LEMURIA

Francesca

Avevo otto anni, e camminavo mano nella mano con mia madre lungo le strade animate della città. Era una rara occasione in cui potevamo uscire durante il giorno, e cercavo di godermi ogni istante. Il profumo della frutta fresca riempiva l'aria, mescolandosi con gli aromi delle spezie e dei fiori di campo esposti sui banchi dei mercati.

Non uscivamo mai di giorno, sapevo che mia madre era in pericolo, ma non mi aveva mai spiegato chiaramente il motivo.

Mia madre indossava un abito verde, lungo fino ai piedi, con delicate ricami dorati che brillavano sotto il sole. Il tessuto leggero ondeggiava ad ogni passo, conferendole un'aria di eleganza e grazia. Io, invece, indossavo un abito rosa, semplice ma carino, con piccoli fiocchi bianchi che decoravano le maniche e l'orlo della gonna.

Mentre passeggiavamo, la sua presa sulla mia mano si fece più stretta. «Francesca, rimani sempre vicina a me,» disse con una voce dolce ma ferma. Annuii, stringendo la sua mano con forza. Sapevo che dovevo obbedire, anche se non capivo del tutto il perché.

Una volta, qualche tempo prima, avevamo fatto un'uscita simile durante il giorno, e mia madre era stata aggredita. Ricordo chiaramente come i capelli degli assalitori volavano nel vento mentre ci perseguitavano, i loro volti contorti dall'odio. Mia madre mi aveva protetto, ma era rimasta ferita. Da quel giorno, aveva evitato di uscire alla luce del sole.

Camminammo per le strade affollate, passando accanto a bancarelle colorate e venditori che urlavano per attirare clienti. I colori vivaci dei frutti e dei fiori catturavano la mia attenzione, e per un momento, dimenticai la tensione che sentivo nella mano di mia madre. Ma bastò uno sguardo al suo viso per ricordarmi del pericolo. I suoi occhi scrutavano ogni angolo, ogni volto, sempre vigili.

«Francesca,» disse ad un certo punto, abbassandosi per essere alla mia altezza, «devi sapere che ci sono persone che non ci vogliono bene. Ma io sono qui per proteggerti. Non avere paura, amore.» Le sue parole mi rassicurarono, e la mia paura si placò leggermente.

Continuammo la nostra passeggiata, la mia mano ancora saldamente intrecciata alla sua. Sentivo la sua forza e la sua determinazione, e sapevo che qualunque cosa fosse successa, avremmo affrontato insieme.

Mentre ci avvicinavamo a casa, un senso di sollievo mi pervase. La nostra avventura diurna era quasi finita, e presto saremmo state al sicuro tra le mura della nostra casa. Il mondo esterno poteva essere pericoloso, ma con mia madre al mio fianco, mi sentivo invincibile.

Mentre ci avvicinavamo all'ingresso della casa, mia madre si fermò improvvisamente. «Cesca, non dobbiamo andare a casa adesso,» disse con un sorriso misterioso. La guardai, confusa. «Andiamo nella tua futura casa adesso.»

La guardai con sorpresa. «Ma madre, io non ho una casa,» risposi, cercando di capire cosa intendesse. Lei rise dolcemente e disse, «Certo che ce l'hai, si trova sopra la montagna. Dobbiamo camminare un po'.»

Mi prese per mano e iniziammo a camminare in direzione opposta rispetto alla casa. Il mio cuore batteva forte per l'eccitazione e la curiosità.

«Dobbiamo passare dal pozzo per prendere l'acqua, va bene tesoro?» disse, accarezzandomi la guancia con affetto. Feci segno di sì con la testa, sentendomi importante e responsabile.

Camminammo lungo un sentiero che si snodava tra campi verdi e alberi in fiore. Il sole splendeva alto nel cielo, e l'aria era fresca e profumata. Ogni tanto, incrociavamo contadini e mercanti che ci salutavano con rispetto. Mi sentivo un po' strana, consapevole degli sguardi curiosi e rispettosi che ci seguivano.

Arrivammo al pozzo, un'antica struttura di pietra con una carrucola di legno. Mia madre mi mostrò come tirare su l'acqua con il secchio, e insieme riempimmo un'anfora di terracotta. Era più pesante di quanto mi aspettassi, ma con l'aiuto di mia madre riuscimmo a portarla senza problemi.

«Stiamo facendo un buon lavoro, mia piccola imperatrice,» disse mia madre con un sorriso incoraggiante. Le sue parole mi riempirono di orgoglio e determinazione. Sentivo che quel viaggio non era solo una semplice passeggiata, ma un importante passo verso il mio futuro.

