Capitolo 1 - Nuove strade, vecchi fardelli
Il paesaggio scorre veloce davanti ai miei occhi, chilometri di spiaggia brulicanti di persone che si godono gli ultimi giorni di libertà. Bambini che rincorrono felici il pallone, ragazze che prendono il sole nonostante l'abbronzatura già evidente, coppie che si lasciano cullare dalle onde del mare.
Costeggiamo Venice Beach, ammirandone la bellezza. Sono quasi sicura che questa non sia la strada giusta per la nostra destinazione, ma rimango in silenzio. Mi godo il vento di Los Angeles e il sole cocente, come fossimo a inizio agosto. Non che queste temperature mi siano estranee - veniamo dal Venezuela, dopotutto - ma l'aria che si respira in questa città è sempre magica. Sento Isabela imprecare affianco a me, segno che si è accorta di aver preso la via sbagliata. Non riesco a trattenere una risata sommessa, venendo fulminata subito dal suo sguardo di rimprovero.
Dopo poco più di venti minuti la macchina - se così si può chiamare questo catorcio - si ferma nel parcheggio delle residenze del campus. Mi guardo attorno e immensi palazzi di mattoni riempiono la mia visuale. Un enorme parco verde e ben curato si espande davanti a noi, rendendo il tutto ancora più raffinato, e decisamente non adatto a noi. Sospiro pesantemente, scendo dall'auto e raggiungo Isabela, che sta già lottando con i bagagli.
<<Allora, che ne pensi?>> le chiedo, evitando di guardarla in faccia.
La vedo fermarsi con il borsone a mezz'aria e scrutare il paesaggio circostante per la prima volta. È come se, fino a quel momento, avesse avuto paura di farlo, di assorbire questa nuova realtà che presto sarà casa nostra.
<<Non lo so>> ammette, posando lentamente il borsone a terra <<Sono felice, credo. È un opportunità che, fino a qualche mese fa, non avrei mai pensato di poter avere. Voglio viverla al massimo. Cogliere tutto quello che può offrire>>
Annuisco, e una ciocca dei miei lunghi capelli castani scivola davanti al viso. Me ne libero velocemente, afferrando una delle valigie più pesanti, e dirigendomi verso l'ingresso del palazzo numero 102B.
Le grandi porte marroni hanno un meccanismo d'apertura con codice. Mi fermo, corrugando la fronte, quando realizzo che nessuno ci ha dato nulla per accedere.
<<Grandioso modo per iniziare>> grugnisco, cercando di sbriciare attraverso le vetrate, nella speranza che qualcuno all'interno possa aiutarci <<Sei sicura che sia questo il posto giusto?>>
Isabela, che intanto si è avvicinata, si ferma accanto a me con la cartellina in mano <<102B. Sì, è questo>> dice, leggermente seccata dalla situazione <<Ho preso tutto quello che ci ha dato il Signor Fitzgerald>>
Mi guardo intorno, sperando che la soluzione piova miracolosamente dal cielo. Un brivido mi attraversa per tutta la lunghezza della schiena, al solo pensiero di dover tornare indietro. Con la coda dell'occhio, noto una chioma marrone muoversi velocemente nella nostra direzione. Alquanto insolito dato che non c'è un anima viva in questo campus. Una ragazza dalla pelle color cioccolato si ferma davanti a noi, ansimando. I suoi ricci voluminosi le rimbalzano davanti al volto, oscurandola dalla nostra visuale. Guardo Isabela in cerca di un segnale su cosa fare, ma il suo sguardo è confuso quanto il mio.
<<Ragazze... scusate... un attimo... devo... riprendere... fiato>> balbetta piegandosi sulle ginocchia, cercando disperatamente di riprendere fiato.
Rimango a fissarla con un cipiglio sul volto, senza sapere come reagire. La situazione è decisamente surreale.
