Capitolo XVII | Squisito
William
«Che meraviglia avervi qui con noi! Chantelle sei sempre incantevole, vieni qui fatti abbracciare!» strilla euforica mia madre correndo a stringere la ragazza per poi, come se avessi ancora cinque anni, venirmi a stritolare. La colf ispanica dopo aver preso i nostri soprabiti si affretta a chiudere la grande porta d'ingresso ad arco vetrata.
«Mamma ci siamo visti la settimana scorsa, manco fossimo andati in guerra» simpatizzo liberandomi dalla sua presa.
«Oddio Will cos'hai fatto? Hai le labbra...» osserva afferrandomi il viso fra le mani e ispezionandomi con i suoi occhietti ambrati dalle sfumature mielate.
«Mi sono fatto male allenandomi, non c'è bisogno di preoccuparsi»
«Ha rischiato grosso, un peso gli è caduto a un pelo dalla testa!» continua Chantelle mentre cerco di contenere la risata che, internamente, mi scuote.
«Lilian ti trovo in formissima, sei forse dimagrita?» chiede la ragazza al mio fianco facendo girare su sé stessa mia madre.
«Oh sì, quelle bevande drenanti che mi avevi consigliato, sono ottime!» dice prendendola a braccetto incamminandosi verso l'ampio salotto. Le finestre semicircolari che danno sul giardino fanno entrare gli ultimi raggi del sole ormai destinato a suicidarsi all'orizzonte.
Mio padre, gessato in un completo grigio, mi stringe la mano, inespressivo come sempre. Per fortuna da lui ho preso soltanto il colore degli occhi, per il resto, ringrazio i geni di mia madre.
Il viso spigoloso dell'uomo esprime tutta la sua rigidità, proprio come il suo animo.
«Allora come vanno gli affari?» chiede passandomi un bicchiere di scotch dal vassoio da rinfresco dorato, come del resto, la metà della villa. Le pareti sono di un color panna satinato mentre le rifiniture e le decorazioni, sono placcate di metallo pregiato.
«Molto bene, abbiamo concluso la trattativa con gli italiani al meglio. Oggi siamo stati contattati da una grossa azienda di elettronica che cerca investitori, sembra un progetto interessante, giovedì avremo il briefing»
«Interessante. Mamma ti ha già detto che abbiamo acquistato un'azienda di energie rinnovabili?» domanda palesemente a disagio, obbligato a dover intavolare un qualsiasi tipo di conversazione.
«No, direi che è un'ottima notizia» rispondo finendo il liquido scuro e defilandomi con la scusa di dover andare al bagno.
Come sempre la villa dei miei genitori è in perfette condizioni, non un singolo granello di polvere sull'arredamento francese. Per arrivare alla toilette situata al secondo piano passo dalla mia vecchia cameretta e di fronte, inevitabilmente, c'è quella sua.
La porta è socchiusa, chiara testimonianza del fatto che, mia madre, è stata qui non molto tempo fa. È sua abitudine, prima di qualsiasi evento di famiglia, passare almeno un'ora chiusa in queste mura ormai fredde.
Serro le dita sulla maniglia interdetto mentre queste cominciano a sudare alla vista delle pareti azzurre, il suo colore preferito. Il cuore sprofonda al pensiero di fare un altro passo.
Non ci riesco, non ci riesco proprio, come del resto tutte le volte che in questi anni, ho tentato di farlo.
Chiudo la porta velocemente e raggiungo il bagno attraversando il corridoio. Le grandi finestre vetrate lasciano filtrare gli ultimi morenti raggi solari, proiettando la mia ombra e lasciandola deformare.
"Il sole bacia i belli ma anche i più monelli".
Giro la chiave nella serratura del bagno, lasciandomi il sole e le ombre del passato alle spalle.
Odio per questo motivo le cene di famiglia, perché mi obbligano a dover ricordare la sua assenza lacerante, come se non fosse già abbastanza dura così.
Quando mi ritrovo in questo posto che un tempo è stato casa mia, evito di proposito tutti gli angoli più intrisi del suo ricordo, evito ogni foto, ogni oggetto ma non sempre serve a qualcosa. Lei è ovunque.
Mi sciacquo il viso e cerco di calmarmi respirando a pieni polmoni, stringo la cravatta ed esco passando inevitabile dal corridoio, fortunatamente, non c'è più traccia del sole. Raggiungo il primo piano dove trovo la mia famiglia accomodata al lungo tavolo di quercia apparecchiato alla perfezione.
Siedo accanto a Chantelle, sembra aver cominciato a ruota libera un discorso sulle proprietà naturali di alcune creme e intrugli per il corpo, per fortuna i domestici servono la cena.
«Jerome ha preparato l'aragosta alla termidoro!» annuncia mia mamma battendo le mani soddisfatta, facendo echeggiare quel suono in tutta la sala circolare contornata da colonne marmoree.
