Capitolo X | Incubo
«Insomma, cosa aspetti? Dan è completamente pazzo di te, cioè l'hai visto? Era tipo una di quelle scene a rallenty» spiega Flo mentre spegniamo le luci della pasticceria.
«Non dirmi che non lo trovi attraente» continua raggiugendomi sull'uscio.
«Certo! Sia chiaro è una tentazione niente male ma, gli uomini mi hanno sempre portato guai, soprattutto quelli belli come lui» spiego accendendomi una sigaretta.
Stanche morte raggiungiamo la fermata del tram che dovrebbe arrivare a momenti.
«Vecchie ferite?» domanda con una leggerezza invidiabile. Di Florine apprezzo questa sua positività a tratti ingenua verso qualsiasi prospettiva, più che vecchie ferite vorrei dirle, attuali traumi.
«Diciamo, comunque non sono interessata a niente che duri più di una notte» spiego ironica arrotolandomi un ricciolo con l'indice.
«Dan vale più di una notte, vale tutte le notti» constata maliziosa punzecchiandomi il braccio con un dito.
«Hai capito cosa intendo Flo» rispondo divertita fermandole la mano.
«E come si chiama questa vecchia ferita?»
Il tram arriva, i fari illuminano bene i ciottoli della strada, spengo la sigaretta e saltiamo su.
«Jackson» rispondo d'un soffio, pronunciare il suo nome non è mai facile. È come sfiorare una lama piantata al cuore che apre la porta ai ricordi, che più che felici, sono dolorosi.
Lo sguardo attento della ragazza mi invita a continuare.
«Siamo stati insieme tre anni fra tira e molla, lui era proprio il tipico stronzo che fa perdere la testa alle ragazze. Ero sotto un treno, piccola e incasinata, lui più di me. Senza accorgermene ero finita in una di quelle relazioni tossiche e malate. L'ho amato tanto e per questo ho perso troppo tempo dietro i suoi pasticci, ho mollato la presa quando è finito dentro per rapina a mano armata»
«Oh, cazzo. Non pensavo potesse succedere... cioè nel senso, non a te, scusami, sto blaterando! Mi dispiace, forse non è un argomento da trattare nel tram, che dici? Domani voglio i particolari» chiarisce dolcemente alzandosi e lasciandomi un bacio affettuoso sulla guancia mentre il tram ferma vicino il suo appartamento.
I rumori metallici preannunciano la partenza e tra dieci minuti dovrei essere d'arrivo, fuori il finestrino Newberry è fantastica vestita da sera, i lampioni sprigionano luce calda illuminando i profili delle palazzine. Una motocicletta sorpassa il tram e inevitabilmente Jacks torna in mente.
Fisicamente Dan me lo ricorda per via dei capelli biondi, gli occhi chiari e quelle espressioni malandrine. Anche se non c'è storia con Jacks che uno come Forrester, lo mangia a colazione.
Per Flo potrò sembrare stolta ma ho imparato a riconoscere degli occhi dannati e quelli di Dan sono fra questi, proprio come quelli del mio ex.
Ricordo il giorno in cui l'ho conosciuto; vivevo da qualche giorno a San Diego e mi trovavo in una stazione di servizio con una gomma forata, quando una Harley, per la precisione una 883, si fermò per fare rifornimento.
Si era poggiato sulla sella a fissarmi divertito mentre smanettavo con l'aria compressa nell'intento di rimettere in sesto lo pneumatico, dopo averlo mandato a quel paese si era imposto di darmi uno strappo a casa. Era un perfetto sconosciuto certo ma era impossibile resistergli, era così... non lo so, aveva questo potere assurdo; riusciva a far cadere tutti ai suoi piedi, avrebbe potuto convincere le persone che gli asini volassero se solo l'avesse voluto. Era incredibile come potesse rigirarsi le cose a suo piacimento, e non solo per la sua particolare bellezza, era scaltro.
Tutto in lui mi consigliava di rifiutare ma era già troppo tardi, i suoi occhi furbi mi avevano rapita e caddi in trappola.
Successe tutto velocemente, come un fulmine nel bel mezzo di una giornata d'agosto.
Mi aiutò a trovare lavoro in un club di un suo caro amico e da lì cominciammo a frequentarci, ripensandoci sembra passata una vita, avevo appena diciott'anni e una vita turbolenta alle spalle.
Gli inizi potrebbero essere descritti più semplicemente in tre parole; sesso sfrenato, alcool, follia.
Due spericolati pazzi l'uno dell'altra, due cani randagi che si erano trovati e dal primo istante appartenuti a vicenda, nessuno mai aveva esercitato tanto potere su di me e senza rendermene conto nel giro di pochi mesi era diventato la mia casa, la mia famiglia, il mio tutto.
Ma Jacks aveva i suoi giri, le sue dipendenze, era cresciuto per strada e apparteneva a quella filosofia, Jacks portava guai.