"Piccola imperatrice," mi chiamava sempre così, con un tono di affetto e rispetto. Dopo aver riposato nella villa, ci rimettemmo in cammino. Mi teneva per mano e la sua presenza mi dava una sensazione di sicurezza e amore.

«Madre,» chiesi con curiosità, «dove stiamo andando adesso?»

Lei mi guardò con un sorriso rassicurante. «Stiamo andando al palazzo dell'imperatore, piccola.»

Mi fermai un attimo, sorpresa dalla sua risposta. «Perché andiamo lì?» domandai.

Mia madre si abbassò leggermente per guardarmi negli occhi. «Voglio che l'imperatore ti conosca,» rispose dolcemente.

La sua risposta mi confondeva. «Perché l'imperatore dovrebbe conoscere dei poveri come noi?» chiesi, genuinamente incuriosita.

Lei rise e mi accarezzò la guancia. «Io sono povera, piccola,» disse con tenerezza, «ma tu sei la più ricca del mondo.»

Non capivo bene cosa volesse dire, ma sentivo che le sue parole erano importanti. Continuammo a camminare lungo il sentiero, salendo sempre più in alto. Il paesaggio era magnifico, con i raggi del sole che illuminavano i campi e i boschi circostanti.

Man mano che ci avvicinavamo al palazzo, potevo vedere le sue imponenti torri spuntare tra gli alberi. Il palazzo dell'imperatore era una costruzione grandiosa, fatta di marmo bianco e decorata con oro e gioielli. Era un luogo di potere e bellezza, ma anche di mistero e intrighi.

Sei cavalieri si misero davanti a noi, bloccando il nostro cammino. Le loro armature scintillavano alla luce del sole, e i loro volti erano coperti da elmi imponenti.

«Alt,» ordinò uno dei cavalieri, alzando una mano per fermarci.

Mia madre avanzò con determinazione e dichiarò in tono autorevole, «Liceat, habeo ius filiam imperatoris demonstrare

Non capivo esattamente cosa stesse dicendo, poiché parlava in latino, una lingua che non avevo mai imparato, ma che desideravo conoscere.

L'uomo a cavallo rispose con disprezzo, «Nullus bastardus est hic concessit

Mia madre urlò con una forza che non avevo mai visto in lei, «Bastarda non est et filia legitima imperatoris regnabit imperium!»

Il cavaliere rise beffardo e, senza preavviso, uno di loro spronò il cavallo verso di noi. L'animale avanzò con velocità e potenza, colpendo mia madre e facendoci cadere entrambi a terra.

Caddi pesantemente e sentii un dolore acuto alla mano, che iniziò a sanguinare. Mi alzai rapidamente, nonostante il dolore, e corsi verso mia madre che giaceva a terra, ferita. Mi inginocchiai accanto a lei, con le lacrime agli occhi.

«Madre, state bene?» chiesi con voce tremante.

Lei si rialzò lentamente, con uno sguardo di determinazione nei suoi occhi. Si girò verso i cavalieri e, con una voce carica di rabbia e dolore, dichiarò, «Erit ultio

Questa volta capii le sue parole. Significavano "Ci sarà vendetta." La sua determinazione era palpabile e mi fece tremare, ma allo stesso tempo, mi riempì di una nuova forza.

Mia madre mi prese la mano ferita e, con uno sguardo rassicurante, disse, «Andrà tutto bene, piccola imperatrice. Non lascerò che nulla ti accada.»

Mi strinsi a lei, sentendo il calore e la forza del suo amore. Le guardie finalmente sembrarono esitare, forse colpite dalla determinazione di mia madre. Ma sapevo che la battaglia era appena iniziata, e che avremmo dovuto essere forti per affrontare tutto ciò che ci aspettava.

Con un ultimo sguardo deciso verso i cavalieri, mia madre mi strinse a sé e insieme ci incamminammo verso la città.

Mia madre disse: «Andiamo.» Mi girai per guardare il cancello della porta alle nostre spalle e chiesi: «Perché non ci hanno fatto entrare?»

Lei rispose con voce calma, «Perché non abbiamo colpe, piccola.»

Mi prese in braccio con delicatezza, ma con la forza necessaria a farmi sentire al sicuro. Guardandomi con preoccupazione, notò per la prima volta la mia mano sanguinante.

«Madre, ma...» iniziai a dire, ma lei mi interruppe dolcemente.

«No, piccola. Lasciami vedere la tua mano.»

Mi posò a terra con attenzione e strappò un pezzo del suo vestito rosa. Lo attorcigliò intorno alla mia mano ferita, stringendo con cura per fermare il sangue. Poi, con un gesto materno e rassicurante, mi baciò la mano.

