DEPARTURE
Francesca
Adesso lo sapevano. Tutti sapevano che ero la bastarda dell'imperatore. La verità, come una tempesta, aveva spazzato via ogni illusione. Mi trovavo sulla nave che ci stava teletrasportando verso Lemuria. Le prime navi di questo tipo erano state costruite ad Atlantide, e ora stavamo sfruttando la nostra tecnologia avanzata per viaggiare verso altri imperi.
Gli altri imperi erano molto meno sviluppati rispetto a noi. Lemuria, El Dorado e Mu erano simili tra loro, ma tutti distanti dalla grandezza di Atlantide. Mi chiedevo come sarebbero stati questi luoghi, così diversi eppure uguali nella loro arretratezza.
Mentre osservavo l'orizzonte dal ponte della nave, i miei pensieri erano tumultuosi. Il mare infinito si stendeva davanti a me, riflettendo la mia confusione interiore. La verità della mia nascita era stata rivelata, e il peso di quella rivelazione mi opprimeva. Sentivo gli occhi dei nobili su di me, il loro giudizio, la loro disapprovazione. Ero una bastarda, sì, ma ora ero anche la loro imperatrice. Dovevo essere forte, dovevo dimostrare che ero degna di questo ruolo, nonostante tutto.
Mi voltai e vidi Marcus, seduto poco distante. Il suo sguardo era fisso sul mare, ma potevo percepire la sua preoccupazione. Si era unito a noi in questo viaggio, portando con sé Diana ed Elena. Non sapevo se la sua presenza mi dava conforto o mi turbava di più. Avevamo una relazione complicata, fatta di attrazione e conflitto, ma in fondo sapevo che potevo contare su di lui.
Le vele della nave catturavano il vento, spingendoci verso il nostro destino. Mi avvicinai a Marcus e mi sedetti accanto a lui. Sentivo il bisogno di parlare, di condividere il peso che sentivo sul cuore.
«Adesso lo sanno tutti,» dissi, la mia voce appena un sussurro sopra il rumore delle onde.
Marcus annuì, senza distogliere lo sguardo dall'orizzonte. «Sì, lo sanno. Ma questo non cambia il fatto che sei la nostra imperatrice.»
«Sono una bastarda, Marcus. Come posso governare se il popolo mi disprezza?»
Lui si voltò verso di me, il suo sguardo deciso. «Governando con saggezza e giustizia. Mostrando loro che non sei solo la figlia dell'imperatore, ma una leader forte e capace. Non lasciare che le loro parole ti distruggano.»
Mi appoggiai alla ringhiera del ponte, cercando conforto nella vastità del mare. «E se non ce la faccio? E se la maledizione è vera?»
Marcus mi prese la mano, stringendola con forza. «La maledizione è solo superstizione. Tu sei più forte di qualsiasi maledizione. E io sarò sempre qui per aiutarti.»
Le sue parole mi diedero un po' di conforto, ma la paura era ancora lì, nascosta sotto la superficie.
«Hai portato anche Diana ed Elena?» chiesi, cercando di mantenere la voce calma nonostante l'agitazione interiore.
Marcus annuì. «Me lo hai detto tu di portarle con me. Non ti disturberanno, non preoccuparti.»
Sospirai, guardando di nuovo il mare. La presenza di Diana ed Elena mi infastidiva, ma dovevo mantenere la calma. «Non è questo il punto. È solo che... tutto sembra così complicato ora.»
Marcus mi guardò con un'espressione comprensiva. «Lo so, Cesca. Ma non devi affrontare tutto da sola. Siamo qui per te.»
Annuì lentamente, cercando di trovare conforto nelle sue parole. «Spero solo di poter dimostrare a tutti che posso essere una buona imperatrice. Che non importa chi sono i miei genitori.»
«Non devi dimostrare niente a nessuno,»disse Marcus con fermezza. «Il tuo valore non dipende dalle opinioni degli altri. Hai il cuore e la mente di una leader. E con il tempo, anche il popolo lo vedrà.»
Livia venne verso di noi e disse: «Scusate l'interruzione, maestà,» mentre si inchinava. Mi alzai e dissi: «Livia, non c'è bisogno che ti inchini.»
Lei sorrise e disse: «Ho un regalo per te.» Era un serpente grigio lungo. « É una serpentessa speciale.» disse Livia.
