Prologo : intro [2.3]

Si era promesso che sarebbe stato più forte di qualunque ostacolo e ora erano mesi che nascondeva la verità ai Tanbang, al setteto di cui faceva parte, tenendosi quel grande e immenso dolore tutto per sé: si ripeteva che non poteva condividerlo con nessuno di loro, soprattutto dopo che Ji-man, uno dei ragazzi che componeva il loro gruppo, era stato male ed erano riusciti a fargli allentare gli allenamenti.

Soltanto le pagine del quaderno personale di Ji-Moon, dove annotava le parole e i versi per future brani e tracce musicali, conoscevano il sapore salato delle sue lacrime e la rabbia che lo consumava quando lasciava l'inchiostro insieme a ciò che rimaneva dei suoi sogni.

Forse domani sarebbe andata meglio, si disse per l'ennesima volta. E magari la musica lo avrebbe salvato ancora da quel se stesso che temeva tanto...

Aveva accettato tutto iniziando quella strada, ma non di certo quel trattamento così irrazionale, solo perché non cantavano interamente in lingua inglese: Ji-Moon non riusciva ad accettarlo, lo trovava ridicolo, deprimente e snervante. Tuttavia era suo il compito di restare sempre saldo di fronte ai problemi: era lui il leader del gruppo.

Era strano e allo stesso tempo terrificante che la sua mente volesse perdersi nell'oscurità, in quel mondo grigio dove pioveva sempre, nell'oblio che solo la morte poteva portare mentre il suo corpo voleva continuare a vivere.

Con quel pensiero a tormentarlo, uscì dal dormitorio dalla porta sul retro e con rapide falcate raggiunse il piccolo vialetto verde circondato da una bassa siepe e da un muretto sormontato da alte inferriate appuntite.

Poi Ji-Moon indossò il casco e inforcò la sua bici, attento soltanto all'orizzonte e alla presenza di qualche auto.

Nell'istante in cui imboccò la via principale del distretto lanciò un breve sguardo all'agglomerato di architetture antiche, tra cui il celebre palazzo reale, cuore pulsante del passato di Seoul, mantenendosi il più possibile vicino al bordo del marciapiede per bearsi in qualche modo della vista.

Nonostante i tanti lampioni in strada, la lontana e alta costruzione sembrava brillare di luce propria, ergersi come un gigante antico, e quasi lo intimoriva per la spaventosa perfezione strutturale che esibiva ai vivi del suo tempo: opera dell'architetto Do-jeon Jeong, l'arcaica costruzione aveva visto guerre e intere generazioni di uno Stato, le loro lacrime e il loro sangue, ma anche i loro sorrisi e i loro abbracci.

Diretto al suo luogo preferito pedalò più forte: se fosse stato bendato, in ogni caso, avrebbe trovato la via per raggiungere il Mugunghwa Park senza problemi.

Superate le strisce pedonali del breve incrocio, sul piccolo ponte che copriva un tratto del fiume Han, lanciò un breve sguardo alla fontana con la gru in procinto di volare che dava il benvenuto all'entrata al parco, attorniata da coppie di statue simboleggianti l'Amore eterno. Alla loro vista sentì già un po' la tensione e il malumore scemare e una nuova calma rinascere nel suo animo.

Rallentando l'andatura lanciò sguardi fugaci alle aiuole e alle alte e imponenti chiome dorate e aranciate degli alberi che costeggiavano il selciato interno del parco. Infine raggiunse la pagoda centrale, circondata dai roseti per cui il parco era anche stato rinominato di recente Rose Park e il piccolo laghetto artificiale dalla placida superficie.

Desideroso di fare una fotografia di qualche rosa in procinto di sbocciare, Ji-Moon fermò la bici, poi si sfilò il casco e lo poggiò a terra con cura.

Con un gesto deciso recuperò il suo cellulare dalla giacca bianca pesante e, quando si soffermò a fissare il suo riflesso sull'acqua, spalancò gli occhi e la bocca in simultanea: si sfiorò la guancia destra, il suo viso non gli era per nulla familiare, e ciò lo spaventò a morte.

Il vento soffiò più forte.

Ji-Moon rabbrividì.

All'improvviso giunse il suono di una musica lontana...

Trattenendo il fiato si volse di scatto, riconoscendo le prime note di un brano del recente album pubblicato con i ragazzi, una canzone che mai prima era stata suonata da un violino.

Guardando dietro di sé trovò una giovane donna in piedi, intenta a suonare quello strumento. Nel vederla avanzare un po' zoppicante, rimase immobile trattenendo il fiato: doveva trattarsi di un sogno, non c'era altra spiegazione!

Mordendosi le labbra Ji-Moon la scrutò alla luce fioca dei lampioni e delle lanterne che le illuminavano i capelli biondo miele, uno chignon senza un filo fuori posto in cima al capo, anche se le mani sottili erano imbrattate di inchiostro. Indossava un'enorme felpa che arrivava a fermarsi proprio sopra le ginocchia ossute delle gambe, fasciate da un paio di pantacollant a pois bianchi. Un bastone nero con strisce bianche era poggiato dinanzi ai suoi piedi, dalla curiosa impugnatura a forma di cuore.

La giovane musicista era molto alta, si muoveva seguendo il ritmo del brano. Nonostante l'evidente zoppia, ai piedi aveva un paio di scarpe da ginnastica di colore bianco e rosa e sembravano molto consumate.

Incuriosito s'allontanò dalla riva e mosse un passo in avanti con l'intenzione di colmare la distanza tra lui e lei, accettarsi che fosse reale.

Fu proprio in quell'istante che la donna smise di suonare e aprì gli occhi di scatto: tendenti all'ingiù, sottili come quelli di un gatto, erano di un colore così inusuale da fargli pensare al colore delle perle custodite gelosamente dalle ostriche sotto il mare. E continuarono a tenerlo prigioniero mentre lei riponeva lo strumento nella custodia senza dire una parola.

In quel dannato silenzio, al di là di alcuni rumori e suoni della natura e della città che riprendeva a risvegliarsi dal torpore notturno, Ji-Moon sentì improvvisamente qualcos'altro, l'accenno di una musica che aleggiava ai margini della sua psiche, note musicali mai concepite prima d'allora...

Si sforzò di imprimerle nei suoi pensieri, quasi a fuoco, anche se sotto quello sguardo cominciò a percepire imbarazzo e disagio. 

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