Capitolo trentadue - Vital Young [2.2]
Quando furono soli Vital poggiò la lettera sul tavolo mentre l'uomo la guardava con occhi incupiti.
«Sei sicura della tua decisione?» domandò mostrandosi dispiaciuto.
«Sì» rispose dura. «Mi spiace lasciarvi così, proprio quando stava andando tutto per il verso giusto...».
Il Presidente della Hit Hit scosse il capo.
«Non c'è alcun modo per convincerti del contrario?». Cambiò espressione e aggiunse: «So che il signor Young desidera il tuo ritorno a Tokyo...».
«Anche se tornassi lì, non potrebbe proteggermi per sempre e lo zio lo sa meglio di me» ribatté lei. «Sparirò per un po', tutto qui, in modo che le acque si calmino. Mi spiace averle arrecato tutti questi danni, io... non sa quanto mi rincresce quello che è successo» e si inchinò, sperando che quel gesto bastasse a celare il dolore agli occhi dell'uomo. «Non sarebbe dovuto accadere».
In silenzio Hook incrociò le dita e la guardò sottecchi.
«Tutto questo non è affatto colpa tua e non capisco, ma rispetterò la tua decisione, anche se spero ci ripenserai» disse, portando Vital a drizzare la schiena di scatto e aggrottare la fronte per la sorpresa. «Solo che credo tu stia parlando con il filtro del dolore, Vital...».
«Ho messo in pericolo tutti voi!» ribatté secca. «Quindi accetti questa» e indicò la lettera con l'indice «e non ne parliamo più».
Hook abbassò lo sguardo sulla busta; il rammarico era ben visibile sul suo volto.
Poi riaprì gli occhi e tornò inespressivo.
«D'accordo» rispose infine, afferrando la lettera. «La farò avere all'ufficio amministrativo e avvieremo le pratiche di licenziamento».
Lei lo ringraziò con un inchino profondo, per poi volgersi e abbandonare la stanza.
«Vital, la musica non muore mai, l'ho imparato non molto tempo fa» lo udì aggiungere. «Spero che le nostre strade si incrocino ancora».
Mentre la sua mano stringeva spasmodicamente il freddo acciaio della maniglia, si sforzò di non scoppiare in lacrime.
«Grazie, signor Hook» sussurrò in risposta. «Arrivederci».
Poi uscì prima che potesse ripensarci.
Trascorse i giorni restanti cercando di respirare, immergendosi nel lavoro in modo totale, come se ne andasse della sua vita e ignorando il modo in cui molti colleghi la guardavano, i bisbigli e le loro parole non appena la scorgevano in giro per l'edificio.
In quella stessa settimana una squadra di tecnici riparò l'ingresso e il corridoio vicino allo spogliatoio, sistemando e rimuovendo i segni degli spari, e fu come se nulla fosse davvero accaduto: soltanto chi vi era rimasto coinvolto sapeva la verità.
Quando il penultimo giorno vide l'edizione speciale dei Tanbang, il frutto della loro ultima fatica, sotto gli occhi, tra le sue mani, andò in bagno. Una volta chiusa la porta, si ritrovò in un pozzo di lacrime, stranita come non era mai stata: allo stesso tempo si sentiva felice ma così triste da non riuscire nemmeno a spiegarselo.
Nonostante la sofferenza, si ricompose in fretta e tornò al lavoro trattenendosi fino all'ultimo.
Poi, quando il tempo crudele scandì la fine della giornata, si diresse all'uscita dell'edificio e per l'ultima volta passò il suo badge all'entrata: uscita all'esterno, sentì una grande stanchezza pesarle sulle spalle e sul cuore.
Con lo zainetto in spalla, lentamente si volse per guardare la sede della Hit Hit e il modo in cui gli ultimi raggi del sole si riflettevano sui vetri lucidi delle finestre. Intanto nuvole pigre passavano nel cielo sopra Seoul e gli edifici e i rami dei ciliegi, in procinto di perdere i loro fiori meravigliosi e delicati, le sembrarono dita di mani che si protendevano verso l'alto e pregavano il cielo di concedere loro altro tempo.
Vital trasse un respiro profondo e strinse di più l'impugnatura del bastone, semplice e con il manico a derby, blu e nero.
«Sugohaseyo» sussurrò quel saluto affidandolo al vento.
Poi si volse e s'incamminò, immergendosi nel mare di gente che andava avanti e indietro per la strada, infine perdendosi nelle sue complicate profondità e moltitudini.
* *
Fine capitolo trentadue
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