Il serpente, che era una femmina, si attorcigliò e si trasformò in una donna. Aveva lunghi capelli neri, lisci come seta, che le cadevano sulle spalle e un viso elegante e fiero. Indossava un diadema d'oro con un grande gioiello al centro, simile a un opale ascintillante. I suoi occhi erano di un grigio profondo e penetrante. Portava orecchini d'oro che le scendevano fino alle spalle, decorati con perline colorate. Al collo, un elaborato collare d'oro con pietre preziose che riflettevano la luce del sole.
La sua veste era realizzata in tessuto pregiato, dorato e decorato con motivi intricati.
Lei mi sorrise e si inchinò. «É un serpente raro di origine di El Dorado che si trasformano in umani,» spiegò Livia. La donna, ora in piedi davanti a me, disse: «Vostra maestà, sono lieta di conoscerla. Mi chiamo Cleopatra.»
«Sei stupenda, Cleopatra.» le sorrisi. Marcus si alzò, prese la mano di Cleopatra e le diede un bacio, dicendo: «Sei stupenda, Cleopatra.»
Ero quasi infastidita dal comportamento di Marcus, ma non gli avrei permesso di fare avance alle mie dame. Cleopatra rispose con un sorriso sicuro: «Lo so, vostra altezza.»
Marcus continuò: «Possiamo...»
Ma Cleopatra lo zittì gentilmente, dicendo: «Mi dispiace, ma servo solamente alla mia imperatrice.»
Mi voltai verso Marcus, notando il suo imbarazzo, e poi guardai Cleopatra con ammirazione. La sua devozione e lealtà erano evidenti. La presenza di Cleopatra portava una nuova energia, e sapevo che sarebbe stata un'alleata preziosa.
«Preferirei fare una passeggiata con la mia signora, se lei desidera.» disse Cleopatra
«Sì, perché no?» risposi, iniziando ad allontanarmi con lei lungo il ponte della nave. Il corridoio era illuminato da una luce del soleche creava un'atmosfera tranquilla e quasi magica. Cleopatra sembrava riflettere su qualcosa, e dopo qualche istante di silenzio, ruppe la quiete.
«Ti piace Marcus, maesta?» chiese, la sua voce carica di curiosità.
Mi fermai e la guardai negli occhi. «No, mai,» risposi con decisione.
Mi fermai e la guardai negli occhi. «No, mai,» risposi con decisione. Cleopatra parve sollevata dalla mia risposta, ma continuò a parlare.
«Non sono voluta andare con lui perché sapevo che mi avrebbe portata a letto.» Marcus porta al letto ogni ragazza che conosce subito dopo esserci stato insieme. Non gli importa tanto di loro.
Lo stava facendo anche con me l'altra volta, ma non gli avrei mai permesso di toccarmi di nuovo, anche se mi piaceva. Rivedevo nella mia mente la scopata di lui con Diana. Marcus è affascinante, ma non gli avrei mai dato me stessa.
«No, non mi piace Marcus,» dissi con fermezza, «è come un fratello per me.»
Cleopatra mi guardò intensamente e disse: «Maestà, leggo nella mente delle persone e so quando mentono. Credo che entrambi vi piacciate, ma purtroppo riesco a leggere solo la mente delle donne, non degli uomini. Altrimenti, l'avrei aiutata.»
Era una buona strategia quella di Cleopatra, usare le sue abilità per svelare le verità nascoste. Mi sentii un po' esposta, ma allo stesso tempo riconoscevo l'utilità delle sue capacità. «Cleopatra,»dissi con un tono più morbido, «ti vorrei sempre con me.»
Cleopatra sorrise, ma poi il suo sguardo si fece più serio. «Maestà, purtroppo ho letto delle menti che dicono che lei non è una buona imperatrice, e mi dispiace tanto perché penso che lei abbia forza. La odiano tante persone, soprattutto le amanti di Marcus, Diana e Elena.»
Quelle parole mi colpirono duramente. Sapevo di non essere amata da tutti, ma sentirlo detto così chiaramente era doloroso. «Perché mi odiano così tanto?» chiesi, cercando di mantenere la voce ferma.
«Maestà» iniziò Cleopatra, «credo che parte del loro odio derivi dalla gelosia e dall'insicurezza. Marcus è un uomo affascinante e molte donne lo vogliono per sé. Diana ed Elena vedono in lei una rivale, qualcuno che potrebbe rubare l'affetto e l'attenzione di Marcus. E poi c'è la questione del trono. Essere una bastarda dell'imperatore le ha creato molti nemici tra i nobili che non accettano la sua legittimità.»
