Ash - Invisibile
Ero entrato piano in casa quel giorno.
Ero stato al parco a giocare e mi ero intrattenuto troppo a lungo con i miei amici.
Mamma aveva trovato un lavoro in una lavanderia e probabilmente non sarebbe stata a casa quando sarei rientrato.
Ci sarebbe stato solo lui.
Chiusi la porta alle mie spalle cercando di non fare nessun rumore.
"Dove sei stato?"
Sospirai senza il coraggio di voltarmi a guardarlo.
Mi aveva beccato e questo significava una cosa sola. Botte.
"Voltati ragazzo."
Non feci in tempo a vederlo che un pugno mi aveva già colpito accanto alla tempia.
Il primo giorno di scuola era stato un disastro. Ero seriamente tentato di presentarmi ubriaco così da non dover notare tutti gli sguardi schifati che mi riservavano le persone.
Mentre ero sul bus mi ero chiesto cosa diavolo mi era passato per la mente quando avevo accettato. Guardavo fuori dal finestrino il degrado della mia città. .
Come potevo pensare di uscirne? Come potevo pensare di essere diverso da loro?
Avevo avvicinato il dito al pulsante dello stop e mi ero già immaginato la scena. Io che scendevo dal bus e mi incamminavo a casa a piedi. Magari mi sarei fermato dallo spacciatore per comperare qualcosa così da affogare il mio dispiacere e non pensarci più. Mi sarei fatto. Avrei speso tutti i miei soldi in droga e avrei dovuto cominciare a fare delle rapine per mantenere il mio vizio. Sarei diventato come mio padre nel giro di poco tempo. Un uomo di merda con la bottiglia sempre in mano e la bustina di droga in tasca. Mi sarei bruciato la vita e avrei dovuto iniziare a spacciare seriamente per andare avanti. O a prostituirmi.
Sarei finito in galera e mi avrebbero fatto fuori. O sarei morto di overdose. O mi avrebbero sparato.
Quelle idee mi diedero la spinta per riprendermi.
Tolsi il dito dal pulsante dicendomi che solo i codardi mollano, e io non lo ero.
Ero nato in quel posto senza morale e senza coscienza, ma io avevo entrambe. Avevo cercato in ogni modo nel corso della mia vita di tenermi fuori dai guai e avevo fatto giusto il minimo indispensabile per sopravvivere.
Per il resto, avevo cercato di essere gentile con tutti, di aiutare gli anziani, di contribuire alla mensa dei poveri per distribuire il cibo o le coperte in maniera da stamparmi ogni giorno nella testa quelle parole; tu non sei come lui.
Era la mia più grande paura. Alle volte sognavo di essere un uomo di mezza età, seduto sul divano con la sigaretta e la birra in mano e con questa rabbia che mi ribolliva nella pancia.
Anche mio padre era stato un ragazzino sfortunato. Aveva conosciuto il gusto del sangue in bocca, la paura e il suono delle sirene che arrivavano continuamente a casa.
Ero terrorizzato che il tempo mi portasse ad assomigliargli più di quanto io desiderassi. Volevo mettere un mare di distanza tra di noi, non avere nemmeno un singolo capello che mi collegasse a lui e fare tutto l'opposto di quell'uomo.
Soprattutto, non mi sarei mai ridotto in vita mia a trattare una donna come quello scarafaggio trattava mamma. Mai.
Quando arrivai di fronte al cancello della scuola, dovetti farmi forza per non fuggire a gambe levate. Era strano da dire, avevo affrontato migliaia di situazioni pazzesche, ero stato persino in prigione, ma nulla mi aveva terrorizzato come vedere quel fiume di ragazzi per bene camminare accanto a me. Profumavano di profumi costosi, avevano capelli tagliati da mani esperte e non dal loro amico portoricano durante qualche serata alcolica e soprattutto, mi guardavano con un mix tra schifo e curiosità.
Chi si credevano di essere, solo perché avevano due soldi in tasca e niente nel cuore.
Alcuni genitori si erano opposti quando avevano scoperto che un pezzente avrebbe frequentato i corsi con i loro gioiellini. Avevano insinuato che avrei portato della droga a scuola, che avrei fatto casini e avrei abbassato il buon nome dell'istituto. Probabilmente nemmeno il preside era troppo felice della cosa ma d'altronde, il comune aveva deciso di elargire queste generose borse di studio e io ero stato assegnato a quel posto preciso, purtroppo per loro.
