90.Yoann

Anche i mostri vogliono carezze, ma il mondo li nasconde sotto il letto e li fa diventare ancora più orribili.

-Fabrizio Caramagna-

«Ogni volta che io vado a vederla, gli Ophliri sono lì, a ricordarmi quello che mi hanno portato via e io non posso fargliela pagare né esprimere ciò che provo per loro. Non posso restare a guardare mentre ti trasformano in un mostro, Yoann.»

Il ragazzo, lievemente illuminato dalla penombra notturna della spiaggia, era più cupo dell'inchiostro che sciabordava sulla sabbia. Impossibile supporre cosa stesse pensando: era ancora ferito? O stava solo cercando di elaborare le informazioni appena ricevute?

Dal canto mio, non mi capacitavo di tutto quello che Padma aveva passato, anche se, a pensarci bene, spiegava tutti i misteri che erano sempre circolati nei suoi confronti. Il motivo per cui era sempre così diffidente con tutti, il suo attaccamento alle sue origini e alla sua cultura, i sospetti di Liss in merito alla spia e persino il suo legame – e quasi fissazione – con Luna. Ci aveva aperto il suo cuore, totalmente, e di questo mi sentivo incredibilmente fortunata. Era come uno scrigno di marmo sigillato da un lucchetto, disposto ad aprirsi solo a pochi prescelti.

Lei attribuiva la sua scelta a Luna, ma io ero convinta che la gatta fosse stata spinta a fidarsi di noi proprio perché sentiva che la sua rispettiva Luna, ovvero Padma, aveva fatto altrettanto.

«Io... capisco quello che provi, e mi dispiace moltissimo», Yoann trasmise i suoi sentimenti a Padma e a me, per dare maggiore significato alle sue parole che sarebbero risultate altrimenti vuote, «ma devo farlo. Il mio... potere, mi è già sfuggito di mano una volta.»

Alzai stupita lo sguardo su di lui, ricordando la strana espressione che aveva fatto quando si erano discusse le condizioni di formazione di quei particolari cebrim dei Naeph. Che fosse finalmente disposto a condividere con noi ciò che lo tormentava?

Yoann prese un respiro profondo, dimostrando quanto fosse difficile per lui parlarne. Dopodiché fece una cosa che mi stupì: allungò le braccia e prese con una mano la mia e con l'altra quella di Padma. Diversamente da quando aveva trovato la sua porta, però, questa volta era del tutto cosciente e consapevole, e, diversamente dalla prima volta, Padma nemmeno tentò di sottrarsi, seppur non nascondendo il suo stupore.

Dopodiché, capendo che quello era il suo modo per darci il permesso, ci inoltrammo nel suo Clypeus.

Proprio come ricordavo, la prima cosa che si percepì fu l'acqua delle pareti, che scorreva verso l'alto in senso opposto alla forza di gravità. A rabbrividire di fronte alle persone nascoste dietro di essa, questa volta, c'era anche Padma insieme a me, a cui si aggiungeva Yoann. Il secondo, tuttavia, non era affatto intimorito, dal momento che si trattava pur sempre del suo Clypeus.

Ci guidò disinvolto lungo i bivi del labirinto. Superammo quello che supposi essere suo fratello, lo stesso che la prima volta mi aveva tratta in inganno, e tante altre persone che non conoscevo, tutte contraddistinte da quegli inquietanti sorrisi da Gioconda, immobili.

Yoann accelerò il passo, senza però apparire preoccupato. Guardandolo camminare da dietro, leggiadro come sempre, non potei fare a meno di pensare che possedeva un fisico più che azzeccato per svolgere quegli eleganti movimenti, quasi danzanti, che gli Ophliri eseguivano nei ricordi di Padma.

Mi chiesi se evitare di toccare alcuni "zombie", fosse sufficiente per trovare incolumi la porta, ma venni smentita subito dopo dal martellio di sottofondo che si acquietava all'improvviso.

Calmata dalla sicurezza del proprietario del Clypeus, non battei ciglio fino a quando il ragazzo non si fu fermato innanzi a due figure, nascoste dietro il liquido trasparente. Con un brivido mi accorsi che eravamo proprio io e Padma, limpide nell'acqua in cui eravamo immerse, a indossare i sorrisi più caldi e dolci di tutti.

Prima di riuscire a capire cosa questo significasse, i nostri doppioni si sciolsero definitivamente trasformandosi in liquidi e rivelando, dietro a dove si erano trovati fino a poco prima, la porta dello Jutnos, che venne subito aperta da Yoann senza alcuna esitazione.

