Mary - maledettamente bello


Respira, respira, respira. Conta fino a dieci. Ce la puoi fare, devi solo stare tranquilla.
Ero fuori, davanti al pianerottolo del palazzo dove abitavamo da almeno quindici minuti cercando il coraggio di entrare.
Mario, il mio autista, mi aveva lasciata lì un bel po' di tempo fa e si era trovato una scusa per andarsene in fretta. Nemmeno lui voleva vedere papà, soprattutto se questo significava incontrarlo dopo un affare chiuso male o addirittura saltato.
Mi strinsi le mani e le avvicinai alla bocca per scaldarle. Era troppo freddo per stare lì.
Il custode passò nuovamente davanti alla porta scuotendo la testa. Mi aveva invitata ad entrare un'infinità di volte ma mi ero inventata mille scuse.
Ormai era giunto il tempo o sarei congelata.
"Ecco, la mia amica non arriva.."
Inventai varcando la soglia. Abdel storse il naso.
"Certo. Forza, salga. Non potrà andare peggio delle altre volte."
Sbuffai. Non era di incoraggiamento.
"Sì. Allora io.." Indicai l'ascensore e alzai la mano in segno di saluto.
Schiacciai il numero 25, l'ultimo piano e mi preparai a quella corsa di un millesimo di secondo che mi portava diritta nelle fauci del drago, ovvero nel nostro appartamento.
Chiusi gli occhi non appena l'ascensore partì e li spalancai quando mi comunicò con un bip di essere arrivata. Osservai l'appartamento non scorgendolo da nessuna parte e dovetti sgattaiolare fuori in grande velocità dall'ascensore prima che questo si chiudesse per fare un'altra corsa.
"Papà?" Chiamai con voce tremante.
"Oh, ecco è tornata!" Sentii una voce di donna urlare. Sapevo già a chi appartenesse.
"Tesoro sei diventata bellissima!" Disse Melissa sbucando dal corridoio con un sorriso falso in volto, una pelliccia di volpe al collo e nuovo diamante al dito. Mi diede un abbraccio forte e poi un bacio sulla fronte.
Le sorrisi a denti stretti respirando la tonnellata di profumo che aveva indossato. Esagerata.
Melissa in realtà non era poi male.
Sicuramente aveva fatto l'affare della vita sposandosi mio padre che l'aveva tirata fuori dai casini economici che il suo secondo divorzio le aveva recato. Da quel momento, aveva smesso di lavorare per seguire mio padre in ogni sua impresa.
Il problema non era lei. Era lui che aveva deciso di sposarla dopo nemmeno due mesi che mamma era morta ed era lui che la trattava esattamente come aveva trattato ogni donna di quella casa; come bamboline viziate che dovrebbero stare zitte e non creare problemi e che si accontentano di avere qualche gioiello ogni tanto per starsene buone all'angolo.
"Robert è di sopra con gli Standfort, c'è anche Rudy." Mi fece l'occhiolino allegra prendendomi per mano e trascinandomi verso il divano.
Mi passò un sacchetto, poi un altro e poi una borsa.
Stava dicendo che erano tutti regali per me ma la mia mente era ormai in un altro universo.
Non solo avrei dovuto affrontare mio padre ma anche quel viscido di Standfort e quel bastardo del figlio.
Rudy, se non avesse avuto qualche miliardo in tasca, sarebbe stato un reietto della società.
Aveva combinato una serie di casini che il padre aveva messo a tacere con i soldi. Aveva addirittura rischiato di investire una persona mentre correva ubriaco perso con la sua macchina sportiva.

Questo non sarebbe stato tollerato da parte di nessuno se lui non fosse il figlio di Standfort, che teneva per le palle mezza città e aveva appena acquistato una squadra di calcio.
Chuck ci portava sempre brutte voci provenire dal locale a luci rosse che frequentavano. Pareva che quando alzava il gomito diventava un tipo aggressivo, che avesse affari loschi in giro per la città.
Non che questo mi interessasse particolarmente.
Il fatto era che papà aveva investito male e quindi stava correndo ai ripari con gli Standfort. Sicuramente Rudy aveva colto l'occasione per venire da noi e tormentarmi dato che ogni volta che ci incontravamo, mi faceva ricordare perché mi dava il voltastomaco.
Un periodo si era persino azzardato a spedirmi rose rosse ogni fottuto giorno a casa finché non avevo pagato il fioraio per darli direttamente in beneficenza.