E fu in quel momento, perso in quei mille pensieri di rabbia e fastidio che la vidi la prima volta.
Era arrivata in una Mercedez elegante insieme ad un'altra ragazza con un caschetto biondo platino piuttosto appariscente.
Era molto bella. Aveva dei lunghi capelli color miele e gli occhi azzurri. Un sorriso caldo, sincero e una fossetta accanto alla guancia.
Aveva accorciato la gonna della tenuta scolastica e mostrava delle lunghe gambe snelle.
Mi resi conto di essere rimasto impalato come uno stupido a fissarla solo quando lei mi passò accanto.
"Ciao." Disse sorridendomi mentre la sua amica faceva una smorfia sorpresa.
Non le risposi. La ignorai come facevo sempre con tutti. Non ero lì per stringere nuove amicizie.
Non avevamo nulla da spartire noi e loro.
Durante quelle due settimane avevo scoperto diverse cose. Innanzi tutto che i ricchi tenevano moltissimo alle apparenze. Ad esempio, il fatto che la mia divisa scolastica non fosse ancora arrivata aveva mandato su tutte le furie il preside che mi aveva convocato solo per farmi un pippone immenso.
Dentro di me volevo ricordargli che alcune persone al mondo non avevano nemmeno le scarpe, chi se ne frega delle sue cazzo di divise, ma mi ero fatto forza e me ne ero stato zitto.
Anche gli studenti non scherzavano. Si presentavano a scuola come se dovessero andare in passerella. Le divise erano identiche per tutti ma ognuno di loro aveva fatto delle modifiche per essere diverso dagli altri.
Anche i gioielli, il taglio di capelli, le borse la dicevano lunga su chi erano queste persone e da quali famiglie provenivano.
I tuoi genitori vendono diamanti? Allora non puoi che mostrarli al mondo intero. Sono degli stilisti di moda? Allora la sciarpa, i guanti o qualsiasi sia il tuo accessorio non farà altro che urlare al mondo che non metteresti mai nemmeno dei boxer che non siano firmati.
Mary restava invece un'incognita. Prima di tutto, era l'unica ragazza di tutta la scuola che si ostinava a salutarmi in maniera gentile ogni qual volta che le passavo accanto, sebbene una volta girato l'angolo i suoi amici la ricoprissero di rimproveri.
Non che non avessi parlato con altre persone. Qualcuno mi aveva chiesto se potevo portargli qualche tipo di droga, altri si erano interessati alla mia vita senza alcuna empatia e pieni di arroganza mentre altri semplicemente erano intimoriti dalla mia presenza e quindi mi ignoravano.
Mi andava bene così. Ero lì con un obiettivo preciso in testa e non volevo troppe distrazioni.
Secondariamente, non sembrava ostentare in maniera particolare il suo denaro e la sua provenienza.
Per lo meno, non quanto gli altri. Non che non avessi notato qualche oggetto costoso ben posizionato su di lei per abbellire il suo collo o il suo polso ma, a differenza di altri, non aveva bisogno di passare le ore a raccontare quanti miseri soldi stava guadagnando mentre sorseggiava il suo caffè. Il che non era male.
Qualche giorno dopo il nostro primo incontro si sedette dietro di me in mensa e seppur non sia cortese, origliai tutta la conversazione che si susseguì con la sua amica, curioso di conoscere qualcosa di lei che non fosse solo apparenza.
"Jes non so se mi va. Sono già insopportabili sobri figurati da ubriachi." Diceva con tono un tono particolarmente lagnoso che mi faceva incurvare il sorriso.
Jessica, la ragazza con cui stava parlando, era la figlia di uno dei più grandi investitori del paese ed era lì a studiare per prendere poi il posto del padre. La sua fama la precedeva un poco ovunque, persino dalle mie parti.
"Allora ci ubriacheremo anche noi così non dovremmo sopportarli a lungo. Ho un vestito nuovo che devo indossare. Non puoi dirmi di no." La minacciò l'amica con tono alterato.
