzo in piedi scioccata sopprimendo un sorriso stupito. La rossa si mette una mano sul fianco soddisfatta, guardandomi divertita.
«Promettimi che questa cosa muore in questo bagno! Cit.» cantilena schizzandomi un altro po' impasticciandomi i capelli. Alzo le mani e cominciamo a bisticciare come due bambine.
«No, non ne parleremo mai più! Cit.» continua a imitarmi fermando le mie mani con l'avanbraccio e imbrattandomi in viso. Prendo una ciotola ripiena di mascarpone e comincio a spalarla su di lei che, inutilmente, prova a pararsi ridacchiando.
Mi guarda con aria di sfida e presto ci giriamo intorno sul piede di guerra, inizia una battaglia a colpi di zucchero. Ci lanciamo addosso tutte le creme al burro colorate che troviamo sui banconi.
Improvvisamente il chiasso delle nostre risate viene sovrastato dallo squillare del cellulare.
Rispondo sporcando lo schermo d'azzurro.
«Pronto?» dico cercando di riprendere fiato tra una risata e l'altra. Flo si mette con le mani sulle ginocchia per riprendere il controllo del suo corpo scosso dalla ridarella.
«Ciao. Riesci a venire da me in ufficio? Dovrebbe esserci una macchina fuori dalla pasticceria»
Piombo nel panico sentendo la voce di William. La mia amica si avvicina riconoscendolo e china la testa per origliare la conversazione.
«Adesso?» chiedo confusa.
«Sì, adesso» spiega risoluto.
«Ma sto lavor...» bofonchio guardando la mia collega.
«È importante. Ti aspetto».
La chiamata si interrompe, io e la mia amica ci guardiamo perplesse.
«Vai, non preoccuparti. Ha detto che è importante. Mi occuperò io di sistemare tutto» spiega guardando la cucina che sembra un campo di battaglia da paintball.
«Pulisci troppo spesso i disastri degli altri, lasciamelo dire» constato divertita.
«Mi pagano bene» precisa ironica, cominciando con il raccogliere la sac-à-poche.
«Allora speriamo la titolare ti dia un aumento» faccio la sbruffona, appendendo il grembiule.
«Vai a fanculo!» mi invita con tanto di dito medio multicolore.
«Ti voglio bene anch'io» rispondo guardandola con affetto prima di uscire dalla pasticceria. Trovo una lussuosa macchina ad aspettarmi, quando mi accomodo nei sedili posteriori, l'autista mi guarda dallo specchietto retrovisore e alza un sopracciglio.
«La signorina Wright?» chiede scettico.
Annuisco imbarazzata rendendomi conto che, nella confusione, mi è sfuggito un dettaglio; sono sporca da testa a piedi.
La macchina parte senza altre osservazioni dell'autista che, elegantemente, accende l'auto e si immette in carreggiata. Presto non c'è più traccia delle tonalità calde del centro storico, dei suoi parchi e dei serpentosi vicoli ciottolati. Adesso sfrecciamo tra strade ben asfaltate e palazzi moderni dalle cime appuntite che squarciano le nuvole. La macchina si ferma di fronte il grattacielo più alto di Newberry, nel cuore della zona finanziaria. L'autista sistema ancora una volta lo specchietto retrovisore per avere una buona visuale sui miei occhi.
«Tenga questo, lo metta ben in vista e nessuno farà domande. All'ingresso, appena sulla destra, troverà degli ascensori, raggiunga l'ultimo piano».
Indosso il laccetto con il pass plastificato e seguo le sue indicazioni. Quando entro nel grande edificio mi sembra di essere in un formicaio; decine di uomini e donne in completi e tailleur neri, camminano quasi meccanicamente.
Cerco di affrettare il passo per raggiungere gli ascensori senza attirare l'attenzione, ma appena le porte metalliche si aprono, un gruppo di dipendenti mi squadra da testa a piedi soffocando risate.
Quando raggiungo l'ultimo piano, attirando occhiatacce da chiunque, trovo una segretaria ad accogliermi. Sembra uscita anche lei da una passerella, com'è possibile siano tutte così perfette? Conciata in questo modo comincio a sentirmi un pesce fuor d'acqua.
