THE NEW WARRIORS

Francesca

Accarezzai il viso di Marcus che ancora dormiva, sentendo il calore della sua pelle sotto le mie dita. Gli diedi dei baci sulla guancia, cercando di svegliarlo dolcemente. «Svegliati, Marcus,»sussurrai, sperando che la mia voce lo raggiungesse attraverso il velo del sonno.

Lui non disse niente, ma si limitò a ridere sommessamente, un suono che fece vibrare il mio cuore. «Continua, continua ad accarezzarmi,» mormorò, senza aprire gli occhi.

Continuai a passare le dita sui suoi zigomi, lungo la linea della mascella, godendo del contatto con lui. Volevo il suo aiuto. Sapevo che lui era l'unico che poteva davvero insegnarci a combattere come guerrieri. «Marcus, ho bisogno del tuo aiuto,» dissi, la mia voce un misto di supplica e determinazione.

Lui aprì lentamente gli occhi, fissandomi con uno sguardo assonnato ma vigile. «Cosa vuoi, Cesca?» chiese, la sua voce ancora impastata dal sonno.

Mi sedetti sul bordo del letto, guardandolo intensamente. «Voglio che ci insegni a combattere. Io e le altre donne. Dobbiamo essere pronte per la guerra. Tu sai come combattere, puoi aiutarci.»

Marcus si mise seduto, appoggiando la schiena contro la testiera del letto. Passò una mano tra i capelli, cercando di svegliarsi completamente. «Non è così semplice, Cesca. Non posso insegnarvi tutto in pochi giorni.»

Mi alzai dal letto, sentendo una fitta di frustrazione mescolata alla determinazione. «Appunto per questo motivo resterai qui un mese e mi insegnerai tutto il possibile,» dissi, incrociando le braccia e fissandolo con sguardo deciso.

Marcus si mise la tunica, sospirando. «No, non posso aspettare un mese qui. Una settimana posso restare, sono venuto qui perché mi sono ferito. Posso insegnarti alcune cose, ma non tutte. E poi, non voglio che tu vada in guerra.»

Mi alzai anch'io dal letto, avvicinandomi a lui. «Quindi non vuoi aiutarci? Io voglio combattere per il mio impero. Ho bisogno del tuo aiuto.»

Marcus sospirò di nuovo, il suo sguardo si fece più dolce. «Voglio aiutarti, davvero. Ci pensavo anch'io ieri sera, ma non voglio che tu vada in guerra. Possono ucciderti, Cesca. Non voglio che tu muoia, stellina.»

Sentii il mio cuore tremare alle sue parole, ma non potevo permettere che la mia paura mi fermasse. «Marcus, io non ho intenzione di restare indietro mentre il mio popolo combatte. Ho bisogno di essere forte, e ho bisogno di te per diventarlo.»

Lui scosse la testa, cercando di trovare le parole giuste. «Non capisci, Cesca. La guerra è un inferno. Non posso sopportare l'idea di perderti. Se tu morissi, non lo perdonerei mai.»

Mi avvicinai di più, mettendo una mano sul suo petto. «E se non mi alleni, morirò comunque, Marcus. Ma almeno così avrò una possibilità di combattere. Non posso vivere nella paura. Voglio essere una guerriera, come mia madre.»

Marcus si mise a ridere, un sorriso che odiavo quando si parlava di cose serie. «Tua madre non era una guerriera, Cesca. Era una prostituta della corte,» disse ancora ridendo.

Non capii più nulla. Un misto di rabbia e dolore mi travolse. "Tua madre non era una guerriera, era una prostituta!" Le sue parole riecheggiavano nella mia mente. Gli tirai uno schiaffo con tutta la forza che avevo, e il suo viso si girò. Si toccò il viso con la mano, e un po' di sangue gli uscì dal naso. «Mia madre non era una prostituta,» dissi con voce tremante.

«L'unico che deve morire in guerra sei tu, Marcus!» urlai, mentre le lacrime iniziarono a scendere senza controllo.

«Ah, davvero, Cesca? È questo che vuoi, che io muoia?» chiese, con un tono che non riuscivo a interpretare. Il suo sorriso era svanito, ma il suo sguardo era ancora freddo.

