98.Poble Espanyol
Ai miei sospetti fu data risposta neanche un attimo dopo, quando nei mens si palesò la presenza di almeno venti Arkonanti, di cui solo i fratelli Affilanti e Kerkyra mi erano familiari; gli altri probabilmente, erano residenti di Barcellona o dintorni.
«Bel colpo ragazzi, bel colpo!» strepitò emozionato R.R.R. rivolto a Elias ed Ewan. «Adesso però credo che sia il caso di preservare i nostri beni più preziosi, non credete?»
Fece un breve inchino che trasformò in una piroetta durante la quale si levò il cappello lanciandolo come un frisbee verso uno degli Arkonanti più vicini, e che terminò nascondendosi dietro una delle colonne del porticato retrostante.
In quel momento avrei voluto insultarlo in mille lingue diverse perché ci aveva condotti lì senza avvertirci minimamente, immischiandoci in quella situazione, per poi lasciarci alla mercè dei nostri nemici, ma non ne ebbi la possibilità perché questi ultimi non avevano la minima intenzione di concederci il tempo di razionalizzare alcunché.
Avrei proposto di restare vicini per affrontarli insieme unendo le forze, ma Liss era già partita a razzo, dopo aver sfilato i suoi soliti pugnali da qualche tasca invisibile, per trasformarsi nella spietata macchina da guerra che conoscevo bene, mentre Padma stava già puntando verso Hannah.
«Lingua Affilata Uno e Due sono nostri!» esclamò Ewan.
Isidoro, però, doveva aver avvisato gli altri Arkonanti della presenza dei due Adelphi, perché già tre figure in verde si erano interposte tra loro. Mentre uno mirava alla testa di Elias, lui si abbassava per schivare il colpo e con uno sgabello, forse dimenticato da qualche ristorante in punto di chiusura, spingeva un altro Arkonante addosso all'individuo che era sul punto di attaccare Ewan, mentre quest'ultimo balzava sul collo del primo per spezzarglielo con una morsa micidiale, salvando il suo Adelpho. Era sconsigliabile, da quel che sapevo, usare i muri di mens contro chi possedeva il legame che univa i due ragazzi, ma anche con i combattimenti ravvicinati, con grande dispiacere degli Arkonanti, restavano in evidente vantaggio. I movimenti dell'uno erano prolungamenti dell'altro, come una sola mente che agiva con due corpi diversi.
Isidoro però, non sembrava essersi scomposto minimamente, e ora lui e Cosimo stavano sferrando un attacco che però non fui in grado di vedere perché Yoann mi chiamò mentalmente indicandomi la direzione verso cui era sparito R.R.R. e gli Arkonanti che gli stavano andando dietro. L'obiettivo degli Arkonanti era sempre stato il Mecenate dei Perduti, noi eravamo soltanto un imprevisto che ostacolava i loro piani. Bene, allora avremmo fatto in modo di essere un imprevisto davvero insormontabile.
Dopotutto, per far sì che R.R.R. morisse agli occhi degli Arkonanti, prima dovevamo tenerlo in vita e al sicuro.
Feci per balzare verso uno dei tetti, in modo da avere una visione d'insieme, quando percepii la sensazione di qualcosa di agghiacciante che mi arpionava la caviglia e mi tirava verso il basso. All'improvviso mi trovai a strisciare sull'asfalto, sentendo stridere e bruciare la pelle al contatto forzato, cercando inutilmente di capire che diamine stesse accadendo. Provai a fermare la mia avanzata arpionandomi con le unghie, ma non c'era niente a cui potessi agganciarmi e la forza che mi trascinava era di gran lunga superiore alla mia.
Yoyo si fermò cercando di aiutarmi ma io lo rassicurai mentalmente che era tutto sotto controllo e di andare a proteggere R.R.R. perché era più importante, e lui, seppur riluttante, ascoltò le mie parole.
Ero ormai stata trasportata dall'altra parte della piazza quando riuscii a capire che a chiudersi intorno alla mia caviglia era stata una sorta di morsetto di metallo connesso a una catena che un Arkonante stava tirando a sé. Diedi una rapida occhiata all'ambiente circostante e grazie al mio cebrim dell'architettura rilevai la velocità con la quale mi stavo muovendo e calcolai mentalmente il tempo che ci avrei impiegato a raggiungere la prima colonna, poi individuai il punto in cui questa era più instabile.