«Adesso ti passa,» disse con un sorriso caldo.

Sentii una sensazione di sollievo, non tanto per la ferita che ancora pulsava, ma per la cura e l'amore di mia madre. Mi sentii protetta e amata, nonostante tutto il caos che ci circondava.

Continuai a guardare la villa in lontananza, sentendo un misto di frustrazione e delusione. Tutta quella salita per niente. L'imperatore doveva essere davvero cattivo per non volerci ricevere. Mi girai verso mia madre e chiesi: «Madre, oggi andiamo in spiaggia?»

Lei abbassò gli occhi, come se stesse riflettendo su qualcosa di triste, poi rispose con un lieve sorriso: «Va bene, piccola.»

Di notte, alcune volte ci mettiamo sulla spiaggia a guardare le stelle cadenti. Qui ad Atlantide si vedevano molto meglio, un vero spettacolo. Il cielo notturno sembrava sempre più vicino, quasi come se potessimo toccare le stelle con le dita.

Le sorrisi, sentendo una certa leggerezza al pensiero della nostra prossima destinazione. Ci dirigemmo verso la nostra casa, dove sapevo che ci stava aspettando mia nonna. Lei era sempre lì per noi, con il suo abbraccio accogliente e le sue storie affascinanti del passato.

Mentre camminavamo, il sentiero si fece più familiare. Le case di pietra e legno di Atlantide apparivano davanti a noi, con le loro luci calde che scintillavano come fari nella sera che avanzava. La nostra piccola casa era in fondo a una strada stretta, circondata da alberi alti che offrivano ombra e protezione.

Appena entrammo, mia nonna ci accolse con un sorriso affettuoso. Era una donna anziana, ma ancora forte e piena di vita. I suoi capelli bianchi erano raccolti in un elegante chignon, e indossava sempre abiti semplici ma puliti.

«Ciao, piccola imperatrice,» mi disse, abbracciandomi stretto. «Com'è andata la giornata?»

«Abbiamo cercato di vedere l'imperatore, nonna, ma non ci hanno lasciato entrare,» risposi con un tono di amarezza.

«Non preoccuparti, tesoro. Ci saranno altre occasioni,» disse lei, accarezzandomi i capelli. «Adesso, andiamo a prepararci per la spiaggia. Ho già preparato tutto quello che ci serve.»

La casa era piccola ma accogliente, con mobili semplici e tessuti colorati che davano vita agli ambienti. Mia nonna aveva una straordinaria abilità nel creare calore e comfort ovunque andasse.

Preparammo alcune coperte, frutta fresca e acqua per la nostra serata sulla spiaggia. Mia madre, mia nonna ed io, insieme, ci sentivamo più forti e unite contro il mondo. Uscimmo di nuovo, dirigendoci verso la costa dove il suono delle onde e il profumo salmastro dell'oceano ci attendevano.

Arrivate sulla spiaggia, stendemmo le coperte sulla sabbia morbida e ci sedemmo a guardare il cielo che iniziava a tingersi di colori notturni. Le stelle cominciavano a comparire, una a una, come piccoli diamanti in un mare di velluto nero.

«Guarda, piccola imperatrice,» disse mia nonna, indicando una stella cadente che attraversava il cielo. «Esprimi un desiderio.»

Chiusi gli occhi e desiderai con tutto il cuore che un giorno, la nostra vita sarebbe stata migliore, che avrei potuto fare la differenza per la mia famiglia e per il mio popolo. Quando riaprii gli occhi, il cielo sembrava ancora più brillante.

Mi strinsi tra le braccia di mia madre e di mia nonna, sentendomi al sicuro e amata. Quella notte, mentre le stelle continuavano a cadere, mi sentii parte di qualcosa di più grande, un destino che mi avrebbe portato lontano, ma sempre con il ricordo di quei momenti preziosi che mi avrebbero guidato lungo il cammino.

Mi trovavo nel salone del palazzo di Lemuria, un luogo maestoso e incantevole. Il soffitto alto, ornato con lampadari di cristallo che emanavano una luce calda e avvolgente, creava un'atmosfera regale. Gli archi gotici e le colonne di pietra scolpita aggiungevano un tocco di solennità e grandiosità. Le ampie finestre arcuate offrivano una vista mozzafiato sul paesaggio circostante, con montagne maestose e un cielo azzurro che si perdeva all'orizzonte.

Oggi si sarebbe tenuto il banchetto in mio onore, un evento organizzato per celebrare la mia ascesa come imperatrice di Lemuria. Indossavo un vestito viola, realizzato con un tessuto lussuoso che scintillava leggermente alla luce. Il corpetto aderente era decorato con intricati ricami dorati, e la gonna lunga si apriva in un elegante ventaglio che sfiorava delicatamente il pavimento mentre mi muovevo. Le maniche lunghe e trasparenti conferivano al mio abbigliamento un tocco di grazia e delicatezza.