Non riuscivo a fermare le lacrime. Sentivo un nodo in gola e un peso sul petto che mi impediva di respirare. Ero arrabbiata, delusa e stanca di tutte le menzogne e le mezze verità che mi avevano circondato per tutta la vita. Non era solo Marcus. Era tutto ciò che rappresentava, il suo potere, il suo controllo su di me, il suo modo di trattarmi come se fossi sempre inferiore, come se fossi sempre sbagliata.

Mi sentivo tradita. Non solo da Marcus, ma da tutto ciò che avevo sempre creduto. Mia madre non poteva essere una prostituta. Era la mia eroina, l'unica persona che mi aveva sempre amata incondizionatamente. Come poteva lui dire una cosa del genere? E perché sembrava godere nel farmi del male?

Marcus. Lo odiavo tanto quanto lo amavo. Perché doveva essere così crudele? Perché doveva ridere delle mie sofferenze? Avevo bisogno di lui, sì, ma non in quel modo. Avevo bisogno del Marcus che mi aveva promesso protezione, non del Marcus che mi derideva e cercava di farmi sentire piccola e insignificante.

Ero stanca. Stanca di lottare per dimostrare il mio valore, stanca di essere trattata come una bambina, stanca di essere costantemente messa alla prova. Ero stanca di dover nascondere le mie lacrime, stanca di dover sempre dimostrare di essere forte. Volevo essere forte per me stessa, non per gli altri.

Marcus mi guardava, aspettando una risposta, ma non riuscivo a trovare le parole. Il dolore nel mio cuore era troppo grande, le ferite troppo profonde. Volevo urlare, ma sentivo che anche urlare non sarebbe servito a nulla. Mi sentivo persa, sola, e l'unica persona che poteva capirmi mi stava distruggendo dall'interno.

Lui mi abbracciò e disse: «Non volevo, volevo scusarmi.» Cercai di non abbracciarlo, ma lui era più forte. Mi misi a piangere sulla sua spalla e dissi: «Dimmi la verità, Atlantide non è più nostra, vero?»

Sospirò e mi baciò la fronte. «No, non è più nostra. Ma i nostri uomini ce la stanno mettendo tutta per riprendersela,» disse, accarezzandomi il viso e mettendo le nostre fronti insieme. «Non preoccuparti, stellina.»

Sentivo il calore del suo corpo, il ritmo del suo respiro. Mi faceva sentire protetta, ma allo stesso tempo la mia mente era un vortice di emozioni contrastanti. Perché mi faceva sempre così tanto male? Perché dovevo amare qualcuno che mi feriva così profondamente?

«Perché mi fai del male, Marcus?» chiesi piangendo, il dolore evidente nella mia voce. Ogni parola usciva come un lamento, una supplica per trovare una spiegazione.

Marcus mi guardò, i suoi occhi pieni di una tristezza che rifletteva la mia. «Non voglio farti del male, Cesca. Voglio solo proteggerti. A volte non so come farlo nel modo giusto,» disse, la sua voce bassa e piena di rimorso.

Le sue parole mi colpirono profondamente. Voleva proteggermi, ma il modo in cui lo faceva mi distruggeva. Non riuscivo a conciliare il suo desiderio di protezione con il dolore che mi infliggeva. Avevo bisogno di capire, avevo bisogno di trovare un equilibrio tra il nostro amore e il mio bisogno di essere libera e forte.

«Mi fai sentire così piccola, così inutile,» dissi, la voce spezzata dalle lacrime.

«Non sei inutile, sei la mia imperatrice, stellina. Ma quel giuramento, quella promessa... eravamo dei bambini, lo capisci? Dimenticatelo,» disse, la sua voce implorante.

Dimenticare. Come potevo dimenticare? Quei momenti erano scolpiti nel mio cuore, nella mia mente. Ogni promessa, ogni parola, ogni tocco. Erano parte di me, parte di quello che ero diventata. E ora mi chiedeva di dimenticare tutto, di lasciar andare. Ma come potevo farlo? Come potevo lasciar andare il passato senza perdere una parte di me stessa?

Lui sospirò e mi accarezzò il viso. «Non riesco a non toccarti, a guardarti. E tu non puoi resistermi, stellina,» disse, baciandomi dolcemente. «Ma tu devi stare al sicuro. Io farò di tutto per proteggerti, anche se a volte sbaglio.»

