8. Casa
L'anziana donna si avvicinò con cautela al grande olmo che, con le sue enormi fronde che dilaniavano con prepotenza il forte vento che spirava quel giorno, forniva ombra a chiunque osasse avvicinarsi a esso. Il silenzio che colmava quella gelida giornata invernale inquietava la signora Sanchez, mentre strofinava distrattamente entrambi i palmi delle mani contro i pantaloni in velluto.
Non prestò molta attenzione ai capelli bianchi che, sottomessi alla forza invernale, si piegavano, offuscandogli quasi la vista. Si protese invece verso il tronco spesso, sfiorandone la corteccia tagliente ed incastrando le dita rugose all'interno delle piccole insenature.
Premette con forza il palmo contro la superficie ruvida, quasi a sorreggersi dall'enorme fardello che le sue spalle sostenevano da troppi anni. Nonostante ciò, il suo animo era leggero ed il suo cuore era gonfio di felicità e soddisfazione.
La volontà di sua figlia era stata soddisfatta da quell'ultimo sacrificio.
Fece scorrere distrattamente lo sguardo sui piccoli granelli di sabbia che ricoprivano la suola delle scarpe logore, che sostavano a poca distanza dal luogo sopra al quale pochi giorni prima pendeva il corpo del coetaneo. La pelle rugosa si distese, facendo allargare le sottili labbra pallide in un macabro sorriso.
Il giro si era concluso. Non vi era più bisogno di sacrifici.
Non appena oltrepassò l'ultimo scalino della rampa ricoperta in marmo sentì il cuore cessare di battere per alcuni secondi. La sua bocca si era spalancata, nel tentativo di incanalare quell'aria che pareva mancare all'interno dei polmoni, mentre il suo corpo aveva cercato protezione all'interno dei pesanti indumenti invernali che indossava.
Chiuse gli occhi, tentando di dissipare l'agitazione che aveva preso pieno controllo del suo corpo, mentre muoveva i primi passi verso la possente porta in quercia. Allungò con incertezza la mano verso il campanello e, con forza, premette i polpastrelli contro di esso.
Un suono cupo e metallico si diffuse per tutto l'atrio, facendo storcere le sue labbra in una smorfia impregnata di tristezza e delusione.
«Chi è?» ululò una voce maschile all'interno dell'appartamento. Il giovane trattenne il fiato, mentre la porta dinanzi a lui veniva spalancata.
«Sei tornato» sussurrò l'uomo, dopo aver accostato la porta. Brandon osservò con amarezza il suo aspetto trasandato: gli occhi erano gonfi e rossi, ricoperti da pesanti occhiaie, lo sguardo era spento, privo della stessa lucidità con la quale gli avevano intimato di abbandonare la casa quasi un anno prima. Le labbra rossastre erano lucide, impregnate dalla spuma del liquido che doveva aver trangugiato fino a pochi istanti prima, per permettere al suo corpo di perdersi in un'ondata di buio e follia.
«E tu sei ancora ubriaco» replicò il ragazzo con amarezza, entrando all'interno dell'appartamento non appena lo spiraglio della porta divenne più ampio. Trascinò pigramente la borsa dietro di se, per poi abbandonarla in un angolo della casa, senza rivolgerle alcuna attenzione. Quest'ultima fu invece diretta all'uomo dinanzi a se che, subito dopo aver sorseggiato una piccola quantità di liquido marrone, ripose la bottiglia in vetro su un piccolo ripiano in legno.
«Pensavo avessi smesso» sibilò Brandon, privandolo del contenitore trasparente che aveva nuovamente afferrato.
Lui scosse la testa, per poi rivolgergli uno sguardo tagliente e disgustato. Molti brividi percorsero la sua schiena, mentre gli occhi grigi del vecchio continuavano ad osservarlo con attenzione.
«Te ne dovrebbe importare qualcosa?» chiese con voce impastata, avviandosi verso la stanza dinanzi a lui. Brandon lo seguì amareggiato, facendo scorrere lo sguardo sui vari rifiuti abbandonati sul pavimento, che costellavano la grande distesa in legno color panna.
«Papà...»
Il giovane venne interrotto dalla vibrazione del cellulare, che accarezzava delicatamente la sua gamba. Lo estrasse dalla tasca, per poi leggere il nome riportato sulla schermata principale. Una smorfia di disapprovazione distorse il suo volto, mentre le sue labbra si piegarono in modo anomalo.
«Devo andare» sussurrò pochi secondi dopo, camminando velocemente verso l'ingresso.
«Dove?» urlò il padre dalla stanza adiacente, affrettandosi a raggiungere il figlio. Quest'ultimo non lo degnò nemmeno di uno sguardo: strinse con una mano la maniglia della porta e la spalancò, richiudendola subito dopo alle proprie spalle, mentre con passi pesanti si allontanava sempre di più da essa.
Spostò distrattamente alcuni capelli biondi, che ricadevano delicatamente sulla fronte ampia e spaziosa e scrutò attentamente lo scenario che si presentava dinanzi a se. Un profondo sospiro uscì secco dalla sua bocca, mentre la sua mente girava, troppo confusa dai numerosi avvenimenti.
La sua mano si strinse attorno l'oggetto tecnologico che non cessava di fremere. Si voltò un'ultima volta verso la porta posta dietro di se, mordendosi un labbro con disapprovazione.
«Brandon» urlò una voce femminile dall'altra parte del corridoio «sbrigati, la polizia è qui»
Il ragazzo si voltò rapidamente, tentando di allontanarsi il più possibile dall'appartamento, ma il suo percorso venne sbarrato dalla ragazza che lo aveva richiamato pochi secondi prima.
Sbattè più volte le palpebre, sorpreso dalla sua presenza, e aprì la bocca per iniziare a parlare.
«Vogliono parlare con noi» lo interruppe Diana, scuotendo leggermente il capo e aggrottando le sopracciglia scure.
Gli occhi chiari di Brandon si scontrarono con quelli sospettosi della ragazza, che li alternava velocemente dalla figura maschile posta dinanzi a se, alla porta scura che distava pochi metri.
«Che ci facevi nella camera di Andy Miller?»
L'uomo si strinse ancora di più all'interno del pesante cappotto invernale, prima di mugugnare contrariato e chiudere l'ennesima chiamata. Sbuffò stizzito, alzando il capo verso l'enorme foresta che si distendeva dinanzi a lui.
«Perché non risponde?» sussurrò alle enormi chiome spoglie, che si prostravano alla forza del gelido vento invernale.
Sfregò lentamente le mani sul volto, sperando di poter riacquistare le energie necessarie per proseguire lungo l'enorme viale.
«Dannazione» urlò, puntando i suoi occhi sull'enorme cartello posto dinanzi a se prima di afferrare il cellulare e picchiettare nervosamente i polpastrelli delle dita contro di esso.
«Jonathan Miller?» chiese non appena la chiamata venne avviata «vedi di sbarazzarti della ragazza al più presto, se non vuoi che me ne occupi io»
Fece schioccare rapidamente la lingua contro il palato mentre introduceva il cellulare all'interno della tasca dei jeans. Alzò lentamente il capo, quasi intimorito dall'enorme scritta "Cherry Ashes" che capeggiava dinanzi a se, e mosse i primi passi verso la cittadina.
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