Capitolo 3 - La Verità di Birba (1/3)

<<Hey, figlio di puttana! Ridammi i miei ori!>> urlò l'ubriacone appena uscito dalla porta del retro del bar, barcollando e biascicando con una bottiglia di birra vuota nella mano destra.

L'altro uomo si girò leggermente verso di lui, poco prima gli stava dando le spalle <<Mh, no, non lo farò, non sei in grado di gestire i tuoi soldi e ora sei un pericolo per te stesso e gli altri, quindi i tuoi ori sono miei.>>

<<Bastardo! Questo è reato! Io->>

<<Pensi che mi importi qualcosa se è reato? Sappi che non me ne frega proprio nulla, io non faccio le cose perché lo dice la legge, io le faccio perché le dico io. Ora tornatene a casa, hai figli se non sbaglio.>> e con queste parole, si lisciò soddisfatto la barba a coda d'anatra.

L'altro era furioso, non poteva credere di essere stato preso in giro in questo modo da quell'idiota! Era un uomo adulto e faceva ciò che gli pareva! Non aveva bisogno di un giustiziere come quel tipo! Era furibondo! Ruppe la bottiglia vuota sbattendola contro il muro alla sua destra e gridò <<Figlio di puttana! Adesso ti sgozzo hai capito?! Pure io me ne infischio della legge per i pezzenti come te!>>. Il barbuto sorrise <<Fallo, non mi toccherai nemmeno con un dito e ti farai solo più male. Vai, Birba.>>

<<Birba?! Ma che razza di nome è?! Io non mi chiamo Bir->> l'ubriaco si bloccò immediatamente non appena sentì qualcosa salirli nella gamba dai pantaloni <<M-Ma che diavolo?!>> e subito centinaia di morsi iniziarono a provocargli un dolore lancinante, mentre delle orrende zampette camminavano sul suo corpo avvicinandosi alla parte più alta. L'intera gamba sinistra fu invasa da fitte indicibili e nemmeno i testicoli vennero risparmiati. L'uomo gridò più forte che poté per sfogare quel male esagerato, amplificato dall'alcool che aveva preso possesso della sua mente. Le zampette continuarono a salire e nemmeno il torso, capezzoli compresi, venne risparmiato, torturando quasi l'interezza del suo corpo.

Sbucò, finalmente, un muso dal colletto della giacchetta dell'ubriacone e quel piccolo animale salì fin sulla guancia dell'uomo che poté vederlo per bene.

<<U-Un topo?!>> gridò e pieno di rabbia e voglia di vendetta provò a colpirlo con le schegge della bottiglia, ma l'animaletto era sicuramente più agile e con un balzò tornò presto a terra, mentre il vetro si conficcò sullo zigomo dell'ubriaco, che non potendone più di tutto quel dolore, svenne cadendo con un tonfo a terra.

Il topolino sembrò soddisfatto e zompettando salì sulla testa pelata del barbuto, mentre teneva in bocca ben dieci ori <<Brava Birba!>> disse lui sorridendo con un tono di voce simile a quello che di solito viene diretto a degli infanti, e gentilmente prese i soldi dalla bocca del suo piccolo amico<<Sei stata proprio brava! Quell'idiota teneva i soldi pure nelle mutande a quanto pare! Hai fatto proprio bene a prenderglieli! Chissà, forse quando si sarebbe risvegliato avrebbe potuto prendere un'altra birra... Dai, ora andiamo! Lascia stare questo topolino!>> e così il piccolo animale tornò giù, rivolse gli occhi verso l'alto e terrorizzato scappò via.

Lalderina, una delle cittadelle più popolate dell'Impero, costeggiava il Mare Andriano con il suo imponente porto e arrivava fino alle alte colline, dove era locato il castello, dimora del Re. Capoluogo della regione della Poschena, era una città strategicamente importante, difesa sia dalle alture che dal mare, grazie a cui era anche in grado di commerciare con altre nazioni. Possedeva una sola cinta muraria che racchiudeva il castello regale sulla collina e la zona ad abitazione nobiliare. Lisandra venne portata proprio lì, all'interno delle mura, quello fu l'ordine dato al cocchiere, che dopo aver fatto scendere la sua passeggera, fece dietrofront. Era sola, in una grande città che non conosceva. Aveva con sé la sua balestra, i dardi, i suoi vestiti e gli ori, ma ciò che le serviva davvero era una mappa. Si sentiva estremamente disorientata.