Il suo tocco, il suo bacio, erano come una droga. Mi facevano sentire viva, mi facevano dimenticare tutto il dolore, tutte le sofferenze. Ma sapevo che non era abbastanza. Avevo bisogno di più, avevo bisogno di essere forte per me stessa, di trovare la mia strada, il mio destino.

«Non posso lasciarti andare,» sussurrai contro le sue labbra. «Ma non posso neanche continuare così. Ho bisogno di trovare la mia forza, il mio potere.»

«Lo so,» disse Marcus, i suoi occhi pieni di una determinazione che rispecchiava la mia. «E ti aiuterò. Troveremo un modo, insieme.»

Sospirò e disse: «Anche se non voglio, ti aiuterò.» Mi baciò e dissi: «Io ti amo, Marcus.»

«Anch'io, stellina. Da morire,» rispose lui, sorridendo tra un bacio e l'altro.

Finalmente, lo volevo sentire da tanto tempo. «Ti amo, stellina,» mi disse. Sorrisi, sentendomi finalmente compresa, finalmente amata. Era come se un peso enorme si fosse sollevato dal mio cuore. Nonostante tutto il dolore, tutta la confusione, sapevo che insieme potevamo affrontare qualsiasi cosa.

«Va bene, andiamo,» dissi, prendendolo per mano e uscendo dalla casa. Marcus mi seguiva mano nella mano mentre ci dirigemmo verso la casa dove c'erano tutte le armi.

«Qui ci sono tutte le armi,» dissi, indicando le pareti della casa. «Come inizieremo?»

Marcus si mise le mani sui fianchi e rispose: «Con le spade. Ricordi quando ti ho fatto provare?» Sorrise, ma il ricordo mi riportò alla mente il momento in cui mio padre mi aveva punita subito dopo.

Gli restituii un sorriso falso, sperando che non notasse la mia tensione. «Sì, mi ricordo,» dissi.

Presi due spade dal muro e ne diedi una a Marcus. «Mi aiuti, mio maestro?»

Lui sorrise e rispose: «Certo, vostra maestà.»

Il titolo "vostra maestà" suonava strano quando lo diceva Marcus. Mi faceva sentire più forte e vulnerabile allo stesso tempo. Volevo imparare da lui, ma non potevo dimenticare tutto il dolore che mi aveva causato. Tuttavia, questo era un passo necessario per diventare la guerriera che desideravo essere.

Marcus si avvicinò, posizionandosi di fronte a me. «Prima di tutto, devi imparare a impugnare correttamente la spada. La presa deve essere salda, ma non troppo rigida. Devi sentire la spada come un'estensione del tuo braccio.»

Seguendo le sue istruzioni, strinsi la spada, cercando di trovare il giusto equilibrio. Marcus si avvicinò, posizionando le sue mani sulle mie per correggere la mia presa. Sentii un brivido attraversarmi quando le sue mani toccarono le mie, ma cercai di rimanere concentrata.

«Va meglio così,» disse, guardandomi negli occhi. «Ora, facciamo qualche movimento di base. Ricorda di mantenere sempre la guardia alta e di muoverti con agilità.»

Iniziammo a muoverci, seguendo il ritmo che Marcus stabiliva. Ogni colpo, ogni parata, mi faceva sentire più sicura di me stessa. Sentivo i muscoli lavorare, la mente concentrata. Era difficile, ma sapevo che era l'unico modo per diventare forte.

Ogni movimento era una sfida, ma anche una liberazione. Stavo imparando a difendermi, a combattere per ciò che era giusto. Ero determinata a non essere più una vittima. Volevo dimostrare a me stessa e agli altri che ero in grado di combattere.

Dopo un po', Marcus si fermò e mi guardò con orgoglio. «Stai migliorando, Cesca. Hai un grande potenziale. Devi solo crederci.»

Sorrisi, sentendo una nuova ondata di determinazione. «Grazie, Marcus. Voglio diventare la migliore guerriera possibile. Non voglio deludere il mio impero.»

«Cerca di fare qualche movimento da sola con la spada,» disse Marcus, allontanandosi leggermente e mettendosi dietro di me.

