1. Cherry Ashes

Ci vollero parecchie ore per raggiungere la mia meta. Dopo una lunga camminata attraverso la strada battuta con forza dalla pioggia, riuscii ad intravedere il cartello ormai segnato dallo scorrere impietoso del tempo che annunciava il mio arrivo.

Tutto era estremamente silenzioso, nonostante fosse ormai mattina inoltrata. Il cielo ricoperto da nuvole era scuro e talvolta scosso da potenti tuoni.

Gli alberi che mi affiancavano piegavano con dolore i propri rami, facevano ondeggiare le chiome folte le une contro le altre producendo un fruscio lamentoso. Sembrava che da un momento all'altro i loro tronchi, fin troppo scheggiati dalle intemperie, si sarebbero staccati dal terreno e, affiancati dal vento che batteva con potenza, sarebbero volati via.

Anche il cartello cigolava pericolosamente sopra il suo sostegno, voltandosi talvolta ad osservare la città, quasi con disgusto. La frase cordiale che riportava non sembrava adatta al luogo tetro e buio che mi circondava.

"Benvenuti a Cherry Ashes"

Cercai di trattenere l'ombrello color pece afferrando il manico in acciaio, mentre il vento spirava violentemente. Sembrava deciso a strapparmelo dalle mani, a privarmi del mio unico riparo dalla pioggia scrosciante.
Addentai violentemente il labbro non appena la valigia ingombrante si scontrò con la parte inferiore della gamba, provocandomi una fitta di dolore.

Con cautela mi avvicinai al confine, che pareva creare una barriera tra il mondo esterno e la cittadina. Parecchi brividi percorsero il mio corpo. Era poca la distanza che avrebbe permesso di raggiungere Cherry Ashes, ma qualcosa mi tratteneva tramite un sottile legame, troppo debole per impedirmi di attraversare quei pochi centimetri. Mi decisi così a compiere quei pochi passi che avrebbero annunciato il mio definitivo approdo nella città.

Mi voltai nuovamente verso il cartello, questa volta alle mie spalle. Sospirai sconfitta, lasciando che una piccola nuvola di vapore fuoriuscisse dalla mia bocca. Mi strinsi ancora di più nel cappotto e mi apprestai a raggiungere le abitazioni.

Il cielo era divenuto ancora più scuro, mentre la pioggia non cessava di cadere. Camminavo al centro della strada principale, visto che nessuna macchina osava attraversare il cemento bagnato, e voltavo di tanto in tanto il capo da destra a sinistra. Le abitazioni che mi circondavano risultavano inadatte allo stile moderno. Molte di esse erano costruite su modello di quelle anni ottanta, mentre altre riscontravano stili ancora più vecchi.

Le luci erano accese, e in alcune abitazioni tremolavano sinistramente, come ad annunciare delle presenze maligne. Respirai profondamente e mi decisi a proseguire il mio cammino, fino a quando non scorsi un'insegna luminosa riportante la scritta "Hotel". Mi affrettai a raggiungerla e, quando mi ritrovai davanti la porta in legno scuro, la spinsi, ritrovandomi così in un ingresso mal illuminato. L'unico mobile presente nella stanza era un bancone di enormi dimensioni che sembrava premere perché retrocedessi.

‹‹Come la posso aiutare signorina?›› chiese una voce rauca e potente dall'altro lato del mobile. Alzai rapidamente lo sguardo verso lo sconosciuto, ritrovandomi così davanti un volto scarno e pallido, caratterizzato da bizzarri mustacchi che ricoprivano quasi interamente la bocca e una zazzera disordinata di capelli argentati.

‹‹Buongiorno...vorrei una camera singola per un mese›› annunciai, avvicinandomi rapidamente. Lo scorsi annuire e scrivere qualcosa su un foglio, per poi consegnarmi le chiavi.

‹‹Primo piano, camera venti. Buona permanenza›› disse, prima di sparire nuovamente dalla mia visuale. Aggrottai leggermente le sopracciglia e mi avviai verso la camera.

Solo quando furono le sette di sera mi decisi a uscire dalla stanza, diretta verso la sala da pranzo. Le ore del pomeriggio erano passate velocemente, mi ero principalmente occupata di riporre i miei bagagli ordinatamente, scrutando con attenzione lo scenario tetro che si stendeva fuori dalla finestra. Tutto sembrava surreale, in quei pochi momenti di solitudine. Mi ero decisa anche a portare con me un piccolo registratore, giusto per fare in modo di non dimenticare le parole che avrebbero pronunciato di lì a poco alcuni popolani di quel piccolo villaggio. 