Mi giravo intorno, osservando ogni dettaglio della stanza. Le pareti erano adornate con arazzi ricchi di colori e motivi, raccontando storie antiche di eroi e divinità. Piante verdi e fiorite decoravano gli angoli, aggiungendo un tocco di natura e freschezza all'ambiente. Tavoli rotondi, elegantemente apparecchiati, erano disposti lungo il perimetro del salone, pronti ad accogliere gli ospiti che avrebbero partecipato al banchetto.

Guardando fuori dalle finestre, rimasi incantata dalla bellezza di Lemuria. Questo posto superava di gran lunga Atlantide per magnificenza e splendore. Le montagne che si stagliavano all'orizzonte sembravano proteggere questo regno incantato, e il mare che si intravedeva in lontananza aggiungeva un senso di libertà e vastità.

Era un luogo da sogno, e oggi sarebbe stato un giorno indimenticabile. Mentre continuavo a esplorare il salone, sentivo crescere dentro di me un senso di responsabilità e determinazione.

Sentii dei passi dietro di me e mi voltai per vedere chi fosse. Era Cornelius. Lo guardai e gli sorrisi. Si inchinò rispettosamente e disse: «Maestà imperiale, sono lieto di essere stato invitato oggi al vostro banchetto.»

Risi e dissi: «Sono felice che tu sia contento di essere qui. Vieni, vuoi passeggiare un po' con me?» Lui annuì e rispose: «Maestà, ne sarei lieto.»

Iniziammo a camminare insieme attraverso il maestoso salone, le nostre voci mescolandosi al suono dei nostri passi echeggianti sul pavimento di marmo. Alzai gli occhi al cielo, ammirando le intricate decorazioni del soffitto, e poi incontrai lo sguardo di Marcus, che stava dall'altra parte della stanza. Il suo sguardo era intenso, e sentii un brivido percorrermi la schiena.

Cornelius notò il mio sguardo e seguì la mia linea visiva fino a incontrare gli occhi di Marcus. «Sembra che qualcuno desideri la vostra attenzione, maestà,» disse con un sorriso leggero, cercando di sdrammatizzare la tensione che avevo avvertito.

Sorrisi debolmente e risposi: «Marcus è sempre stato molto protettivo nei miei confronti. A volte troppo.»

Cornelius annuì comprensivo. «È naturale per chi tiene a voi, maestà. Proteggervi è una priorità per molti di noi.»

Ero seduta su una panchina nel giardino del palazzo, indossando un abito viola decorato con dei fiori rosa. Stavo leggendo un libro sui miti della mitologia, un argomento che mi affascinava profondamente. Avevo sedici anni, e spesso trascorrevo i miei pomeriggi così, immersa nella lettura e osservando i cavalieri mentre si allenavano.

Marcus, in particolare, catturava sempre la mia attenzione. Era stupendo vederlo cavalcare. I suoi fianchi si muovevano con grazia quando galoppava sul suo cavallo bianco, e io non potevo fare a meno di ammirarlo da lontano.

Mentre leggevo tranquillamente, un uomo si sedette vicino a me sulla panchina. Distolsi lo sguardo dal mio libro e lo guardai. Aveva gli occhi chiari e un sorriso gentile. Poteva avere la mia età, forse qualche anno in più. Ricambiai il suo sorriso, Era Alexander un amico di Marcus.

«Stai leggendo qualcosa di interessante?» chiese, con una voce calda e amichevole.

«Sì, sto leggendo dei miti della mitologia,» risposi, mostrando la copertina del libro. «Mi affascinano molto.»

Lui annuì, interessato. «La mitologia è piena di storie straordinarie e lezioni importanti. Posso chiedere qual è il tuo mito preferito?»

Ci pensai un attimo, poi risposi: «Sì, il mito di Narciso è particolarmente interessante,» dissi, continuando la nostra conversazione. «È la storia di un giovane così innamorato della propria bellezza che finisce per innamorarsi del suo riflesso in un lago, rimanendo intrappolato dalla sua stessa immagine fino a morire. È una lezione potente sull'orgoglio e l'amore di sé.»

Alexander annuì, interessato. «È vero. Narciso rappresenta anche la fragilità della bellezza e come l'ossessione possa portare alla rovina. Ci sono molte interpretazioni di questo mito, alcune molto profonde.»

