Capitolo IX | Loco

William

«Ti piace...» tossisce Oliver mentre usciamo dalla pasticceria.

«Come ti viene in mente?» ribatto sistemandomi meglio la giacca.

«Ho visto come la guardavi Will, quando ballava, non fare il finto tonto con me»

«Quanto sei romantico! Mi dispiace deluderti ma è molto più semplice di così, se c'è un bel culo lo guardo»

Scuote la testa sopprimendo un risolino mentre sventola il bastone per aria, facendo fermare un taxi.

«Fai il bravo se puoi, devo andare, stasera gioco a poker con il tuo vecchio!»

L'anziano monta sulla vettura che parte velocemente immettendosi nella carreggiata.

Non riesco a non pensare a quei fianchi che oscillano dentro quel tubino aderente, tanto aderente, e quella nuvolosa chioma di riccioli che li accarezzava. 

Scuoteva la testa a ritmo e cantava pure bene, su quello non avevo mentito.

Quando si è accorta di me ha cominciato a mordersi le labbra con le guance in fiamme, come se fosse colpevole di chissà quale crimine.

"Mi stava guardando il culo sir. Morgan?" e io impalato lì davanti a tutti, come un tredicenne in piena tempesta ormonale.

Si stava godendo quella scena con gusto, non c'era più traccia di rabbia o imbarazzo nel suo sguardo, era la sua rivincita.

Sono stato troppo vulnerabile mentre parlavamo al bancone, mi ha fatto uno strano effetto vederla dopo l'ultima volta. Avercela davanti dopo tutte quelle fantasie poi, non è stato d'aiuto.

Oliver non capisce che non c'è niente se non il pungente desiderio del proibito, quando una cosa diventa improbabile, in qualche modo scatta nella mente umana qualcosa che comincia a stuzzicarti, a punzecchiarti sempre di più, fino a farti impazzire.

Mi inoltro nel cuore del centro storico passando per i vicoli stretti, quando a un tratto svoltando l'angolo, lo vedo di spalle.

Dan cammina a passo lento, godendosi una sigaretta, ripenso al modo in cui ha morso quella ciliegia guardando Cherry, quasi potesse spogliarla con gli occhi.

Il passato torna, incombe su di me come un fiume in piena.

Fermi immagine di una vita passata, che ormai sembra lontana anni luce, tornano come un tornado nella mia mente, un turbine d'emozioni mi attraversa mentre lo acciuffo dal colletto sbattendolo contro il muro di mattoni rossi.

«Morgan, cosa stai facendo?» ridacchia nervosamente, e questo, non fa che peggiorare le cose.

«Stalle alla larga, hai capito?»

«Cherry lo zuccherino?» domanda viscidamente con un sorriso beffardo sul viso, lo scaravento con più forza sulla parete.

«Lasciala in pace! Se scopro che...» perdo le parole completamente offuscato dal rancore «Giuro che ti ammazzo con le mie mani, una volta per tutte»

«Che...me la scopo? Come ho fatto con Georgette?» ironizza fiero di sé fingendo un'espressione dispiaciuta.

Dopo tutto quello che ha combinato, dopo tutto quello che mi ha portato via per sempre, ha ancora la faccia tosta di scherzarci sopra. Gli tiro un pugno preso dalla collera sentendo le nocche formicolare. Quando si solleva ha il viso coperto di sangue.

«Sai benissimo di cosa parlo» sbotto minaccioso.

«Ma anche per quello, suppongo» farfuglia irrisorio toccandosi la mascella e sputando una chiazza di sangue sull'asfalto.

Sferro un altro colpo dritto sullo stomaco, facendolo accasciare a terra boccheggiante mentre, una risata isterica, comincia a impossessarsi di lui ma non dei suoi occhi. Fermi, immobili, vuoti e ricoperti di una patina lucida.

«Questo non la farà tornare indietro Morgan. Elo..»  ha il tono incolore, sento il cuore sprofondare in un abisso.