«Allora William...abbiamo festeggiato insieme i vostri tre anni di fidanzamento, quando ti decidi a fare il grande passo? Chantelle in bianco sarebbe un angelo e poi, tutte le mie amiche ormai hanno dei nipotini splendidi» continua la donna mentre seziona accuratamente l'aragosta.
«Oh, beh...» interrompo immediatamente la ragazza al mio fianco.
«Potresti far fare una cucciolata a Vincent, non credi? Lui sì che ha l'età per fare il grande passo» ipotizzo guardando il Levriero Afgano intento a leccarsi le zampe.
«Oh, sei sempre il solito! Insomma, hai ventisette anni, invece di fare il burlone dovresti cominciare a mettere radici! Non preoccuparti Chantelle, è solo un fifone» spiega lanciando un pezzettino di cibo al cane che, viziato com'è, neanche riesce a prenderlo al volo.
Bevo un po' di vino mentre la bionda, intenta a sfiorarsi un orecchino luccicante, mi lancia occhiata complice.
La cena trascorre in tranquillità, senza ulteriori osservazioni imbarazzanti, io e mio padre spiccichiamo forse tre sillabe in tutto mentre Chantelle e la mia vecchia, pettegolano di una vastità di argomenti che mi sono arreso arrivato il primo.
Improvvisamente la mano della ragazza al mio fianco comincia a sfiorarmi l'interno coscia, scivolando sempre più verso nord. Mi vengono in mente le mani affusolate di Cherry che mi sfiorano ovunque, le sue labbra calde e i suoi occhi da Lolita.
Il suo seno pieno, la sua pelle setosa e il suo profumo che non riesco più a scordare né tanto meno a identificare, sono un esperto di fragranze femminili ma, il suo, non riesco collocarlo da nessuna parte.
Levo la mano di Chantelle con decisione e questa mi guarda stranita, credo sia la prima volta da quando stiamo insieme che fermo una circostanza simile.
Il cellulare squilla isterico, mia madre mi fulmina con lo sguardo ma non posso rifiutarla e loro lo sanno bene.
«Scusatemi, faccio in fretta» bofonchio alzandomi.
Vado nell'ampio giardino, come sempre curato minuziosamente, gli alti pini con le loro chiome sembrano sfiorare il cielo stellato. Seguendo il percorso pietroso raggiungo la piscina, sulla sua superficie galleggiano delle foglie solitarie.
«William Morgan, con chi sto parlando?»
Non ricevo risposta, passa un minuto e controllo che ci sia campo sullo schermo che mi illumina appena il viso, quando sto per mettere giù, sento la sua voce.
«Ciao, ehm... spero di non disturbare, sono Cherry»
Sento il battito accelerare, che abbia percepito il pensiero?
D'improvviso ricordo il sapore della sua bocca, il suo collo ricoperto di brividi e le sue mutandine bagnate.
Non mi sarei mai aspettato arrivassimo a tanto, quando Florine ci aveva beccati, in fretta e furia avevo raccolto le mie cose e nessuno aveva proferito parola. Ci eravamo guardati soltanto per una frazione di secondo prima che andassi via. Insomma, cosa avrei dovuto fare?
So cosa avrei voluto fare, e ora che sento la sua voce, quella voglia torna prorompete e non riesco a trattenere un sorriso.
Sento una strana ansia condensarsi nel petto, come dovrei comportarmi?
Un leggero vento scompiglia i cespugli di rose bianche accompagnando i petali più deboli che, dolcemente, muoiono sul prato umido.
«Ciao, no, no, non disturbi. Tutto okay?» chiedo un po' troppo impacciatamente.
«I-i-o ho saputo dell'equipe di tecnici, insomma si, l'impianto della luce. In mattinata non ero di turno in pasticceria, quindi...» si ferma indecisa «F-f-lorine mi ha aggiornato nel pomeriggio» il modo in cui balbetta mi destabilizza.
«Troppi ricordi di ieri sera?» ridacchio sottovoce.
Sento il suo respiro pesante e non riesco a controllare il corpo che comincia ad agitarsi.
Non avevo chiuso occhio quella notte, continuavo a rigirarmi nel letto chiedendomi se lei stesse vivendo la stessa cosa, se era tormentata come me da quello che avevamo fatto, che volevamo fare.
«Smettila Will... volevo soltanto ringraziarti, hai fatto una cosa davvero assurda! Ti sono grata per esserti premurato così tempestivamente e con queste modalità. Davvero, grazie» dice d'un fiato, quel soltanto scandito così bene, mi obbliga a guardarmi le punte lucidate delle scarpe.
«Non ringraziarmi, era un mio dovere e poi l'ho fatto con piacere»
Non arriva nessuna risposta dall'altra parte, comincio a sentire il panico e la cosa mi infastidisce, so bene come affrontare la cosa.