La ragazza spalanca impercettibilmente la bocca vedendomi, si ricompone drizzandosi e regalandomi un sorriso cordiale.
«La signorina Wright immagino, mi segua per favore» spiega sistemandosi gli occhiali con l'indice.
La reception è completamente bianca, a tratti sembra un ospedale, è tutto asettico. Sopra la scrivania semi circolare c'è una grande insegna grigia luminosa. W. Morgan Corporation Inc.
Quando la bellissima mora mi apre le porte in mogano di una stanza, incitandomi a entrare, la guardo perplessa come a dire "salvami tu".
Sarei dovuta passare da casa per farmi una doccia, sono una testa di cazzo. Sono veramente Alice in Wonderland, non ci credo!
La ragazza apre la mano spronandomi a entrare. Non ho scelta. Non posso scappare adesso, è troppo tardi.
Mi preparo per l'ennesima colossale figura di merda della mia vita, facendo un respiro profondo e maledicendo gli dèi.
«Ben arriva...» William perde le parole appena alza lo sguardo da un fascicolo per guardarmi.
La parete vetrata dà su tutta la città, grattacieli vertiginosi dominano la scena lasciando appena intravedere piazze e, in lontananza, il centro città. Mi guardo intorno interdetta, questo posto è freddo.
Tutto è spento, non c'è nient'altro se non infinito nero.
Mi rendo conto di essere un arcobaleno dentro una distesa di oscurità; fuori luogo, fuori tono, fuori fase, fuori posto. Mi guardo le scarpe che stanno lasciando rimasugli di creme colorate qua e là sulla ceramica nera. Vorrei seppellirmi, vorrei prendere a testate il muro. Sono una cogliona!
Il ragazzo mi guarda senza dire una parola, sembra essere privo di ogni capacità cognitiva al momento.
«Allora, direi che è già abbastanza imbarazzante così, non credi? Ho dovuto affrontare l'autista, i dipendenti e la tua receptionist. A proposito, sei tu che selezioni i tuoi subordinati?» farfuglio un po' troppo velocemente. Will si mette ancora più comodo sulla poltrona portandosi una mano sul mento e mordendosi internamente le labbra per nascondere un sorriso che gli accentua le fossette.
«Te l'ho detto che stavo lavorando, sono stata presa alla sprovvista, hai detto che era urgente!» mi giustifico aprendo le braccia. Mi sento minuscola in questa stanza così grande.
«Non sapevo facessi la pittrice» scherza, accavallando una gamba per gustarsi meglio la scena.
«Simpatico, la battuta dell'anno!» controbatto fingendo una risata e avvicinandomi alle poltrone in ecopelle davanti la scrivania per prendere posto. Il ragazzo mi ammonisce alzando una mano.
«Ah, non ti azzardare» mi riprende, divertito come non mai. Lo guardo sfiancata e batto un piede a terra in segno di protesta, colorando ancora di più l'ufficio tenebroso.
«Oh, scusami. Sì, hai ragione, meglio che stia ferma» continuo mortificata.
Io e Will ci guardiamo e scoppiamo in una liberatoria risata.
«Rilassati, qualcuno pulirà tutto»
«Beh, quel qualcuno mi odierà e non lo biasimerei»
Il ragazzo scuote la testa ancora sollazzato.
«Come stai?» chiede guardandomi per intero, come se stesse cercando segni di cedimento.
«Bene, non preoccuparti. Tu? Ti senti un po' meglio?»
«Dovrei essere io a tempestarti di domande, non il contrario. Sto benone bambina, non preoccuparti»
Gli sfugge il nomignolo e noto che non era nelle sue previsioni; infatti, si mette più composto sulla sedia ed evita il mio sguardo per qualche secondo. Non l'ha detto con malizia, l'ha detto con affetto. Beccato.
«Ascolta, ti avevo detto che avremmo riparlato di quanto accaduto all'attico. E come promesso, mi sono occupato di tutto. L'unica cosa da fare, penso tu sappia quale sia» spiega, unendo le mani e intrecciandosi le dita all'altezza del naso.
«Cosa intendi?» chiedo, spostando il peso corporeo da un piede all'altro.