Sospirai profondamente, sentendo il peso di quelle parole. «È una situazione difficile,» dissi, «ma devo trovare un modo per guadagnare il rispetto e la lealtà del mio popolo. Non posso permettere che queste gelosie e rivalità mi distruggano.»
Cleopatra mi guardò con ammirazione. «Maestà, ha già dimostrato di avere una grande forza. Deve solo continuare a essere se stessa e a lottare per ciò in cui crede. Io sarò sempre al suo fianco, pronta ad aiutarla in ogni modo possibile.»
Le sue parole mi rassicurarono. «Grazie, Cleopatra,» dissi, afferrando le sue mani.
Continuammo a camminare lungo il pomte, lasciando che le nostre parole si mescolassero al suono delle onde che si infrangevano contro la nave.
Ero nel corridoio, indossavo un lungo vestito di seta dorata, riccamente decorato con motivi floreali. Il corpetto era aderente, con sottili spalline che lasciavano intravedere le spalle, mentre la gonna scendeva fluida fino ai piedi, ornata con fili dorati e pietre preziose. Ai piedi portavo sandali eleganti, anch'essi decorati con piccoli gioielli.
Era il giorno del compleanno di mio padre. Non era un imperatore molto amato negli imperi. Era cattivo con tutti, anche con quelli che lo amavano. Ero lì, con la mano stretta in quella di Livia, una delle poche persone di cui mi fidavo veramente. Era la mia prima festa pubblica e sentivo l'ansia crescere dentro di me. C'erano tanti nobili, inclusi quelli più importanti, e la tensione nell'aria era palpabile.
Non ero ben vista da alcuni nobili, ma soprattutto dal popolo. Temevano che avrei preso il posto di mio zio, che sarebbe mio padre. Non capivo il perché di questa ostilità, ma sapevo che dovevo fare finta di essere sua nipote per mantenere la pace. Mi odiava tanto, e non sapevo perché. Anche se mi aveva detto ripetutamente che ero una bastarda, lo amavo sempre. Una volta, però, mi ha detto che se avessi fatto qualcosa di male, mi avrebbe punita.
La sala era illuminata da torce e candelabri d'oro, creando un'atmosfera calda e opulenta. I tavoli erano coperti di cibi e bevande lussuose, e la musica riempiva l'aria. Mi sentivo fuori posto, un'estranea in mezzo a persone che avrebbero preferito vedermi sparire.
Livia mi condusse al tavolo dove c'era anche Marcus. Mi salutò con la mano, e io risposi con un sorriso. Ci separavano sempre perché combinavamo guai insieme, ma non potevo fare a meno di adorarlo, il mio fratellastro adorato. C'erano anche le sue amiche alla festa, Diana ed Elena, le sorelle gemelle più fastidiose del mondo. Mi odiavano tanto senza alcun motivo, ma ormai ero abituata alla loro ostilità.
Mi guardai intorno per cercarle e le trovai sedute a due tavoli più in fondo rispetto a quello imperiale. Appartenevano alla famiglia nobile di mio padre, i nostri cugini lontani. Loro sapevano chi ero, conoscevano la verità su mia madre. La serata avanzava e le stelle cominciavano a spuntare nel cielo, illuminando il palazzo con la loro luce pallida.
Mio padre mi lanciò un'occhiata severa. «Non combinare guai, Cesca, per favore.»
«Sì, padre» risposi con un sorriso forzato. Ma lui distolse subito lo sguardo per guardare Marcus, ignorandomi completamente. Ero gelosa del modo in cui lo trattava, come se fosse un figlio perfetto, mentre a me riservava solo freddezza e disprezzo.
Mi sedetti al tavolo, cercando di nascondere il mio disappunto. Livia mi toccò leggermente la spalla. «Andrà tutto bene,» mi sussurrò, ma le sue parole suonavano vuote. Non riuscivo a togliermi di dosso la sensazione di essere sempre l'ultima nella lista di priorità di mio padre.
Marcus si alzò e venne verso di me. Si chinò leggermente e mi sussurrò all'orecchio, «Vuoi venire con me fuori?»
Guardai mio padre, cercando di captare la sua reazione. Il suo sguardo era freddo e distante. «Non farti del male, non ci sono medici per te,» disse, con una voce dura che non lasciava spazio alla comprensione.
