Capitolo II | Patti Chiari
Mi sveglio infastidita da un suono grottesco, quando spalanco gli occhi la prima cosa che metto a fuoco è un piccione che sgambetta avanti e indietro sul davanzale della finestra intento a fissarmi con gli occhi sbarrati.
Balzo per aria facendolo svolazzare nel panico dentro la mansarda, strillo nella speranza che servi a qualcosa ma l'uccello continua a grugare, appollaiandosi sopra una trave alta. Provo a scacciarlo lanciando una scarpa e, per un pelo, questa rischia di arrivarmi in fronte.
Sbuffo spazientita, non ho chiuso occhio con tutti gli scricchioli e spifferi, per non parlare dell'insopportabile gocciolio.
Guardo l'orologio che segna le otto in punto. Le otto!? L'appuntamento per firmare le carte! Dovrei già essere lì!
Dopo dieci minuti in cui ho fatto quella che più si avvicina a una doccia, essermi lavata i denti seduta sulla tazza e aver finito di infilarmi i jeans per le scale, concludo con l'allacciarmi, malissimo, le scarpe sull'uscio della palazzina.
Comincia così la mia frenetica corsa verso il negozio; un taxi si attacca al clacson e per un pelo non mi mette sotto, sento le cosce pizzicare per lo sforzo ma mi obbligo a ignorarlo, afferro meglio la tracolla che rimbalza su e giù mentre i passanti tra cui sfreccio mi guardano allibiti, bofonchio scuse almeno dieci volte a quelli che strattono malamente.
Smarrita chiedo più volte indicazioni scoprendo di aver allungato inutilmente il tragitto fin quando, sotto consiglio di una coppia di vecchietti, svolto per un vicolo stretto intravedendo, finalmente, la piazza centrale. L'orologio della stazione ferroviaria punta le otto e trentatré.
Quando spalanco la porta con il fiatone e sicuramente l'aspetto di una pazza, trovo Florine soffocare un sorriso.
Un anziano occhialuto, seduto su un minuscolo tavolo impolverato, sistema meglio dei fogli e si mette in piedi colto alla sprovvista.
«Signorina Wright, la stavamo aspettando»
«Mi scuso infinitamente per il ritardo, sono mortificata!»
L'anziano si addolcisce in viso e fa per parlare ma una voce bassa lo precede.
«E fa bene a esserlo, ho dovuto rimandare già una riunione; come acquirente non è il modo migliore di presentarsi»
Dal bagno esce un uomo alto che si allenta il colletto della camicia con polsini alla francese, sembra turbato mentre sfila la giacca adagiandola all'avambraccio sinistro. Noto subito i gemelli scintillanti d'argento.
«E quello dovrebbe essere un bagno?» osserva scrutando le punte delle sue scarpe in vernice.
I capelli neri sono fissati bene all'indietro, donandogli un aspetto molto raffinato e posato, sembra il perfetto uomo d'affari che profuma di successo. La sua mascella contratta mostra tutta la sua irritazione e i suoi occhi grigi infastiditi, quando per la prima volta mi degnano di uno sguardo, sembrano i più tormentati che abbia mai incrociato.
«Sono sinceramente dispiaciuta, comunque è un piacere fare la vostra conoscenza. Direi di non perdere altro tempo, cosa devo firmare?» mi premuro abbastanza a disagio.
«Questa cosa è già andata fin troppo per le lunghe, Oliver, le carte» ordina schioccando le dita velocemente.
Il modo arrogante con cui si rivolge al notaio, quasi fosse il suo sguattero, mi urta e non poco, capisco trattarsi di una di quelle persone che se avessi incontrato in un altro contesto avrei già messo al suo posto, ma visto le circostanze, mi trovo costretta a evitare. In parte...
«Desidera un bicchiere d'acqua? Un caffè? Ancora qui non abbiamo nulla ma c'è il bar della stazione, potrei prenderle qualcosa se gradisce»
«Oh che dolce ragazza! Sto bene così ma la ring...»
«Possiamo per favore farle firmare queste dannate carte e andarcene?» sbuffa stizzito il proprietario dell'immobile mentre smanetta col cellulare. Parla senza neanche degnarci del suo sguardo. L'aria superba intimidisce i presenti che abbassano lo sguardo, sottomettendosi alla sua irruenza.
Metto le mani sui fianchi guardandolo indispettita, Florine per riprendermi si avvicina dandomi un colpo di punta alla caviglia mentre Oliver, sistemando meglio gli occhiali, fa un'espressione preoccupata.
«Ecco Sig. Morgan a proposito di questo, è ambiguo...molto ambiguo in effetti, stavo visionando meglio questi fascicoli e mi dispiace informarla che abbiamo un problema. Risulta che l'immobile, in una percentuale del quindici percento, sia intestato a un altro soggetto, senza il suo consenso non possiamo procedere alla vendita»
«Cosa?!» farfugliamo tutti e tre insieme.
«Significherebbe? Questa baracca è sempre stata intestata a me!» sbotta mentre rifiuta una chiamata in entrata per avvicinarsi alle scartoffie.
«Ci dev'essere stato un errore, qui risulta un certo... » il notaio avvicina le grandi lenti e aguzza la vista.
«James Morgan» svela d'un fiato con un'espressione intimorita.
Il ragazzo si chiude le palpebre con le dita, è così teso che tutti i nervi del suo corpo sono visibilmente contratti. L'anziano si ritrae appena sulla sedia come se, improvvisamente, il suo cliente fosse una bomba a orologeria. Eppure non esplode, in qualche modo riesce a disinnescarsi, porta una mano sulla nuca massaggiandosela appena.