<<Scusate il ritardo!>> riprende, getsicolando <<Giuro che non lo sono mai. Sono sempre puntuale per queste cose. È per questo che la direttrice si affida sempre a me. Sa che non la imbarazzerei mai davanti a delle nuove arrivate. E invece ora... è proprio quello che->>
Le poggio una mano sulla spalla, nel vano tentativo di frenare il fiume di parole che sta producendo ad una velocità disumana <<Respira. Siamo appena arrivate>> le rivolgo un sorriso gentile, cercando di rendere le mie parole fredde il più amichevoli possibile. Non sono molto brava con le persone. L'unica cosa che vorrei in questo momento è distendermi sul mio letto.
<<Oh, okay. Okay, allora>> risponde, tirando un lungo respiro <<Io sono Abigail Dawson. Piacere di conoscervi. Frequento il secondo anno di giornalismo e sono anche la vostra compagna di residenza. Dovevo arrivare qui prima di voi per potervi mostrare la stanza e darvi il codice, ma sono rimasta bloccata nel traffico di Los Angeles>>
Le rivolgiamo entrambe un sorriso, seguendola mentre apre la porta e si addentra dentro quello che è un immenso ingresso. Davanti a noi si aprono due scalinate e, al centro, un ascensore.
<<Direi di iniziare dal primo piano. Oh, che maleducata! Non vi ho nemmeno dato il tempo di presentarvi. Perdonatemi!>> esclama. Questa ragazza mi sta facendo venire il mal di testa. Dovrebbe seriamente valutare l'idea di comprarsi qualche tranquillante.
<<Io sono Ales Grey e lei è Isabela Delgado>> rispondo, cercando di sembrare il più educata possibile.
Sento lo sguardo contrariato della mia amica bruciarmi addosso, mentre con un sorriso raggiante, in quel modo che le è così naturale da sembrare quasi innato, si appresta a rivolgersi ad Abigail.
<<Perdonala>> dice con un tono dolce e comprensivo <<È solo molto stanca. Veniamo entrambe dal Venezuela, ci siamo conosciute nella nostra città natale. Siamo qui per frequentare il primo anno di università>>
Noto la leggera tensione nelle sue spalle mentre parla, cercando appositamente di sviarsela dal nominare il luogo da cui veniamo. Eppure, ha già dato più informazioni di quante ne avrei volute condividere io.
Lei, ignara delle sfumature tra di noi, ci sorride calorosamente. <<Benissimo! Seguitemi, vi faccio strada>> si avvia su per le scale, con noi al seguito.
Al piano superiore si estende un lungo corridoio illuminato dalla luce calda del sole, che filtra dalle finestre. Dalla nostra posizione si riescono ad intravedere quattro porte. Lo percorriamo tutto fino a fermarci davanti all'ultima presente
<<Questa sarà la vostra stanza. La mia è la prima che trovate, accanto c'è il bagno. L'ultima invece è dell'altra coinquilina, Madison>>
La prima cosa che noto aprendo la porta sono i due letti ai lati opposti della stanza. Sono semplici, con lenzuola bianche immacolate. Accanto ad ognuno c'è un piccolo armadio e al centro due scrivanie unite, già ingombre di brochure e manuali universitari. La stanza è modesta ma perfetta in confronto a quella che avevamo a Caracas.
<<Giù troverete la cucina e il salotto. Come avete potuto notare le residenze sono divise in blocchi e non è possibile accedere agli altri. Per fortuna, noi siamo solo in quattro. Vi ho lasciato le chiavi attaccate alla porta e su ognuna ho scritto il codice di ingresso. Ora lascio che vi sistemiate, se avete bisogno sapete dove trovarmi>> ci rivolge un ultimo sorriso prima di chiudere la porta alle sue spalle.
