Mi sto facendo una cultura


Nome: Jakob (versione slovena dell'italiano "Giacobbe", esso risulta esser un nome di tradizione biblica, portato nell'Antico Testamento da Giacobbe, chiamato anche "Israele", figlio di Isacco e di Rebecca e padre dei fondatori delle dodici tribù d'Israele; etimologicamente deriva dall'antico nome ebraico "יַעֲקֹב" ["Ya'aqov"], dall'origine non poco discussa. Secondo le spiegazioni tradizionali significa "colui che tiene il calcagno", "colui che prende per il calcagno" [da "'aqebh", "calcagno", "tallone"] o "colui che soppianta", "soppiantatore" -poiché secondo la narrazione biblica, Giacobbe nacque tenendo il tallone di suo fratello gemello Esaù, e da adulto gli rubò la primogenitura; secondo altre teorie, deriverebbe invece da un nome ipotetico come "יַעֲקֹבְאֵל"
["Ya'aqov'el"], basato sulla radice "qb" ["proteggere"] e avente il significato di "possa Dio proteggere", "Dio protegge"o "Dio ha protetto", ma potrebbe anche avere origini babilonesi, col possibile significato di "Dio ricompensa".
L'ebraico "יַעֲקֹב" ["Ya'aqov"] -che nel primo secolo avanti Cristo era uno dei nomi più diffusi fra gli ebrei del tempo- passò in greco come "Ιακωβος"
["Iakobos"] e venne adattato in latino in due diverse forme: "Iacobus" e "Iacomus"; dalla prima delle due derivano i nomi "Giacobbe" e "Jacopo", mentre dalla seconda, più tarda, si è sviluppato "Giacomo". Alcune altre lingue [come l'inglese, con "Jacob" e "James"] hanno a loro volta tale distinzione, ma nella maggioranza non esiste distinzione, ed entrambi i nomi sono riuniti sotto una sola forma. In italiano il nome gode di scarsa diffusione, a differenza di "Giacomo", del quale viene considerato una semplice variante; per quanto riguarda la lingua inglese, durante il Medioevo "Jacob" era usato perlopiù dagli ebrei mentre fra i cristiani, che fino ad allora avevano preferito "James", si diffuse con l'avvento della Riforma protestante)

Cognome: Jakob risponde bizzarramemte al cognome di "Nowak"; benchè il suo nome sia in realtà slovena, ella risulta esser di origini polacche, terra alla quale è particolarmente legata.
Il Paese fu abitato inizialmente dai Celti nella Slesia e nella Polonia occidentale tra il IV e il I secolo a.C., quando comparvero anche i Germani; a partire dal V e VI secolo d.C. entrambi i popoli vennero assorbiti dalle popolazioni slave occidentali; tuttavia l'antico Regno polacco cominciò a prendere una forma unitaria solo nella metà del X secolo, sotto la dinastia dei "Piast", e per la precisione sotto Mieszko ("Miecislao"): infatti risulta che nel novecentosessanta, dopo aver riunito intorno alla rocca di Gniezno una prima rudimentale comunità nazionale, qui si scelse anche la bandiera che ancora oggi è quella della Repubblica di Polonia, un'aquila d'argento -di colore bianco- su sfondo rosso.
Secondo la leggenda si scelse questo tema a causa del ritrovamento di un nido di aquilotti durante i lavori di costruzione della città di Gniezno; Miecislao si convertì successivamente al cristianesimo, secondo alcuni per compiacere sua moglie, una principessa Boema, ma sicuramente anche per godere della protezione della Chiesa ed evitare la colonizzazione germanica.
Nel XII secolo la Polonia si frammentò in molti piccoli stati, che nel milleduecento vennero depredati dalle armate Mongole dell'Orda d'Oro: sotto la dinastia Jagellone, venne accordata un'alleanza con la vicina Lituania, e l'epoca d'oro arrivò nel XVI secolo con l'unione tra i due stati ("Unione di Lublino"), nella Confederazione polacco-lituana; durante il XVI secolo, a seguito delle vittorie contro la Russia, la Confederazione riuscì ad imporsi come una delle maggiori potenze in Europa: tuttavia la scarsa centralizzazione del potere regio e la natura elettiva di questo, la portò con il tempo ad indebolirsi fino a quando non venne letteralmente spartita dall'Impero austro-ungarico, dall'Impero prussiano e dall'Impero russo.
I sudditi polacchi godevano di grande libertà ed esisteva un sistema parlamentare, anche se i benefici di quest'ultimo erano limitati alla "szlachta" ("nobiltà"); da quel tempo i polacchi si sono dati il nome di Nazione della gente libera.
Nel milleseicento, la Polonia perse la Seconda guerra del nord contro la Svezia, e ciò diede inizio al cosiddetto "Potop" ("diluvio"), che si concluse nel milleseicentosessanta con la "Pace di Oliva", o "Oliwa"; vi furono inoltre numerose guerre contro l'impero ottomano, la Russia, la Svezia, la Transilvania e la Prussia-Brandeburgo che finirono nel milleseicentonovanta.