Proprio mentre stavamo approfondendo il tema, sentii un rumore di zoccoli avvicinarsi. Alzai lo sguardo e vidi Marcus galoppare verso di noi sul suo cavallo bianco. Sembrava particolarmente serio mentre si avvicinava, e il cavallo si fermò proprio di fronte alla panchina dove eravamo seduti.

«Buongiorno, Marcus,» lo salutai con un sorriso. «Stavo giusto discutendo dei miti con Alexander.»

Marcus mi guardò con un'espressione che non riuscivo a decifrare del tutto. «Francesca, posso parlarti un momento in privato?» chiese, la sua voce era tesa.

Mi alzai dalla panchina, un po' confusa. «Certo,» risposi. «Alexander, scusami un attimo.»

Mi allontanai con Marcus, che mi portò un po' più lontano. Il suo cavallo ci seguiva docilmente. Quando fummo abbastanza distanti, si fermò e mi guardò dritto negli occhi.

«Francesca, voglio che mi prometti una cosa,» disse, la sua voce bassa e seria. «Promettimi che non ti avvicinerai troppo a nessun ragazzo, incluso Alexander.»

Lo guardai perplessa. «Ma perché, Marcus? Alexander è solo un amico e stavamo solo parlando di mitologia.»

Marcus sospirò, passando una mano tra i capelli. «Non è solo per Alexander. È per te. Voglio solo proteggerti. Ci sono molte persone che potrebbero non avere buone intenzioni.»

Sentii una leggera nota di gelosia nella sua voce, ma non la capii del tutto. «Va bene, Marcus. Ti prometto che starò attenta. Ma devi fidarti di me.»

Mi guardò per un momento, poi annuì. «Grazie, Francesca. Mi fido di te. Adesso devo tornare ai miei allenamenti.»

Lo guardai mentre si allontanava, montando di nuovo sul suo cavallo. Sembrava più rilassato ora, ma c'era ancora qualcosa di strano nel suo comportamento che non riuscivo a capire. Tornai da Alexander, che mi stava aspettando pazientemente.

«Scusami per l'interruzione,» dissi, sedendomi di nuovo accanto a lui. «Marcus è solo un po' protettivo.»

Alexander sorrise comprensivo. «Non preoccuparti. È naturale. Tornando ai miti, hai mai letto del mito di Orfeo ed Euridice? È un altro dei miei preferiti.»

Continuammo a parlare di mitologia, ma una parte di me continuava a pensare a Marcus e al suo strano comportamento. Non capivo perché fosse così preoccupato, ma decisi di non pensarci troppo e di godermi il pomeriggio.

Mi trovavo nel mio alloggio, preparandomi per il banchetto serale. Avevo trascorso il pomeriggio con Cornelius, discutendo di Lemuria e delle sue meraviglie. Ora, Cleopatra mi stava aiutando a vestirmi, il mio abito era squisito.

Davanti allo specchio, osservavo il riflesso del mio vestito: una creazione mozzafiato in stile greco-romano, realizzato con una stoffa bianca che avvolgeva il mio corpo in drappeggi morbidi e raffinati. Una cintura dorata, riccamente decorata, stringeva la vita, esaltando la mia figura. Una fascia azzurra correva diagonalmente dalla spalla destra, scendendo fino al fianco sinistro, aggiungendo un tocco di colore e grazia. I miei capelli erano raccolti in un'acconciatura elegante, impreziositi da un diadema dorato.

Cleopatra mi sorrise attraverso lo specchio. «È perfetta, maestà,» disse con ammirazione.

Le risposi con un sorriso, apprezzando il suo aiuto. «Cleo, voglio che vieni anche tu al banchetto,» dissi, sapendo quanto fosse importante per me la sua presenza.

Lei sorrise, ma subito dopo si fece seria. «Sono lieta di venire con lei, maestà, ma verrò in forma di serpente, non come un'umana. Gli uomini mi vorranno e vorranno approfittare di me.»

Annuì, comprendendo le sue preoccupazioni. «Sì, certo Cleo, basta che verrai con me,» risposi con fermezza. Non avrei permesso che nulla le accadesse.

Mi girai verso di lei, prendendole la mano con affetto. «Sei parte della mia famiglia, Cleopatra. Non lascerò che nessuno ti faccia del male.»

Cleopatra mi guardò con gratitudine e poi si trasformò lentamente, avvolgendosi attorno al mio braccio come un elegante bracciale vivo. Insieme, ci dirigemmo verso la grande sala del banchetto, pronte per affrontare la serata che ci attendeva.

Uscii dalla mia stanza, il cuore che batteva forte per l'emozione e l'ansia. Camminai lungo il corridoio verso la grande sala del banchetto. Incontrai Livia lungo il percorso, che mi sorrise calorosamente. «Andrà tutto bene, tesoro,» mi disse, baciandomi dolcemente la fronte.