Ogni notte tornava, se tornava, a casa su quattro zampe, altre volte mi chiamavano dal distretto. Le più brutte però, erano quelle in piena notte dell'ospedale, non ricordo neanche quante volte abbia rischiato di morire né tanto meno le volte che è finito in coma etilico.
E lui ogni volta, con quel suo potere che tanto mi affascinava, prometteva sempre fosse l'ultima volta, solo dopo anni d'analisi scoprì che, il suo potere, aveva un nome ben preciso ovvero manipolazione.
Ma a quei tempi ne ero all'oscuro, totalmente abbandonata e sottomessa all'amore, così gli credevo sempre, credevo sempre fosse l'ultima sbronza, l'ultima striscia, l'ultima sbroccata, l'ultima rissa, l'ultima rapina.
Lo amavo così intensamente, così fortemente, che ogni volta come una scema ci credevo, e se avessi avuto qualche dubbio, sarebbe scattato il senso di colpa.
Desideravo soltanto che smettesse di autodistruggersi, volevo poter essere la sua cura; ero certa che il mio sentimento e la mia dedizione ci sarebbero riusciti, che il nostro amore fosse più forte di qualsiasi cosa. Ma non puoi guarire un anima persa come quella di Jacks, tutto quello che può fare è trascinarti giù con sé negli abissi e io, per quello che pensavo fosse amore, l'ho permesso, ritrovandomi dentro un incubo.
Presto subentrò il crack che con il mix di alcool, altre sostanze e l'abuso di psicofarmaci, era diventato invivibile. Spariva per giorni e quando tornava riusciva sempre a raggirarmi. Il tempo passava e lui stava sempre peggio, il suo stato psichico cominciava a riflettersi anche all'esterno.
Ultimo e tragico capitolo della nostra storia; disperazione e violenza.
Ho perso il conto di quante volte i vicini chiamarono la polizia, cose che a raccontarle... è difficile crederci.
Ero l'unica che portava il pane a casa e tutti i miei soldi svanivano in bollette scadute o per i suoi capricci, condannandoci a vivere in uno stato deplorevole.
Avevamo perso il controllo, avevamo perso proprio la testa, tanto da essere riusciti a picchiarci e odiarci come peggiori nemici. Eravamo diventati il peggio di noi stessi; due ombre sovrapposte che con la stessa intensità con cui amavano potevano scontrarsi.
E a quel punto, poco importa chi comincia, chi commette prima un errore o chi tira il primo schiaffo...eravamo entrambi carnefici.
La verità è che ero incapace di lasciarlo andare, rifiutavo l'idea di aver investito il mio tutto, la mia vita e tutta me stessa, in qualcosa che si era sgretolato, lasciandomi solo cenere fra le dita e un cuore infranto.
Non accettavo di vederlo decomporsi in quel modo sotto i miei occhi, pensai per anni di essere il problema e lui di certo non si risparmiava a criticarmi o sminuirmi, aldilà di quanto ci provassi, non era mai sufficiente, non ero mai abbastanza.
Nessuno mai potrà capire quanta forza e sofferenza c'è voluta per mollare la presa, nonostante il terrore, di perderlo per sempre.
Quando arrivò l'ennesima chiamata da parte del distretto per annunciarmi dell'ennesimo arresto, per la prima volta trovai il coraggio di salvarmi, rifiutai di pagare la cauzione.
Ormai ero ridotta peggio di un fantasma, ero irriconoscibile; un ammasso d'ossa con una mente totalmente alla deriva.
Lo lasciai nella sua merda, non sarei più rimasta lì a guardarlo morire ogni giorno di più, a vedere la storia ripetersi in loop. Non sarebbe mai cambiato, né per me figurarsi per sé stesso e io, ero stata sua complice già a sufficienza.
Non avrebbe mai tutelato il mio cuore, il nostro futuro, la mia vita o più semplicemente la mia salute, desiderava soltanto che bruciassimo insieme.
Il tram ferma sotto casa, scendo che una leggera pioggerellina rinfresca l'aria e mi accarezza il viso.
È stato l'incubo peggiore della mia vita, eppure, in certi meandri della mia memoria custodisco ancora sprazzi di ricordi dal retrogusto dolceamaro; risate, pazzie fatte insieme, il suo modo buffo di ballare, l'entusiasmo con cui arredammo quel monolocale minuscolo, le sue braccia tatuate che perennemente le mie dita tracciavano seguendone le linee scure, come per scoprirne la storia che custodivano.
O ancora le notti in sella alla moto, stretta a lui mentre la sua mano, puntualmente, accarezzava il mio polpaccio durante il tragitto verso chissà quale serata spericolata.
È passato tanto tempo, sono cambiate così tante cose, sono cambiata io.
Decido di lasciarmi quei pensieri, quei vecchi fantasmi, fuori la porta di casa.
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