«Non pronunciare il suo nome!» la mia voce acuta rimbomba fra i vicoli stretti per qualche secondo, facendo ammutolire perfino il canto dei passeri.

Avverto il cuore lacerarsi, sprofondare e poi accelerare pericolosamente. 

E lei torna a scorrere nella mia memoria, lei torna, con gli occhi miei mentre sorride davanti la televisione, dicendo qualcosa che, oggi, non riesco più a sentire. 

Continua a parlarmi, con quel suo modo buffo di arricciare le labbra che accentuava le sue fossette, ma non sento niente, neanche un minimo, sottile, suono.

Poi ride, ride e ancora ride.

Le immagini cominciano a offuscarsi mentre un fascio di luce naturale che imprigiona mille particelle polverose, le illumina metà viso; continua a sorridermi fino a sparire. 

Forse passano dei minuti o delle ore, non saprei dire con certezza quanto sia stato via, perché quando rinsavisco e guardo le mie mani, sono sporche di sangue. 

Dan è steso su una pozza di sangue, emettendo appena, qualche lamento sconnesso.

Qualcuno si affaccia dalle finestre e dai balconi e non tardano ad accorrere i curiosi, non posso farmi vedere qui, così. Indietreggio e cercando di placare il tremore alle mani, imbocco un vicolo serpeggiante, allontanandomi dall'area velocemente.

Cerco di controllare il mio respiro inutilmente, devo calmarmi, mi correggo, devo sfogarmi per lavarmi di dosso questa rabbia.

E mi conosco, mi conosco troppo bene, faccio una chiamata mentre alcuni passanti mi guardano perplessi e accigliati.

«Papi, que pasa?»

La odio, la odio tremendamente, per tutto il male che mi ha causato, perché è riuscita a cambiarmi per sempre, perché si è fatta rovinare da quel porco, perché non sarà mai più la stessa e perché io non potrò mai, mai, perdonarla.

«Da me fra dieci minuti» non è una domanda, più un ordine, riattacco cominciando una corsa verso casa.

La odio più di quanto odi Dan, ho solo bisogno di scaricarmi e forse... farmi anche un po' male, lei ormai è solo questo, una dose di veleno dritta in vena, la mia dose. 

È questo il mio modo per sopperire al dolore, procurarmene uno più forte che annienti tutto. Che sovrasti e che stravolga ogni mia particella, solo dopo essermi completamente distrutto posso ricompormi. 

Quando arrivo all'attico Georgette è lì che mi aspetta, non la guardo neanche, raggiungo la camera da letto mentre mi segue divertita.

Non le lascio il tempo di mettere un piede dentro che le strappo la maglietta di dosso, lasciandola nuda. Mi circonda il collo con le braccia senza perdere tempo. 

Ha le pupille così dilatate che posso specchiarmici dentro, chiaro segno, di quanto sia fatta già a quest'ora. Fa per togliermi la camicia quando d'un tratto, si blocca, imbambolata verso il vuoto. 

Dal naso comincia scivolarle una grossa goccia di sangue che asciuga con la mano scoppiando a ridere, macchiandosi così, l'intero pavimento. Un altro frenetico rivolo di liquido rosso corre veloce, fino a macchiarle le labbra carnose ricoperte di lucidalabbra.

Con la punta della lingua lecca il sangue guardandomi con occhi vitrei, assisto disgustato; questo è quello che rimane di lei, un fantasma, una versione sbiadita e confusa di una persona che un tempo è esistita. Un'anima marcia in totale declino, in totale decadenza. 

Siamo entrambi rovinati, segnati, marchiati.

Ma le sue mani all'apparenza pulite sono comunque più sporche di sangue delle mie. 

«Loco» sussurra eccitata mentre si distende sul comò e alza la gonna bianca imbrattata di gocce rosse.

«Sta zitta puttana, zitta!» sbraito cercando di trattenere le lacrime. 

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