2. Illusioni
"Il buio che circondava il mio corpo era estremamente penetrante, ma nulla avrebbe potuto incutermi un sentimento di terrore all'interno di quell'abitazione. Il gelido vento invernale occupava gran parte della stanza, e le finestre volteggiavano violentemente, sospinte dalla forza della natura.
Avanzai a tastoni, nel tentativo di raggiungere l'interruttore della luce, che mi avrebbe finalmente permesso di avere un'ampia visuale di ciò che mi circondava. Con la mano sinistra che guidava i miei passi accostata al muro, riuscii a schiacciare il tasto, riportando l'illuminazione all'interno dell'abitazione.
‹‹Nonna?››urlai preoccupata, alla vista di varie medicine rovesciate sopra il tavolo in legno. L'unica risposta che riuscì ad arrivare alle mie orecchie fu il cupo ululato del vento. Deglutii lentamente, tentando di rendere umida la gola ormai secca.
‹‹Nonna?››ripetei, imboccando il corridoio mal illuminato. Alzai lo sguardo verso la lampada giallastra, che oscillava pericolosamente. Mi affrettai a salire la rampa di scalini che mi avrebbe portato al piano superiore. Strinsi con violenza il mancorrente, come a voler dominare l'agitazione che pervadeva ogni parte del mio animo. Con il labbro intrappolato tra i denti e le mani strette a pugno mi avvicinai sempre di più alla camera di mia nonna, l'unico posto dove il fracasso di mobili e oggetti non risultava indifferente.
Il respiro accelerò non appena la mia mano strinse il pomello d'oro, mentre le dita indugiavano su di esso. La forza sembrava voler abbandonarmi in quel momento, forse per la paura o per la consapevolezza di quello che avrei potuto vedere.
Ma nulla mi impedì di aprire quella porta. Nulla mi impedì di osservare l'immagine di mia nonna, sostenuta solo da una ringhiera marrone scuro.
L'urlo che fino a quel momento era stato zittito dall'agitazione perforò l'ambiente, lacerando il mio animo e la mia mente, mandando tutto in subbuglio. Il volto della donna non tardò a scontrarsi con il mio, condividendo il dolore e la sofferenza.
‹‹Ti voglio bene, tesoro. Te ne ho sempre voluto››.
Tutto divenne confuso, migliaia di immagini si diffusero nella mia mente; tutto per nascondere l'unico scenario che mi avrebbe fatto crollare. Mi piegai sul parquet umido e scricchiolante, le ginocchia riverse sul pavimento a sostenermi, le mani strette a pugno, in modo da provocare un dolore lancinante al solo contatto col legno.
Riaprii gli occhi e sollevai il volto. Puntai il mio sguardo verso quella ringhiera, sperando che tutto fosse frutto di un incubo, uno scenario assolutamente surreale ed inesistente.
Il mio petto si lacerò non appena intravidi la sciarpa della nonna ripiegata malamente sul pavimento.
‹‹No, ti prego...››"
‹‹Svegliati››
Una mano calda strinse la mia spalla, scuotendola energicamente.
‹‹No, ti prego›› mormorai, ancora immersa nel mondo che mi aveva avvolto fino ai pochi istanti precedenti.
‹‹Tranquilla›› sussurrò la stessa voce, questa volta con più delicatezza. Aprii a fatica un occhio, sollevando la palpebra pesante e lasciando che la luce si scontrasse con il mio sguardo. Tutto appariva faticoso in quel momento, tutto sembrava freddo e distaccato. Mi abbandonai per alcuni istanti al calore delle coperte, prima di acquistare pienamente coscienza.
Appena decisi di spalancare completamente le palpebre, ritrovai un paio di occhi color nocciola osservarmi. Il respiro si dileguò per alcuni istanti appena riconobbi Jonathan, il ragazzo davanti al quale la sera prima ero scappata a gambe levate verso la mia camera.
‹‹Stai bene?›› pronunciò quasi con cautela, come se quelle semplici parole avrebbero potuto ferirmi in qualche modo. Annuii distrattamente, prima di alzare il busto e mettermi seduta.
‹‹Che ci fai qui?›› mormorai, aggrottando la fronte. Le sue labbra rosee si dilatarono in un sorriso innocente.
‹‹Avevo sentito urlare mentre passavo davanti alla tua porta. Era aperta›› rispose.