Il suo disinteresse per la mia salute mi feriva profondamente. Sapevo che i medici che mi curavano venivano di nascosto grazie a Livia, ma mio padre non si era mai preoccupato di questo. «Sì, padre, non si preoccupi,» risposi, cercando di mantenere la calma.
Lui si voltò, quasi annoiato. «Cesca, ma io non mi preoccupo affatto di te. Vattene adesso.»
Mi alzai, cercando di mascherare il dolore che sentivo dentro. Marcus mi prese per mano e insieme ci dirigemmo verso l'uscita. Diana ed Elena ci seguirono da vicino. «Viene anche lei,» disse Diana, quasi con una nota di sfida nella voce.
Elena sbuffò leggermente. «Vabbè Diana, non importa chi viene, l'importante è che c'è Marcus.»
Loro due erano più grandi di me di due anni, e spesso mi domandavo se Marcus fosse attratto da una di loro o forse da entrambe. Erano diverse, ma uguali nel comportamento: sempre pronte a fare quello che volevano, senza preoccuparsi delle conseguenze.
Mio padre aveva deciso che sarebbero diventate le prostitute della corte una volta cresciute. Lo sapevo perché avevo ascoltato tutto, sempre curiosa di sapere cosa accadeva intorno a me. Era un destino che mi faceva rabbrividire, ma che loro sembravano accettare con una strana rassegnazione.
Uscimmo dalla sala del banchetto e ci trovammo nel corridoio illuminato solo dalle torce alle pareti. Marcus mi prese la mano, trasmettendomi un po' del suo calore. «Andiamo in giardino,» disse, con un sorriso rassicurante.
Diana ed Elena ci seguirono senza fare commenti, anche se potevo sentire la loro presenza come un'ombra opprimente. Arrivammo nel giardino, dove la luna illuminava delicatamente i fiori e gli alberi. L'aria era fresca e piacevole, una pausa rigenerante dopo l'atmosfera soffocante della festa.
Marcus si fermò e si voltò verso di me. «Come stai, Cesca?» mi chiese, con una preoccupazione genuina che raramente vedevo.
«Sto bene,»mentii, cercando di non pensare alle parole di mio padre.
«Non sembri bene,» disse Marcus, osservandomi attentamente. «Sai che puoi parlarmi, vero?»
Annuii, anche se dentro di me sapevo che c'erano cose che non avrei mai potuto condividere con lui. «Sono solo un po' stanca,» risposi, cercando di cambiare argomento. «E voi? Come state?»
Diana ed Elena si scambiarono uno sguardo complice. «Noi stiamo benissimo,» disse Diana, con un sorriso malizioso. «Non è vero, Elena?»
Elena annuì, ma il suo sorriso era più freddo. «Sì, ci divertiamo sempre con Marcus.»
Mi sentii improvvisamente esclusa, come se fossi di troppo in quel piccolo gruppo. Marcus, però, sembrava accorgersene e strinse la mia mano con più forza. «Non preoccuparti, Cesca. Sei sempre la benvenuta con noi.»
Camminammo un po' nel giardino, cercando di godere della tranquillità. Le parole di mio padre continuavano a rimbombare nella mia testa, ma cercai di scacciarle. Avevo Marcus, e per ora, era tutto ciò di cui avevo bisogno.
Mentre ci addentravamo nel giardino, sentii il bisogno di parlare con Marcus da sola. «Posso parlarti un momento in privato?» chiesi, sperando che Diana ed Elena non si offendessero.
«Certamente,» rispose Marcus, guardando le gemelle. «Ci vediamo tra poco.»
Diana ed Elena si allontanarono senza protestare, e io mi sentii sollevata. Marcus mi guardò con attenzione. «Cosa c'è che non va, Cesca?»
«È solo che... mi sento sempre così fuori posto,» ammisi. «E le parole di papà...»
Marcus mi interruppe, mettendomi una mano sulla spalla. «Non ascoltare quello che dice. Sei molto più forte di quanto pensi, Cesca.»
Sorrisi, anche se dentro di me sentivo ancora il peso delle sue parole. «Grazie, Marcus. Sei sempre così gentile con me.»
«L'ho promesso a te e a me stesso. Ti proteggerò sempre,» disse, guardandomi con determinazione.
«Mi prometti che mi proteggerai sempre?» gli chiesi, con la voce tremante di speranza e paura.
