2.
Dopo due ore intense di lezione, con la voglia di vivere sotto i piedi e la lentezza di un bradipo, mi fiondai fuori dall'edificio, nel giardino dove tutti gli studenti si stavano dilettando nelle proprie attività in quest'ora di pausa prima della prossima lezione faticosa.
Fortunatamente, i fratelli Myers erano già usciti dall'aula, perciò non ebbi molti problemi nell'evitarli.
Una volta raggiunto l'esterno, l'aria fresca mi colpì il viso e la respirai a pieni polmoni. Finalmente riuscivo ad incamerare aria, dato che tra quelle quattro mura mi sembrava che si fosse quasi tutta dissipata.
Non era una giornata particolarmente soleggiata, infatti qualche nuvola decorava il grigiore del cielo e il vento soffiava delicato tra le foglie degli alberi. Eravamo il California, qui era sempre caldo, eppure c'erano quei giorni in cui il cielo si dipingeva di grigio e il sole si nascondeva dietro nuvole colme di pioggia.
Ed io lo adoravo, tutto questo.
Amavo la pioggia, amavo il cielo nuvoloso e l'odore che emanavano queste giornate: sapevano di libertà.
Una volta individuati Emily e Liam, che stavano seduti sul prato a chiacchierare, m'incamminai verso di loro con un sorriso sul volto.
Finalmente, un po' di normalità.
Non volevo ammetterlo, ma quella lezione era stata particolarmente intensa, e non per le spiegazioni del professore. Ero dovuta stare sempre allerta, timorosa che Hayes tornasse o che Harvey si accorgesse di me, ma fortunatamente non era successo. Però, ero stata sempre tesa come la corda di un violino, con le pupille che viaggiavano per la stanza per assicurarmi di non incrociare il loro sguardo.
«Ehi» li salutai appena li raggiunsi.
Gli occhi chiari si Liam mi sorrisero. «Ehi, com'è andata la lezione?» Si passò una mano tra i capelli biondo cenere e mi fece il segno di sedermi accanto a lui.
«La mia è stata una noia» commentò Emily, intenta a giocherellare con il computer che reggeva sulle gambe incrociate.
La mia è stata peggio, tranquilla.
«Tutto bene» mentii.
Poi, il tonfo del computer che si richiudeva mi fece scattare, mentre la mia amica portò gli occhi nei miei e mi sorrise entusiasta. «Guarda! C'è James. Venite, ve lo faccio conoscere», trillò.
Oddio, no.
Si, James c'era, insieme ai due fratelli che volevo evitare con tutta me stessa.
«Magari li conosciamo più tardi...» farfugliai, ma ormai Emily mi aveva arpionato il polso e mi stava trascinando verso di loro. Liam, invece, si dissipò con la stessa rapidità con la quale era arrivato e si allontanò come un ninja, sua specialità, senza farsi nemmeno notare dalla nostra amica.
Da lontano, posai gli occhi sul gruppetto. C'era un ragazzo rossiccio alla destra di Hayes, mentre alla sinistra c'era il fratello, con la schiena incollata al muro e la sigaretta tra le labbra.
Intorno a loro, orbitavano due ragazze che non mi sembrava di conoscere. Una aveva lunghi capelli biondi, lisci come la seta, che solleticavano la gonna di pelle che indossava. L'altra, con i capelli ricci dello stesso colore del caffè, sembrava tutta presa a giocherellare con la mezza sigaretta che teneva tra le dita laccate di rosso.
Erano un bel quadretto, ma né io né Emily c'entravamo qualcosa con loro.
Appena li raggiungemmo, io mi tappai la bocca e serrai le labbra in una linea retta. Sentivo i nervi a fior di pelle e la voglia impellente di scappare da quella situazione. Con lo sguardo basso, aspettai che qualcuno dicesse qualcosa.
«Ehi» mormorò la mia amica quando James le intrappolò le spalle con un braccio e la trascinò verso di lui, facendola sbattere rovinosamente con il suo petto marmoreo.