Dopo aver sistemato i vestiti nell'armadio, pur non essendo tanti, mi lancio di peso sul letto, rilasciando un sospiro di sollievo. <<Non vedevo l'ora di farlo>>
Sento una risatina provenire da Isa, mentre cerca di rendere la sua postazione da trucco quella di una make-up artist professionista. La guardo per un momento, riflettendo su quanto la sua presenza sia stata una costante nella mia vita. I suoi capelli biondi, legati in una crocchia, le incorniciano i lineamenti latini che le ho sempre invidiato. Mia madre non ha mai saputo dirci chi fosse nostro padre, e quindi non ho mai potuto dare una motivazione alla mia pelle olivastra e occhi azzurri. Ma d'altronde non ci si poteva aspettare tanto da lei.
Guardo fuori dalla finestra e vedo che il sole è ancora alto nel cielo, nonostante sia ormai tardo pomeriggio. Penso che non mi stancherò mai dell'estate e delle sue giornate infinite.
Prendo il telefono e inizio a scorrere le poche fotografie che ho nel rullino finché, non trovo quella che stavo cercando. Una fitta mi attraversa il petto.
<<Avrei voluto che questa possibilità fosse per tutte e tre>> sussurro, sentendo lo sguardo della mia migliore amica voltarsi lentamente verso di me. La vedo con la coda dell'occhio, avvicinarsi al mio letto e sedersi ai piedi di esso.
<<Anche io>> dice piano <<E sono sicura che anche lei lo avrebbe voluto. Così come sono certa che ti direbbe di smetterla di guardarti indietro. Di iniziare a vivere davvero, Ales. Senza più rimuginare sul passato, su cosa è andato storto o su cosa avresti potuto fare meglio>>
Alzo lo sguardo e punto i suoi occhi scuri che luccicano <<Già. Ma lei non è più qui. E tu non puoi sapere cosa avrebbe voluto. Così come non posso io>>. Mi giro su un fianco, dandole la schiena, chiudendo gli occhi con un peso che non riesco a scrollarmi di dosso.
———
Quando la mattina dopo la sveglia suona, mi sembra di aver chiuso gli occhi per un totale di dieci minuti. Dormire in un posto nuovo, per quanto possa essere stato più comodo, è stato più difficile di quel che mi aspettassi.
Mi alzo, notando che Isa è coperta fin sopra la testa. Un sorriso si fa spazio sul mio volto. Fa così da quando ne ho memoria e il ricordo dei vecchi tempi offusca la mia mente.
Apro la finestra, lasciando entrare la luce del mattino e la scopro del tutto, ricevendo un verso di disapprovazione come risposta. Prendo il mio beauty e mi avvio verso il bagno, decisa a farmi una doccia prima di iniziare la mattina.
Entro nel box e l'acqua calda incomincia a scendere sul mio corpo. A Caracas era un lusso che non potevamo permetterci. Gli ultimi due mesi sono stati un susseguirsi di frenesia continua, tra l'ultimare gli ultimi documenti per l'università, senza realmente sapere cosa scriverci sopra. Impacchettare una vita in una valigia troppo grande per i veri vestiti che possiedo ma troppo piccola per i ricordi che quella città ha impresso nella mia anima.
Crescere in uno dei paesi più pericolosi e poveri del Sud America è una cosa che non augurerei mai a nessuno. È come camminare su un terreno di spine dalla sera alla mattina. Gli sbagli non ti macchiano come farebbero da qualunque altra parte. Commettere un errore per strada può voler dire morire. O ancora peggio, incrociare i mostri che quelle strade le comandano.
Mi risveglio dai miei pensieri, sentendo un bussare incessante. Esco dalla doccia e mi avvolgo in un asciugamano, pronta ad uscire e a ringraziare colei che molto gentilmente ha deciso di rovinare la mia mattinata già dall'inizio.
Quando apro la porta però mi trovo davanti tutt'altro di ciò che mi aspettavo. Un armadio di muscoli, alto almeno tre volte me, saltella davanti ai miei occhi sbigottiti. <<Ti prego fammi entrare>> mi sposta e sfreccia dentro il bagno, tirandosi la porta dietro.
Perplessa, torno in camera, notando che Isabela non c'è più. Mi vesto con le poche cose che ho nell'armadio e scendo al piano di sotto. Entrando in cucina vedo la mia migliore amica chiacchierare con quella che deve essere Madison.