Età: L'età di Jakob? Difficile a dirsi, no? Quanti anni potrebbero mai esserle affibbiate? Quanti le sue delicate e fragili spalle potrebbero sostenere? Quattordici, forse quindici? È una possibilità che a primo impatto certamente non potrebbe esser esclusa, per quanto distante dalla realtà essa sia; il solo pensiero che ella possa superare la soglia dei sedici anni pare quasi inconcepibile, impossibile, per quanto il suo esser una venticinquenne a "tutto tondo" affermi il contrario

Aspetto fisico:

Insomma...Il motivo per la quale la sua reale età possa destare sconcerto è ovvio, fin troppo palese: il suo aspetto parla da sé! Sarebbe quasi paragonabile ad un insetto bloccato irrimediabilmente in una goccia d'ambra che osserva placidamente lo scorrere inesorabile del tempo, nemico di tanti ma che oramai sembra non sfiorarla più. Eppure è innegabile il fascino, la bellezza tanto inusuale quanto incantevole, ipnotizzante: i suoi tratti somatici risultano esser quasi quelli di una delicata bambolina; non a caso, tutto nei suoi movimenti leggiadri e silenzioso lasciano trapelare una delicatezza -forse apparente? Che dire, oramai sto ripetendo milioni di volte tale parole, ma la rappresenta alla perfezione!- eterea.
Il viso piccolo, morbido, sfoggia tratti fanciulleschi -o bambineschi?-, impossibili da immortalare concretamente anche in una fotografia, cosa esaltata dalla candida pelle di porcellana, totalmente priva di imperfezioni, che tuttavia tende ad arrossarsi graziosamente all'altezza delle guance; su di esse, inoltre, spiccano anche delle adorabili fossette appena accennate. Il naso è sottile, dal setto stretto e la punta vagamente a patata per quanto lievemente all'insù mentre le morbide e mediamente sottili labbra sfoggiano un sublime colorito rosato, definibile quasi "pescato", invitante.
Gli occhi sono grandi, il taglio tipicamente occidentale spicca per il suo esser estremamente simile a quello di un dolce cerbiatto, circondati da lunghe ciglia estremamente nere: le sgargianti iridi sono di un "verde cristallineo", in grado di scavarti fin dentro l'anima oserei dire, quasi fossero vetro; i setosi, corti capelli con la loro tonalità estremamente similare al cioccolato fondente circondano perfettamente, in ciocche scompigliate, il visino angelico, esaltandolo ulteriormente.
La sua corporatura appare esile, affatto robusta, che spesso scaturisce l'erronea idea che necessiti protezione: il suo fisico sinuoso, elegante è in realtà ben più atletico di quanto potrebbe mai sembrare a primo impatto; le amabili curve non risultano estremamente accentuate, forse ben più simili a quelle di una ragazzina in procinto di "sbocciare", per quanto questo non la renda affatto meno "aprezzabile". Per finire, sfortunatamente, non spicca particolarmente in altezza, sfiorando a stento il metro il cinquantacinque; tuttavia, ella in primis pare non considerarlo un particolare problema, seppur due, tre o anche solo sessanta centimetri in più non le spiacerebbero.

Carattere: (Non illudiamoci, suvvia!
I know,
You belong to somebody new;
But tonight,
You belong to me!
Although we're apart,
You're part of my heart...
And tonight,
You belong to me!
Way down by the stream;
How sweet it will seem.
Once more just to dream,
In the moonlight!
My honey,
I know, with the dawn,
That you will be gone;
But tonight,
You belong to me!
Way down,
Way down,
Along the stream;
How very,
Very sweet it will seem!
Once more,
Just to dream
In the silvery moonlight!
My honey,
I know, with the dawn,
That you will be gone;
But tonight,
You belong to me!
Just to little old me!