Quando l'ebbi raggiunta allargai le gambe per issarmi a cavalcioni su di essa. Come previsto, l'Arkonante continuò a tirare, provocandomi delle fitte dolorose alla caviglia che si percossero sul resto del corpo. Strinsi i denti e mi allungai verso la crepa che avevo individuato, finendo praticamente per abbracciare la colonna. Una cosa che invece non avevo previsto erano i riccioli neri che continuavano a finirmi davanti agli occhi, e mi chiesi perché diavolo quel mattino non me li fossi raccolti!
Non appena infilai un dito nella crepa, visualizzando i mens che la componevano e acquisendone il controllo, una seconda catena si avviluppò intorno al mio piede libero e sentii una nuova forza tirarmi intensamente anche da quella direzione.
Peccato che l'Arkonante non si aspettasse che, insieme a me, anche buona parte della muratura che componeva la colonna - la cui rottura era stata facilitata dal mio intervento sulla crepa - gli si avventasse addosso come riflesso della forza da lui stesso esercitata.
Vidi il terrore dipingersi sul suo volto mentre si vedeva arrivare addosso tutte quelle macerie. Si raggomitolò su sé stesso per proteggersi all'ultimo secondo con uno scudo di mens, che tuttavia non fu ugualmente sufficiente a schivare totalmente l'impatto. Entrambi fracassammo con i nostri corpi la vetrina del negozietto che si trovava dietro di lui, schiantandoci al suo interno. All'ultimo secondo mi salvai con una capriola mentre lui invece cozzò contro uno scaffale e rotolò in mezzo ai vetri rotti, privo di sensi.
Spinta da un improvviso moto di preoccupazione nel vedere l'uomo così inerme, mi avvicinai al suo corpo e lo voltai su un lato, per premere due dita sul suo collo. Quando percepii un lievissimo battito cardiaco tirai un sospiro, sollevata che fosse ancora vivo. Era un nemico, certo, ma era pur sempre un Ephuro, un essere vivente, e anche se aveva appena tentato di uccidermi non vedevo perché io avrei dovuto fare lo stesso. Scacciai la strana sensazione di repulsione dal mio stesso pensiero, che sembrava più che altro qualcosa di cui io stessa stavo tentando di convincermi - anche perché, prima di quel momento non mi ero preoccupata minimamente di quali effetti avrebbe potuto avere la mia difesa - e mi allontanai.
Il locale, che probabilmente era stato un negozietto di bigiotterie antichizzate, come dedussi da alcuni dei resti, era ridotto davvero male e mi chiesi come avrebbe potuto reagire il suo povero proprietario dinnanzi a un tale disastro...
Uscita in strada, dolorante per via dei frammenti di vetro che mi si erano conficcati nella carne, notai che le macerie del pezzo di edificio che avevo fatto crollare si erano interposte tra me e la piazza, motivo per cui avrei dovuto fare tutto il giro per raggiungere gli altri.
Mi liberai delle catene alle caviglie e presi a incamminarmi il più velocemente possibile, scegliendo di evitare di salire sui tetti dato che sarei stata troppo in vista; gli Arkonanti avevano sicuramente approfittato della loro evidente maggioranza numerica per circondare l'area e controllare così ogni movimento. Anzi, sicuramente avevo attirato già fin troppo l'attenzione su di me con tutto quel casino!
Per cercare di non farmi notare mi mossi più adiacente possibile alle pareti delle case, nascondendomi dalla luce dei lampioni che si erano accesi da poco dietro piante ben curate, panchine, e teche espositive. Percepivo fruscii e lievi suoni di passi rapidi tra i tetti sopra e intorno a me e facevo il possibile per cercare di distrarli con piccole illusioni e nascondigli temporanei.
Quando mi sembrò di averli seminati, mi appoggiai con la schiena sul lato di una grossa teca di vetro che conteneva una statua di due metri e cinquantadue vestita in abiti tradizionali e una coroncina di fiori in testa e mi sporsi lievemente per controllare che sul tetto di fronte non ci fossero movimenti.
Non sembrava esserci niente, così mi permisi di prendere un sospiro di sollievo. Ora un silenzio pacifico spirava nell'ambiente circostante, leggero e temporaneo come una folata di vento in un agosto torrido. Persino i suoni degli scontri, che sapevo essere in corso nella piazza e chissà dove altro, sembravano essersi attutiti.