La città aveva una grossa e spaziosa via principale, che si diramava in centinaia di viuzze, sentieri, retropassaggi e vialetti, nati dall'agglomerarsi di casette e locali. Tutto era in legno, eccezion fatta per i ricchissimi, che possedevano case in mattoni. Per strada si vedevano una moltitudine di persone: dai nobili con vestiti estremamente eleganti, ai poveretti sporchi, con soli stracci addosso che facevano l'elemosina.

Di certo l'Imperatrice non si era degnata di sapere in che zona di Lalderina si trovasse Gaius, un qualche informatore le avrà riferito che si trovava lì e questo le bastava e avanzava, non immaginava nemmeno quanto fosse grande quella città, probabilmente non le era nemmeno mai passato per l'anticamera del cervello di farle visita. A differenza di ciò che pensasse, quell'uomo era, nonostante tutto, ancora ben nascosto e trovarlo sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio.

Da dove iniziare? Lisandra non ne aveva idea. Si mise a guardarsi attorno spaesata, vagabondando per le vie, esplorando la zona, cercando di capire dove si trovasse. Eccetto la moltitudine di locali, casette e negozi, davanti a se, sulla strada principale, poteva osservare la gradinata, non troppo lunga, che portava alla residenza regale sulla collina. Le torricciole del castello erano bianche come il marmo e splendevano alla luce del sole, apparendo così ancor più candide e raggianti, quasi come se fosse un secondo sole. Le finestre assomigliavano a grandi vetrate, che rappresentavano scene di guerra e morte, ma soprattutto di vittoria e successi. Si poteva osservare la raffigurazione di un uomo armato, con una corona sul capo, che troneggiava in cima a una montagna di cadaveri, tendendo il braccio con una lancia in mano verso le stelle. Lalderina sembrava proprio essere una piccola oasi di felicità, seppur misteriosa e spaesante.

Stanca di girare a vuoto, Lisandra, si mise a chiedere indicazioni ai passanti. Ogni volta che chiedeva "Sapete dove abita Gaius Argeade?", preferiva non pensare al fatto che avrebbe dovuto ucciderlo, mentiva a sé stessa e agli altri, dicendo che era lì solo per conoscerlo e magari fargli qualche domanda. Nessuno pareva sapere dove stesse, sembrava essere un mistero per gli abitanti stessi della città. Lì nessuno sembrava averne idea, anzi, nessuno sembrava essersi mai posto quella domanda, come se non importasse dove vivesse, sebbene fosse una delle persone più influenti del tempo. Osservando meglio la situazione, però, Lisandra si rese conto di una cosa: le persone lì la stavano fissando, scambiavano sussurri nell'orecchio del proprio vicino e poi restavano a osservarla in silenzio, erano estremamente sospettosi e in realtà è probabile che sapessero benissimo dove si trovasse Gaius, ma come se avessero stipulato un silenzioso patto comune, avevano deciso di non rivelarglielo, quasi come se fossero a conoscenza dei veri intenti della ragazza.

<<Gaius Argeade, interessante...>> disse improvvisamente una voce alle spalle di Lisandra. Lei si girò immediatamente e vide un uomo vestito di tutto punto, con pochi capelli in testa e i baffi a manubrio che si stava grattando la guancia osservandola incuriosito.

<<Ah, si, sapresti indicarmi per caso dove abita? Ho bisogno di andare a trovarlo.>> all'uomo si illuminarono gli occhi e con un grosso sorriso spalancò le braccia annunciando <<Ah, ah! Ma certo! Lei è stata proprio fortunata! Si da il caso che conosco bene dove abita il signor Gaius! Si nasconde in una via non troppo lontano da qui! Mi segua, le faccio strada.>>.

Che fortuna! Finalmente ha incontrato qualcuno che sa effettivamente aiutarla! Era ora! Stava cominciando a pensare che le informazioni che l'Imperatrice aveva ricevuto fossero sbagliate o che dietro ci fosse un qualche inganno, ma a quanto pare a volte basta davvero aspettare, sperare e avere pazienza.

Continua --->

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