Capitolo 8
Non so quanto tempo passò, ma quando alzai la testa i miei genitori mi guardavano spaventati, probabilmente aspettavano che scoppiassi. Ma non lo feci.
Mi sedetti composta, inspirai, e dissi semplicemente: "Okay". L'aria intorno a noi si era fermata. Tutto era immobile, così come anche le facce dei miei genitori che mi guardarono con aria perplessa. Mia madre poi prese parola e chiese: "Okay?", inclinando leggermente la testa da un lato.
"Si." esordii, "Okay", e feci una cosa della quale mi meravigliai anch'io, sorrisi.
I miei mi guardavano come fossi diventata pazza. Mio padre si alzò dal tavolo e poggiando una mano sulla mi spalla sinistra disse: "Cara, hai ascoltato quello che ti abbiamo detto?".
Certo che li avevo ascoltati, e so che si aspettavano che reagissi male, ma questa storia (per quanto assurda) spiegava un sacco di cose. Spiegava perché mi sentivo in tale sintonia con la natura. Spiegava i miei sbalzi d'umore, i miei comportamenti contraddittori, i miei...
I miei pensieri vennero interrotti dal suono del campanello. La più veloce ad alzarsi fu mamma che quasi corse ad aprire. Poco dopo entrarono in cucina Daniel e Vanessa.
Daniel.
Vanessa.
Erano stati completamente cancellati dalla mia mente. Ma le mie gambe furono più veloci dei miei pensieri e si alzarono correndo e saltando in braccio al mio ragazzo. Lui, sorpreso, si lasciò scappare un gemito e barcollò un po' prima di stabilizzarsi e stringermi a lui, posando la sua testa sull'incavo del mio collo. Mi mancava da morire il suo odore, ma fino ad allora non me ne ero resa conto.
Una volta scesa da in braccio a Daniel mi catapultai su Vanessa che, nel frattempo, mi aveva scrutata da testa a piedi con un cenno di apprezzamento. Mi era mancata anche lei.
Non feci caso al fatto che loro sapevano ciò che mi sarebbe successo e che non mi avevano avvisato, data la grandezza della situazione compresi che il discorso andava fatto al momento giusto.
E fu lì che mi ricordai una frase detta dalla mamma qualche ora prima.
"Avevano detto che sarebbe successo ai suoi 17 anni."
Mi voltai verso di lei e parlai: "Cosa significa che sarebbe dovuto succedere ai miei 17 anni? Cosa comporta?".
Lei, aprì la bocca formando una piccola O di stupore, ma poi sembrò ricordarsi di averne parlato con mio padre e intuì da sola che l'avevo sentita.
Fece un respiro e disse: "Prima di lasciarti a noi i tuoi genitori ci raccomandarono di stare attenti il giorno del tuo diciassettesimo compleanno poiché tu saresti diventata una di loro...", sentii Daniel stringere la mia mano e muovere il pollice in un piccolo cerchio, così da restituirmi tutta la calma e la pace che mi era mancata nelle ultime 24 ore.
"... Ci hanno detto che allora ti avrebbero cercata e che si sarebbero occupati di tutto loro. È per questo che io e tuo padre siamo preoccupati...", si, la preoccupazione nei suoi occhi si leggeva a miglia di distanza, preoccupazione di non saper comportarsi, preoccupazione di non essere in grado di soddisfare le mie esigenze, ma io non ero diversa da come ero ieri, ero sempre io, Charlotte, con un paio di ali in più e una strana tinta in testa, ma ero io. E questo dovevo dirglielo.
"Mamma...", a quanto pare sentirsi chiamare così dopo tutto ciò che avevo saputo per lei era una novità poiché sobbalzò impercibilmente sulla sedia e i suoi muscoli di tesero. Ma anche se sapevo la verità (lei non era la mia mamma biologica), io la consideravo comunque mia madre.
È stata lei a crescermi, a vedermi piangere, ridere, schifarmi, divertirmi. È stata lei ad insegnarmi ad andare sulla bicicletta quando ero piccola e sempre lei mi ha disinfettato e curato le ferite. Era con me dopo che il mio primo ragazzo mi scaricò ed è stata con me ogni giorno da quando ne ho memoria. Solo perché non abbiamo lo stesso sangue non vuol dire che lei non sia mia mamma.
Continuai: "... non hai motivo di preoccuparti, io non sono cambiata. Certo ho dei capelli buffi e delle piume attaccate alla mia schiena ma sono sempre io. Tua figlia. Non devi aver paura di me."
Non sembrava convinta, ma proprio per niente. Così iniziai ad alterarmi e desiderai che quelle stupide ali e quei stupidi capelli colorati sparissero.
Mamma sgranò gli occhi e mi fissò incantata.
Papà fece lo stesso.
Guardai il mio riflesso sul frigo e sia le mie ali che i miei capelli petrolio erano spariti.
Quattro paia di occhi erano tutte puntate su di me, e dalle loro espressioni dedussi che non era programmato.
Dopo poco vidi la mamma con le lacrime agli occhi, lacrime di gioia, e la vidi annullare la distanza che ci separava e stringermi a se. Fu lì che la consapevolezza di tutto ciò che mi era stato detto e di tutto ciò che era accaduto nelle ultime ore mi cadde addosso, e iniziai a piangere.
Mia madre mi strinse più forte e all'abbraccio si aggiunse mio padre, il chè non fece altro che peggiorare la situazione.
Piangevo a dirotto, ma riuscivo a sentire Daniel e Vanessa spostarsi nell' angolo opposto della stanza e parlare a bassa voce tra di loro.
Fù allora che mi ripresi, decisi di smettere si piangere, non risolveva i miei problemi, non serviva assolutamente a niente. Io dovevo sapere di più.
Sciolsi l'abbraccio e dissi sottovoce ai miei, come se fosse un segreto: "Vi voglio bene, e questo non cambierà mai".
Ora erano loro che stavano per scoppiare in lacrime, così si congedarono velocemente con i due ospiti e in meno di tre secondi erano spariti in camera da letto.
Mi distruggeva il cuore vederli in quelle condizioni, ma io avevo bisogno di capire.
Mi rivolsi alla mia migliore amica: "Vanessa, perdonami, sono stanca. Vorrei riposare, e prendere atto di come il mio mondo sia cambiato completamente.", mi avvicinai a lei e la abbracciai, forte.
Lei ricambio la stretta e mi sussurrò: "Se avrai bisogno di qualsiasi cosa, saprai dove trovarmi.", salutò Daniel con un gesto della mano ed un cenno della testa e si dileguò.
Rimasi in silenzio fin quando non sentii scattare la serratura.
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