<<Ehi, Ales. Finalmente ce l'hai fatta. Lei è Madison Hayes, la ragazza di cui Abigail ci parlava ieri>> le rivolgo un sorriso e lei ricambia. Mi riempio una tazza di caffè e mi siedo al tavolo con loro, lasciandole al discorso che avevano iniziato.
<<Ma per caso sapete di un...>> incomincio a dire ma vengo interrotta dalla porta di ingresso che sbatte rumorosamente, segno che qualcuno se n'è andato. <<Si, non farci caso. Non darà più problemi. E scusami se stamattina ti ha disturbato>> mi risponde la ragazza dai capelli corvini. Annuisco, sotto lo sguardo confuso di Isa che però si limita a rimanere in silenzio.
Uscendo dalla residenza la prima cosa che noto sono le tantissime persone che brulicano le strade del campus, la maggior parte con una valigia al loro seguito. Domani iniziano ufficialmente le lezioni dell'anno e gli studenti rincominciano a popolare l'università.
<<Guido io>> dico alla mia migliore amica con un sorrisetto di beffa, ricevendo indietro una linguaccia. È bello come nonostante tutto quello che abbiamo passato insieme ci siano ancora dei momenti di serenità tra noi.
Salgo sulla Corolla ormai distrutta e mi immetto sulla strada principale. <<Dici che dovremmo cambiare macchina?>> chiede guardando fuori dal finestrino. Vorrei risponderle che la nostra speranza migliore sarebbe quella di rubarne una ma so che non le farebbe piacere <<E con quali soldi?>> dico semplicemente, sentendo un fievole touchè come risposta.
<<Quindi dove pensi che potremmo trovare lavoro? Sfoglio questo giornalino da venti minuti e non ho ancora trovato qualcosa che non implichi denudarsi o che sia legale>> faccio spallucce non avendo una vera risposta alla sua domanda, mentre continuo a guardarmi intorno.
Stiamo passeggiando per le strade di Los Angeles da abbastanza tempo da capire che probabilmente quelle sono le nostre possibilità migliori. <<Ti va un caffe?>> chiedo, vedendo un piccolo bar all'angolo.
Non appena apro la porta, una campanella rilascia un fievole suono. Il locale è gremito di studenti che occupano quasi tutti i tavoli. Ci avviciniamo al bancone e diamo le nostre ordinazioni alla ragazza. Abbassando lo sguardo verso la cassa noto un piccolo volantino stropicciato, che sembra sia stato staccato apposta. Lo apro e quasi mi metto a piangere. Mi giro verso Isabela e glielo passo, vedendo i suoi occhi illuminarsi.
<<Sembra che la fortuna stia incominciando a girare anche per noi>> dico, con un sorriso smagliante. Con la coda dell'occhio vedo la ragazza tornare con i nostri cappuccini <<Scusami. Potremmo parlare con il manager per l'offerta di lavoro?>> lei mi guarda alquanto scocciata, continuando a masticare rumorosamente la gomma e senza rispondermi sparisce nel retro del bar. Che simpatia.
Qualche minuto dopo un vecchio signore compare da dietro il bancone. I capelli bianchi e il volto raggiante. <<Piacere! Piacere di conoscervi. Prego, accomodatevi nel mio ufficio>> con un sorriso a trentadue denti si addentra in una piccola porta facendoci segno di seguirlo. Dentro, la piccola stanzetta è decorata di ogni tipo di fotografia.
Ci sediamo davanti a lui, mentre cerca di sistemare la scrivania sulla quale pullulano fogli di tutti i tipi <<Mi scuso per il disordine, non mi aspettavo di ricevere visite. Sapete questo posto ormai ha la sua età, tutti i giovani preferiscono quello Stabuck in fondo alla strada>> cerco di trattenere una risata alla sua pronuncia sbagliata e ricevo una piccola gomitata da Isa al mio fianco.
