Capitolo 2
Soffio sulla tazza fumante, osservando il liquido scuro che vortica lentamente prima di placarsi. L'aroma intenso di caffè si mescola all'aria fresca del mattino. Inspiro profondamente, come se potessi assorbire la quiete che mi circonda, e poi espiro piano, lasciando andare un pezzo del passato ad ogni sbuffo d'aria.
Da oggi tutto sarà diverso. Per sempre.
Niente più Caracas, niente più lavoro forzato, niente più stanze senza luci o finestre. Niente più la vecchia Ales.
Anche se questa nuova realtà dovesse durare meno di quanto previsto, mi ha già plasmata in modo irreversibile. È strano come il destino possa strapparti via da una vita, incastrandoti in un'altra. Senza darti il tempo di capire se è davvero quello che vuoi.
Porto la tazza alle labbra e sorseggio lentamente la mia bevanda, mentre guardo fuori dalla finestra della cucina. Il sole splende alto sulla città di Los Angeles, tingendola di sfumature dorate. Riesco a sentire il chiacchiericcio sommesso di chi passa davanti alla residenza e la malinconia si fa spazio nel mio cuore. Mi godo la solitudine della stanza e aspetto che Isabela sia finalmente pronta.
Non dovrei sentirmi così, lo so. Questa è la mia occasione, la mia fuga, il mio nuovo inizio. Eppure, non posso fare a meno di pensare a tutto ciò che ho lasciato indietro. Anche le cose che odiavo, anche quelle che mi hanno spezzata.
Mi stringo nella felpa troppo grande, lasciando che le maniche mi coprano le mani. Non sono mai stata una persona mattiniera, ma ormai l'insonnia è diventata la mia ombra. Ogni notte, lo stesso copione: ore passate a fissare il soffitto, il cuore che batte troppo forte, la mente che non smette di correre. Mesi e mesi dormendo poco più di quattro ore a notte.
I pensieri affollano la mia testa. Gli incubi tormentano il mio sonno. Il caffè è diventato il mio migliore amico.
<<Sei pronta?>> mi giro, vedendo la mia migliore amica appoggiata allo stipite della porta. Una semplice frase che racchiude un milione di domande. È sempre stata quella solare tra le due. Riusciva a renderti felice con un solo sorriso. Ma il suo cuore porta un peso grande quanto il mio e per quanto possa cercare di nasconderlo, non se ne andrà mai. Puoi rinchiuderlo nel cassetto più lontano della tua mente, ma lui è sempre li.
Annuisco e la seguo fuori dal dormitorio.
Le strade del campus sono un brulicare incessante di studenti. Ragazzi e ragazze camminano con passo spedito, febbricitanti. Le cheerleader sfilano in gruppo lungo il vialetto principale, i loro lunghi capelli perfettamente acconciati ondeggiano a ogni passo. I ragazzi della squadra di Football non sono da meno: alcuni camminano con un'aria di sicurezza quasi spavalda, le felpe con il logo della USC Trojans sulle spalle. Altri scherzano tra loro, colpendosi sulle spalle con pacche amichevoli.
Schiamazzi e gioia sprizzano da tutti i pori. E per la prima volta in vita mia, mi sento fuori posto.
I miei occhi continuano ad assorbire tutto ciò che ci circonda. È una sensazione sottile, ma penetrante. Il mio passo rallenta impercettibilmente, i suoni si attutiscono per un istante, mentre il senso di estraneità si insinua tra le costole. Non appartengo a tutto ciò. Abbiamo sempre disprezzato i figli di papà, tutti coloro che non hanno mai visto neanche un giorno di difficoltà. Non hanno mai provato la paura sulla loro pelle. Stringo le mani a pugno, cercando di ancorarmi a qualcosa di famigliare, ma la verità è che nulla di ciò che mi circonda lo è. Questa è la mia nuova vita.
Ma oggi, oggi mi sembra solo un altro posto in cui fingere di appartenere. E ora camminiamo con loro. Fianco a fianco. Frequentiamo i loro stessi posti. Sorridiamo mentre ci parlano. Fingiamo di essere chi non siamo e non so nemmeno se lo facciamo per noi o per loro.