Poi, il suono di una crepa nel vetro. Aggrottai le sopracciglia, confusa, ma non ebbi nemmeno il tempo di verificare di cosa si trattasse, che una grossa mano di cemento si chiuse sulla mia bocca e mi attirò a sé, artigliandomi in una presa mortale che mi impedì di respirare e fare niente se non dimenarmi senza sortire alcun effetto.
Ma dove diamine ero finita? Da quand'era che le statue prendevano vita? La situazione stava iniziando a degenerare, tanto da darmi l'impressione di trovarmi in un film horror di serie B, e dato che non mi attirava per niente l'idea di fare la fine della classica vittima ingenua che moriva sempre nei modi più terribili, riuscii a riscuotermi poco prima di perdere i sensi. Grazie ai mens, la statua implose su sé stessa e io caddi a terra, agonizzante, cercando di riprendere il controllo del mio respiro.
Non ebbi neanche un attimo di tempo, però, che quella che supposi essere stata la marionettista stava saltando giù da una grondaia, armata con una specie di grossa lancia acuminata e di uno sguardo feroce, pronta a infilzarmi per vendicare la sua grossa amica di cemento.
Rotolai di lato, schivando il suo colpo all'ultimo secondo, e la punta della lancia trapassò il pavimento frantumandolo con un tonfo. Sperai di sfruttare il tempo che avrebbe impiegato a estrarre l'arma per potermi allontanare, ma quell'Ephura gigantesca - il suo aspetto in effetti somigliava quasi a quello della statua che avevo distrutto - impiegò un attimo a tirarla fuori e a ruotarla verso di me. Era evidentemente facilitata da un cebrim della forza sovrumana e della velocità, ma dato che anche io non ero da meno, si poteva dire che eravamo pari. O che almeno avremmo potuto esserlo se solo io non fossi stata appena sbalzata sulla vetrina di un negozio di bigiotteria e quasi strozzata da un colosso di cemento alto due metri che indossava una deliziosa coroncina di fiori.
Forse la soluzione migliore era quella di fuggire, anche se le caviglie, entrambe slogate probabilmente, di certo non erano d'aiuto...
D'istinto sfondai la porta più vicina per entrare in un altro negozio, proprio nel momento in cui la lancia falciava l'aria sopra la mia testa e si impigliava in un'insegna finemente decorata. Questa volta non si trattava di un vero negozio, mi resi conto una volta che fui al suo interno, perché il soffitto era molto più alto e arieggiante, e un'imponente scalinata adornata di una ringhiera scura conduceva al piano sovrastante.
Sentendo i passi dell'Arkonante dietro di me non esitai un secondo a superare un'intera rampa con un balzo solo e a fare lo stesso con la seconda. Al piano di sopra mi resi conto di trovarmi in una sorta di museo, come suggerivano i grossi quadri alle pareti, il lampadario ramificato e il soffitto ornato di bassorilievi, che però non ebbi il tempo di restare ad ammirare. Sentivo i passi rapidi dell'Ephura che saliva le scale avvertendo dell'imminenza del suo arrivo, i raggi rossi del tramonto filtravano dalle ampie finestre che si alternavano tra un dipinto e l'altro disegnando le sagome dei vetri sul pavimento formato da piastrelle color legno, il palpito del cuore nelle orecchie scandiva il ritmo della mia ansia.
Quando la donna ebbe superato l'ultimo gradino avevo appena aperto la finestra in modo che riuscisse a vedermi mentre saltavo su quella della casa di fronte. Sotto quell'edificio non c'era alcun negozio, l'avevo notato prima in strada, e il modo in cui erano disposte le pietre del muro di tamponamento e le dimensioni non a misura d'uomo di porta e finestre mi avevano fatto dedurre la reale entità di quella costruzione, che non serviva ad altro che a essere guardata da fuori: solo facciata, senza niente all'interno.
Un involucro vuoto.
Valicato il serramento di cartone, dal davanzale ruotai verso destra per posarmi direttamente su una delle travi del solaio che sporgevano dal muro. L'Ephura, invece, del tutto ignara si lanciò decisa su un pavimento del tutto inesistente e cadde per ben due piani di altezza nel nulla totale. Per la sorpresa della mancanza inaspettata di una superficie orizzontale non riuscì ad aggiustare la sua caduta con il parkour se non all'ultimo momento, che non gli fu sufficiente. Atterrò decisamente male, con la gamba sinistra inclinata in una strana angolazione. Gridò per il dolore e in preda alla furia scagliò la sua lancia verso di me.