Mi concentrai, facendo dei movimenti con la spada come mi aveva insegnato. Sentii le sue mani posarsi sui miei fianchi, guidandomi dolcemente. «Sei la mia guerriera, stellina,» sussurrò, e il suo pene mi sfiorò il sedere.

Sorrisi, sentendo un misto di eccitazione e imbarazzo. «E tu sei il mio maestro preferito,» risposi, cercando di mantenere la concentrazione. Ma quando mi baciò il collo, un brivido mi percorse la schiena.

«Marcus, ci possono vedere,» sussurrai, preoccupata che qualcuno potesse sorprenderci.

«Lasciali guardare. Chi se ne importa,» rispose lui, la voce piena di desiderio.

Era difficile concentrarsi sui movimenti della spada con Marcus così vicino. Il suo tocco, il suo calore, mi distraevano. Ma c'era anche qualcosa di elettrizzante in quel momento. Mi sentivo viva, desiderata, e non potevo negare quanto mi piacesse.

Continuai a muovermi, cercando di ignorare le sensazioni che Marcus mi stava provocando. Sentivo il suo respiro caldo sul mio collo, le sue mani che mi guidavano e mi sostenevano. Era una lotta tra il voler essere la guerriera forte e indipendente e il desiderio di abbandonarmi completamente a lui.

«Stellina,» sussurrò ancora, la sua voce un misto di dolcezza e passione. «Non c'è niente di sbagliato nel volere entrambe le cose. Puoi essere forte e lasciarti andare allo stesso tempo.»

Mi girai lentamente, guardandolo negli occhi. Vidi la sincerità nel suo sguardo, il desiderio di vedermi felice e realizzata. «Marcus,» iniziai, ma le parole sembravano sfuggirmi.

«Sì, stellina?» chiese lui, avvicinandosi di più, i nostri corpi quasi a contatto.

«Voglio essere forte. Voglio combattere e vincere. Ma ho anche bisogno di te,» confessai, sentendo le emozioni salire in superficie.

«Lo so,» rispose, accarezzandomi il viso con dolcezza. «E io sono qui per te, sempre.»

Mi abbracciò stretta, e per un momento, tutto sembrò perfetto. Sentivo il suo cuore battere contro il mio, il calore del suo corpo che mi avvolgeva. Era una sensazione di completezza che non avevo mai provato prima.

Ma sapevo che non potevamo rimanere lì per sempre. C'era ancora tanto da fare, tanto da imparare. «Dobbiamo continuare,» dissi, staccandomi leggermente da lui.

Marcus mi baciò, un bacio dolce e pieno di promesse. «Vuoi fare una cosa prima?» chiese, il desiderio nei suoi occhi evidente. Feci di sì con la testa, curiosa di sapere cosa avesse in mente.

Mi prese per mano, conducendomi verso la casa dove c'era il mio letto. Il suo tocco era sicuro, deciso, e non potei fare a meno di sentire l'eccitazione crescere dentro di me. «Cosa vuoi fare, Marcus?» chiesi, il cuore che batteva forte.

Sorrise, bagnandosi le labbra. «Ti va di prendermelo in bocca?» chiese, il suo tono basso e sensuale.

Le sue parole mi colpirono come un fulmine. Era una proposta audace, che mi faceva sentire desiderata e potente allo stesso tempo. Non avevo mai fatto una cosa del genere, ma la sua sicurezza mi dava il coraggio di provare.

Annuii, un po' nervosa ma determinata. Volevo dargli piacere, volevo essere quella che lo faceva sentire bene. «Sì, Marcus,» risposi, la mia voce un sussurro.

Si sedette sul bordo del letto, tirandomi delicatamente verso di sé. «Non devi farlo se non vuoi, stellina,» disse, cercando di rassicurarmi. «Ma se lo fai, voglio che tu sappia che sei tu a controllare.»

Mi inginocchiai davanti a lui, le mani tremanti per l'emozione. Iniziò a slacciarsi i pantaloni, e io lo guardavo, cercando di mantenere la calma. «Sei bellissima,» disse, accarezzandomi i capelli. «Non c'è fretta, prendi il tuo tempo.»

Presi un respiro profondo, avvicinandomi a lui. Le sue parole mi rassicuravano, mi facevano sentire desiderata e al sicuro. Lentamente, lo presi in mano, sentendo la sua durezza sotto le mie dita. «Marcus,» sussurrai, sentendo l'intimità del momento.