Proprio dietro di me, come un'ombra protettiva, c'era Marcus. Non vidi Cornelius, e mi chiesi dove potesse essere. La porta della sala del banchetto si aprì lentamente e un uomo annunziò con voce possente, «Sua Maestà l'Imperatrice Francesca!»

Tutti gli ospiti si alzarono in piedi, facendo un profondo inchino. Camminai fra i tavoli riccamente imbanditi di cibo, sentendo le mani di alcune persone toccarmi leggermente in segno di rispetto e ammirazione. Arrivai fino al podio e mi girai per affrontare l'assemblea.

«Grazie,» dissi, la mia voce forte e chiara nonostante la tensione. «Sono lieta di essere qui e di essere l'imperatrice di questo paradiso. Lo trovo più affascinante di Atlantide, anche se ci sono nata. È un posto bellissimo. E sono felice di essere qui con voi e per farmi conoscere come la vostra imperatrice. Vi prometto che farò tutto il possibile per mantenere queste terre meravigliose come sono. Grazie.»

Con un ultimo sorriso, mi girai e andai a sedermi. Livia e Marcus erano già ai loro posti, io mi sedetti al centro, il posto d'onore. Sentivo gli occhi di tutti su di me, ma c'era anche una sensazione di calore e accoglienza. Cleopatra, sempre al mio fianco in forma di serpente, sembrava tranquillizzare i miei nervi.

Il banchetto iniziò con un'esplosione di sapori e colori. Il cibo era abbondante e delizioso, e le conversazioni si intrecciavano in un'armoniosa cacofonia di voci. Guardai Marcus, che mi sorrideva con un'espressione protettiva. Livia mi parlava dolcemente, rassicurandomi e facendomi sentire amata e benvoluta.

Mi sentivo finalmente a casa, in questo nuovo e affascinante mondo.

Marcus era proprio di fianco a me, la sua presenza imponente e rassicurante. Sentii la sua mano posarsi delicatamente sul mio fianco destro. «Ti sei divertita oggi?» mi chiese, con un tono che era sia curioso che protettivo.

"Sì, certo," risposi, guardandolo negli occhi. Il suo sguardo era intenso mentre mi accarezzava dolcemente le gambe. Con un sussurro, aggiunsi: "Anche tu con Elena e Diana?" La domanda era quasi un sibilo, un piccolo eco di una gelosia nascosta.

In quel momento iniziò il primo ballo della serata. I musicisti iniziarono a suonare una melodia dolce e avvolgente, ma nessuno si era ancora fatto avanti per invitarmi a ballare. Marcus sembrava notarlo e con un gesto deciso, ma delicato, fece salire leggermente la mia gonna, toccandomi le gambe con una carezza che mi fece ansimare per il contatto.

"Marcus," dissi con un respiro corto, il cuore che batteva più veloce.

"Shh," rispose lui, avvicinandosi ancora di più. "Ti fidi di lui?" mormorò, la sua voce profonda e carezzevole.

Non riuscii a rispondere subito, troppo presa dal momento e dalle emozioni che mi attraversavano. Sentivo le sue mani che mi esploravano con una dolcezza e una sicurezza che mi facevano tremare leggermente.

Alla fine, raccolsi il coraggio per parlare. "Non lo so," ammettei, la voce quasi un sussurro.

Marcus si avvicinò ancora di più, il suo respiro caldo sul mio collo. "Non devi preoccuparti di lui," disse, la sua voce un misto di rassicurazione e possesso. "Sono qui per proteggerti."

Chiusi gli occhi per un momento, cercando di calmare i miei pensieri. La musica continuava a suonare, creando un'atmosfera quasi magica. Quando li riaprii, trovai gli occhi di Marcus ancora fissi su di me, pieni di un'intensità che mi faceva sentire al sicuro e desiderata allo stesso tempo.

Marcus, con una mano ancora sul mio fianco, mi esplorava con una determinazione silenziosa. Sussultai quando le sue dita entrarono dentro di me, cercando di mantenere la calma e il silenzio. «Marcus,» sussurrai, ma lui mi zittì delicatamente.

«Non gridare, non farti sentire,» mi disse, spingendo con forza. Lottavo per mantenere il controllo, ansimando piano, preoccupata che Livi, seduta accanto a me, potesse notare qualcosa. Marcus, con un sorriso soddisfatto, continuava.

Il calore cresceva dentro di me, confondendomi. Chiusi gli occhi, cercando di raccogliere i miei pensieri. Quando li riaprii, vidi una mano alzata davanti a me. Alzai lo sguardo e incontrai quello di Cornelius.