<<Wow. È più di quanto mi aspettassi>> dico, entrando nell'edificio <<Non che sapessi cosa aspettarmi>> sussurro. Non ricevo risposta e continuo a seguirla fino a quando non si ferma davanti alla reception. Isabela dice i nostri nomi all'anziana signora seduta dietro la scrivania. Lei digita qualcosa al computer e poi ci passa due fogli plastificati, rivolgendoci un sorriso gentile.
<<Quel bastardo>> sento dire alle mie spalle <<Ha fatto apposta a darci degli orari diversi>>. Chino lo sguardo sulle carte e noto che le nostre lezioni non sono quasi mai allineate.
"Cinematic Arts" , leggo come intestazione e una risata sarcastica esce spontanea dalle mie labbra. Tutto questo è surreale. Non mi ero mai soffermata a pensare a cosa avremmo studiato. Ho colto l'opportunità della borsa di studio come unica via di fuga e non mi sono più voltata indietro.
Un veloce sguardo a Isa mi fa capire come lei ne fosse già a conoscenza. Ha omesso di dirmelo perchè sapeva come avrei reagito. Non sono stupida, non mi lamenterei mai. Ma non vuol dire che mi vada a genio. <<Dobbiamo andare o faremo tardi>> le dico senza guardarla in faccia.
<<Ales->> la sento richiamarmi mentre incomincio a percorrere il corridoio, <<Non vorrei mai che il professore di Direzione e documentari possa pensare che non mi interessi la sua materia>> la nota ironica nel mio tono è più che evidente.
Arrivo davanti all'aula e rilascio un sospiro pesante prima di varcare la soglia. Forse non è stata una cattiva idea non avere lezioni insieme. So quanto Isabela si sta impegnando con questa opportunità e quanto il mio umore, a volte, possa influire negativamente su di lei.
È sempre stata quella a cui andava più stretta Caracas. Non lo dava a notare, non è il suo stile, ma lo potevi percepire lontano chilometri. La mancanza di una famiglia la divorava ogni giorno. Ci osservava comunicare come fossimo una cosa sola e soffriva per questo. Percepiva sotto la sua pelle l'assenza di un legame simile con qualcuno. E non era qualcosa che si poteva costruire dal nulla, era la diretta conseguenza dell'aver condiviso la placenta per nove mesi con un'altra metà di te stessa.
Non sarebbe sopravvissuta ancora per troppo in quella che definivamo la nostra vita, ed è forse per questo che ho accettato di seguirla.
Entro nell'aula e mi siedo in modo da essere abbastanza lontana da passare inosservata, ma sufficientemente vicino da poter ascoltare. Se questo deve essere il mio percorso di studi, che lo sia. Ci siamo sempre impegnate a scuola, nella speranza di andarcene un giorno. Nonostante i nostri tanti problemi. Nonostante i professori fossero più interessati allo stipendio che al loro lavoro. Nonostante entrare in quegli edifici fosse entrare all'inferno tutte le volte. Non mollerò proprio ora che siamo riuscite nel nostro obiettivo.
La classe inizia a riempirsi di studenti e noto qualche occhiata lanciata sporadicamente nella mia direzione. Il professore entra in aula, un uomo sulla cinquantina con capelli brizzolati e occhiali dalla montatura sottile. Tiro fuori dalla borsa una penna e un foglio, più per mostrare attenzione che per reale necessità. Non ho mai avuto bisogno di prendere appunti. Tutto ciò che mi serve sapere lo assimilo ascoltando. I libri mi sono sempre serviti solo come ripasso, per il resto ho una memoria eccellente.
La porta dell'aula si riapre di scatto e un ragazzo fa il suo ingresso con un sorrisetto stampato sul volto.
<<Che piacere rivederla, Signor Davis>> il professore lo canzona, indicandogli con un cenno del capo di andare a sedersi. Lui, apparentemente non turbato dal tono di voce sarcastico, sale le scale fino a raggiungere il posto accanto a me.
Getta lo zaino e si siede, felice di aver avuto gli occhi di tutti addosso fino a quel momento. Noto la sua giacca con la scritta "USC Trojans" sulla schiena e ritorno a prestare attenzione alla lezione. Con la coda dell'occhio lo vedo sistemare le sue cose sul banco e passarsi la mano ripetutamente nei capelli. Ma proprio qui doveva sedersi.
