Capitolo 6
Era troppo in troppo poco tempo, non riuscivo a parlare, a ragionare, a capire cosa mi stesse succedendo, non riuscivo a fare niente.
"Che c'è principessina, il gatto ti ha rubato la lingua?" esordì lui. Tra tutte le cose a cui avrei dovuto pensare me ne venne in mente solo una, perché continuava a chiamarmi così?
Ma prima che io potessi esporre la mia domanda Daniel mi si parò d'avanti con fare protettivo e quasi ringhiando: "Lasciala in pace Marcus".
Di tutta risposta quell'altro ghignò e disse: "Altrimenti?"
Non ce la facevo più, così mi misi in mezzo a loro con le braccia aperte, scossi la testa e presi un po' di coraggio dicendo: "Smettetela voi due, sembrate due bambini di quattro anni, siete ridicoli.".
Poi mi voltai verso Marcus e parlai fra i denti: "Tu, sparisci immediatamente di qui".
Lui spalancò gli occhi, ma poi con fare divertito alzò le mani in gesto di resa: "Come preferisci, bambola.", detto questo sparì nel nulla e con un forte mal di testa mi girai verso Daniel dicendogli: "E tu, mi devi una spiegazione.".
Dovetti essere molto convincente perché si limitò ad annuire e ad avvicinarsi a me senza protestare, ma quando stava per iniziare a parlare la sentii.
Era la voce di mia madre in lontananza che mi chiamava. Andai nel panico. Iniziai a scuotere Daniel chiedendogli cosa fare ma lui non sembrava agitato, anzi sembrava rilassato. Non capivo (tanto per cambiare, come se capissi qualcosa delle ultime ore), se mi avesse vista in queste condizioni cosa sarebbe successo? Se mi avesse vista con questi cosi dietro la schiena cosa avrebbe pensato?
Ma non ebbi il tempo di rispondere alle mie domande che la mamma mi raggiunse, ancora urlando: "AMORE MIO DOVE SEI?! AMORE..."
Si bloccò nel vedermi, gli occhi sgranati in un espressione di pura agitazione e preoccupazione. Poco dopo al suo fianco comparve papà, e lì fu la mia fine.
Appena vidi delle lacrime scendere dal viso di mia madre pensavo che il mio mondo fosse finito, ma poi vidi papà sussurrarle qualcosa e la vidi calmarsi.
Vennero verso di me entrambi, il battito del mio cuore accellerò e l'aria intorno a me diventò più rarefatta. Avevo paura. Ma quando furono ad un solo passo da me notai che nei loro occhi non c'era tristezza, ma ammirazione.
Non feci in tempo a rendermene conto che mi saltarono addosso stringendomi più forte che potessero e farfugliando qualcosa che non capii l'un l'altro.
Poi si allontanarono da me e mi guardarono.
Papà fu il primo a parlare: "Ma guarda come sei bella figlia mia."
Ero scioccata da una rivelazione del genere così lo guardai con aria interrogativa, e allora fu mamma a parlare: "È meglio se la portiamo a casa, John.", mio padre fece cenno di si con la testa e dopo non ricordo molto, so solo che c'era qualcuno che mi teneva per mano e mi guidava, ma non sentivo e non vedevo niente, ero come in trance.
E poi non ricordo più niente di niente. Solo il buio.
***
Mi svegliai dopo un paio di ore, ero sul mio letto e anche se non avevo idea di come esserci arrivata ero felice di essere a casa. C'era qualcosa però di diverso, anche se non riuscivo a capire cosa. Mi tirai su a sedere sul letto per massaggiarmi le tempie.
"Avevano detto che sarebbe successo ai suoi 17 anni."
"Lo so cara, lo so."
Le voci dei miei genitori due stanze più in la' si sentivano fino qui, le pareti non erano mai state troppo spesse da contenerle, non che fosse mai servito, non avevamo segreti in famiglia. Fu allora che ricordai. Mi rigettai all'indietro sul materasso e iniziai a inspirare ed espirare rumorosamente fino a non sentire più di cosa stessero parlando.
Se magari avessi fatto finta di niente me ne sarei dimenticata, pensai. Così entrai in bagno, azionai la doccia permettendole di far riscaldare l'acqua e mi guardai allo specchio.
Mi toccai i capelli pensando fosse uno scherzo, ma non era così. I miei capelli biondi, i miei bellissimi e lucenti capelli biondi erano diventati color verde petrolio. Continuavo a toccarli senza capire come potesse essere successo, ma poi qualcos'altro catturò la mia attenzione, le mie ali.
Era la prima volta che le vedevo sul serio. Erano piene di sangue ormai asciutto. Feci una piroetta per guardarle meglio. Avevo davvero le ali. Erano lunghissime e mi facevano praticamente da strascico, le toccai per la seconda volta quel giorno e chiusi gli occhi, erano morbide al tatto, e fremevano come per magia mentre le accarezzavo.
Aprii gli occhi ed erano spalancate alle mie spalle, erano davvero grandissime e di un grigio strano, sembrava che tendessero al nero e al bianco allo stesso tempo. Fu allora che capii che ignorare la situazione non sarebbe mai bastato. Ormai le cose erano cambiate. Io ero cambiata.
In tutto questo mi ero completamente dimenticata l'acqua aperta nella doccia così mi tolsi i vestiti impregnati di sangue e terreno, nonché strappato e mi decisi ad entrarci.
***
Quella doccia fu un toccasana per i miei pensieri e per i miei muscoli. Certo, ci misi un po' per comprendere come e con cosa lavare le mie nuove compagne di viaggio ma alla fine ce l'avevo fatta.
Devo ammettere che ci rimasi più del dovuto sotto lo scorrere dell'acqua, ma mi era servito per riflettere. Alla fine mi decisi ad accettare la situazione: la mia vita, da quel momento sarebbe cambiata radicalmente.
Presi dall'armadio una maglietta e la poggiai sulla scrivania, aprii il cassetto al di sotto e presi delle forbici. Feci due tagli sulla parte della schiena e pregai che questo bastasse a far passare le ali, e che non dovessi distruggerla completamente.
Fortunatamente funzionò, infilare la maglietta era stato molto più facile del previsto: quelle due enormi cose che avevo attaccate alla mia schiena per quanto grandi si muovevano a mio piacimento, come se avessi altri due arti del corpo (e probabilmente era così).
Infilai un paio di pantaloni della tuta verde scuro, mi legai i capelli in una coda di cavallo e mi guardai nuovamente allo specchio. Dovevo ammettere che non ero niente male conciata in quel modo, strana si, ma credo che ci avrei fatto l'abitudine.
Distolsi lo sguardo dallo specchio e, una volta infilate le mie ciabatte, uscii dalla stanza dirigendomi verso la cucina, laddove si stava per affrontare un discorso che nessuno era ancora pronto a fare.
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