Alzai gli occhi e, per un secondo, mi godetti lo spettacolo di Hayes che prendeva la sigaretta dalle dita del fratello e se la portava tra le labbra carnose e rosate. Intrappolò il filtro tra i denti e le sue iridi troppo chiare s'impigliarono nelle mie per un singolo istante.
Non può non riconoscermi...
Invece, con mia grande sorpresa, lui non disse una parola. Mi marchiò a fuoco con lo sguardo, per poi concentrarsi su Harvey che sembrava intento a parlare con la ragazza mora, al suo fianco.
Da dietro la testa di James, poi, sbucò un altro ragazzo, un biondino con il viso all'apparenza innocente, che sembrava non c'entrarci molto con gli altri.
Infatti, i due fratelli erano ricoperti di tatuaggi dalla testa ai piedi. L'inchiostro sbucava indisturbato dalle maniche corte della maglietta bianca di Hayes e finiva con colorargli le nocche arrossate, come se avesse fatto a pugni poco fa.
Quell'ipotesi mi stranì.
«Allora, non ci presenti la tua amica?»
A risvegliarmi dai miei pensieri fu proprio quel loro amico con il viso angelico, che mi regalò un sorriso dolce e mi scrutò dalla testa ai piedi.
Però, Emily, occupata com'era ad affondare la lingua nella bocca di James, non fece nemmeno caso a noi e mi ignorò completamente.
Perfetto. Fortuna che dovevo farmelo conoscere, Em.
«Ehm...» mormorai, in preda all'ansia e agli sguardi di tutti loro, che ora ero puntati su di me. «Sono Selene Brown» dissi con un sospiro.
Hayes si voltò nella mia direzione. Incollò la schiena al muro alle sue spalle e iniziò a soffiare il fumo in aria, creando una strana condensa che si addensò davanti al mio sguardo. I suoi occhi erano nei miei ed io mi sentii stranamente in soggezione, sotto il suo sguardo attento.
Sembrò analizzarmi per un istante, come se volesse capire chi ero o, semplicemente, voleva prendersi qualche secondo per osservarmi davvero.
Mi riconosci?
Poi, spostò lo sguardo sui suoi amici. «Perché questa è qui con noi?» domandò disinteressato. La sua voce era roca per il fumo che raschiava la sua gola e abbastanza bassa da provocarmi un brivido lungo la colonna vertebrale.
Scusami?
La sua domanda provocò una risata delle ragazze e del fratello, mentre il biondino sembrava non aver intenzione di ridere. Io, però, avevo voglia di scappare via e rintanarmi in casa mia.
La sua maleducazione mi diede sui nervi. Mi ritrovai a stringere i pugni lungo i fianchi mentre le mie sopracciglia si increspavano.
«Credo di non aver capito bene» pronunciai con voce dura, alzando il mento per dissipare tutta l'ansia che sentivo scorrermi nelle vene.
Non capivo il motivo di queste parole dure nei miei confronti.
Non volevo fargli credere che mi sentissi male per ciò che aveva appena detto, così nascosi tutto l'imbarazzo che provavo e tirai fuori la parte coraggiosa che risiedeva dentro di me.
Lui alzò un angolo della bocca, regalandomi la visione del suo ghigno perfido. I due specchi rotti che si trovava al posto degli occhi erano sui miei. «Secondo me hai capito benissimo, invece.»
«Hayes, e dai.» Fu il biondo a parlare, di cui ancora non avevo capito il nome.
Increspai le sopracciglia e lo guardai con curiosità. Perché mi stava trattando in quel modo? Trattava così chiunque, o ce l'aveva solo con me?
«Se vuoi scopartela, Trevis, fa' pure, ma dille di levarsi dal cazzo» sputò innervosito.
Ma che diavolo vuole?
Ma che volgarità, poi...
«Ma che fastidio ti da?» domandò Trevis, confuso dall'atteggiamento del suo amico. Infatti, una leggera ruga gli si formò sulla fronte liscia.