▪ ▪ ▪

My mother, she told me:
"Don't get in trouble".
My father, he told me:
He know I would.
My brothers, they told me:
"Don't give a damn".
Mi sister, she told me
To do something good.
I'm uncontrollable,
Emotional;
Chaotically proportional;
I'm visceral,
Reloadable...
[I'm crazy]
[I'm crazy]
[I'm crazy]
[I'm crazy]
Everybody in the world knows
I'm a little twisted!
[Twisted!]
Everybody in the world knows
I'm a little twisted!
[Twisted!]
Everybody in the world knows
I'm a little twisted!
[Twisted!]
Everybody in the world knows
I'm a little twisted!
[Twisted!]
My mother, she told me:
"Don't be a quitter".
My father, he told me:
He knew I was.
My brothers, they told me:
"Do what you do".
My sister, she told me
To do something good.
I'm uncontrollable,
Emotional,
Chaotically proportional;
I'm visceral,
Reloadable...
[I'm crazy]
[I'm crazy]
[I'm crazy]
[I'm crazy]
Everybody in the world knows
I'm a little twisted!
[Twisted!]
Everybody in the world knows
I'm a little twisted!
[Twisted!]
Everybody in the world knows
I'm a little twisted!
[Twisted!]
Everybody in the world knows
I'm a little twisted!
[Twisted!]
My mother, she told me...
My father, he told me...
[I'm crazy!]
[I'm crazy!]
[I'm crazy!]
[I'm crazy!]
Everybody in the world knows
I'm a little twisted!
[Twisted!]
Everybody in the world knows
I'm a little twisted!
[Twisted!]
Everybody in the world knows
I'm a little twisted!
[Twisted!]
Everybody in the world knows
I'm a little twisted!
[Twisted!]
[I'm crazy]
[I'm crazy])

Da chi ha ereditato i poteri: Sorprendentemente, ella parrebbe aver ereditato i poteri che ora possiede dal non poco conosciuto Dio greco "Eros".
«Avventurato chi prova fa
della dea dell'amore con
temperanza e misura,
e con grande placidità
lungi dagli estri folli, perché
duplice è l'arco della beltà
che l'Amore (Eros) tende su di noi:
l'uno ci porta felicità,
l'altro la vita torbida fa.»

Eros ("Ἔρως") è, nella religione greca, il dio dell'amore fisico e del desiderio;
nella cultura greca "ἔρως" ("eros", l'amore) è ciò che fa muovere verso qualcosa, un principio divino che spinge verso la bellezza. In ambito greco, quindi, non vi era una precisa distinzione tra «la passione d'amore e il dio che la simboleggiava».
Eros appare in antiche fonti greche sotto diverse forme; nelle prime fonti (le "cosmogonie", i primi filosofi e i testi che si riferiscono alle religioni misteriche), egli è una delle divinità primordiali coinvolte nella venuta all'essere nel cosmo. Ma nelle fonti successive, Eros è rappresentato come il figlio di Afrodite, i cui maliziosi interventi negli affari di dei e mortali fanno sì che si formino legami di amore, spesso illecitamente. In definitiva, nei successivi poeti satirici, è rappresentato come un bambino bendato, il precursore del paffuto Cupido rinascimentale, mentre nella prima poesia e arte greca, Eros era raffigurato come un maschio adulto che incarna il potere sessuale e un artista profondo. Un culto di Eros esisteva nella Grecia pre-classica, ma era molto meno importante di quello di Afrodite:; tuttavia, nella tarda antichità, Eros era adorato da un culto della fertilità a Tespie. Ad Atene, condivideva un culto molto popolare con Afrodite, e il quarto giorno di ogni mese era sacro per lui.
Secondo Esiodo una delle più antiche fonti greche, Eros (il dio dell'amore) fu il quarto dio ad essere creato, dopo il Caos, Gaia (la Terra) e il Tartaro (il Abisso o Inferi). Omero non menziona Eros, tuttavia, Parmenide uno dei filosofi presocratici, fa di Eros il primo di tutti gli dei a nascere; i "Misteri Orfici" mostravano Eros come un dio delle origini, ma non del tutto primordiale, poiché era il figlio della Notte ("Nyx"). Aristofane, influenzato dall'orfismo, racconta la nascita di Eros:

«All'inizio c'erano solo Chaos, Notte (Nyx), Oscurità (Erebus) e Abisso (Tartarus). La Terra, l'Aria e il Cielo non avevano esistenza. In primo luogo la Notte oscura posò un uovo senza germe nel seno delle profondità infinite delle Tenebre, e da questo, dopo la rivoluzione dei lunghi secoli, scaturì il grazioso Amore (Eros) con le sue scintillanti ali dorate, rapide come i turbini della tempesta. Si accoppiò nel profondo Abisso con il caos oscuro, alato come lui, e così nacque la nostra razza, che fu la prima a vedere la luce.»