«Devi denunciarlo» mi intimidisce velatamente.
«Non me la sento. E poi, non risolverei niente. Insomma, in fin dei conti, non è successo nulla e non avrebbe senso alzare un polverone del genere per una come me»
«Ti anticipo che sto cominciando a incazzarmi. Cosa vuol dire? Sai benissimo che se non fossi intervenuto sarebbe riuscito nell'intento»
«Era ubriaco marcio, completamente fatto. L'avrei steso senza troppi problemi»
«Ma questo non c'entra niente, non sto dicendo che non avresti saputo difenderti. Come puoi parlare così? Come puoi pensare di non prendere provvedimenti? Stento a credere stia parlando con quella che mi ha tirato un pugno in bocca. Non devi sentirti in colpa, capito?»
«Non mi sento in colpa!»
«E allora di cosa hai paura? Insomma, se non vuoi farlo per te, il che mi sembra innaturale e folle, fallo per le possibili future vittime di quel porco. Non è che se a te è andata bene, qualcun'altra sarà fortunata allo stesso modo»
«Non ho paura! E lo so, Will, dovrei farlo per ciò che hai detto, per la causa. Ma una come me, dove andrebbe contro un famoso banchiere? Hai visto dove vivo?»
William sgrana appena gli occhi alzandosi dalla seduta e poggiandosi con i palmi delle mani sulla scrivania vetrata.
«Non essere sciocca! Ho un team di legali a disposizione e l'aspetto economico non sarà un problema»
«Non posso lasciartelo fare, non ho bisogno dei tuoi soldi»
«No, è chiaro. Perché non la smetti di sentirti sempre in difetto Cherry? L'abbiamo capito che sei forte, indipendente e non hai bisogno di nessuno. Cazzo, ti voglio aiutare e posso farlo! Non soffermarti sull'orgoglio»
«Non si sta parlando di un fattore economico, non ci arrivi? Chi mai crederebbe a me? Una pasticcera ex-tossica contro un uomo in affari»
Alla parola ex-tossica il ragazzo mi guarda non riuscendo a trattenere lo stupore davanti quella confidenza, scuote la testa, non volendo risultare indelicato.
«Testimonierò io. Ti assicuro che nessuno avrà da ridire contro me» continua sporgendosi dalla scrivania come se volesse rassicurarmi in tutti i modi.
Rimango sconvolta, Will si batterebbe per me nonostante la sua posizione e reputazione, rischierebbe di compromettersi per aiutarmi.
Vorrei correre ad abbracciarlo forte, gesto che desidero fare da quando è uscito da casa mia. È come se la mia pelle fosse talmente bisognosa della sua vicinanza che, in qualche modo, spingesse per poterlo sfiorare. Un po' come se fosse il mio magnete.
Faccio il primo timido passo verso il ragazzo che sembra voler aggirare la scrivania per venirmi incontro quando, una voce baritonale e severa, spezza quel momento.
«Tu non testimonierai un bel niente»
Davanti la porta c'è un uomo basso con un viso asciutto e un fisico spigoloso. Rimango di sasso quando i suoi occhi mi analizzano severi; sono gli stessi di William.
Guardo subito il ragazzo in cerca di risposte ma lui è pietrificato sotto lo sguardo torvo dell'intruso.
«Papà...cos» farfuglia palesemente nel panico. Non l'ho mai visto così intimorito, provo tenerezza per lui. Il mio William Morgan tutto d'un pezzo si sta rimpicciolendo davanti al suo creatore.
«Come hai potuto?» lo interrompe il padre facendo dei passi minacciosi all'interno dell'ufficio.
«Non sai niente. Io ho...»
«Tu cosa?» domanda alterato l'uomo mettendosi al mio fianco «Vuoi fare gli stessi errori del passato? Non ti sono bastati? Vuoi di nuovo distruggere la nostra famiglia? Dopo tutto quello che hai combinato, dopo Eloise» lo provoca «L'hai mandato di nuovo in ospedale! I Forrester mi hanno convocato, hai idea di quello che sarebbe potuto succedere? Sono stati chiari, alla prossima procederanno per vie legali. E sai cosa comporterebbe» il figlio serra i pugni chiudendo gli occhi, posso sentire sgretolarsi il suo cuore da qui.