«Sì, stellina,» rispose lui, guardandomi con desiderio. «Vai piano, segui il tuo ritmo.»

Lo portai alla bocca, iniziando a leccarlo delicatamente. Sentii un gemito di piacere da parte sua, e questo mi diede più sicurezza. Lentamente, iniziai a prenderlo più profondamente, seguendo il suo ritmo e ascoltando i suoi gemiti di piacere.

Marcus mi accarezzava i capelli, guidandomi con dolcezza. «Stellina, sei incredibile,» mormorò, la voce roca per l'eccitazione. «Continua così.»

Mi sentivo potente, in controllo, mentre lo facevo gemere sotto il mio tocco. Continuai, aumentando il ritmo, fino a quando sentii che stava per venire. «Francesca,» gemette, il suo corpo teso. «Sto per venire.»

Lo guardai, vedendo il piacere nei suoi occhi, e continuai fino a quando lo sentii venire in bocca. Era un momento di pura intimità, qualcosa che ci avvicinava ancora di più. Mi staccai lentamente, guardandolo mentre si riprendeva.

Marcus mi tirò verso di sé, abbracciandomi forte. «Sei stata fantastica, stellina,» disse, baciandomi con passione. «Ti amo, Francesca. Sei tutto per me.»

Sorrisi, sentendo il calore del suo amore avvolgermi. «Anch'io ti amo, Marcus,»risposi, il cuore pieno di felicità. «E sono pronta a combattere al tuo fianco, sempre.»

Marcus mi aiutò ad alzarmi piano, le ginocchia mi facevano male per la posizione mantenuta a lungo. Si alzò anche lui, e con un gesto scherzoso mi diede una sculacciata che mi fece sussultare. Mi baciò di nuovo, il calore del suo tocco ancora vivo sulle mie labbra.

«Dobbiamo fare un bagno,» disse con un sorriso, i suoi occhi che brillavano di desiderio. «C'è un lago qui vicino.»

Feci segno di sì con la testa, sentendo l'eccitazione crescere dentro di me. «Si trova più giù,» dissi. «Si chiama Venere.»

Lui rise, un suono profondo e affascinante. «Come la dea dell'amore,» commentò, baciandomi di nuovo. «Allora è il posto perfetto per noi.»

Ogni bacio, ogni tocco, mi faceva sentire più vicina a lui. Era come se il mondo intero fosse svanito, lasciandoci soli in questo momento di pura intimità. Volevo stare con lui, volevo sentire il suo amore avvolgermi completamente.

Uscimmo dalla casa mano nella mano, camminando attraverso il villaggio addormentato. La notte era calma, con solo il suono dei nostri passi a rompere il silenzio.

«Dobbiamo fare attenzione,» disse Marcus, la sua voce bassa ma rassicurante. «Non voglio che nessuno ci veda.»

Annuii, sentendo l'eccitazione mescolarsi con un pizzico di nervosismo. Il lago Venere era un posto speciale, nascosto tra gli alberi. Era il luogo perfetto per un momento come questo.

Arrivammo al lago dopo pochi minuti di cammino. L'acqua era calma, riflettendo la luce della luna come uno specchio. «È bellissimo,» dissi, incantata dalla vista.

«Sì, lo è,» rispose Marcus, guardandomi con un sorriso. «Ma non quanto te, stellina.»

Mi sentii arrossire, il suo complimento riempiva il mio cuore di calore. «Vieni,» disse, tirandomi verso l'acqua. «Andiamo a fare il bagno.»

Iniziammo a spogliarci, i nostri vestiti abbandonati sulla riva. L'acqua era fresca, una sensazione piacevole contro la pelle calda. Entrammo lentamente, le mani intrecciate, fino a quando l'acqua ci arrivò alla vita.

Marcus mi tirò verso di sé, le sue braccia avvolgendomi. «Ti amo, Francesca,» disse, la sua voce un sussurro nell'oscurità. «Sempre.»
Risposi, il cuore che batteva forte. «Sempre.»

Ci baciammo, l'acqua che ci avvolgeva come un abbraccio. Era un momento di pura magia, un momento che avrei voluto durasse per sempre.