«Maestà, mi piacerebbe invitarla al ballo,» disse Cornelius con un sorriso cortese.

Marcus si ritirò rapidamente, lasciandomi un senso di vuoto e confusione. Guardai Cornelius e gli sorrisi, cercando di ritrovare la compostezza. «Sì, perché no,» risposi, alzandomi e facendo il giro del tavolo per prendere la sua mano.

Cornelius mi guidò verso il centro della sala, dove la musica riempiva l'aria. Mi posizionò con grazia per il ballo, le sue mani ferme e rispettose. «Sei bellissima questa sera, Francesca,» mi disse con un tono sincero mentre iniziavamo a muoverci al ritmo della musica.

«Grazie, Cornelius,» risposi, cercando di lasciarmi alle spalle l'intensità del momento precedente. Ballare con lui era come un respiro di aria fresca, un modo per ritrovare la mia calma.

Marcus ci guardava dal tavolo, la sua espressione difficile da decifrare. Sembrava un misto di gelosia e orgoglio. Cercai di concentrarmi su Cornelius, godendomi il momento e la leggerezza del ballo.

«Ti trovi bene qui a Lemuria?» mi chiese Cornelius, il suo tono gentile e interessato.

«Sì, è un posto magnifico,»  risposi sinceramente. «Diverso da Atlantide, ma altrettanto affascinante.»

Continuammo a ballare, lasciando che la musica ci trasportasse. Per un momento, tutto sembrava perfetto. Ma sapevo che c'erano tensioni sottostanti, desideri non detti e emozioni nascoste che sarebbero venute alla luce prima o poi.

Cleopatra, scivolata silenziosamente dal mio braccio, si avvicinò rapidamente a Marcus e gli sussurrò qualcosa all'orecchio. Cornelius, notando la scena, mi guardò con uno sguardo curioso. «Francesca, credo che Marcus provi qualcosa per te,» disse con un sorriso sornione.

Sorrisi nervosamente. «Mai,» risposi. «È solo il mio fratellastro, e molto protettivo.»

Cornelius scosse la testa leggermente. «È tutta la sera che ti guarda e non riesce a togliere lo sguardo da te,» disse, la sua voce bassa ma incisiva.

Mentre continuavamo a ballare, Cornelius si girò leggermente e mi baciò delicatamente. «Cornelius,» mormorai, staccandomi con cautela. «Vai in camera tua. Marcus verrà da te, vedrai.»

Gli sorrisi e mi allontanai verso la mia camera. Lungo il corridoio, ripensai al ballo e alle parole di Cornelius. Marcus sembrava infastidito e geloso, e non sapevo come gestire i sentimenti contrastanti che provavo.

Arrivata alla mia stanza, chiusi la porta e mi sedetti sul letto, cercando di mettere ordine nei miei pensieri. Poco dopo, sentii dei passi avvicinarsi.

Sentii bussare alla porta e mi alzai dal letto con un senso di apprensione. Era Marcus. Entrò nella stanza con un'espressione furiosa e sbatté la porta dietro di sé.

«Hai baciato Cornelius,» disse con voce carica di rabbia.

Provai paura nei suoi modi di fare, sentendo l'energia della sua collera avvolgermi. Prima che potessi rispondere, prese il mio viso tra le mani e mi baciò con fervore. La sua lingua toccò la mia, e il mondo sembrò fermarsi per un attimo. Si staccò leggermente, guardandomi negli occhi.

«Non sai quanta voglia di scoparti che ho, Cesca,» mormorò, la sua voce bassa e intensa.

Mi baciò di nuovo, questa volta più profondamente, e mi prese in braccio con facilità. Si avvicinò al letto e mi fece sedere sul bordo. Si mise sopra di me, i suoi occhi pieni di desiderio.

«Solo se lo vuoi anche tu,» disse, baciandomi il collo con delicatezza.

Ansimai, sentendo il calore del suo corpo contro il mio. Le mie mani tremavano leggermente mentre gli accarezzavo la schiena.

«Sì, Marcus,» sussurrai, cedendo ai miei desideri.

Lui sorrise, un sorriso che era un misto di sollievo e passione, e cominciò a esplorare il mio corpo con le sue mani. Le sue labbra seguivano ogni movimento, accarezzando la mia pelle con dolcezza e ardore.

Marcus mi tolse lentamente i vestiti, mentre io facevo lo stesso con i suoi. Il suo respiro era caldo contro la mia pelle mentre mi baciava il petto, sussurrando: «Cesca, ne sei sicura?»

«Sì, ma... ho paura,» risposi, la mia voce tremante.