"Dai, aiutami a mettere tavola." Sbuffò Melissa riportandomi di nuovo sulla terra.
il mio sguardo corse lungo la sala in cerca di Phao.
"Da quando i sindacati hanno iniziato ad interessarsi al lavoro svolto dalle filippine, non possiamo più contare su di loro 24 ore su 24-" Concluse Melissa ridacchiando per la sua battuta.
Phao stava con me tutte le sere e solitamente mangiavamo insieme. Oltre che la domestica, era una mia amica ma sicuramente aveva preferito non restare a farsi maltrattare e si era presa la serata di congedo.
Sorrisi a Melissa pensando che il razzismo era così insulso. Alcuni nemmeno si rendevano conto delle cattiverie che gli uscivano dalla bocca e di quanto si sentissero superiori solo per avere la pelle più chiara, le scarpe più di marca o la macchina più costosa.
Eravamo così scontati e banali.
Le passai i piatti e le posate chiedendomi come facesse ad essere sempre così sorridente.
Non riuscivo a ricordare se le sue labbra fossero sempre state così o se un bravo chirurgo le aveva gonfiate giusto il necessario per non sembrare troppo finta e armonizzare il suo viso.
"Tuo padre è molto nervoso. Non ha detto una parola in dodici ore di aereo."
Le passai accanto e le toccai una spalla.
Non riuscivo a ricordare quando papà si era preso la briga di parlare con noi durante un viaggio, dato che di solito lavorava con il suo laptop, telefonava ai suoi collaboratori litigando con le hostess perché non voleva spengere il telefono o si guardava la politica sui piccoli schermi ma sicuramente, era stato un viaggio poco piacevole.
"Vedi di non farlo arrabbiare. Sei concorde con me?"
Alzai gli occhi al cielo e mi indirizzai verso la mia camera senza dire nulla. Volevo cambiarmi e mettermi qualcosa di comodo. Soprattutto non volevo essere sgridata per aver accorciato così tanto la gonna dell'uniforme.

Ero un fascio di nervi mentre aspettavo che mio padre scendesse al piano di sotto.
Avevo indossato un vestito nero di lana leggera con delle perle sulle maniche large, avevo fatto una coda elegante e messo dei bei orecchini e poi mi ero resa conto, tristemente, che lo stavo facendo per compiacerlo.
Nonostante negli ultimi due mesi di assenza non avesse mai chiamato, o per lo meno, lo avesse fatto fare solo a Melissa e nonostante si fermasse una sola notte prima di ripartire per l'Arabia Saudita, io ero ancora qui in cerca di un suo cenno, di un suo sorriso o di qualsiasi cosa.
Invece lui faceva le scale piano, con lo sguardo puntato su Standfort senza correre verso quella figlia che non vedeva da tempo.
Volevo dare un calcio a Melissa che lo attendeva a braccia aperte in fondo alle scale.
Forse erano stati i soldi a ridurla così sottomessa.
Rudy invece, mi guardava eccome.
Anzi, per far capire quanto fosse spiacevole quella persona, si era persino leccato le labbra carnose quando mi aveva vista.
Era vestito totalmente in bianco, totalmente firmato.
Era bello di presenza, bisognava ammetterlo.
Non esageratamente alto e nemmeno esageratamente magro ma con un viso particolare e carismatico.
Molto curato e sempre moderno.
Ma assurdamente maschilista, arrogante e spregevole. Non avevamo nulla di che condividere.
"Forza amico, basta con questi affari e va a salutare quella bellissima donna di tua figlia." Standfort lo rimproverò facendogli fare gli ultimi gradini più veloce.
Mio padre mi sorrise, per un attimo sincero ma poi sembrò ricordarsi qualcosa e il suo volto si oscurò nuovamente.
Mi diede un abbraccio veloce così come lo fece l'uomo d'affari accanto a lui.
Mi voltai velocemente andando in cucina per evitare di essere toccata da quel polpo di Rudy che già si stava facendo avanti.
Prendemmo tutti posto a tavola tra una battuta sull'America e un commento sulla politica e i due uomini ripresero a parlare fittamente di affari.
Melissa sorrideva in maniera così insistente che probabilmente i suoi muscoli mascellari si erano contorti in maniera permanente.
Forse aveva messo una specie di tutore in bocca per non far tornare mai quelle labbra in una posizione fisiologica.
Papà si lamentò perché c'era troppa mayonese nell'insalata russa, troppo sale nel coniglio, troppo poco nell'arrosto e via dicendo.