Marcus mi prese in braccio e sorrisi, sentendomi leggera come una piuma. Mi portò più in fondo nel lago, dove l'acqua era più profonda e la riva più distante. Sorrisi e lui ricambiò, i suoi occhi scintillanti di desiderio.

Iniziò a baciarmi, le sue labbra morbide contro le mie. Ansimai, il mio respiro diventava sempre più veloce mentre il suo sesso strusciava contro il mio. Le nostre lingue si intrecciarono, esplorando, assaporando. Sentivo il calore del suo corpo avvolgermi, l'acqua fresca contrastava piacevolmente con la passione che bruciava tra di noi.

«Marcus,» ansimai, chiudendo gli occhi e lasciandomi trasportare dalle sensazioni. Sentii il suo sorriso contro le mie labbra, la sua mano che mi accarezzava la schiena.

All'improvviso, una voce ci interruppe. «Francesca! Marcus!»

Aprii gli occhi di scatto, ancora eccitata e sorpresa. Mi girai verso la riva e vidi Livia, la sua figura in piedi contro il bagliore della luna. «Livia?» dissi, cercando di mascherare la mia emozione.

«Madre?» disse Marcus, voltandosi verso di lei.

Livia sembrava preoccupata, la sua espressione severa. «Dovete venire subito.»

Il momento magico tra me e Marcus era svanito in un istante, sostituito dalla preoccupazione e dall'apprensione. Mi chiesi cosa potesse essere così urgente da interrompere il nostro momento. Sentii il cuore battere più forte, non solo per l'emozione appena vissuta, ma anche per l'ansia di ciò che ci aspettava.

Ci affrettammo a uscire dall'acqua, le nostre mani ancora intrecciate. Mi vestii in fretta, il cuore ancora in subbuglio. Marcus fece lo stesso, i suoi occhi incontrarono i miei con un misto di preoccupazione e affetto.

Livia si mise a braccia conserte, la sua espressione severa. «Cesca, Marcus, invece di divertirvi dovete aiutare il vostro impero.»

Marcus sorrise e io lo imitai, cercando di allentare la tensione. «Madre,» disse Marcus con un tono scherzoso, «stavamo proprio pensando all'impero. Ci servono eredi, no?»

Livia ci guardò con una miscela di esasperazione e affetto. «Marcus, Cesca, è una cosa seria.»

Il sorriso sul volto di Marcus svanì, sostituito da una preoccupazione sincera. «Cos'è successo, madre?» chiese, avvicinandosi a lei.

Livia rispose con una fermezza che non avevo mai visto prima. «Dobbiamo diventare guerriere. Marcus, lo farai per Cesca?»

Marcus annuì, il suo sguardo serio e determinato. «Sì, madre. Lo farò.»

Le settimane che seguirono furono intense e piene di sfide. Marcus ci guidò attraverso un rigido programma di allenamento, insegnandoci le tecniche di combattimento necessarie per diventare vere guerriere.

La prima settimana fu dedicata alla preparazione fisica. Ogni mattina all'alba, iniziavamo con una corsa intorno all'isola, aumentando gradualmente la distanza. Marcus insisteva sull'importanza della resistenza e della forza. Sollevavamo pesi improvvisati, usavamo tronchi e rocce come attrezzi, e facevamo esercizi per migliorare la nostra agilità e coordinazione.

Ogni muscolo del mio corpo urlava per il dolore, ma non mi arresi. Ogni giorno diventavo più forte, più sicura delle mie capacità. Vedere le altre donne migliorare mi dava forza. Eravamo unite in questa missione e nulla ci avrebbe fermato.

La seconda settimana fu dedicata alle tecniche di combattimento. Marcus ci insegnò a maneggiare diverse armi: spade, lance, archi e frecce. Iniziammo con i movimenti di base, imparando a difenderci e attaccare con precisione. Le sessioni di allenamento erano intense e spesso terminavano con lividi e tagli, ma ogni ferita era un segno del nostro progresso.

Sentire il peso della spada nelle mie mani e vedere i miei colpi diventare sempre più precisi mi riempiva di orgoglio. Marcus era un insegnante duro, ma giusto. Sapevo che ogni lezione, ogni correzione, mi avvicinava di più a diventare una vera guerriera.