La schivai senza difficoltà, quella squarciò la parete sottile e spuntò dalla parte opposta. La donna gridò di nuovo, questa volta per la frustrazione, e mi dispiacque quasi per lei. Aveva una famiglia? Dei figli con i quali ora non avrebbe più potuto correre? Un uomo che amava e, ignaro, l'aspettava a casa? Cosa nascondevano quelle sopracciglia folte e quei lineamenti duri?
Quando un muro di mens mi fu scagliato contro tornai in me, ricordandomi che quella che mi trovavo davanti restava pur sempre un'assassina e fanatica, se aveva dei figli, li stava di sicuro crescendo per farli diventare come lei, e il suo amante non poteva che essere pure lui un Arkonante, dato che i Letargianti per loro erano esseri inferiori, niente di più che una fonte di accrescimento del proprio Cerebrum.
Contrastai il suo attacco con uno di uguale valore che fece sì che si annullassero l'un l'altro a mezz'aria. Aguzzando gli occhi potevo vedere i mens che collidevano fondendosi nel nulla.
Quando prese a sollevare con la telecinesi alcuni oggetti circostanti - sacchi dell'immondizia, mattoni avanzati a qualche costruzione, o semplici sassi - per lanciarli verso di me, compresi che era l'ora di andarsene.
Con un balzo raggiunsi la finestra opposta e da lì mi allontanai definitivamente dalla donna gigante per aggrapparmi alla finestra della casa successiva. Quest'ultima, invece, possedeva un pavimento, anche se gli scricchiolii che faceva sotto il mio peso sarebbero stati sufficienti, anche senza possedere un cebrim dell'architettura, per capire che quel solaio non possedeva gli incastri sufficienti a sorreggere il carico di una sola persona. Così ci trascorsi sopra meno tempo possibile, poggiando i piedi nei punti che percepivo essere più resistenti, per poi passare subito alla successiva.
Muovendomi dall'interno delle abitazioni ero difficilmente avvistabile e inoltre il mio primo cebrim mi avvantaggiava. Le case, per giunta, erano tutte vicine tra loro e anche quelle separate da distanze maggiori non erano un problema con il parkour.
Il mio obiettivo era quello di raggiungere la piazza, anche se non sapevo se pure lì sarei potuta essere molto d'aiuto, ridotta com'ero. Asso nella manica migliore, o forse l'unico, in quel posto, si stava dimostrando essere proprio quello che mi sarei aspettata di meno. Forse la causa era la rarità del cebrim, che lo differenziava da quelli che invece tutti possedevano e sapevano quindi come contrastare.
Plaza Mayor, invece, era un luogo in cui i combattimenti, per forza di cose, non permettevano sotterfugi e trappole, ma nei quali si evinceva la vera potenza degli Ephuri. E, per quanto avessi appreso molte tecniche di combattimento, non mi sentivo ancora in grado di affrontare quegli Arkonanti così potenti ed esperti. In ogni caso, era giusto restare insieme ai miei amici, non avevo alcuna intenzione di farmi separare da loro; da uniti avremmo avuto maggiori possibilità di riuscita.
"Dove siete?" chiese proprio in quel momento Yoann, e poi, prima di sentire le nostre risposte, aggiunse: "R.R.R. sta percorrendo una specie di salita sul rilievo, e sta attirando dietro di sé alcuni Arkonanti, forse vuole inscenare lì la sua morte, però per farlo dobbiamo essere tutti presenti per poter pensare a un piano su come fare".
"Non se lo potrebbe pensare da solo il piano, visto che sa sempre tutto?" ribatté inviperita Liss.
"Dov'è questa salita?" chiese Padma, ma Yoyo, forse distratto da un qualche combattimento in corso, aveva già sigillato la sua porta e con essa ogni collegamento alla sua posizione.
"È quella verso cui stanno andando le Lingue Affilate!" esclamò Ewan, prima di chiudere pure lui il collegamento.
"Ma dove sono le Lingue Affilate?!" chiese ancora Pad, inutilmente. Bene, almeno non ero l'unica a essermi persa.
Mi sporsi dal davanzale dell'edificio in cui mi trovavo in quel momento, senza però riuscire a notare nulla di più delle case circostanti. Quegli edifici erano troppo bassi, non mi permettevano una visuale sufficientemente ampia, e se avessi osato salire sulle coperture probabilmente sarei stata fucilata a vista o per lo meno un paio di Arkonanti accaniti mi avrebbero reso assai sgradevole la strada per raggiungere il punto prefissato.