«Ottimo, ci mancava James di mezzo, veramente ottimo!» continua mentre se la prende con il cellulare che non smette di squillare.
«Scusatemi quindi cosa succede? C'erano dei patti chiari da rispettare, ho bisogno di aprire il negozio entro la fine del mese, non posso aspettare oltre, oggi avremmo dovuto cominciare i lavori» spiego portandomi una mano sulla fronte e frenando l'impulso di accendermi venti sigarette contemporaneamente.
«Patti chiari da rispettare detto da una che si presenta con più di mezz'ora di ritardo il giorno della vendita mi sembra paradossale! Non è un nostro problema!» sbotta l'uomo allentandosi ancora di più il colletto.
Fra il risveglio da incubo, la totale assenza di caffeina nelle mie vene, la corsa, il problema con la pratica e questo gran cafone, comincio a perdere la pazienza.
«Invece lo è Sig. Morgan, intanto la invito a rivedere il modo in cui si rivolge a me, questa confidenza non le è stata concessa. Un ritardo può essere compreso, un proprietario in percentuale che sbuca dal nulla, per giunta il giorno dell'acquisto, no! Era suo dovere avere tutto pronto per depositare le firme. Visto gli accordi precedenti mi sono basata sui tempi previsti, se adesso saltano mi troverò in una situazione molto, molto sconveniente!»
Il bamboccio fa un passo verso di me affilando lo sguardo, stringo i pugni lungo le braccia per sfogare la tensione che comincia a farsi sentire. Florine in un balzo si piazza fra di noi mettendo le minuscole manine all'altezza dei nostri toraci.
«Avanti gente! Calmiamo gli animi» suggerisce imbarazzatissima leccandosi ripetutamente le labbra.
«Oh suvvia ragazzi! Non c'è motivo di scaldarsi tanto, signorina Wright mi dia qualche giorno per studiare meglio la situazione, sarà nostra premura contattarla per aggiornarla, sono sicuro che sistemeremo tutto, non c'è motivo di andare nel panico. Nel frattempo se il Sig. Morgan concorda con me, direi che può tranquillamente continuare con i suoi piani di ristrutturazione, nell'attesa di poter firmare le carte» rassicura l'anziano togliendosi gli occhiali. I suoi occhi scuri scrutano il ragazzo, non c'è più quel velo di timore, piuttosto, sembra apprensivo.
«Non concordo un tubo, chi dice che posso fidarmi? Se succede qualcosa durante i lavori e l'immobile è intestato a me passo i guai io... non la signorina Wright » dice scandendo bene il mio cognome, beffandosene.
«William caro, ma l'intoppo arriva per causa nostra, la signorina Wright non c'entra niente»
«Io non voglio assumermi responsabilità, l'hai vista? Dico, l'hai vista!? » domanda indicandomi come se fossi una qualsiasi deficiente.
Florine trattiene il fiato sbalordita mentre sento l'occhio sinistro cominciare a tremolare e la voce del diavoletto interiore spronarmi a tirargli una testata.
«Ma chi si crede di essere? Evidentemente non è in grado di gestire le sue proprietà tanto da non sapere nemmeno se siano sue o di qualcun altro, non starò ai suoi dispetti solo perché è un grandissimo...»
«Non si azzardi sa?» mi sovrasta puntandomi contro il dito e diventando più rosso in viso. Il suo sguardo conturbato sembra volermi annientare. Quasi fossi una fastidiosissima gomma da masticare sotto la suola.
«Ragazzuoli miei ma cosa vi prende? William, preferirei parlare con te in privato, direi che per oggi va bene così. Signorina Wright, mi dispiace per il disguido, la contatteremo presto» spiega Oliver sistemando i fascicoli nella ventiquattrore e tirandosi su con l'aiuto di un bastone da passeggio.
«Fino ad allora essendo ancora io il proprietario, la invito a non toccare niente, delle ripercussioni di ciò non mi riguarda, saranno fatti suoi» ribatte l'idiota gessato.
«Gentilissimo come sempre signor. Morgan e comunque a quanto pare, proprietario in percentuale» puntualizzo smorfiosa.
Si avvicina per stringermi la mano divertito, divertito? Prego tutti i santi di tenermi le mani ben salde sui fianchi, riccone del cazzo.
Fisso la mano a mezz'aria poi incrocio meglio le braccia e volto il viso indispettita verso la porta d'ingresso, se potessi lo manderei a quel paese.
Si avvicina un altro po' e sento una fragranza fresca, legnosa credo ma con una nota più dolce, forse muschio, rischio di starnutire per quanto è forte.
«Da brava maleducata quale sei non stringi nemmeno la mano, ah e comunque hai la bocca sporca di dentifricio e della cacca di piccione sulla spalla. Buona giornata»
Vorrei strillargli che si è appena preso un'altra confidenza non concessa, ovvero il darmi del tu, vorrei afferrarlo dal colletto e riempirlo di schiaffi e il non poterlo fare comporta un grande sforzo per me.
Sento le guance infuocarsi di vergogna mentre ancora mi sfida con lo sguardo, soddisfatto per aver catturato quella mia reazione d'imbarazzo, va via vittorioso.
Mi guardo la spalla e una macchia bianca spicca sulla stoffa verde acqua. Merda, in tutti i sensi!
«Ti prego Flo, procuriamoci del vino» borbotto appena sento la porta chiudersi alle nostre spalle.
«Sì, credo che per oggi sia l'unica soluzione»
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