Scesi le scale con rapidità e svoltai a destra, seguendo le indicazioni impartitemi precedentemente dal proprietario del motel al telefono.

Un vociare sommesso mi giunse alle orecchie, e appena oltrepassai la soglia del piccolo salotto infilai la mano in tasca per azionare il registratore. Mi avvicinai alla prima sedia libera e mi sedetti, volgendo il capo verso le persone che mi circondavano.

‹‹Buonasera›› esclamò un anziano seduto a capo tavola. Sorrisi timidamente all'uomo e mi persi alcuni secondi ad osservarne l'aspetto. 

"Anni ottanta" mi allertò una vocina all'interno della testa mentre osservavo gli indumenti. Mi volsi anche verso gli altri commensali, notando lo stesso stile di indumenti del vecchio.

Mi morsi rapidamente il labbro quando il più giovane del gruppo posò gli occhi su di me, con sguardo incuriosito. A prima vista sembrava avere la mia stessa età.

‹‹Non ti ho mai vista da queste parti›› annunciò quest'ultimo con fare quasi solenne, e tutti si voltarono verso di me zittendosi improvvisamente. 

Annuii. 

‹‹Non sono mai stata qui prima d'ora››

‹‹ E se posso chiederle, a cosa dobbiamo questa visita? Non sono molte le persone che vengono in città ormai››. Riconobbi il proprietario che mi aveva accolto poche ore prima.

Feci spallucce.

‹‹Turismo›› mentii, alzando lo sguardo per osservare la tappezzeria contornata da righe gialle e verdi che ricopriva la stanza. Non mi sentivo a mio agio in quel momento. Dinanzi agli occhi indagatori di quelle dodici persone c'era qualcosa di troppo sospetto e anormale.

Se avessi risposto che ero appena diventata giornalista, ed ero decisa a fare di quella città il contenuto del più grande scoop della storia, non mi avrebbero di certo guardato in modo positivo. Non potevo dir loro che stavo indagando sulle dieci scomparse avvenute vent'anni prima. 

Una donna portò tutti i piatti, colmi di minestra fumante, indugiando quando posò il mio davanti ai miei occhi. La osservai sorridermi titubante mentre svoltava e ripercorreva il corridoio buio.

‹‹Allora, ci racconti un po' di lei›› riprese il proprietario, ingoiando la prima cucchiaiata di minestra.

‹‹Mi chiamo Diana››cominciai ‹‹e vengo dall'altra parte del paese››

Tutti si voltarono nuovamente verso di me, per poi riportare l'attenzione sul proprio piatto. Alcuni minuti, durante i quali si sentivano solo le persone mangiare, trascorsero in silenzio.

‹‹Mike, mi sono scordato di portare queste chiavi a Jonathan... ›› esclamò un uomo che non aveva mai parlato prima di quel momento, rivolto al ragazzo. Quest'ultimo strabuzzò per un attimo gli occhi, per poi afferrare le chiavi.

‹‹Certo, lo farò sicuramente››

Jonathan.

Un campanello d'allarme si accese all'interno della mia mente, mentre tutti i profili dei dieci ragazzi scomparsi mi ripiombarono dinanzi agli occhi. 

Jonathan Miller.

Scossi per alcuni secondi la testa e continuai a mangiare.

‹‹Sa, Jonathan è mio nipote›› disse il proprietario ‹‹è da stamattina che non lo vedo. Chissà cosa starà facendo quel birbante››

Finsi un sorriso e decisi di stare in silenzio per tutta la sera.

Quando la cena terminò, tutti si diressero nuovamente nelle proprie stanze, mentre l'uomo che mi aveva accolto all'interno del motel restò a tavola.

‹‹Mi scusi›› esclamai attirando la sua attenzione ‹‹volevo chiederle il suo nominativo nel caso...››.

‹‹Oh, mi dispiace non essermi presentato prima. Mi chiamo Andy Miller›› esclamò, rivolgendomi un sorriso bonario. 

Il mio corpo si paralizzò all'istante, mentre tutto attorno a me ripiombò nel silenzio.

Miller.

Miller.

Miller.

La mia mente era ormai in stato di trance.
Ma un tonfo la risvegliò immediatamente.

‹‹Oh, ecco mio nipote, quello di cui le parlavo prima›› disse il vecchio, alzandosi dalla sedia ed accorrendo la persona appena entrata. Mi voltai a rallentatore verso quest'ultima.

Suo nipote.

‹‹Piacere, mi chiamo Jonathan Miller›› esclamò il giovane porgendomi la mano e sorridendomi garbatamente.

‹‹Non può essere››

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