Marcus mi guardò negli occhi, il suo sguardo serio e sincero. «Lo prometto, Cesca,» rispose senza esitazione.
«Giuralo,» insistetti, estendendo il mio mignolo verso di lui. Era il nostro modo di suggellare le promesse, un gesto semplice ma significativo.
«Mignolino,» rispose lui, intrecciando il suo dito con il mio.
Rimasi in silenzio per un momento, guardando le stelle che brillavano sopra di noi. Poi, con un sospiro, confessai: «Marcus, mi preoccupano loro,» dissi, indicando con un cenno del capo verso Elena e Diana che ci stavano osservando da lontano.
Marcus seguì il mio sguardo e poi tornò a guardarmi. «Perché?» chiese, la sua voce era dolce e rassicurante.
«Perché ho paura che diventino le tue amanti quando sarai più grande,» ammisi, sentendo un nodo formarsi in gola. Era una paura che mi tormentava da tempo.
Marcus sorrise, un sorriso che era allo stesso tempo rassicurante e divertito. «Te lo prometto, Cesca. Non saranno mai le mie amanti,» disse, stringendo ancora di più il mio mignolo. «Saranno solo amiche, nulla di più.»
Mi sentii sollevata, come se un peso enorme mi fosse stato tolto dalle spalle. «Grazie, Marcus,» sussurrai, con un sorriso timido.
«Ma adesso andiamo da loro,» disse Marcus, prendendomi per mano e avvicinandoci a Diana ed Elena.
Diana mi guardò con un sorriso sprezzante e disse: «Forse i nobili non sanno che sei una bastarda.»
Elena aggiunse subito: «Ma forse lo sapranno presto.»
Le loro parole mi colpirono come un pugno nello stomaco, ma cercai di mantenere la calma. Marcus le rimproverò subito: «State zitte voi! Sarete le future prostitute della corte, non ci andrei tanto fiero.»
Diana, con un sorriso provocatorio, replicò: «Ma le prostitute si fanno pagare e anche molto bene. Invece tu, bastarda non sarai niente.»
La rabbia dentro di me ribolliva. Non potevo più trattenerla. «Forse sono anche una bastarda,» dissi, alzando la voce, «ma almeno io salirò al trono. Sarò l'imperatrice di Atlantide, Lemuria e Hyperborea, e la regina di El Dorado e Mu. Io sarò ricordata nella storia, mentre voi siete solamente delle prostitute che saranno subito dimenticate. Non nella storia, ma da nessuna parte. Tutti gli uomini non si ricorderanno neanche il vostro nome, mentre il mio resterà sempre nella storia.»
Le loro espressioni cambiarono, diventando dure e amare. Marcus mi guardò con un sorriso di approvazione, orgoglioso della mia determinazione.
«Non dovresti parlare così,» disse Elena, cercando di mantenere la sua superiorità.
«Perché no?» ribattei. «È la verità. E la verità fa male, non è vero?»
Marcus si mise tra noi, separandoci. «Basta così,» disse con autorità. «Non siamo qui per litigare. Siamo una famiglia, dobbiamo sostenerci a vicenda, non distruggerci.»
Diana ed Elena abbassarono lo sguardo, evidentemente imbarazzate. «Scusaci, Cesca,» disse Diana, anche se la sua voce suonava falsa.
Non risposi. Non avevo bisogno delle loro scuse. Avevo detto la mia verità e sentivo un peso sollevarsi dalle mie spalle.
«La verità è che voi non sareste un bel niente,» dissi con tono deciso, guardando Diana ed Elena dritto negli occhi. «Ma vi prometto che se salirò al trono e mi darete ancora fastidio, vi brucerò vive.»
Mi girai con determinazione e mi allontanai. Marcus mi raggiunse rapidamente. «Sei stata molto cattiva con loro,» disse, cercando di trattenere un sorriso.
Sorrisi di rimando e dissi: «Meglio essere cattivi che essere falsi.»
Entrammo nel palazzo, dove stava iniziando il banchetto. Le luci dei candelabri riflettevano sul pavimento di marmo, creando un'atmosfera sontuosa. Livia mi vide e mi chiamò: «Cesca, vieni qui, siediti vicino a me.»
Marcus venne invitato a sedersi accanto a Artur. Livia indicò il posto accanto a mio padre. «Marcus, siediti qui,» disse con un sorriso.
