Premessa
Direi di partire dalle presentazioni.
Per chi non ci conoscesse, siamo Koira e Erre.
Cos'è invece "Chapeau"?
E perché si chiama così?
Rispondere alla seconda domanda è molto semplice. Non lo so. Chiedetelo a Erre.
Riguardo alla prima, invece: da cosa nasce "Chapeau"? E perché abbiamo deciso di intraprendere questo nuovo progetto?
Spero di non dilungarmi troppo. È più forte di me, ma cercherò di essere quanto più sintetica possibile. In caso, mi scuso in partenza.
La nostra intenzione è pubblicare con cadenza regolare capitoli (o forse sarebbe meglio dire "articoli") sulle più svariate tematiche.
Attualità, politica, arte, spiritualità...
Quello che vogliamo sia chiaro da subito è che questo spazio nasce come un luogo di informazione, ma soprattutto come un luogo di condivisione.
Per farla breve: ci interessa la vostra opinione.
E ci interessa davvero!
Non come negli spot pubblicitari che girano in tv e in radio (tipo quello dei supermercati Conad, con il macellaio, o quello che è, che addirittura fa nascere un bambino, e chi più ne ha più ne metta).
Davvero.
Giuriamo.
A fini sociologici, culturali, statistici... quel che volete voi. Ma in primis perché ci interessa di per sé. E, come a noi due, ne siamo certe, anche a chi leggerà questa sorta di rubrica. Ci interessa conoscere ciò che accade, ma ancor più le reazioni che suscita.
Perché questo manifesto?
Anzitutto perché, come dice il nome stesso, è fondamentale che la storia che stiamo vivendo, gli eventi che la punteggiano ogni giorno, siano manifesti.
Da qui il primo, cruciale punto enunciato nelle premesse: informazione.
Come possiamo pretendere di esprimere la nostra su un qualsiasi tema o argomento, se non lo conosciamo?
E non lo conosciamo perché, nel più tipico dei casi, non è manifesto.
Perché ci viene più o meno volutamente nascosto dai mezzi di comunicazione di massa, a partire dal più immediato tg, ormai quasi obsoleto, fino ai post che leggiamo su facebook, twitter, instagram...
Insomma, siamo accerchiati.
Capita talvolta, e questa è l'evenienza peggiore, che misconosciamo qualcosa perché decidiamo di ignorarla.
E l'ignoranza... l'ignoranza, in un secolo come il nostro, non è giustificata. No che non lo è.
L'ignoranza è spesso figlia della pigrizia, di quella deprecabile accidia che è uno dei mali che più infliggono la nostra era. In un'epoca in cui tutto mi è servito su un piatto d'argento, tutto è così easy, immediato, semplice, perché dovrei perdere tempo ad acquisire nozioni? Perché dovrei ingurgitare, digerire, e ancor più metabolizzare concetti e informazioni che già domani diverranno obsoleti?
Da qui il primo punto.
E il secondo?
In questi giorni ho letto su Repubblica un'interessantissima intervista a Siddhartha Mukherjee (che, per chi non lo sapesse e per farla breve, è un oncologo che ha vinto il Pulitzer grazie a un saggio che affronta la storia della lotta al cancro, "L'imperatore del male"). Bene. Intanto, se riuscite a trovarla online, leggete la sua intervista. Molto bella. Mukherjee, interrogato sul perché il progresso possa essere pericoloso, risponde, citandolo letteralmente: "I social network. Il problema è che puoi trovare accordo e disaccordo. Ma è difficile trovarci il dubbio. La cosa più bella del discorso scientifico, lo scetticismo, è abbandonata. Chi dubita smette di pensare in termini di vero o falso e di fronte a una verità si chiede: quando è vero? Di quale contesto ha bisogno per esserlo? Queste domande sono la fonte della conoscenza. Tutti i cambiamenti nella storia della medicina, della religione o della scienza si basano su una premessa: mettere in discussione ciò che si crede di sapere".
Ecco.
Leggiamo bene la risposta di Mukherjee, perché è la sintesi del secondo pilastro di questo manifesto di "Chapeau": sì informazione, ma soprattutto condivisione. Soprattutto confronto. Dubbio.
Soprattutto opinioni.
Le nostre, le vostre...
Senza bisogno che alcune di queste siano giuste e altre sbagliate.
Dire che il nostro è un periodo storico curioso, singolare, strano, atipico, non è retorica (e non è neanche uno sfoggio di sinonimi fine a se stesso). Direi che è quasi tautologia. Quello che stiamo vivendo è un Medioevo contemporaneo. Un'era sterile.
Non tanto per i frutti che sta generando, quanto per i semi che sta piantando. Per le radici che stanno sotto il terreno.
Mi spiego meglio.
Il Medioevo, come molti di voi sapranno meglio di me, non è stata un'epoca povera, tutta da dimenticare. È stata invece un'epoca piena di scoperte. Pregnante di innovazioni.
Troppe, per l'appunto.
Come quando si va a lezione e si tenta di condensare più argomenti in una sola ora. O come quando apriamo facebook, twitter e altri sociali: un turbinio di post e notizie.
Siamo accerchiati, avevo scritto.
Cosa rimane di questo vortice di informazioni?
Nulla.
O, nella migliore delle ipotesi, un'informazione sfuggente.
Torniamo al Medioevo.
Tutte le sue entusiasmanti scoperte hanno visto il loro effettivo utilizzo posticipato di molti anni (o secoli). Sono state ripescate quando meno si pensava potessero servire. E dove meno si pensava di andarle a cercare.
Penso agli occhiali da vista.
Agli orologi.
Penso alla stampa, soprattutto.
La stampa...
Ed ecco che torniamo a noi.
Alla premessa.
Al manifesto.
Chiaro, no?
P.s. Ci teniamo a dire che le posizioni prese da me e Erre, come anche le premesse di questo manifesto, sono assolutamente apartitiche. Del resto, lo siamo anche noi due.
P.s. 2 La raccolta sarà pubblicata contemporaneamente sul mio profilo e su quello di recensor.
P.s. 3 Nel prossimo capitolo troverete un manifesto scritto da recensor, che è più brava di me con queste cose.
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