Mentre il professore inizia a parlare dell'evoluzione dell'arte della produzione cinematografica, cerco di non farmi distrarre dal ragazzo al mio fianco. Che tutto sta facendo tranne che seguire la lezione. Noto la sua chioma bionda, pettinata in un ciuffo che gli ricade sulla fronte. Gli occhi marroni brillano di una vivacità irrequieta. Le labbra sottili si curvano in un sorrisetto compiaciuto mentre tamburella le dita sul tavolo, evidentemente disinteressato. Non posso fare a meno di notare la sicurezza con cui si muove, come se fosse abituato ad attirare l'attenzione. Ma d'altronde, da un giocatore di football non ci si può aspettare altro.
Non è un brutto ragazzo, affatto. Ma non sono in cerca di qualcuno da coinvolgere nei miei casini.
<<Sei nuova?>> la domanda mi arriva ovattata, quasi impercettibile, mentre cerco disperatamente di escludere tutto il resto. Ma quando mi volto alla mia destra, noto con orrore che mi sta fissando. La testa appoggiata alla mano, gli occhi attenti, in attesa di una risposta.
La mia possibilità migliore è far finta di non aver capito. Mi rigiro verso il professore e provo a riconcentrarmi. Fallendo miseramente.
Lo vedo con la coda dell'occhio aggrottare la fronte e farsi più vicino a me. <<Ehi! Parlo con te>> dice, aumentando il volume della voce. Come se fossi sorda. <<Non ti ho mai vista qui>>.
O non è molto furbo o se ne frega totalmente del mio tentativo di indifferenza nei suoi confronti.
Un idea mi passa per la testa e un sorrisetto cresce spontaneo sulle mie labbra. Cerco di non farmi vedere per non mandare tutto a monte e mi volto nuovamente verso di lui. <<Perdone, no hablo inglés. Solo conozco el español>> (Perdonami, non parlo inglese. Conosco solo lo spagnolo) sfoggio il mio volto più innocente e gli sorrido ampiamente. Essere bilingue a volte può tornare utile.
Il suo sguardo passa dall'essere infastidito al confuso in meno di un secondo. Mi offre un sorriso di cortesia e incomincia a borbottare qualcosa, che però non riesco a percepire. Mi serve tutta la forza di volontà che ho in corpo per non scoppiargli a ridere in faccia. Ma almeno sono riuscita nel mio intento.
Per tutto il resto della lezione evita di rivolgermi la parola. Lo osservo giocare distrattamente con le penne o scorrere senza particolare interesse lo schermo del cellulare. In ogni caso, fare di tutto tranne quello per cui dovrebbe realmente essere qui. Ma ho più l'impressione che il suo unico pensiero sia il football.
————
Mi incammino per il corridoio, diretta verso la mensa. Mi arriva un messaggio di Isabela che mi avverte di essere già li e cerco di farmi spazio tra la calca di persone per velocizzare il passo.
Ci eravamo accordate di incontrarci li una volta fossero terminate le lezioni della mattinata. Per quanto mi costi ammetterlo, devo riconoscere che non è poi così male il corso. Ma questo non glielo dirò mai.
Non avevo mai preso in considerazione l'idea di frequentare l'università. Non mi sono mai fermata davvero a riflettere su cosa avrei voluto fare della mia vita, quale direzione prendere. Forse perchè, in fondo, una parte di me ha sempre creduto che non ci sarei nemmeno arrivata ad una certa età.
Entro nell'enorme stanza e cerco con gli occhi la mia migliore amica. La vedo in lontananza seduta ad un tavolo mentre si guarda intorno incuriosita. La raggiungo e mi siedo di fronte a lei, facendola sobbalzare per lo stupore. <<Mamma mia, Ales. Avverti almeno>> lascio scappare un risolino per la sua reazione.
<<Scusami per stamattina. Sono stata un idiota. Non è con te che me la dovrei prendere>> appoggia la sua mano sulla mia e mi sorride dolcemente.