Mentre mi sedevo accanto a Livia, sentii il peso degli sguardi su di me. Alcuni nobili mi guardavano con curiosità, altri con disprezzo. Tuttavia, sentivo che avevo il supporto di Livia e di Marcus, e questo mi dava forza.
Il banchetto iniziò con un grande clamore di voci e il tintinnio delle posate. Il cibo era disposto in abbondanza, e il profumo di piatti prelibati riempiva l'aria. Tentai di concentrarmi sulla cena, cercando di ignorare i sussurri e le occhiate.
Mio padre, seduto accanto a Marcus, sembrava più interessato a parlare con lui che a prestarmi attenzione. Questo mi infastidiva, ma cercai di mantenere la calma. Livia, invece, mi parlava con dolcezza, cercando di farmi sentire a mio agio.
Purtroppo, le cose non sono andate come avevo previsto. Io e Marcus eravamo troppo piccoli per capire la complessità delle nostre promesse. Lui, che è diventato un deficiente, aveva promesso che non avrebbe mai fatto diventare Diana ed Elena le sue amanti, e ora lo odio per non aver mantenuto quella promessa.
Cleopatra ed io ci dirigemmo verso la prua della nave. Misi le mani sulla ringhiera, osservando l'oceano infinito e meraviglioso. Le onde si infrangevano dolcemente contro lo scafo, creando una melodia rilassante. Era uno spettacolo mozzafiato, che mi dava un senso di pace e di speranza.
In lontananza, vidi Lemuria. Doveva essere bellissima, il mio nuovo impero. Sentivo un misto di eccitazione e paura all'idea di mettere piede in quelle terre. Avevo tanto lavoro da fare per guadagnarmi il rispetto del popolo e dei nobili.
Cleopatra, con la sua solita grazia, si avvicinò a me. «Maestà, è davvero uno spettacolo magnifico,» disse, guardando l'orizzonte. «Lemuria sarà una grande sfida, ma sono sicura che riuscirete a conquistarla con la vostra forza e determinazione.»
«Grazie, Cleopatra,» risposi, cercando di assorbire il suo ottimismo. «Mi chiedo solo se riuscirò a farlo.»
Cleopatra mi guardò con dolcezza. «Maestà, il vostro valore non dipende dalla vostra nascita. È il vostro cuore e la vostra mente che vi renderanno una grande imperatrice. Non dimenticatevelo mai.»
Annuì, cercando di imprimere quelle parole nella mia mente. «Hai ragione, Cleopatra. Devo ricordarmi chi sono e cosa posso fare.»
Rimasi lì, a osservare Lemuria che si avvicinava sempre di più. Le torri e le mura della città scintillavano sotto il sole.
Scendemmo dalla nave e ci trovammo di fronte a uno spettacolo mozzafiato. Lemuria si estendeva davanti a noi in tutta la sua magnificenza: montagne imponenti che si ergevano verso il cielo, circondate da una vegetazione lussureggiante, fiumi cristallini che serpeggiavano tra le valli, e un oceano azzurro che lambiva dolcemente le coste. Era un paesaggio da sogno, un luogo di pace e bellezza incontaminata.
Ad accoglierci c'era un gruppo di persone, il popolo di Lemuria, che reclamava la sua imperatrice. Ero felice di vedere i loro volti pieni di speranza e aspettativa. Cleopatra mi teneva per mano, infondendomi sicurezza. «Leggo nella mente del popolo, maestà,» mi disse con un sorriso rassicurante.
Alcuni abitanti si avvicinarono per toccarmi la spalla in segno di rispetto e affetto. Sentii una calda ondata di emozioni attraversarmi. Erano felici di vedermi, e questo mi riempì il cuore di gioia.
Livia, Marcus e tutte le altre persone che avevano navigato con noi scesero dalla nave e si unirono a noi. Livia mi sorrise, orgogliosa di me. Marcus, con la sua solita aria protettiva, osservava attentamente la folla.
Mi rivolsi alla gente, cercando di trasmettere tutta la mia determinazione e il mio amore per loro. «Popolo di Lemuria,» dissi con voce forte e chiara, «sono qui per guidarvi verso un futuro di prosperità e pace. Insieme costruiremo un grande impero, dove ognuno di voi avrà la possibilità di prosperare e vivere in armonia.»