Rudy parlò dei suoi progetti futuri, un night club, una linea di abiti e solite cose davvero scontate, senza mai togliermi gli occhi di dosso. Si era seduto in faccia a me. Per questo, sapevo che Melissa non smetteva mai di sorridere, non potevo praticamente mai staccare gli occhi da lei.
"Sei un bravo ragazzo." Disse allora mio padre. "Vero Mary?"
Quasi mi strozzai con il pezzo di carne ma feci un cenno con la testa regalando ai due padri uno sguardo di intesa.
Eh no papà, a questo giro non mi freghi proprio.
"E tu che progetti hai?" Mi chiese Melissa.
Mio padre si agitò sulla sedia. Prese parola riportando il discorso sulla politica.
Era un disonore che sua figlia sarebbe diventata un medico.
Non una commerciante di petrolio come lui, non una commercialista, un avvocato o quant'altro, ma un neurochirurgo.
Alzai gli occhi al cielo quando percepii che Rudy aveva allungato la gamba mettendola vicino alla mia e sfiorandomi di tanto in tanto.
Lo guardai male. Gli feci un cenno con il dito sotto al tavolo.
Di rimando lui sorrise e allungò anche l'altra incastrando la mia fra le due.
Nel tentativo di liberarmi, tirai una ginocchiata al tavolo provocando non poco rumore e distraendo i due uomini dai loro discorsi.
"Tutto bene cara?" Chiese Standfort riprendendo a parlare prima di ascoltare la mia risposta.

Guardai Rudy di sbieco che ridacchiava sotto i baffi mentre Melissa ci guardava con aria intenerita.
Piccola, tenera Melissa. Possibile che tu non capivi mai un cazzo?

"Vado al bagno." Annunciai alzandomi in piedi e allontanandomi in fretta.

Avevo bisogno di staccare un attimo da tutta quella tensione.

Mi chiusi la porta alle spalle sedendomi sul bordo della vasca e prendendo il cellulare in mano.

"Pensavo saresti resistita meno."
Scoppiai a ridere appena Lizzy rispose al telefono.
"E non hai idea di chi c'è qui con noi a mangiare."
"Il presidente?" Mi chiese allora facendomi ridere di nuovo.
"Rudy Standfort."
Lizzy fischio dall'altro lato del telefono.
"È andata proprio male a tuo padre allora."
Mi abbassai per grattarmi la caviglia e mi accorsi che c'era un mio orecchino per terra.
Lo raccolsi e andai a posarlo nella gioielliera.
"Tu invece cosa stai facendo?" Fu il suo turno di ridere e poi sentii una voce maschile in sottofondo.
"TI scopi Chuck." Conclusi alzando gli occhi al cielo. Andava avanti più del previsto quella situazione.
"Esattamente. Quindi se non ti dispiace..."
La salutai e lanciai il telefono in un angolo. Mi lavai la faccia e mi sistemai la coda per poi uscire di nuovo fuori, nella tana del drago.
Appena richiusi la porta alle mie spalle una voce mi fece trasalire.

"Cosa vuoi?" Chiesi allontanandomi lungo il corridoio mentre lui si avvicinava. "Rudy stammi lontano non ho voglia questa sera di litigare."