Nei miti successivi, era il figlio delle divinità Afrodite e Ares: è l'eros di questi miti successivi che diviene uno degli eroti; l'eros era associato con l'atletismo, con statue erette nei "gymnasia" e "era spesso considerato il protettore dell'amore omosessuale tra gli uomini". Eros è stato spesso raffigurato come colui che porta una lira o un arco e una freccia; era anche rappresentato accompagnato da delfini, flauti, galli, rose e torce.

«[Hera rivolta ad Athena] Dobbiamo avere una parola con Afrodite. Andiamo insieme e chiediamo a lei di persuadere il suo ragazzo [Eros], se è possibile, di lanciare una freccia alla figlia di Aeetes, Medea dei tanti incantesimi, e farla innamorare di Giasone...»

«[Eros] colpisce il seno delle domestiche con calore sconosciuto, e ordina agli stessi dei di lasciare il paradiso e dimorare sulla terra secondo forme prese a prestito.»

«Una volta, quando il figlio di Venere [Eros] la stava baciando, la sua faretra penzolava, una freccia sporgente, a sua insaputa, le aveva sfiorato il seno, spingendo via il ragazzo, infatti la ferita era più profonda di quanto sembrava, anche se inizialmente non percepita [e lei divenne] rapita dalla bellezza di un uomo [Adone].»

«Eros ha fatto impazzire Dioniso per la ragazza [Aura] con la deliziosa ferita della sua freccia, poi curvando le sue ali ha volato leggermente verso l'Olimpo e il dio vagava sulle colline flagellato da un fuoco più grande.»

La prima apparizione della nozione di Eros è nelle opere attribuite ad Omero; in tale contesto Eros non viene personificato, quanto piuttosto come principio divino corrisponde all'irrefrenabile desiderio fisico come quello vissuto da Paride nei confronti di Elena:

«ἀλλ' ἄγε δὴ φιλότητι τραπείομεν εὐνηθέντε
οὐ γάρ πώ ποτέ μ' ὧδέ γ' ἔρως φρένας ἀμφεκάλυψεν»

«Ma ora andiamo a letto e facciamo l'amore:
non mi ha mai preso il cuore un desiderio ("ἔρως" ) tanto possente»

O, ancora, lo stesso desiderio provato da Zeus per Era:

«Ἥρη δὲ κραιπνῶς προσεβήσετο Γάργαρον ἄκρον
Ἴδης ὑψηλῆς· ἴδε δὲ νεφεληγερέτα Ζεύς.
ὡς δ' ἴδεν, ὥς μιν ἔρως πυκινὰς φρένας ἀμφεκάλυψεν,
οἷον ὅτε πρῶτόν περ ἐμισγέσθην φιλότητι
εἰς εὐνὴν φοιτῶντε, φίλους λήθοντε τοκῆας.»

«Era raggiunse rapidamente la cima del Gargano,
sull'alto Ida, e la vide Zeus che raduna le nubi,
e quando la vide la passione ("ἔρως") invase il suo animo saggio,
come quando per la prima volta s'unirono nell'amore
e andarono a letto, all'insaputa dei genitori»

O, infine, ciò che rende tremanti le membra dei proci di fronte a Penelope:

«τῶν δ' αὐτοῦ λύτο γούνατ', ἔρῳ δ' ἄρα θυμὸν ἔθελχθεν,
πάντες δ' ἠρήσαντο παραὶ λεχέεσσι κλιθῆναι.»

«Ed ecco i ginocchi dei proci si sciolsero, furono sedotti da amore ("ἔρω")
bramarono tutti di giacere al suo fianco nel letto»

Tale desiderio irrefrenabile si spiritualizza nei lirici greci del VII/VI a.C. ma presenta comunque delle caratteristiche crudeli e ingestibili; manifestandosi improvvisamente, Eros agita in modo cupo le sue vittime:

«Ma per me Eros non dorme
in nessuna stagione:
come il vento di Tracia infiammato di lampi
infuria accanto a Cipride
e mi riarde di folli passioni,
cupo, invincibile,
con forza custodisce l'anima mia.»