C'è chi potrebbe pensare che sia una persona ingenua, che non si accorga che il mondo intorno a lei è pieno di persone cattive e che con la gentilezza non si va da nessuna parte. Ma in realtà è solo il suo modo di reagire alla vita. C'è chi si dispera, chi urla, chi si incazza. Lei diventa più buona, nella speranza che un giorno tutto le torni indietro.
<<Non ti preoccupare. Sapevo che ti sarebbe piaciuto il corso>> mi riserva un occhiolino prima di alzarsi.
<<Ehi!>> le urlo dietro mentre si dirige verso il bancone. Vedo le sue spalle scuotersi per la risata e un senso di leggerezza si appropria di me.
Mi guardo intorno e quasi mi sembra surreale pensare a questa realtà. Quanto queste persone non abbiano nemmeno idea di cosa succede al di fuori della loro bolla di un mondo perfetto. Non hanno mai dovuto lottare per la fame. Mai guadagnarsi quello che realmente hanno. Vivono con spensieratezza senza realmente accorgersene.
La mia è tutta invidia. Invidia di una vita che anche volendo non potrò mai avere. Perchè quello che abbiamo passato ci ha segnato per sempre. Non ci verrà mai ridato.
Isabela appoggia il vassoio davanti a me e si siede con il suo. Mi guarda alzando un sopracciglio e io scrollo le spalle, come a sminuire il mio cambiamento improvviso d'umore.
Incominciamo a mangiare, parlando del più e del meno. È raggiante e ciò mi scalda il cuore. Sembra una bambina davanti al nuovo gioco che ha ricevuto per natale.
D'un tratto la stanza cala nel silenzio. Tutti gli occhi puntati su un punto del bancone dove alcune ragazze stanno parlando. Troppo lontano per noi per vedere bene.
<<Che succede?>> scuoto il capo non sapendo come rispondere e cerco di focalizzare meglio la scena.
Noto la chioma riccia di Abigail cercare di farsi spazio tra due cheerleader. La bionda continua a spostarla indietro, non permettendole di passare. Rivolgo un occhiata a Isa e lei mi guarda di rimando, come a chiedermi cosa dovremmo fare. Sembra che nessuno abbia il coraggio di intervenire. Non riesco a sentire cosa si stanno dicendo ma non ci vuole un genio a capire che non è un discorso amichevole.
Accanto a loro un'altra ragazza ride. La scena è tutta loro. Tutti fissano le tre, in attesa che qualcosa accada.
<<Per quanto mi innervosisca quella ragazza, dovremmo aiutarla>> dico e sposto lo sguardo verso la mia migliore amica. La vedo dubitare e mi rabbuio. Non è questo tipo di persona, ma so benissimo a cosa sta pensando. Andare la significa diventare la loro prossima mira. Significa uscire dall'ombra e farsi notare da tutti. E lei non vuole questo, non qui.
<<Non intromettetevi. Davvero, non ne vale la pena>> mi giro verso quella voce alle mie spalle. Madison è in piedi, ferma a guardarci. I suoi occhi scuri che ci fissano seri. Aspetto che continui il discorso ma invece se ne va. Aggrotto la fronte quando vedo che si sta avvicinando proprio a loro. Il sollievo che questo dovrebbe provocarmi, però, non arriva. Qualcosa non va.
Le mie spalle rimangono tese e fisso la scena come se tutto dipendesse da questi attimi. Quando le raggiunge, il volto di Abigail si rabbuia ancora di più. Madison le gira intorno, probabilmente seguendo gli ordini della bionda, che continua imperterrita il suo discorso. Nessuno si muove, finchè non la vedo tirarle una spallata da dietro e far si che le cada tutto il vassoio per terra. Tutte e tre ridono e l'orrore di ciò che è appena accaduto si palesa di fronte a me.
Aprono finalmente uno spazio per la povera malcapitata in modo che possa andarsene. Lei incomincia a camminare verso la nostra direzione. Sul suo viso un piccolo sorriso di rassegnazione ma null'altro. Non una lacrima, non un segno di rabbia. Le tre intanto si dirigono ad un tavolo più distante e incominciano a mangiare insieme.