"Non saprei che mettermi." Aggiunse allora Mary facendo ribollire l'amica come una pentola a pressione.
"L'ultima volta ti ho prestato ben due vestiti e ti sei presentata con quei jeans orrendi pieni di strass! Ti avrei ammazzata."
"Erano delle creazioni del padre di Luke e voleva che li pubblicizzassi."
"Con quel bel seno che ti ritrovi e quelle gambe.."
Sorrisi trovandomi totalmente d'accordo con le parole della sua amica.
Mi capitava di osservarla qualche volta. Era difficile non farlo e mi ero accorto di non essere l'unico, ma questo era abbastanza chiaro. Rideva spesso ma aveva un suono così malinconico da essermi famigliare. Sembrava gentile con tutti e questo le faceva sicuramente guadagnare punti.
Affondai il mio cucchiaino nello yogurt pensando che forse poteva essere l'unica ragazza in quella scuola a risultare minimamente simpatica, secondo i miei parametri.
"Ciao Ash." Disse una ragazza spostando la sedia accanto alla mia e accomodandosi.
Scattai sull'attenti preoccupato di essere stato beccato a farmi gli affari degli altri e la fissai sbigottito sbattendo le palpebre più volte. Non avevo la minima idea di chi diavolo fosse.
Le sorrisi ma non le risposi. Aveva sbagliato persona probabilmente. Non davo di sicuro l'impressione di voler socializzare o attaccare bottone con qualcuno.
"Cosa fai dopo la scuola?"
La fissai di nuovo senza proferir parola. Forse ero impazzito e stavo semplicemente immaginando tutto. D'altronde, ero l'appestato della scuola. Perché quella ragazza doveva essere interessata a rivolgermi la parola?
"Io sono Christine, quelli in fondo al tavolo sono Jhon e Aldo. Dopo scuola andiamo al club a bere qualcosa e ci chiedevamo se tu.."
Le parole le morirono in gola quando mi osservò.
Non so bene cosa lesse sul mio viso ma probabilmente era shock.
Non sapevo cosa volesse questa gente da me. Insomma, chi si era avvicinato era per chiedermi qualche bustina o per prendermi poco velatamente in giro. Questi mi chiedevano di uscire per tirarmi un colpo in testa e gettarmi nel mare così da salvare il buon nome della loro fottuta scuola?
"Io vengo dalla Francia, Aldo dall'Italia e Jhon.. Bhè, lui tecnicamente è di qui ma diciamo che ha avuto qualche malinteso in passato quindi anche noi non conosciamo molto gli altri. Ci sembrava una buona idea fare gruppo. Sai, unirci. Per essere meno soli intendo.."
Osservai i ragazzi seduti al tavolo per un istante e poi sorrisi. Non sapevo spiegare il motivo di quell'anomala incurvatura dei miei muscoli facciali. Forse mi faceva ridere che qualcuno fosse così disperato da trovare in uno come me la compagnia che desiderava.
"Magari un'altra volta. Ma grazie."
"Si, un'altra volta va anche bene. Quando vuoi insomma. Ci organizziamo."
Le sorrisi ancora ma questa volta con più freddezza mentre Christine balzava in piedi imbarazzata rovesciando il mio piccolo cartone di latte.
"Non fa nulla!" Le dissi scocciato prima che cominciasse a mortificarsi. Odiavo quando la gente lo faceva e non volevo attirare l'attenzione su di me. Volevo solo essere invisibile.
"Sono un'imbranata." Proseguì lei ridendo in maniera nervosa. Alcuni ragazzi si erano voltati a guardarci e notai che era davvero a disagio. Mi fece pena per un istante ma la realtà dei fatti era che volevo solo che si allontanasse. Alzai le mani davanti a me per farle capire che andava tutto bene.
Anche Mary ci stava osservando. Stava sgranocchiando delle carote e sembrava divertita dalla scena. Jessica invece, pareva piuttosto schifata e probabilmente ci avrebbe dato fuoco se avesse potuto.
"Ci vediamo allora al club."
"A scuola."
La corressi io sottovoce guardandomi intorno per assicurarmi che tutti quegli sguardi che si erano posati su di me ora stessero facendo altro.
Che posto di merda.
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