«Ma per me Eros non dorme
in nessuna stagione:
come il vento di Tracia infiammato di lampi
infuria accanto a Cipride
e mi riarde di folli passioni,
cupo, invincibile,
con forza custodisce l'anima mia.»

«Eros che scioglie le membra mi scuote nuovamente:
dolceamara invincibile belva»

«Eros tremendo, le Follie ti furono nutrici:
per te cadde la rocca di Troia,
per te il grande Teseo, l'Egide, cadde, e Aiace Oileo,
il valoroso per la loro follia.»

«non è Afrodite, ma il folle e insolente Eros che come fanciullo gioca,
sfiorando il sommo dei fiori - ma che non me li tocchi - del cipero.
Eros di nuovo, a causa di Cipride, dolce mi invade, riscalda il cuore.»

In "Anacreonte" questo vissuto viene presentato come colui che colpisce violentemente:

«Ancora Eros m'ha colpito:
con un gran maglio, come un fabbro,
e mi ha temprato tuffandomi
in una fiumana invernale.»

Eros possiede un ruolo fondante in alcune teogonie orfiche: questo emerge già nella teogonia di tipo "parodistico", ma di derivazione orfica, presente in :Aristofane" (V-IV secolo a.C.) negli "Uccelli" (vv. 693-702); tale brano è ritenuto il testo più antico attribuibile all'orfismo, «esso riproduce sinteticamente la forma scritta più antica delle teogonie orfiche, evocata anche da Platone, da Aristotele e trasmessa da Eudemo.»
Un frammento, che richiama Eudemo da Rodi (IV secolo a.C.) riprende la Notte come origine di tutte le cose e Eros al terzo posto:

«La teologia esposta nell'opera del peripatetico Eudemo come se fosse di Orfeo ha taciuto tutto ciò che è intelligibile, in quanto totalmente indicibile e inconoscibile [...] ha posto come principio la Notte, dalla quale inizia pure Omero, anche se non ha reso continua la genealogia. Infatti non si deve accogliere l'affermazione di Eudemo che inizi da Oceano e Teti: infatti egli sembra essere consapevole che pure la Notte è una divinità grandissima, a tal punto che anche Zeus la venera: "Infatti egli temeva di compiere azioni sgradite alla Notte veloce". Ma Omero stesso deve cominciare dalla Notte; invece mi pare di capire che sia stato Esiodo per la prima volta, narrando del Caos ad aver chiamato il Caos la natura inconoscibile dell'intelligibile e compiutamente indifferenziata e a far derivare da lì la Terra come il principio primo, se così si può dire, dell'intera generazione degli dei; a meno che il Caos non sia il secondo dei due principi, mentre la Terra, il Tartaro e Eros i tre oggetti dell'intuizione ed Eros è al terzo posto, in quanto contemplato secondo un ritorno. Questa espressione è impiegata pure da Orfeo nelle rapsodie: la Terra è al primo posto, in quanto per prima si è solidificata in una massa solida e stabile, il Tartaro a quello intermedio, perché già mosso verso una differenziazione.»