Un mormorio di approvazione si levò dalla folla. Cleopatra strinse leggermente la mia mano, trasmettendomi la sua energia positiva. Sentii che potevo farcela, che insieme avremmo superato ogni ostacolo.
Cleopatra si avvicinò al mio orecchio e sussurrò: «Sono con voi, maestà. Il popolo vi ama e vi seguirà ovunque.»
Mentre ci avvicinavamo al palazzo, un uomo si fece avanti tra la folla. Era alto e snello, con capelli ricci e biondi che cadevano in onde morbide intorno al viso. I suoi occhi azzurri brillavano come zaffiri sotto il sole di Lemuria, conferendogli un'aura quasi angelica. Poteva avere la mia stessa età, forse qualche anno di più.
Era vestito con un abito elegante e ricercato: una tunica bianca di lino finemente ricamata con fili d'oro, che cadeva morbida fino alle caviglie. Sopra la tunica, indossava una sopravveste blu scuro con intricati motivi dorati, che gli conferiva un'aria nobile e regale. Ai piedi portava sandali di cuoio finemente lavorati, e al collo un pendente con un brillante cristallo azzurro che scintillava alla luce del sole.
Si avvicinò a me con grazia e sicurezza, facendo un profondo inchino prima di prendere delicatamente la mia mano e baciarla. «Maestà imperiale,» disse con una voce calda e melodiosa, che risuonava come una dolce melodia. Il suo sorriso era gentile e rispettoso, e nonostante non sapessi chi fosse, la sua presenza mi trasmetteva una sensazione di calma e sicurezza.
Gli sorrisi a mia volta, cercando di mascherare la mia curiosità. «Grazie, signore,» risposi, mantenendo la mia mano nella sua per un momento prima di ritirarla con grazia. «Posso chiedere il vostro nome?»
Lui si raddrizzò, mantenendo il suo sorriso affabile. «Il mio nome è Cornelius , maestà. Sono il figlio del granduca di Lemuria e sono onorato di fare la vostra conoscenza.»
Annuii, riconoscendo il nome. «È un piacere conoscervi, Cornelius. Spero che avremo l'opportunità di parlare più a lungo.»
«Sarà un onore, maestà,» rispose Cornelius, facendo un altro inchino prima di allontanarsi leggermente, lasciando spazio per permetterci di proseguire verso il palazzo.
Mentre camminavamo, Cleopatra si avvicinò a me, sorridendo maliziosamente. «Un giovane molto affascinante, non trovi?» sussurrò, facendomi arrossire leggermente.
«Sì, lo è,» ammisi, guardando brevemente Cornelius prima di tornare a concentrarmi sul cammino. «Ma non ho tempo per distrazioni. Ci sono troppi doveri e responsabilità che mi attendono.»
Cleopatra annuì comprensiva. «Lo capisco, maestà. Ma ricordatevi che anche gli imperatori hanno bisogno di amici e alleati.»
Riflettei sulle sue parole mentre ci avvicinavamo alla grande sala del trono, dove i nobili e i consiglieri di Lemuria ci stavano aspettando. Ero pronta ad affrontare le sfide che mi attendevano, con la determinazione di costruire un impero giusto e prospero.
Marcus venne verso di me con un'espressione seria sul volto. Si fermò proprio davanti a me, guardandomi negli occhi. «Cesca,» disse con una voce grave, «non fidarti dei ragazzi. Non mi fido di loro. Promettilo, Cesca.»
Mi fermai, trattenendo il respiro per un momento. I ricordi delle sue promesse non mantenute mi attraversarono la mente come un'onda. Mi girai lentamente verso di lui, il mio sguardo fermo e deciso. «Anche tu mi avevi promesso che non ti saresti fatto amanti Diana e Elena,» risposi con un tono freddo. «Quindi sì, te lo prometto. Starò lontana da tutti i ragazzi che mi parlano.»
Le parole uscirono più dure di quanto avessi previsto, ma erano cariche di una verità che non potevo ignorare. Mi girai senza aspettare una risposta, il mio cuore battendo forte mentre riprendevo il mio cammino. Cleopatra mi seguiva, silenziosa, ma il suo sguardo mi trasmetteva comprensione e supporto.
Mentre camminavo tra la folla, la mia mente era già proiettata verso il futuro. Un futuro di speranza, forza e determinazione. Ero pronta a scrivere il prossimo capitolo della mia storia e di quella del mio impero, con la convinzione che insieme, avremmo reso Lemuria grande.
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