Se solo avessi potuto sfruttare ancora il mio primo cebrim... "E se potessi davvero?" mi resi conto in un lampo di genio. Il mio professore di Scienze e Tecnologie Applicate, una materia che serviva a introdurre gli studenti di seconda a quello che si sarebbe studiato nel triennio, una volta a lezione aveva accennato alla topografia, una scienza con la quale si misura il terreno tramite degli strumenti che individuavano dei punti per rappresentare il territorio con una piantina, cioè come se si vedesse il tutto dall'alto.
Perché non sfruttarla per individuare la posizione che aveva indicato Yoann? Dopo quella lezione avevo letto alcuni approfondimenti in un libro perché mi ero incuriosita. Forse ora quelle conoscenze facevano parte del mio patrimonio del sapere contenuto nel cebrim dell'architettura, o forse, essendo una pratica relativa a quest'ultimo, mi sarebbe stato facilitato il suo sblocco!
Mi concentrai cercando di rispolverare, negli angoli più dimenticati degli scaffali contenuti nel mio Jutnos, la pergamena contenente quello specifico ricordo. Sentendo l'istinto di scendere in strada saltai giù con un balzo, ignorando la fitta di dolore alle caviglie, e il mio sguardo scorse sulle costruzioni intorno a me, soffermandosi automaticamente su uno spigolo. Quello, mi resi conto, sarebbe stata una buona posizione iniziale per battere, così si diceva quando si individuava un punto successivo partendo da un punto di base.
In quel momento percepii una lieve eco di schiocco nelle orecchie, e i miei occhi si spostarono sul punto individuato, come se da lì stessi guardando dentro un cannocchiale puntato nel punto da battere, che da dove mi trovavo non era visibile; battere i punti, nella rilevazione topografica, serviva proprio per comprendere la forma e le dimensioni di un territorio: da un certo punto individuarne un altro che magari dal punto iniziale non era visibile per via di un ostacolo in modo tale da raggirarlo e raggiungere ugualmente l'obiettivo.
E fu proprio quello che feci: in una rete a zig-zag che si infiltrava in una viuzza prima e un piccolo slargo poi, individuai, uno dopo l'altro, ogni singolo punto dove non potevo vedere, attraversando strade e edifici, il tutto restando ferma in un solo luogo sicuro. Intrapresi più percorsi, sbagliai più volte e a ogni errore ritornai indietro di diversi punti per riprovare con una nuova direzione fino a quando non individuai delle scale che conducevano a un monastero finto. Bingo!
Mi resi invisibile, pur consapevole che non sarebbe stato sufficiente a celarmi allo sguardo degli Ephuri che perlustravano le strade, e con scatti rapidi raggiunsi ognuno dei punti prima individuati, sperando che nessuno mi notasse. All'improvviso, sentendo delle voci, mi acquattai dentro una piccola bottega di artigianato, per poi sporgermi lievemente a osservare.
«Ma', babbo, perché non torniamo al camper? Questo posto è deprimente, non c'è nessuno!» si stava lamentando la voce di un bambino, sorprendentemente in italiano. Mi sporsi incuriosita, notando che non si trattava di Arkonanti, bensì di semplici Letargianti turisti un po' fuori dall'orario classico di visita. In effetti il Poble Espanyol era ancora aperto e probabilmente chiudeva solo alle otto di sera, era più che probabile che si trovasse ancora gente in giro.
Incuriosita mi sporsi da dietro il vetro della finestra a osservare la famigliola del tutto ignara dei combattimenti in corso. Era composta da ben quattro bambini, due maschi e due femmine, la maggiore non superava gli undici o i dodici anni e sembrava quella che si divertiva di più, intenta a immortalare con la sua macchina fotografica ogni scorcio di paesino baciato dagli ultimi raggi del sole, che in effetti creava immagini davvero suggestive.
«Io lo trovo bellissimo invece, soprattutto con la luce del tramonto!» stava infatti esclamando proprio in quel momento, prima di girarsi a scattare una foto a tradimento alla sorella più piccola, che si adirò con lei, gridandole un sonoro: «Dai!».
Le due furono riprese dai genitori e senza rendermene conto mi misi a ridacchiare per quanto fosse carina e spensierata quella famiglia. Quanto mi sarebbe piaciuto poter visitare il Poble Espanyol come semplice turista, senza dovermi preoccupare di trovare un modo per non farmi prendere dagli Arkonanti, avere salva la vita, e inscenare la morte di quella specie di stilista strampalato!