Rimango fissa con lo sguardo verso quella che fino a poco fa pensavo potesse essere una nostra amica. La vedo ridere e scherzare con le altre due vipere senza battere ciglio. Come se quello che è appena accaduto fosse di routine. E forse è proprio così.
<<Ehi! Abigail!>> Isabel cattura la sua attenzione mentre passa accanto al nostro tavolo. Qualche occhio indiscreto si gira nella nostra direzione, incuriosito dalla situazione. Compresi quelli delle tre ragazze, che da lontano scrutano la scena con un sorrisetto stampato in viso. Tutte tranne Madison. <<Perchè non ti siedi con noi?>>
La sua fronte si aggrotta e poi un sorriso smagliante compare sul suo volto. Si posiziona vicino alla mia amica e io le porgo il mio vassoio, su cui c'è ormai poco.
Lei mi ringrazia con uno sguardo. <<Per favore, non parliamone. Raccontatemi qualcosa. Com'è stato il vostro primo giorno?>>
Io e Isabela ci scambiamo uno sguardo <<Emozionante! Il corso sembra davvero interessante. E fidati, qualsiasi cosa ti dica quella brontolona, è piaciuto anche a lei>> dice, indicandomi con un gesto della mano. Senza mai distogliere gli occhi da quelli tristi di Abigail. Lascio fuoriuscire una piccola risatina, alzandole il medio. Tutte e tre ridiamo.
La tristezza che fino ad adesso si era appropriata della ragazza davanti a me sembra piano piano svanire. Man mano che ascolto il loro discorso andare avanti senza però intervenire. Osservo intorno a me e non posso fare a meno di chiedermi com'è che nessuno si sia intromesso nella lite. Noi siamo state le prime a non farlo, ma d'altronde non potevamo sapere cosa stesse succedendo.
Guardo la cheerleader dai capelli biondi ridere nel tavolo infondo alla sala. Davanti a lei Madison assecondarla, come se Abigail non fosse anche la sua di coinquilina. Aggrotto la fronte quando la vedo rivolgere un veloce sguardo nella nostra direzione e incrociare i miei occhi, prima di rigirarsi velocemente.
<<È Heather Reed. Figlia di multimilionari e capo cheerleader dal suo primo anno>> un luccichio passa negli occhi di Abigail mentre pronuncia quella frase. Ne io ne Isabela fiatiamo, guardandola fissare un punto lontano da noi. Dopo qualche secondo si rigira nella nostra direzione e ci rivolge un sorriso leggero <<Vi ringrazio per quello che avete fatto. Ora vado prima che faccia ritardo a lezione>>
Detto questo si alza, portando con se i nostri vassoi. Raccogliamo le nostre cose in silenzio e la seguiamo fuori dalla mensa, ma una volta nel lungo corridoio, la mandria di studenti che lo affollano ci proibisce di capire dove è andata.
Incominciamo a camminare verso l'uscita dell'università e ogni tanto lancio qualche sguardo alla mia migliore amica. Questo silenzio mi inquieta. Isabela è una di quelle persone con cui sei certa che non ci sarà un momento di imbarazzo nella stanza. Perchè se non parla nessuno, puoi essere più che sicura che lei lo farà. Posso quasi vedere gli ingranaggi nella sua testa girare velocemente, mentre cammina a gran passo senza nemmeno accorgersi delle persone intorno.
Appoggio una mano sulla sua spalla, frenando la sua corsa. Lei sembra sobbalzare dal contatto e si gira verso di me con aria interrogativa.
<<Che c'è?>> le chiedo assottigliando lo sguardo, sperando di cogliere meglio le sue sensazioni <<Mi dispiace. Tutto qua. Le persone sono crudeli>> un sorrisetto spunta spontaneo sulle mie labbra, mentre continuiamo a camminare verso la nostra direzione.
<<E noi più di tutti siamo a conoscenza di ciò. Non ti dico di non provare pena per lei. Si solo grata che questo è il male che lei deve provare sulla sua pelle. Il mondo può essere molto più brutto di quello che lei vede>> so che non è una scusa, ma è il meglio che posso darle. Non sono mai stata una persona brava con le parole. È sempre stato il compito di Isa quello.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top