Capitolo trentadue - Vital Young [1.2]
Per Vital parlare al telefono con i genitori fu un'impresa dura, non per il modo in cui reagì alla notizia, quanto per la sfera di sentimenti angoscianti che ancora non era riuscita a scrollarsi di dosso.
Proprio come il padre, Lory Young, di natali inglesi e una visione del mondo tutta sua, evocò la proverbiale dannazione divina quando Vital si rifiutò di partire subito e allertare anche l'ambasciata inglese in Corea, per poi minacciarla di fare fronte comune con il padre e trascinarla di peso fuori dallo Stato se fosse stato necessario.
Sentendosi più stanca dei suoi soli ventidue anni Vital chiuse gli occhi e pregò la madre di non agire in quel modo, dato che si trovava alle prese come giudice in quel celebre programma televisivo in Inghilterra.
«Darò la mia lettera di dimissioni al Presidente Hook alla fine di questa settimana, ve lo prometto, e poi tornerò a Tokyo da oji-san, da zio» sussurrò infine. «Non posso andarmene senza dargli almeno un preavviso, è uno dei punti del contratto standard che ho firmato».
Alle sue parole, dall'altro capo del telefono, calò il silenzio.
«Mi spiace, bambina mia» sentì dire alla madre dopo un po', la voce intrisa di dolore proprio come la sua. «Vorrei potere fare qualcosa...».
Lei aprì gli occhi.
«Non dire così, mamma» disse, stringendo forte lo smartphone nella mano. «Almeno ho tentato... ci ho provato».
«Sei stata bravissima» rispose lei. «Sono davvero molto orgogliosa di te».
Vital strizzò le palpebre mentre una lacrima silenziosa rotolava sulla sua guancia. Non voleva piangere; a cosa sarebbe servito?
«Ciao mamma» si congedò infine, senza sapere cos'altro dire. «Ti terrò informata quando partirò».
«D'accordo» e la telefonata terminò con un sonoro clic.
Dopodiché Vital si ritrovò sola con i suoi pensieri, le sue paure e le ferite aperte che nessuno sapeva, e si sentì come morire. Al momento si trovava nella stanza degli ospiti dell'appartamento di PJ e Hae-so: anche se era distesa sul letto, non riusciva a percepire nulla attorno a lei.
Era come se la luce si fosse spenta e si trovasse al buio, imprigionata ermeticamente dentro una stanza chiusa a chiave.
All'improvviso uno stridio di gomme sull'asfalto la fece sobbalzare sul posto e, spaventata, zoppicò verso la finestra ansimando: con paura sbirciò oltre le tende, solo per constatare che fosse colpa di un'auto che correva a tutta velocità e il guidatore impaziente aveva appena sorpassato un ambulante che ora stava lanciando anatemi.
Un brivido la scosse e comprese di avere iniziato a sudare freddo. Alla fine tornò a letto e si vergognò di sé: quella notte la passò senza dormire affatto, non staccando mai lo sguardo dal soffitto, allerta e attenta a ogni minimo rumore.
Forse avrebbe dovuto sparire per un po', pensò mesta. Un conto era dovere affrontare tutto ciò senza esitazione, ma quando quella violenza minacciava altri attorno a lei, Vital si rifiutava di coinvolgerli e metterli sulla linea di fuoco. Sì, si disse dopo, sarebbe sparita per un po', non aveva scelta: la pazienza era ciò che si ricavava dall'accettare in silenzio. Domani avrebbe consegnato la lettera di dimissioni a Hook-nim e, con quel preavviso fattogli quando erano rimasti soli, se ne sarebbe andata.
Ora infuriata, perché si sentiva impotente e indifesa, chiuse gli occhi e sentì altre lacrime salate scenderle sul volto pallido: era peggio dell'ultima volta, di quando aveva denunciato Tony e aveva dovuto ripetere mille volte com'era stato il loro matrimonio davanti ai giudici, agli avvocati e ai medici.
Era così che andava, era un vivere all'infinito la sofferenza, nessun riguardo, tutto freddo e logico mentre lei dentro crollava e perdeva pezzi di se stessa per sempre.
Alla prospettiva di abbandonare i progetti di lavoro in cui si era immersa con tutta se stessa si sentiva come se fosse stata davvero colpita dai proiettili di quella pistola automatica, come se fosse morta ancora e ora tutto il suo mondo stesse implodendo su se stesso, ogni luce andata via insieme alla speranza di un futuro.
Quale altra alternativa aveva ormai? Cosa le era rimasto?
Quelle domande continuarono a tormentarla per molto tempo.
Il giorno dopo si fece la doccia e si ripresentarono nella sua mente appena sveglia, il dolore tramutato in sofferenza, una ferita che perdeva sangue copiosamente e niente sembrava arrestare. Andò al lavoro con PJ e comportandosi come se nulla fosse accaduto: la prima cosa che fece fu chiedere a Hook-nim un incontro privato nello studio.
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