Mi venne un colpo quando la bambina puntò la sua macchina fotografica proprio verso la finestra dietro cui mi trovavo io. Scattai di lato, mettendomi con la schiena contro il muro e poi sentii il click. Bene, non mi aveva presa. Sarebbe stato un bello spavento per loro notare una figura nell'ombra dentro una casa che in teoria non avrebbe dovuto essere abitata...
Quando le voci dei Letargianti si furono allontanate a sufficienza, sgusciai fuori dal mio nascondiglio e proseguii lungo la strada che ormai era ben spianata nella mia mente.
Scivolai decisa in una piccola insenatura tra delle casette intonacate di un bianco lucente, che sarebbe stata praticamente impossibile da avvistare dall'alto. Non appena mi trovai al suo interno, però, sentii accartocciarsi qualcosa dentro il mio petto, mentre una strana sensazione mi assaliva, costringendomi a rallentare il passo.
Le porte color ebano creavano un contrasto potente con le mura candide, così come le inferriate metalliche alle finestre, le quali erano caratterizzate da piccoli davanzali colmi di piantine che si sporgevano lievemente sulla stradina grigia. Addossati alle pareti, ad accompagnare le lanterne pittoresche che diffondevano un soffuso lume giallognolo, si inerpicavano, tutti vicini tra loro, una serie di piccoli vasetti blu dagli orli a semicerchio, da cui pendevano fogliette verdi rivolte ai passanti. Qui le case non superavano il primo piano d'altezza e a ogni svolta dell'angusta viuzza erano collegate tra loro da archi sormontati da tegole arancio-marroncino sbiadito.
Mi aggrappai alla parete, esausta, affascinata e confusa, e con una mano sfiorai uno dei vasetti blu. La logica mi suggeriva che quel posto mi avesse colpita particolarmente solo perché molto diverso da tutti gli altri per via dei suoi colori puri e semplici, eppure il mio cuore gridava che c'era qualcosa di più: nostalgia di casa. Questo, però, non aveva il minimo senso, dal momento che ero più che sicura di non aver mai visto prima nulla del genere, non ero nemmeno mai stata in Spagna prima di venire a Barcellona! Eppure, mi sentivo per qualche oscura ragione legata in modo intimo al luogo che quell'imitazione, nel suo piccolo, rappresentava.
Andalucia, lessi su un cartello di indicazioni quando raggiunsi la fine della strada tra le casette bianche. Una miniatura di una mappa della Spagna suddivisa in zone evidenziava la regione meridionale del Paese.
Per un attimo rimasi incantata a guardare dietro di me quel luogo che mi pareva così speciale, poi decisi di darmi una risvegliata. Scossi la testa, come a scacciare quelle strane sensazioni che non sapevo come spiegarmi, e ripresi di corsa la strada che conduceva al monastero. Avevo già perso troppo tempo, e il buio ormai predominante ne era un'ulteriore dimostrazione.
Giunta nella piazzetta che precedeva la terrazza con la vista panoramica, però, ebbi uno strano presentimento, che trovò risposta l'attimo successivo. Un fruscio proveniente da uno degli alberi che circondavano la fontana che si ergeva al centro della piazza mi avvertì della macchia rossa e del peso di un corpo che mi si lanciava addosso con la massima potenza, permettendomi di deviare il colpo che mirava alla testa e di rifletterlo con il taglio della mano sul collo della giovane avversaria, che emise un mugolio ma si risollevò con una capriola facendo ruotare la chioma di fuoco.
Non ebbi nemmeno il tempo di studiare l'avversaria che questa aveva già preso lo slancio da un tronco per balzarmi nuovamente addosso con una mano tesa in avanti. La mossa era prevedibile, così mi scansai di lato sicura di poterla colpire a un fianco con la gamba. Peccato che lei avesse in mente qualcos'altro: non appena schivai il suo colpo, come se si aspettasse proprio quella difesa, ruotò l'altra mano come ad afferrare qualcosa in aria che proiettò, con un movimento brusco del polso, nella direzione del mio ginocchio alzato verso di lei.
