CAPITOLO PRIMO - parte 1
Jeff era seduto sul tavolo di granito della cucina di una qualche villetta di periferia, intento a riempirsi la pancia con tutto ciò che aveva trovato dentro al frigorifero.
Ai piedi del tavolo dal quale pendevano molle le sue gambe, vi erano distesi due cadaveri ed una grossa pozza di sangue si allargava lentamente sotto di essi, lungo il pavimento di mattonelle chiare.
Un'altra notte soddisfacente, per il giovane killer: ora la sua sete di sangue si era placata, i suoi nervi erano tornati a distendersi, ed aveva recuperato la lucidità.
Sorrise, pulendosi la bocca con la manica della felpa, e scese dal tavolo facendo attenzione a non scivolare sul sangue. Le sue ultime vittime erano proprietari di una casa meravigliosa: una villetta a due piani di nuova costruzione, con tanto di giardino e piscina. Dovevano essere stati una coppia facoltosa,piuttosto ricchi, di buona famiglia insomma.
Il killer si dondolò annoiato fino al bagno, per poi osservare la sua immagine riflessa nello specchio.
Sorrise.
Passò la punta dell'indice lungo il contorno del solco che aveva inciso sulle guance: una grossa cicatrice che si era rimarginata solo in parte. Entrambi i lati della sua bocca, infatti, erano tutt'ora più larghi di un centimetro e mezzo.
Aveva inciso quel sorriso agghiacciante con un coltello da cucina, sei anni prima, o forse cinque; accadde quella sera in cui la sua mente si ammalò, e la sua personalità da ragazzino gentile ed innocente si sgretolò come un castello di sabbia.
Osservò il contorno scuro delle sue palpebre bruciate, e la sua pelle biancastra.
Era perfetto.
Perfetto.
Sorrise ancora, poi uscì dal bagno. Sgraffignò ancora del cibo dal frigo, fregandosene delle impronte di scarpa che stava lasciando ovunque nella casa, e si mise a dare un'occhiata alla libreria. C'erano un sacco di enciclopedie costose, e libri veramente molto grandi.
Mentre lanciava lo sguardo annoiato quà e là sui mobili cercando qualcosa di divertente da fare, all'improvviso la sua testa iniziò a fischiare.
Si portò le mani alle tempie, con un ghigno di dolore in viso, poi tappò le orecchie. Il rumore statico e disturbante si faceva sempre più forte; sembrava provenire da tutte le direzioni, oppure da nessuna.
Per alcuni secondi Jeff ebbe l'impressione che non fosse nemmeno nella sua testa ma nell'ambiente circostante.
Era insopportabile.
Pochi secondi dopo, però, ebbe la conferma dell'ipotesi che la sua mente aveva appena elaborato: quell'orribile suono stridulo che gli stava spaccando le tempie era proprio nella sua testa, e non era un semplice suono: era il rumore che sentiva quando Slenderman cercava di mettersi in contatto con lui.
Erano passati anni dall'ultima volta che quel mostro si era fatto sentire.
Che cosa voleva?
Jeff si lasciò cadere a terra, continuando a premere i polsi sulle tempie nel disperato tentativo di porre fine a quello strazio. Annaspando poggiò la schiena contro ad un mobile e racchiuse la testa tra me ginocchia.
Poi Slenderman, finalmente, gli parlò.
-Jeffrey, vieni subito al rifugio. Aspetterò fino a domani, se non ti presenterai ti ucciderò-.
Queste furono le parole che pronunciò, facendole orribilmente risuonare nella testa del ragazzo; subito dopo aver finito la frase, Slender terminò la comunicazione ed il fischio cessò in modo improvviso lasciando che un silenzio tombale tornasse ad impadronirsi dell'ambiente circostante.
Il ragazzo sospirò pesantemente ed appoggiò la testa contro al muro.
Sì sentiva come se gli avessero appena dato una mazzata sul cranio, non ricordava che la comincazione con quell'entità fosse una cosa così dolorosa.
Ma adesso aveva ben altro a cui pensare: perchè Slenderman l'aveva convocato?
Dopo tutto quel tempo, così, di punto in bianco?
Che cosa voleva da lui?
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