Nel complesso queste teogonie presentano un inizio caratterizzato da una sfera perfetta nella Notte cosmica, quindi una totalità rappresentata da "Phanes" ("Φάνης", "Luce", "vengo alla Luce", anche "Fane", "Protogono" "Πρωτογόνος", "Erichépaio" "Ἠρικεπαῖος") androgino e con le ali dorate, completo in sé stesso ma dai lineamenti irregolari, e, infine, da questa unità ancora perfetta un insieme di accadimenti conducono a dei processi di differenziazione. Quindi emerge Zeus in cui tutto viene riassorbito e rigenerato nuovamente per una seconda processione, dalla quale emerge Dioniso che, tuttavia, per una macchinazione di Era, sposa di Zeus, verrà divorato dai Titani. Zeus irato scaglia contro costoro il fulmine: dalla fuliggine provocata dalla combustione dei Titani sorgono gli uomini composti dalla materia di questa, mischiata con la parte dionisiaca frutto del loro banchetto.
Il tema di Eros/Amore è citato in Parmenide, ma in Empedocle acquisisce un ampio impianto teologico quando il filosofo siceliota pone accanto alle quattro "radici" ("ριζώματα"), poste a fondamento del cosmo, e motore del loro divenire nei molteplici oggetti della realtà, due ulteriori principi: "Φιλότης" ("Amore") e "Νεῖκος" ("Odio", anche "Discordia" o "Contesa"); avente il primo la caratteristica di "legare", "congiungere", "avvincere" ("σχεδύνην δὲ Φιλότητα", «Amore che avvince» ), mentre il secondo possiede la qualità di "separare", "dividere" mediante la "contesa". Così Amore nel suo stato di completezza è lo Sfero ("Σφαῖρος"), immobile ("μονίη") uguale a sé stesso e infinito ("ἀλλ' ὅ γε πάντοθεν ἶσος καὶ πάμπαν ἀπείρων"). Egli è Dio. Significativo è il fatto che Empedocle appelli Amore con il nome di Afrodite ("Ἀφροδίτη"), o con il suo appellativo di "Kýpris" ("Κύπρις"), indicando qui la «natura divina che tutto unisce e genera la vita»; tale accostamento tra Amore e Afrodite ispirò al poeta romano Lucrezio l'inno a Venere, collocato nel proemio del "De rerum natura". In questa opera Venere non è la dea dell'amplesso, quanto piuttosto «l'onnipotente forza creatrice che pervade la natura e vi anima tutto l'essere», venendo poi, come nel caso di Empedocle, opposta a Marte, dio del conflitto.

Poteri: I poteri di Jakob? Impossibile non intuirli! Essendogli essi stati donati da Eros -o "Cupido", volgarmente- quali potrebbe mai esser? Suvvia! È così ovvio! La sua capacità di manipolare l'amore, l'attrazione ed il desiderio sessuale altrui è sorprendente, sottovalutato quanto estremamente pericoloso; lei, a differenza del Dio, non ha alcun bisogno di ricorrere ad archi di qualsivoglia tipo per "indirizzare" quello che potrebbe esser definibile come un malefico: uno sguardo, anche solo un tocco e la vittima si ritroverebbe irrimediabilmente ammaliata da chi più aggrada Jakob, in quanto i soggetti sono scelti dalla donna stessa. E dunque? Tutto qui? Ma assolutamente no! Sono piuttosto certa di aver già accennato a quanto il suo potere sia sottovalutato, nonostante i numerosi e differenti sbocchi che sfoggia: è perfettamente in grado di indurre alla follia la vittima, di condurla all'autodistruzione, persino di uccidere l'amato; ma la questione non finisce qui! E se dicessi che arriva ad esser in grado di esercitare un certo controllo -se non propriamente mentale- fisico su di esso?

Arma:
~ Le armi di Jakob sono numerose e piuttosto variegate, ma certamente nel suo "armamentario" personale non poteva mancare uno splendido arco apparentemente dorato!

L'arco è un'arma da lancio e un attrezzo sportivo; un arco è costituito da un elemento flessibile le cui estremità sono collegate da una corda tesa che ha la funzione di imprimere il movimento ad un proiettile, chiamato "freccia". Utilizzato come arma da caccia e da battaglia soprattutto nell'antichità, oggi viene utilizzato principalmente come attrezzo sportivo nella pratica del tiro con l'arco, nelle categorie di: tiro alla targa, tiro 3D e tiro dalla lunga distanza:

«τῷ οὖν τόξῳ ὄνομα βίος, ἔργον δὲ θάνατος»

