Capitolo 10
Purtroppo però i miei sogni non potevano realizzarsi, avevo tante domande da fare ed altre tante spiegazioni da chiedere. È qualcosa mi diceva che c'era poco tempo.
"Daniel?", chiesi.
"Mh?", mugolò lui.
Mi misi seduta e iniziai a pensare a quale, di tutte le domande che avevo in testa, potevo fargli in quel momento. Poi decisi di chiedergli dei miei genitori: "Parlami di Ariel.".
Lui tirò un sospiro, e sconfitto si sedette difronte a me per iniziare a parlare: "Ariel era l'angelo più bello di tutto il paradiso, la prediletta, l'unica con la quale Lui parlava. Aveva delle maestose ali bianche, che le facevano da strascico, lunghissimi capelli biondi e degli occhi del colore del cielo...", chiudo gli occhi cercando di immaginarmela, ormai per la seconda volta oggi, senza successo. Ci rinuncio.
"...Era come una madre per tutti noi, era sempre presente per tutti ad ogni ora della notte e del giorno, il nostro punto di riferimento. I più grandi del paradiso le facevano la corte. Michele, Gabriele, Raffaele, Uriele. Ma nell'ultimo periodo lei era sempre meno radiosa...", mi trovai ad essere triste per una ragazza della quale conosco solo il nome, ma che per me risponde al nome di mamma.
"...e un bel giorno, al rientro dalla sua passeggiata, tutta la tristezza da lei accumulata sembrava sparita. Era tornata la Ariel di sempre. Eravamo tutti al settimo cielo, fin quando Michele non notò una piuma nera nelle sue candide ali bianche. Ciò poteva significare solo una cosa. La più pura del paradiso si era lasciata abbindolare dal Diavolo.", la sua espressione era contrariata, ma senza rabbia, solo tristezza.
"Michele andò su tutte le furie e lei esordì dicendo: [Che senso ha, la nostra esistenza, se non possiamo essere felici, se non possiamo scegliere per noi stessi?!]. L'arcangelo restò sbigottito da quelle parole.
Era ormai caduta nel peccato.
Un angelo mai dovrebbe pensare cose del genere, ben che meno lei, che doveva essere colei che da l'esempio. Ma Ariel non diede il tempo di rispondere alla sua domanda che spiccò il volo, e da allora nessuno più la rivide.
Sono passati ormai 16 anni e 9 mesi da quando lei è sparita, e non si hanno più sue notizie. Il paradiso è andato avanti, ma non è la stessa cosa senza di lei. Sono anni che il nostro Dio non parla con nessuno di noi.", l'espressione frustrata di Daniel mi spinse ad abbracciarlo, e lui lasciò che io lo facessi, e lo coccolassi, fin quando non a sentì di nuovo pronto per parlare.
Ma prima che lui potesse iniziare, sentimmo una voce, a me familiare, chiamare il suo nome.
Ci guardiamo intorno, senza vedere nessuno, quando dalle nostre spalle una voce parlò: "Charlotte Few, quale piacevole sorpresa.".
Ci girammo di scatto, e rimasi di sasso: "Cail?" chiedo, spaesata.
"Lo conosci?" chiese Daniel, guardando prima me, poi Cail, poi di nuovo me.
"S-si...", ammisi, "...più o meno."
Il nuovo arrivato mi sorrise, e poi si rivolse al mio ragazzo: "Fate una passeggiata?".
Daniel, ripresa la capacità di parola, ignorò la domanda e chiese: "Come vi conoscete?".
Nello stesso istante in cui io chiesi, curiosa: "Cosa sei?".
Cail sfoggiò il suo miglio sorriso e rispose: "La tengo sotto controllo da un po' a questa parte, e può darsi qualche volta io mi sia fatto vedere, forse...", Daniel accanto a me si innervosì visibilmente e la tensione aumentò, ma il ragazzo davanti a noi riprese come se nulla fosse: "...e per rispondere alla tua domanda dolcezza, sono un ibrido." e sorrise, di nuovo.
Daniel strinse i pugni: "Non fidarti di lui Charlotte, può giocare con la tua mente." mi avvertì, ma io non ci feci caso e partii in quarta chiedendo: "Cos'è un ibrido?".
Cail, con aria fiera rispose: "Il figlio di un angelo e di un demone, mi sembra ovvio".
Rimango scioccata, e dopo svariati secondi: "Proprio come me", riflettei ad alta voce.
Ma fu in quel momento che Daniel raggiunse il culmine e sbottò: "Stalle lontano!".
Il nostro interlocutore ridacchiò e disse: "Ci vediamo in giro, mademoiselle", e con un ampio inchino (continuando a ridacchiare fra se e se), sparì dalla nostra visuale.
Solo una volta che lui non fu più presente Daniel iniziò a calmarsi.
"Perché lo hai cacciato?", chiesi confusa al mio ragazzo.
"So che ti sembra fantastico che al mondo esista una persona come te...".
Nel fra tempo abbassai lo sguardo sulla nuvola sulla quale ero in piedi e sussurrai, debolmente: "Non credevo ce ne fossero altri...", titubante tra la gioia e la continua confusione.
"... ma lui ha scelto il male, Charlotte, gioca con le nostre menti, si diverte a rendere pazza la gente...", continua lui, ma ormai avevo smesso di ascoltarlo.
Nel fra tempo che David continuava a mettermi in guardia su di lui, io pensai a quante cose avrebbe potuto insegnarmi, al fatto che magari potevamo diventare amici, e che io potevo iniziare a smettere di sentirmi un fenomeno da baraccone.
Una piccola speranza si insinuò nella mia mente e mi fece sorridere. Ma Daniel mi fa tornare alla realtà scuotendomi e chiedendomi: "Mi stai ascoltando?".
Non risposi alla sua domanda, piuttosto sentii la rabbia montarmi dentro ed esplosi: "Perché non mi hai detto niente?!", ma non gli lasciai il tempo di rispondere che ribattei: "Hai idea di come mi sia sentita io quando mi sono trasformata? No, non lo sai. Tu non hai mai dovuto provare questa emozione.".
Lui alzò un dito per ribattere, ma poi fece ricadere il braccio lungo la schiena mentre io continuavo: "Magari sapere che qualcun'altro poteva capirmi mi avrebbe fatta star meglio. Spiegami perché non me lo hai detto?! Spiegamelo...".
La rabbia svanì, lasciando il posto alla delusione.
"Non c'è stato tempo...", disse Daniel, in un sussurro.
E nel mio cuore sapevo che aveva ragione. Ma, per qualche motivo a me ignoto, dissi con voce fredda: "Ho bisogno di tempo per metabolizzare tutto quanto, è stata una giornata molto pesante.".
Senza dire una parola mi si avvicinò ed io gli salii in grembo, per poi spalancare le sue ali e iniziare a scendere.
Pian piano salutai il bellissimo cielo che mi circondava per tornare alla notte scura e senza stelle di quella sera a Londra, perdendomi ad ammirare le mille luci di questa città frenetica.
Mi accorsi di essere arrivata a casa solo quando poggiai i piedi per terra, spinsi leggermente la porta di casa e questa si aprì con un lieve rumore.
Mi rigirai verso Daniel che ormai aveva ritirato le sue ali e, con un volto triste, sussurrò un rapido "Buonanotte", prima di avviarsi al cancelletto del mio giardino.
Ma io lo presi per un polso, lo bloccai e dissi: "No, ti prego questa notte resta con me.".
Mi guardò non convinto.
"Ti prego", riprovai.
E questa volta la ebbi vinta. Lo presi per mano e lo portai dentro casa, chiudendo il portone d'ingresso.
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