Senza che potessi fare alcunché percepii qualcosa di pesante ma invisibile che mi colpiva la gamba schiacciandola sul pavimento con una morsa troppo forte da contrastare, buttandomi al tappeto. La ragazza concluse il balzo usando una sorta di superficie invisibile come trampolino per slanciarsi nuovamente su di me, le mani giunte puntate verso l'alto come a impugnare una grossa spada inesistente.
Vedendo quella guerriera spietata e terrificante coprire il mio campo visivo pensai che fosse veramente la fine. Non avevo alcuna arma con cui difendermi e non avevo il tempo di escogitare alcunché. D'istinto mi protessi con le mani, sperando che uno scudo di mens fosse sufficiente a proteggermi da quell'attacco, ma proprio in quel momento udii una specie di ululato, un fruscio e poi un gemito di dolore.
Sentii finalmente mancare la pressione che mi aveva arpionato la gamba e alzai lo sguardo, notando la rossa accasciata dentro alla piccola fontana, priva di sensi, i riccioli riversi sul busto, la tenuta da Arkonante bagnata un poco dall'acqua.
A neanche un metro da lei, ancora in posizione di atterraggio da un calcio volante e il pugnetto teso verso l'avversaria appena colpita, c'era Padma.
«Ho pensato che ti servisse una mano, così ti ho dato un piede!» spiegò la mia amica di fronte alla mia espressione stupita e riconoscente, facendo spallucce.
Senza dire una sola parola le saltai addosso per abbracciarla. Sapevo che non le piaceva - e infatti si irrigidì - ma lasciò comunque fare, prima di sgusciare fuori delicatamente da sotto un braccio.
Mi volsi a guardare l'Arkonante svenuta che doveva avere all'incirca la nostra età, forse poco più, chiedendomi che tipo di cebrim avesse usato. Sembrava quasi che afferrasse con le mani delle armi invisibili, sicuramente composte di mens.
«Non mi piacciono gli Arkonanti spagnoli» commentai.
Padma annuì, concordando, e poi riprendemmo entrambe la nostra avanzata, felici di esserci riunite. A guidare la mia amica verso la strada giusta era stato Trich, dedussi vedendo il lorichetto arcobaleno svolacchiare verso la terrazza sulle mura del Poble Espanyol che, per quanto potesse essere incantevole, non degnammo di mezzo sguardo dato che non avevamo la possibilità di soffermarci ad ammirare il paesaggio.
«Padma,» chiesi, iniziando a salire i bassi e lunghi scalini che conducevano al monastero, «sbaglio o prima hai fatto una specie di ululato?»
«Non era un ululato, ma un semplice verso per darmi la forza.» Poi aggiunse, vedendomi confusa: «Come quelli degli animali, no? Siamo animali pure noi, quindi perché non dovremmo farli? Sono utili per concentrarsi.»
Mi superò a lunghe falcate, lasciandomi stupita con il sorriso dipinto sulla faccia. Ricordai gli insegnamenti che il padre le aveva impartito, e collegai quel verso ad altri che le avevo visto fare anche in passato ma a cui non avevo prestato attenzione. Non erano neanche tanto diversi da quelli che faceva Bruce Lee nei suoi film durante i combattimenti a dir la verità, quindi supposi fosse proprio una caratteristica delle arti marziali in generale. Di queste ultime, dopotutto, avevo acquisito le tecniche ma non sapevo quasi nulla della cultura.
Velocizzai il passo per fiancheggiare la mia amica, e proseguimmo la salita fino a quando la figura del Monestir de Sant Miquel non si dispiegò tra gli alberi, spettralmente illuminata dai lampioni nella notte priva di stelle.
Non sapevo cosa aspettarmi da qualunque diavoleria R.R.R. stesse architettando, ma di una cosa ero sicura: come avvoltoi assiepati intorno a una preda facile, lì ci attendevano tutti gli altri Arkonanti.
E noi non avevamo nemmeno pensato a un piano.
Quanta action tutta insieme dopo tanti capitoli di tranquillità! 🤣
Sinceramente sono stupita pure io di essere riuscita a scrivere un capitolo tutto insieme senza interromperlo nel mezzo tipo 5 volte con cliffhanger, vi è andata bene, credetemi ahah
Comunque se vi interessa, relativo a questo capitolo e al precedente c'è un capitoletto di curiosità negli Extra, e anche qualche Easter Egg, vediamo se li avete notati! La cosa bella è che l'ho pure scritto verso Pasqua, sarà stato questo a ispirarmeli 🤣
Beh comunque buona lettura!
꧁ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA꧂
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