<<Non si preoccupi. Siamo nuove a Los Angeles e non conosciamo bene la zona, ma ci farebbe davvero piacere lavorare per lei. Ad entrambe>> spiega lei con tono gentile. Probabilmente nella speranza di fargli pena.
La nostra vita in Venezuela non è mai stata facile. Abbiamo affrontato tanti alti e bassi, soprattutto negli ultimi tre anni anni. Ma affrontarli insieme è sempre stato il nostro modo di sopravvivere. Non c'era nemmeno bisogno di chiederlo. Dove c'era una, c'era l'altra. Dove una andava, l'altra la seguiva. Questo è solo l'ennesimo lavoro che facciamo insieme e se l'uomo davanti a noi non potesse prenderci entrambe, una delle due dovrebbe trovarne un altro.
<<Oh. Non avevo capito che entrambe voleste il lavoro. Vedete, la situazione qual è. Quella ragazza al bancone, cara ragazza, ha un piccolo problema con la clientela che proprio non posso permettermi. Penso abbiate notato il suo essere un po'... come dire... scorbutica >> sembra più ci stia rivolgendo una domanda che facendo un affermazione, ma ne io ne Isa ci scomponiamo.
<<Questo bar è tutta la mia vita. L'ho aperto con mia moglie poco dopo esserci sposati e da quando lei non c'è più ho dovuto cercare aiuto altrove. Non mi importa dei soldi se è questo a cui state pensando. L'unica cosa che mi importa è che chi passa di qui abbia per sempre un bel ricordo di questo posto>> conclude con un sorriso dolce e gli occhi lucidi.
La tenerezza che mi sta provocando in questo momento è inspiegabile. La dolcezza di certe persone, nonostante la cattiveria del mondo, mi colpisce sempre. <<Le assicuro Signore che non la deluderemo. Abbiamo esperienza nel campo dell'accoglienza. Sappiamo gestire la clientela e tratteremo questo lavoro con rispetto>> dico, sperando che non cerchi di approfondire sul nostro vecchio lavoro.
Vedo i suoi occhi in conflitto, probabilmente tra l'assumerci entrambe o dirci che non se lo può permettere. Rilascia un sospiro pesante prima di rincominciare a parlare <<Va bene ragazze. Direi che potete fare una prova, insieme, dall'inizio della prossima settimana. Dopo il primo giorno saprò già dirvi la mia decisione finale, per non sprecare ulteriormente il vostro tempo. Ah, e... chiamatemi Tony. Il Tony's bar potrebbe diventare la vostra nuova famiglia, non c'è alcun bisogno di formalità inutili>>
Dopo aver firmato tutti i documenti necessari, usciamo dal locale e torniamo alla macchina, dirette al campus. <<Sembra quasi che la nostra vita stia incominciando ad avere un senso>> sussurra Isabela, come se avesse paura che pronunciando quelle parole tutto si rivelerà finto.
Non le rispondo, godendomi il silenzio che si viene a creare tra di noi. Le strade della città degli angeli scorrono sotto il mio sguardo. Vivere qui è il sogno di ogni adolescente, ma non è mai stato il mio. Non che non volessi, semplicemente non ero così ingenua da pensare che me ne sarei mai potuta andare dal quel posto infernale. Forse, quando ero ancora abbastanza piccola da non rendermi conto di cosa stesse succedendo attorno a me. Ma quel periodo non è durato quanto sarebbe dovuto, non abbastanza per formula sogni di una vita futura.
Per una bambina la propria famiglia è tutto ciò che conta. La propria madre è la prima persona da cui si cerca un approvazione senza confini o limiti. Il proprio padre è il primo principe che si dovrebbe incontrare, il primo a trattarti come se fossi l'unica cosa di davvero importante nel mondo. I propri fratelli, che passano da essere insopportabili a diventare le persone da cui corri nel momento del bisogno.
Ma forse è proprio per questo che sono cresciuta così: incasinata, senza mai comprendere il mio posto nel mondo, a metà tra l'essere incazzata con tutti e il voler dimostrare che ci sono anche io..
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