Il ragazzo mi sorrise ignorando i miei avvertimenti. Non potevo crederci che mi aveva seguita fino al piano di sopra.

Quel ragazzo era ossessivamente pesante.

"Volevo solo salutarti per bene. Non ci vediamo da mesi e pensavo avresti piacere a passare un attimo insieme noi due."
Lo guardai perplessa. Non avevamo mai avuto modo di passare del tempo noi due e di sicuro non avevo mai palesato piacere nel fare tale esperienza.
"Non penso proprio."
Rudy si avvicinò ancora di più a me e io mi misi a braccia conserte.
Si infilò una mano in tasca e ne estrasse una bustina contenente polvere bianca.
Sbuffai.
"Non ne ho mai usata."
Fu il turno di Rudy per sbuffare.
"Sicura? Ricordo alcune feste in cui eri messa parecchio male."
Voltai lo sguardo facendolo ridere.

"Lasciami in pace, non voglio avere questa conversazione con te."
Mi voltai di scatto per andarmene ma lui mi afferrò per il braccio stringendomi forte.

"Come osi?" Gli chiesi lanciando saette dagli occhi.
"Vuoi andare di sotto e fare scenate? Dire a tutti che l'ho portata qui?"

Con uno strattone mi liberai il braccio.
"Stammi alla larga Rudy. Non c'è nulla qui per te."
Mi sorrise lasciandomi andare via e io corsi giù per le scale facendole due a due.
Mi catapultai in sala e mio padre alzò gli occhi verso di me.
Lo guardai implorante. Doveva solo dire qualcosa, chiedermi cosa fosse appena successo.
Ma lui riprese a parlare con Standfort lasciandomi immobile, vicino al tavolo fino a che Melissa non mi prese la mano tirandomi verso il mio posto.
Anche Rudy arrivò mettendosi di nuovo seduto davanti a me.
Melissa sorrise guardandomi con uno sguardo di intesa. Appunto, non capiva mai niente.
Io feci finta di nulla, trattenni il vomito che assaliva la mia gola da inizio serata e feci finta di nulla fino alla fine del dessert.
Fino a quando Standfort non chiese a Robert di andare di sopra a discutere di quegli affari, Melissa si dileguò per lasciarmi sola con Rudy e quest'ultimo, si voltò verso di me guardandomi come se fossi un'aragosta al mercato del pesce.
"Mi piacciono le ragazze ribelli Mary. Adoro la caccia."
"Fottiti."
Tuonai balzando in piedi e correndo verso l'ascensore. Avevo trattenuto fin troppo i miei sentimenti quella sera, ora basta.
Camminai velocemente verso la porta ignorando Abdel che mi implorava di tornare a prendere una giacca e cominciai a vagare per le strade, seguendo semplicemente il flusso della gente, per un tempo che pareva infinito.

"È pericoloso camminare da sola a quest'ora!" Tuonò una voce profonda, che non conoscevo riscuotendomi dai miei pensieri.

Mi girai spaventata e pronta per iniziare a correre quando incontrai gli occhi di Ash. In quel momento, mi resi conto che era la prima volta che lo sentivo parlare e non potei fare a meno di sorridere.
Mi guardai intorno. Avevo camminato molto ma nonostante fossi finita un poco fuori città, c'era molta gente in giro. Non sembrava una situazione troppo pericolosa.
"Stai congelando."

Mi guardò confuso, probabilmente chiedendosi cosa mi avesse spinto fuori casa a quell'ora.
"Hei, ti andrebbe di fare due passi?" Gli chiesi allora indicando un punto imprecisato dietro di me.
Ash sorrise.
Era maledettamente bello. Più alto di me, atletico, con un sorriso enigmatico e delle labbra carnose e degli occhi blu incorniciati da tanti ricci, ma forse non dovevo fare dei pensieri del genere.
"Morirai congelata. Ti do un passaggio."
Fu il suo turno di indicare un posto imprecisato facendomi sorridere.
"Va bene."
Acconsentii di buon grado.
Erano due settimane che volevo parlare con lui.

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