«Quella merda ha provato ad approfittarsi di lei» sbotta d'improvviso guardandolo in cerca di comprensione che, però, non trova.
«Non è un mio problema. Non è un tuo problema» spiega apaticamente l'uomo facendomi rabbrividire.
Assisto come una spettatrice, come se fossi poco più di niente in questo sconfinato nero.
«Come cazzo puoi parlare così? Davanti a lei per giunta! Sei completamente inaridito ma ti ascolti quando parli?» sbotta il ragazzo il cui autocontrollo, comincia a vacillare.
«Tutta Newberry parla di quella festa all'attico; William Morgan che sfonda la porta e picchia chiunque sia d'intralcio per arrivare a salvare la povera donzella. Che gesto eroico! Hai rischiato di mandare già troppe volte questa famiglia alla deriva, mi hai fatto perdere una campagna elettorale per quel pasticcio al funerale. Avevamo un patto, avevi fatto una promessa» conclude guardandomi per la seconda volta.
Il suo sguardo sprezzante corre lungo la mia figura, mi stringo con un braccio per sovrastare la sensazione di disagio, facendo spiaccicare a terra altra crema di burro colorata.
Sono senza parole e incapace di reagire.
«E tradisci una come Chantelle con questa randagia pulciosa? L'hai vista?»
Sono in imbarazzo, più che per me, per William; unico motivo per cui mi limito a fulminare il padre con lo sguardo e non con le mani.
«Mi dispiace informarla che, la randagia pulciosa, non è l'amante di suo figlio» sottolineo velenosamente.
«Oh, certo, tu sei innamorata di lui, non è vero? Dimmi, quanto vuoi? Ventimila vanno bene per levarti di torno? Trentamila per tenere la bocca chiusa» spiega ridendo delle mie parole mentre esce dal taschino un libretto di assegni.
«Riccone del cazzo, vaffanculo! Ficcati il libretto nel c....» vengo interrotta da William che raggiunge suo padre a grandi passi palesemente malintenzionato. Appena è a un millimetro dal suo viso lo agguanto dalla giacca tirandolo indietro.
«Sei vergognoso! Sfogati su di me, sono abituato Thomas. Lei non c'entra niente. Come puoi non renderti conto che, quello che sei, è l'unico motivo per cui la nostra famiglia si è distrutta?» il ragazzo respira profondamente mentre le mie braccia gli circondano il petto cercando di contenere la sua violenza.
Lo sto sporcando tutto con il mio arcobaleno. Lo sto contaminando.
Il padre, con un'espressione compiaciuta, lo sfida con lo sguardo senza scomporsi di un solo minuscolo millimetro. Ma come si può essere tanto insensibili?
«Io testimonierò contro di lui, delle ripercussioni che avrà questa faccenda su di te e la tua immagine, beh, questo non è un mio problema. Tutto ciò va oltre il patto, va oltre la promessa, va oltre i tuoi interessi» specifica il ragazzo, prendendomi inaspettatamente per mano.
«Andiamo, vieni» dice, incamminandosi velocemente fuori dall'ufficio. Rischio di inciampare per stargli dietro.
La segretaria si alza velocemente dalla scrivania della reception e rimane di sasso vedendo William Morgan che mi trascina verso l'ascensore.
«Siamo chiusi da adesso fino a dopodomani. Chiama la sicurezza, lo voglio fuori. Immediatamente» dice mentre mi porta dentro la cabina con un sottofondo di musica classica.
«Ah, serve che qualcuno pulisca l'ufficio» borbotta sbucando con la testa sul piano prima di premere il pulsante di chiusura delle porte.
«William ma che stiamo facendo?» chiedo, non capendo più nulla. Le sue dita si intrecciano meglio alle mie.
Le porte si chiudono, il ragazzo mi guarda con occhi schiusi e lucenti. Mi tocca la spalla con l'indice prelevando un po' di crema al burro rosa.
«Scappiamo via» svela portando il dito in bocca. Sul suo viso si disegna un sorrisino, quello di chi, dopo anni di prigionia, si scontra nuovamente con i raggi del sole.
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