Mi baciò con dolcezza, cercando di calmare le mie ansie. «Farà un po' male,» mormorò, le sue labbra muovendosi sul mio collo. Scese tra i miei seni, succhiando il mio seno destro. Ansimai, il piacere e la tensione mescolandosi dentro di me.

Scese ancora più in basso, baciando le mie parti intime. «Marcus,» ansimai, il suo nome un gemito sulle mie labbra. Entrò dentro di me con un dito, baciandomi mentre i suoi occhi mi fissavano con intensità. «Sei pronta, stellina? Ora ti farò andare sulla luna e oltre.»

Marcus uscì lentamente con il dito da dentro di me, avvicinandosi per baciarmi con passione. Mi avvolse a sé, il suo membro strisciando fra le mie labbra. Guardavo i nostri corpi uniti, i nostri sessi in contatto. Mi toccò il mento, obbligandomi a guardarlo negli occhi.

«Non riuscirò a prenderlo tutto,» dissi, la voce tremante.

Lui rise, un suono caldo e rassicurante. «Ci riuscirai,» rispose, baciandomi con dolcezza. «Guardami.»

Entrò dentro di me con la punta del suo membro, il bruciore iniziale facendomi sussultare. Entrò ancora un po', poi con un colpo deciso si immerse completamente. Gemetti, il dolore acuto e la sensazione di pienezza travolgente.

«Marcus,» ansimai, socchiudendo gli occhi.

«Non pensare a questo dolore. Guardami,» disse, fermandosi dentro di me. Mi baciò di nuovo, e aprii lentamente gli occhi, cercando il suo sguardo. Restammo così per un momento, il suo corpo caldo e pesante sopra di me.

Il dolore era intenso, ma sentivo anche un legame profondo con lui, una connessione che andava oltre il semplice atto fisico. Mi baciò e mi accarezzò, il tocco delle sue mani gentile e rassicurante.

Pian piano, cominciò a muoversi dentro di me, spingendosi con delicatezza. Mi prese la mano destra e la baciò, ansimando leggermente. Ogni movimento era una promessa, ogni spinta un affermazione del nostro legame.

Ansimai, sentendo ogni fibra del mio essere avvolta da lui. Marcus, con un sorriso di soddisfazione, sussurrò: «Ora sei mia, stellina.» Sorrisi, ansimando il suo nome, stringendo i suoi capelli tra le dita mentre ci baciavamo intensamente. Le nostre fronti si toccavano, e sentivo il peso della sua dichiarazione. Volevo davvero essere sua, completamente.

«Vai più veloce,» dissi, guardandolo negli occhi.

Lui obbedì, aumentando il ritmo senza farmi male. Ogni spinta era un’ondata di piacere. Ansimai il suo nome, sentendo un calore crescente dentro di me. «Stai venendo, stellina,» disse, incoraggiandomi. «Vieni, vieni per me.»

Mi baciò profondamente, e io sentii un'ondata di piacere travolgente. «Vieni amore, vieni per me,» continuava a sussurrare. Ansimai il suo nome, e un liquido caldo riempì il mio interno, unendo i nostri corpi ancora di più.

Marcus si appoggiò sul mio petto, tra i miei seni, ansimando insieme a me. Lo accarezzai dolcemente, il nostro respiro pesante in sincronia. Sentivo il battito del suo cuore contro il mio petto, una sensazione di completezza e pace.

«Sei incredibile, Cesca,» mormorò, la sua voce ancora rauca dall’intensità del momento.  Accarezzai i suoi capelli. «Ti amo, Marcus.»

Mi guardò un po' stranita mentre usciva dentro di me, tenendo le mani saldamente sui miei fianchi. «Mi ami?» disse con un sorriso beffardo. Ansimai, ancora persa nelle emozioni del momento, e risposi: «Sì, io ti...»

Marcus si vestì lentamente, mantenendo quello sguardo distaccato. «No, tu non devi amarmi,» disse con una freddezza che mi trafisse il cuore.

Lo guardai con le lacrime agli occhi, cercando di capire cosa fosse successo. Mi coprì con un lenzuolo e dissi: «Ma prima mi hai detto amore...»

Marcus si fermò sulla soglia della porta e si voltò appena, senza guardarmi negli occhi. «Era solo per farti venire,»disse, la sua voce priva di ogni calore. «Non raccontare niente a nessuno, stella.»

Mi salutò con un ultimo sguardo freddo e uscì dalla stanza, lasciandomi sola nel letto, tremante. Il peso delle sue parole e delle sue azioni mi schiacciò il cuore, e le lacrime cominciarono a scendere silenziosamente lungo le mie guance. Mi sentii vuota, abbandonata in un vortice di emozioni contrastanti.

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