Emily, aiutami. Cercai conforto nella mia amica, ma si era allontanata di qualche passo e stava baciando con fervore il suo nuovo...amico? Fidanzato?
Hayes fece scorrere lo sguardo su tutto il mio corpo con fare intimidatorio. Mi graffiò la pelle delle spalle, per poi scendere fino alle gambe che strinsi di riflesso. I suoi occhi addosso erano lame taglienti che mi solleticavano la pelle.
C'era una strana aura oscura intorno a lui. Aveva quest'aria che metteva in soggezione chiunque, ed io mi sentii così piccola sotto i suoi occhi spietati.
«Vogliamo fumare in pace, ci danno fastidio le mosche fastidiose.» Questa volta, fu la voce bassa di Harvey a parlare, causandomi uno sguardo stupito verso la sua direzione.
«E io sarei una mosca fastidiosa? Ma se nemmeno vi ho rivolto la parola!» M'indispettii.
Mi stavano trattando malissimo senza alcuna ragione apparente, e per quanto fossi timida, non mi sarei lasciata mettere i piedi in testa tanto facilmente.
Non esisteva.
Razionalmente, avrei dovuto girare i tacchi e andarmene il più lontano possibile. Ma la verità era che, la parte irrazionale di me, si divertiva a giocare con il fuoco. E loro due, per me, erano sempre stati il caos più totale.
Mi chiesi se davvero fosse possibile che non mi avessero riconosciuta, ma questo non spiegherebbe il loro astio nei miei confronti.
Uno sbuffò tagliò l'aria. «Oddio, sei ancora qui?» chiese Hayes con tono divertito, scatenando una risatina da parte del fratello. Poi, senza preavviso, strinse il fianco della ragazza bionda e la fece sbattere sul suo petto, per poi portarle la sigaretta alle labbra, facendola aspirare il fumo direttamente dalle sue dita ricoperte di anelli.
Quell'immagine, seppur fosse innocua, mi provocò una voragine all'altezza dello stomaco.
«Hayes, ma perché questa è davanti a noi?» civettò la bionda, incastrando gli occhi languidi in quelli del ragazzo, che sembrava più interessato a provocarmi, piuttosto che assecondarla.
«Io sono Trevis, comunque» si presentò il ragazzo di prima, interrompendo lo sguardo in cagnesco che stavo riservando ai due fratelli.
A quanto pareva, Trevis sembrava abituato alle loro parole e non gli dava il peso che invece gli stavo dando io.
«Io sono Trevis, comunque» scimmiottò Hayes con tono derisorio, facendo il verso al suo amico.
Ora lo prendo a pugni.
«Si, l'avevo capito» risposi con un sorriso.
«Non far caso a loro, sono dei trogloditi» sussurrò vicino al mio orecchio.
«Avevo capito anche questo.»
«Andiamo via da qui. Questo posto ha iniziato a puzzare di...» Hayes fece una breve pausa, incastrando gli occhi nei miei e sfoggiando la sua espressione disgustata. Mi passò di fronte e si fermò a pochi centimetri dal mio viso, facendomi respirare l'odore acre del tabacco che aveva appena fumato. Mi fissò con crudeltà, come se volesse pugnalarmi solo con le sue iridi chiare. Quello che c'era nel suo viso era disprezzo, disgusto, un qualcosa che non sapevo ancora identificare con certezza. «...pezzente» ringhiò a pochi centimetri dalle mie labbra, sputandomi addosso tutto il fumo che aveva aspirato, prima di darmi una spallata che per poco non mi fece cadere a terra, per poi andarsene, seguito dalle ragazze e dal fratello.
Ma che diavolo volevano da me?
Pezzente?
Davvero non mi avevano riconosciuta, o mi odiavano a tal punto da farmi questo?
Perché mi odiavano? Ero io a odiarli, non il contrario.
«Scusami, Selene, devo andare anch'io.»
Mi ero quasi dimenticata di Trevis.