La terza settimana fu dedicata alla strategia e alle tattiche di guerra. Marcus ci mostrò come pianificare un attacco, come difendere una posizione e come lavorare in squadra. Passammo ore a studiare mappe e simulare battaglie, imparando a prevedere le mosse del nemico e a reagire rapidamente.

Capire l'importanza della strategia mi fece sentire più preparata. Non era solo una questione di forza fisica, ma anche di intelligenza e astuzia. Sentivo di avere finalmente gli strumenti necessari per guidare il mio popolo e difendere il mio impero.

L'ultima settimana fu la più impegnativa. Marcus organizzò simulazioni di battaglia in cui dovevamo mettere in pratica tutto ciò che avevamo imparato. Le donne si dividevano in squadre, ognuna con un compito specifico. Dovevamo attaccare, difendere, comunicare e coordinare i nostri movimenti. Le simulazioni erano intense e realistiche, e spesso terminavano con noi esauste, ma sempre più preparate.

Vedere le mie compagne di squadra combattere con coraggio e determinazione mi riempiva di speranza. Eravamo pronte. Eravamo diventate guerriere. Ero pronta a guidarle in battaglia, a difendere Atlantide e a riconquistare il nostro impero.

Mi sentivo strana la mattina, con una nausea persistente e una fame insaziabile. Cleopatra, sempre attenta e premurosa, mi disse che ero incinta. La notizia mi colpì come un fulmine, ma decisi di non raccontare niente a Marcus per il momento. Sapevo che si sarebbe preoccupato per me e avrebbe cercato di impedirmi di andare in guerra. Ma io dovevo riprendere il mio trono, dovevo dimostrare a tutti, soprattutto a me stessa, di essere la vera imperatrice degli imperi.

La notizia della gravidanza mi spaventava e mi riempiva di gioia allo stesso tempo. Avevo un motivo in più per combattere, per proteggere il mio futuro e quello del mio bambino. Avrei affrontato ogni pericolo, per garantire un mondo migliore per lui.

Cleopatra mi guardò con preoccupazione quando le dissi che sarei andata in guerra anche da incinta. «Maestà, deve pensare alla sua sicurezza e a quella del bambino,» disse, con una nota di urgenza nella voce.

Le sorrisi, cercando di rassicurarla. «Non preoccuparti, Cleo. Sarò prudente. Ma non posso rinunciare a questa battaglia. Devo riprendere il mio trono. Devo farlo per noi, per il futuro.»

Marcus era impegnato ad addestrare le altre donne, ignaro del segreto che custodivo. Ogni volta che lo guardavo, sentivo un misto di amore e preoccupazione. Sapevo che, se avesse saputo, avrebbe fatto di tutto per proteggermi, anche a costo di mettersi in pericolo. Non potevo permetterlo.

I giorni passavano e la mia determinazione cresceva. Le donne erano diventate guerriere formidabili, pronte a combattere al mio fianco. Marcus ci guidava con una forza e una passione che mi riempivano di orgoglio. Ero grata di averlo al mio fianco, anche se non potevo condividere con lui il segreto che portavo dentro di me.

Ogni movimento, ogni colpo di spada, ogni strategia imparata mi avvicinavano sempre di più al mio obiettivo. Mi sentivo invincibile, pronta ad affrontare qualsiasi sfida. Ma allo stesso tempo, il pensiero del bambino dentro di me mi rendeva consapevole della mia vulnerabilità. Dovevo proteggere lui, e dovevo proteggere il mio popolo.

Finalmente, il giorno della partenza arrivò. Ci eravamo preparati a lungo e duramente per questo momento. Mentre ci radunavamo sulla spiaggia, pronta a salpare per Atlantide, sentii un'ondata di emozione travolgermi. Guardai Marcus e le altre donne, il mio esercito di guerriere, e sentii una profonda gratitudine e determinazione.

Ero pronta. Pronta a combattere, pronta a vincere. Ero la vera imperatrice di Atlantide, e niente e nessuno mi avrebbe fermata.

Mentre la nave si allontanava dall'isola, guardai il cielo e feci una promessa a me stessa e al mio bambino. «Ti proteggerò, con ogni fibra del mio essere. Riprenderò il trono, per te, per noi.»

E con quella promessa nel cuore, mi preparai ad affrontare la battaglia più importante della mia vita.

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