«dell'arco, invero, il nome è vita, ma l'opera è morte.»
("Eraclito di Efeso", Etymologicum magnum);
~ Successivamente, troviamo un set non estremamente vasto di almarade, tre o quattro delle quale sembri portare costantemente con sé.
L'almarada è un coltello da taglio di origine spagnola utilizzato a cavallo tra il seicento-settecento, in genere di acciaio, con manico in legno e una punta molto acuta di sezione triangolare priva di bordo; la caratteristica che la contraddistingue è la capacità di produrre una ferita di punta poco dolorosa e con una lievissima emorragia esterna, ma che può provocare gravissimi danni interni che portano rapidamente alla morte. È noto anche come "chupasangre" o "succhiasangue"; in Spagna viene chiamata anche "almar" o "almaraz" come un tipico ago usato in antichità per cucire le scarpe;
~ Per finire, ella possiede anche ben due splendide Claymore con elsa a cesto; dalla tecinca a dir poco particolare, Jakob sarebbe definibile come una vera "macchina da guerra", cosa spesso valorizzata dalla sua scarsa sensibilità al dolore.
In oplologia, la nomenclatura "spade con elsa a cesto" si applica a un gruppo di spade di epoca post-rinascimentale caratterizzate da una guardia "a cesto", dal disegno più o meno intricato, atta a proteggere la mano chiusa sull'impugnatura; nel generale contesto di abbandono dell'armatura tipico dell'arte della guerra occidentale in Età Moderna, questa tipologia di arma bianca manesca ottenne grande popolarità sia in ambiente militare che civile. La trama dei ponticelli metallici componenti il cesto vero e proprio, quasi certamente una evoluzione delle sempre più complesse guardie che andavano sviluppando per la spada da lato prima e la striscia poi, fu incredibilmente varia per disegno, forma e decorazioni.
Diffusesi in tutta Europa, le spade con elsa a cesto erano, nel XVII secolo: la "Schiavona", la "Spada Vallona", la "Guardia di Sinclair", la "Claymore con elsa a cesto" e la "Mortuary Sword"; le ultime due erano comuni nel Regno Unito e funsero da base per lo sviluppo della pesante sciabola da cavalleria in uso durante le Guerre Napoleoniche.
La "claymore con elsa a cesto" fu la variante scozzese delle Spade con Elsa a Cesto diffusesi in Europa nel corso del XVII secolo; la peculiare controguardia di quest'arma, un cesto in metallo che avvolgeva completamente la mano dello schermidore, rivestito, al suo interno, di velluto, spesso di colore rosso, era stata derivata da un modello europeo, importato in Scozia ai primi del Seicento dalle truppe del capitano di venturaGeorge Sinclair: la cosiddetta "Spada con guardia alla Sinclair" (probabilmente un "dussack" tedesco). I guerrieri scozzesi del Seicento scendevano in battaglia armati della loro spada con elsa a cesto e di una targa coperta di cuoio bollito come arma di difesa; armi secondarie erano il lungo "coltello delle Highlands", il "dirk", il "moschetto" e, in alcuni casi, anche la vecchia claymore a due mani; divenuta un simbolo della Scozia dopo l'Insurrezione giacobita, la claymore con elsa a cesto viene utilizzata nella "Danza della spada scozzese" ed è parte integrante dell'alta uniforme del reggimento "Highlanders" della British Army. L'arma era ancora in uso al tempo dello Sbarco in Normandia, durante la seconda guerra mondiale: pare ne portasse una il tenente colonnello Jack Churchill.