«Oh, certo, non preoccuparti.»
«Ci vediamo in giro.» Mi fece l'occhiolino, prima di allontanarsi.
Mi guardai intorno. Ma dov'era finita Emily?
Mi ritrovai da sola, incamminandomi verso l'aula della lezione successiva. Era ancora presto, eppure non sapevo dove altro sarei potuta andare. I miei amici sembravano spariti nel nulla, mentre le parole di Hayes Myers continuavano a vorticarmi nella mente come lame affilate che s'incastravano nel mio cervello.
Era stato crudele. Entrambi lo erano stati, ma quello che aveva detto Hayes mi aveva impappinato la mente.
Non capivo il perché del suo atteggiamento. Aveva fatto finta di non conoscermi, o davvero ero così diversa dalla ragazzina che si ricordavano loro?
E se mi avessero riconosciuta, come mi avrebbero trattata?
Scrollai la testa, dovevo smetterla di pensare a loro. L'unica cosa che dovevo fare era stare lontana da quei due trogloditi. Che mi avessero riconosciuta o no, una cosa era certa: entrambi non mi volevano con loro e l'avevano fatto intendere benissimo.
Bene, sarebbe stato facile. Li avrei evitati per tutto l'anno, se fosse stato necessario.
Con la testa sovrappensiero, m'intrufolai nell'aula di Inglese e attesi che arrivasse il professore.
Ero a casa da ormai qualche ora, sdraiata sul letto con tutta l'intenzione di leggermi un buon libro e alleggerire i miei pensieri, quando il mio cellulare, posato sul cuscino, vibrò per l'arrivo di una notifica.
Era Emily.
Mi accompagni all'Havana stasera?
All'Havana? Ma era per caso impazzita?
Ti sei accorta che è lunedì e fra poche settimane abbiamo gli esami? Devo studiare.
Risposi rapidamente, ma lei sembrò non accettare le mie parole, dato che si affrettò a chiamarmi.
«Ehi» risposi. «Non ci vengo.»
«E dai! Ci sarà anche James!» trillò.
Altro motivo per raggomitolarmi sotto le coperte. Se c'era lui, ci sarebbero stati anche gli altri, ed io volevo evitarli come la peste.
«Appunto. Poi mi lascerai da sola con quei dementi come hai fatto oggi» mi lagnai, ancora innervosita dal suo abbandono.
Sentii un sospiro dall'altro capo del cellulare. «Ti prometto che non lo farò di nuovo. Mi conterrò» rise. «Dai, Selene, ti prego! Non posso mica andarci da sola.»
«No» dissi categorica.
«Facciamo un patto.»
«No» sbuffai, passandomi le mani tra i capelli con fare infastidito.
«Se ci vieni, prenderò la macchina per portarti all'università per un mese intero» propose, la sua voce era carica di suppliche.
«Emily...» la redarguii. Odiavo quando le persone insistevano.
«Okay, allora per due mesi» rilanciò.
«Ma non puoi stare un giorno senza vederlo?» sbuffai.
Lei emise un lamento soffocato. «No. Voglio troppo vederlo. Ma l'hai visto, quant'è bello?» La sua domanda era retorica.
«Meraviglioso» ironizzai. «Come i suoi amici» borbottai scorbutica.
«Cosa posso fare per convincerti?» insistette.
«Ma non hai altre amiche da torturare?»
La sentii ridacchiare. «Si, ma voglio che ci venga tu.»
Paraculo.
Purtroppo, le mie capacità di dire no alla mia amica erano davvero poche.
«Prometti che non mi lasci sola?» mormorai.
Lei rise di gusto, capendo che ormai avevo accettato. «Te lo giuro, Selene. Croce sul cuore.»
E risi anche io, consapevole che si era davvero disegnata, con le dita, una croce all'altezza del cuore.
«Passo a prenderti alle otto», m'informò sbrigativa, prima di riattaccare e lasciarmi il tempo materiale per prepararmi.
Sospirai.
Sarà una serata intensa...
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