«E dimmi...vuoi ancora sentirmi venire per te?» sussurro provocatorio, non riuscendo a trattenermi oltre.
«Will per favore, smettila...» farfuglia sbuffando «Quello che è successo, ancora non so darmi una spiegazione ma credo non abbia importanza. Eravamo entrambi scossi e...confusi. Vorrei che non...» perde di nuovo le parole, ed è come se potessi percepire la sua tensione «che non fosse successo»
Rimango sconvolto dalle sue parole, prima rischia di farsi sbattere al muro malamente e poi torna a recitare la parte della ragazza innocente. Rinnegare quello che ha voluto, anche con una certa urgenza meno di ventiquattrore fa, lo trovo imbarazzante.
«Hai il coraggio di dirmi che vorresti non fosse successo? Dopo il modo in cui...» vengo interrotto dalla sua voce flebile.
«Morgan, per favore»
«Ah, adesso sono tornato a essere Morgan» rido debolmente non credendo alle mie orecchie «Ascolta tu puoi fingere, nasconderti dietro il dito ma non dimentico il modo in cui mi hai spogliato, baciato, supplicato di prenderti. Il modo in cui ti sei concessa. Quindi se questo per te può servire a qualcosa, fallo, ma è ridicolo. Posso assicurarti che non lo scorderai così facilmente come vorresti»
Non capirò mai come ragiona questa ragazza, sento una fitta al petto ma scaccio via queste sensazioni che non mi appartengono. Mi conoscono bene e so che quello che sento è solo delusione di non poter avere qualcosa che, mi è stato fatto assaggiare per poi essermi strappato via. Mi ha lasciato solo molto affamato e insoddisfatto ma saziarmi non sarà un problema.
«Non mi sto nascondendo! Non era niente, quello era solo nervoso accumulato... mutato in qualcosa di malato» strilla dall'altra parte del telefono.
Mi guardo bene intorno per assicurarmi di essere solo, l'unica compagnia è quella di una leggera nebbiolina che imprigiona la superfice della grande piscina dalla superficie increspata.
«Malato?» domando allibito «Fatto sta che se mi concentro un po' riesco ancora a sentire il tuo sapore in bocca. Dai, non preoccuparti, non devi sentirti in colpa con te stessa» dico, giocando in difesa.
«Non mi sento in colpa! Senti, abbiamo promesso che avremmo seppellito l'ascia di guerra, gestiremo i nostri affari nel modo più corretto possibile e basta»
«Cherry, Cherry...quante paranoie per una cosa così insignificante. Non è stato niente di ché se dobbiamo essere sinceri, non c'è bisogno di fare tante storie»
Ho il mondo a portata di mano, figurarsi se mi dispero per una ragazzetta qualunque, quello che non sopporto è il non ammettere la realtà delle cose, se vuole giocare sporco che si accomodi. Entro domani mattina avrò già altro a cui pensare.
Non aspetto risposta, riaggancio.
Mi basterà evitarla per un po', disintossicarmi, starle alla larga insomma e presto, sarà solo una stupida parentesi.
Quando rientro e torno a sedere, Chantelle mi guarda snervata girandosi gli anelli dorati che ha alle dita, le lascio un bacio sulla guancia e questa si addolcisce in viso.
«Niente lavoro una volta tornati a casa, l'abbiamo detto mille volte» puntualizza alzandosi e avvicinandosi alla domestica che subito annuisce.
«Allora ho bisogno del vostro parere! Ho concluso una sorta di affare...»
«Niente lavoro una volta tornati a casa» la imito divertito mentre torna a girarsi verso la domestica.
«Come sapete stavamo cercando un nuovo catering e confrontandomi con alcuni colleghi abbiamo selezionato questa nuova pasticceria emergente, non so ne avete sentito parlare» dalla schiena svela una piccola scatola rosa che riconosco immediatamente, cerco di contenere lo stupore mentre serve il piccolo vassoio di cupcakes.
«Amore sono quelli dell'immobile in centro...il Cherry Sweets! Ci sono stata oggi pomeriggio» continua battendo le mani allegramente «Li metteremo alla prova, se saranno all'altezza gli daremo come primo ingaggio ufficiale il ballo di fine estate organizzato da tua madre. Ora, come sapete non mangio dolci quindi... volevo un vostro giudizio!»
Spero di trovarmi dentro un incubo così mi pizzico il ginocchio sotto il tavolo.
«Una mia cara amica mi ha parlato di questo posto, dice che è addirittura migliore della pasticceria Ladureè! Per stasera posso fare uno strappo» ci informa mia madre scegliendo un cupcake coloratissimo mentre mio padre, serioso, ne prende uno a caso.
«Amore, ti prego, mi serve il tuo parere» mi incita la bionda.
Sorrido, afferro un maledettissimo cupcake e lo azzanno.
«Squisito»
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