Altro:
~ Parrebbe soffrire di una lieve forma di ninfomania da tempo a dir poco indefinito; cosa semplicemente impossibile da intuire dal suo aspetto dolce ed innocente, che tanto sembra scacciare qualsivoglia malizia.
La "ninfomania" è un termine usato in passato nella storia della medicina, indicante l'aumento in misura morbosa dell'istinto sessuale nella donna; il termine (dal greco antico "νύμφη", "nýmphē": "ninfa", "sposa" e "μανία", "manía": "mania") fu coniato nel millesettecentosettanta dal medico francese J. D. T. de Bienville, che lo utilizzò per la prima volta nel suo studio "La Nymphomanie, ou Traité de la fureur utérine" ("La ninfomania, ovvero trattato sul furore uterino"). Essa fu considerata dapprima una perversione e, in tempi successivi, una patologia sessualefemminile caratterizzata da una compulsiva ricerca di partner e accompagnata da anorgasmia o frigidità. Nel millenovecentonovanta l'Organizzazione mondiale della sanità non riconobbe più la ninfomania come una patologia e successivamente nel novantacinque la "American Psychiatric Association" cancellò tale voce dalla quarta edizione del "Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali" ("DSM-IV"), riconducendo tuttavia il concetto, insieme all'equivalente maschile noto come satiriasi, entro la più vasta categoria dell'ipersessualità.
La ninfomania è stata descritta come una forte accentuazione quantitativa della sessualità nella donna, di natura psicologica; una sorta di esaltazione degli impulsi sessuali, che la spinge alla continua ricerca di nuovi compagni, ma la quale in realtà serve ad alleviare i tumulti psichici interni; questa ipersessualità è accompagnata dalla perdita di inibizioni e contraddistinta da continue manifestazioni di seduzione, provocazione, desiderio e fisiologia sessuale, tanto da assumere caratteristiche psicopatologiche. Sembra che con tale sessualità diffusa la persona cerchi di esprimere a livello sessuale un'insoddisfazione psicofisica; la ninfomane cercherebbe quindi il continuo contatto sessuale non per ottenere nuove sensazioni e piaceri, ma per avere un soddisfacimento psichico e fisico che non riesce a raggiungere. Il passaggio da un uomo a un altro è, allora, dovuto alla convinzione che il motivo dell'insoddisfazione sia legato al compagno e non a una situazione interna di disagio;
~ Possiede uno splenidio violino tipicamente barocco dalla delicata tonalità biancastra, da lei custodito con particolare gelosia; esso è infatti il primo violino che si sia mai ritrovata ad utilizzare, per quanto difficilmente abbia mai dato sfoggio pubblico delle sue reali capacità e della sua particolare inclinazione per la musica.
Il violino barocco è un violino che presenta caratteristiche costruttive specifiche del periodo che va dalle origini dello strumento, nella seconda metà del XVI secolo, fino ai primi decenni del XIX; tali caratteristiche, in realtà, subirono progressive modifiche nel corso di questo ampio lasso di tempo, per cui sarebbe più appropriato parlare di strumenti "originali", o "storici" infatti, si possono notare grossolanamente tre periodi distinti: il violino "rinascimentale" tra il cinquecento ed il seicento, il "barocco" propriamente detto tra il seicento ed il settecento, il "classico" o "di transizione" tra il settecento e l'ottocento. Le date sono del tutto indicative: ciascuna tipologia ha convissuto con la successiva per un certo tempo, conseguentemente a particolari situazioni musicali, geografiche, economico-sociali.
Non si deve credere che violini e archetti, prima di acquisire la forma o le specificità costruttive odierne, fossero "primitivi", e che l'evoluzione delle loro caratteristiche li abbia portati gradualmente ad una ideale perfezione odierna: in realtà, essi erano perfettamente adatti alla musica per la quale erano stati concepiti; per questa ragione, gli interpreti specializzati nel repertorio anteriore al XIX secolo utilizzano anche oggi strumenti che conservano, o riproducono, le caratteristiche del violino barocco.
Un violino è composto di una cassa armonica, considerata la vera "essenza" dello strumento, in quanto ne determina in maniera fondamentale le qualità sonore, e di una serie di elementi considerati "accessori", che possono essere modificati o sostituiti per adattare lo strumento alle esigenze dell'esecutore; tra questi ci sono il manico con i suoi accessori (tastiera, capotasto,...), il ponticello, la cordiera, le corde; inoltre, all'interno della cassa, ci sono l'anima e la catena. La compatibilità di questi elementi condiziona il rendimento sonoro dello strumento; il complesso di questi elementi viene chiamato "montatura".
Il manico dello strumento barocco è normalmente più corto e spesso di quello attuale; la sua parte superiore prosegue idealmente la linea del bordo della tavola. Esso non è incastrato nel blocchetto superiore, come si usa oggi, ma fissato ad esso con chiodi (o talvolta con viti). La tastiera, anch'essa più corta, ha uno spessore di forma triangolare chiamato "cuneo" nella parte che combacia con il manico; il cuneo può formare un corpo unico con la tastiera o essere aggiunto ed ha la funzione di aumentare l'angolo di tensione delle corde, dal momento che il manico non è inclinato, ma pressoché orizzontale sulla linea del coperchio.

Orientamento sessuale: L'orientamento sessuale di Jakob? Difficile a dirsi a causa dei suoi comportamenti talvolta ambigui nei confronti di qualsiasi identità di genere: infondo sembra totalmente disinteressata nell'oggettificarsi al punto da arrivare persino ad etichettarsi in questo o quel mondo; insomma, è una persona o un pezzo non ben identificato di carne in vendita ad un supermercato?! Perché mai dovrebbe identificarsi in questa o quella categoria quando ella sta benissimo così, privata del bisogno di scoprire una banalità -una "formalità"- talmente inutile? Solo ed unicamente per soddisfare la morbosa curiosità di chicchessia? Le sembra qualcosa di tremendamente basso e semplicemente vomitevole.
Ciò però non toglie che sia pienamente consapevole di cosa apprezza maggiormente avere tra le proprie gambe; ridurla ad una semplice "Omosessuale Omoromantica Poliamorosa", tuttavia, sarebbe davvero uno spreco da imbecilli, cosa che lei certamente non è

fuck_you-ex Spero vada bene!

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