Gli sorrisi di rimando, per poi puntare lo sguardo nelle sue mani, sporche di terriccio e strette attorno ad un registratore. Sgranai gli occhi, per poi puntarli sul ragazzo, mentre infilava con rapidità nella tasca della felpa color cielo l'oggetto che reggeva in mano pochi istanti prima.
Un sentimento di incertezza e di terrore balenò nel suo sguardo per alcuni istanti.
‹‹Che c'è?›› domandò con voce leggermente incrinata.
‹‹N-niente›› pronunciai a fatica. Scostai completamente le coperte dalle mie gambe e mi alzai. Raggiunsi rapidamente la porta per poi scostarla con delicatezza. Sporsi leggermente il capo, per accertarmi che nessuno sostasse nel corridoio e la richiusi a chiave.
‹‹Perchè hai le mani sporche di terriccio?›› sputai senza preavviso, osservando con intensità i suoi occhi.
‹‹Io non...››
‹‹E perché hai un registratore in mano?››
Assottigliai lo sguardo, dinanzi al silenzio che Jonathan non intendeva rompere.
Lasciai vagare per alcuni secondi i miei occhi sul volto del ragazzo, distorto da una smorfia di stanchezza. Osservai attentamente gli occhi divenuti scuri, i capelli estremamente corti ed i lineamenti ben rifiniti, per poi tirare un sospiro di sollievo quasi ad esternare il peso che era gravato sulle mie spalle per le ultime ore.
Non è lui pensai, allontanandomi dal piccolo comò rifinito alle mie spalle e raggiungendo l'altro lato della camera. Aprii le finestre, in attesa che la luce del sole filtrasse con più intensità, ma mi ricordai improvvisamente del maltempo che dominava costantemente la piccola cittadina. Mi avvicinai successivamente al ripiano in legno, raggruppando accuratamente tutti i fogli sparsi disordinatamente.
‹‹I-io non posso dirtelo›› esordì il ragazzo,voltando leggermente il capo verso di me. Strinse le labbra rosee l'una contro l'altra, in attesa di qualche risposta. Scossi rapidamente la testa, aprendo il cassetto dove avevo riposto il registratore la sera precedente, trovandolo vuoto, con la sola polvere ad occupare tutta la sua superficie. Allungai distrattamente un angolo della bocca, tendendolo sempre di più fino a formare un sorriso furbo.
‹‹Credo che tu possieda qualcosa che mi appartiene››affermai infine, voltandomi completamente verso di lui ed indicando con un cenno del capo la prova appena trovata. ‹‹Dammelo›› intimai, allungando il braccio e stendendo il palmo della mano.
‹‹Cosa sei venuta a fare qui?›› sibilò, scattando improvvisamente in piedi ed avvicinandosi impercettibilmente alla porta.
‹‹Nulla che ti riguardi››
Aggirai il letto matrimoniale, per ritrovarmi a pochi passi da Jonathan.
‹‹Sally Jones›› pronunciò questi, scrutandomi con gli occhi color nocciola ‹‹ho trovato la sua registrazione. La prima e l'ultima che ha fatto. Chi sei tu?››
Mi maledii mentalmente per la mia ingenuità, mentre macinavo velocemente la distanza che separava me ed il ragazzo.
‹‹Tu chi sei, piuttosto?›› ribadii, assottigliando lo sguardo ed aggrottando le sopracciglia ‹‹porti il nome ed il cognome di un ragazzo scomparso vent'anni fa, e non credo sia una coincidenza visto che vivete nella stessa cittadina››
Il suo silenzio servì ad alimentare quella piccola parte di me che sospettava fortemente del ragazzo.
‹‹Non sono affari tuoi›› disse freddamente, irrigidendo le spalle e guardandomi con distacco. Alzai il capo per osservare meglio i suoi occhi, che in quel momento risultavano duri come la pietra e cupi. La sua mano si avvicinò al comò, per poi spalancarsi poco sopra di esso per lasciar cadere il registratore, che con un piccolo tonfo e con una giravolta trovò la sua stabilità. Nemmeno una parola riuscì a farsi spazio nella mia bocca, mentre Jonathan girava fiaccamente la chiave per aprire la porta. Attraversò frettolosamente il rettangolo in legno che girava attorno ai suoi cardini cigolante ed oltrepassò la soglia, per poi lanciare un rapido sguardo dietro di sé e richiudersela alle spalle.
‹‹Non ci credo...›› mugugnai stancamente, sollevando una mano e strusciandola contro il volto ‹‹ho combinato un casino››
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