Come accaduto nello Jutnos di Padma, nella stanza, ovunque posassi lo sguardo, sentivo Yoann.

Il suo dolce profumo stuzzicava le narici spingendo l'anima a sospirare per il piacere, ma era anche accompagnato dall'odore che si percepiva in una città dopo un temporale. Il sorriso, che sempre illuminava il volto di Yoann, scintillava nei riflessi delle centinaia di CD accatastati in un curato e maniacale disordine, sugli scaffali di cui era difficile intuire il colore iniziale, tanto erano tempestati di adesivi e disegni indistinguibili. La sua essenza si rifletteva anche nelle volute turchesi di mens fuori dalla finestra tali da illuminare del medesimo colore l'accogliente antro, oltre che nelle pareti sommerse da centinaia di poster sovrapposti tra loro tanto da creare solo un intrico di scritte e immagini prive di senso, le quali, con la loro caotica presenza, conferivano una sorta di sensazione piacevole e rassicurante, anche se non sapevo spiegare perché. Ad accompagnare le attuali emozioni di Yoann, si udiva un leggero sottofondo musicale originato, a sua volta, dalla fusione di sprazzi provenienti da diverse canzoni rock.

Trovai curiosa la rappresentazione dei ricordi non tramite qualcosa che si potesse leggere, come nel caso dello Jutnos di Padma e del mio, ma ascoltare – o magari proiettare, se si trattava di dischi di film. Sempre attenta che la mia aura malachite non rovinasse nulla di quell'atmosfera perfetta e rasserenante, spostai lo sguardo sulla vasca interrata nella quale scorreva, lenta e calibrata, l'essenza turchese, così simile all'acqua, che andava a posarsi sul disco che girava nello spazio al centro dei bracci dell'arco.

Solo in un secondo momento, notai le auricolari che due volute turchesi stavano porgendo a me e Padma.

"Per me è un po' più complicato mostrare i ricordi a quanto pare..." echeggiò la voce di Yoann proveniente dalla fontana. "Dovete collegarle qui."

Senza capire come, intuii che Yoann ci stava indicando un punto sul pavimento, poco distante dal disco del presente. Padma e io, dopo aver infilato le cuffiette nelle orecchie, ci chinammo per collegarle ai due minuscoli fori che attorniavano una cavità circolare, attorno cui ci accucciammo.

Dopodiché, la confezione di un disco, come animata da vita propria, si allontanò dallo scaffale in cui era contenuta e si avvicinò a noi, per poi aprirsi. Il Compact Disk si levò da esso in una piroetta, poi si posò delicato nella cavità tondeggiante.

Poi prese a girare e, con esso, si originò la musica. Prima note lontane, poi sempre più forti, che sommersero ogni altra sensazione avviluppandosi intorno a noi, diventando l'unico suono distinguibile nell'oscurità, e solidificandosi infine nella voce calda e bassa che cantava nelle orecchie di Yoann.

Nell'oscurità si aggiunsero, ad accompagnare Elvis Presley, alcune immagini confuse, di quella che supposi essere la stanza del ragazzo. Era molto simile a quella dello Jutnos: pareti adorne di poster su poster e CD sovrapposti l'uno sull'altro negli scaffali che emergevano dalle pareti. Sul letto, dove Yoann era semidisteso mentre canticchiava, erano sparsi diversi fogli pieni di calcoli matematici fin troppo complessi per lo strampalato bambino che si rifletteva in uno specchio.

La felicità e la quiete che contraddistinguevano quel momento furono infrante dal suono di un forte e rigido busso alla porta, che fece sobbalzare Yoann facendogli perdere le cuffie e interrompendo così la musica. Fu appena in tempo a nascondere i fogli sotto la coperta, che suo padre era già entrato in camera.

L'uomo, dai capelli corti dello stesso colore di quelli di Yoann, alto e allampanato, studiò con espressione schifata le pareti tappezzate della camera e poi posò uno sguardo ancora più schifato sul figlio. Disse che era almeno mezz'ora che lo stava chiamando e che era pronto da mangiare.

Il ricordo si miscelò a una moltitudine di altri simili, tutti con Yoann che nascondeva sempre i calcoli che stava svolgendo, il padre, poi la madre e di nuovo il padre, che lo sgridavano perché non li ascoltava, sempre immerso in quella sua "stupida musica".

Come il disco che girava e girava mostrandoci quei ricordi, tutto continuava a ripetersi: gli sguardi colmi di ribrezzo che gli venivano rivolti mentre camminava, mentre giocava, mentre parlava; il modo in cui, quando passeggiavano, i genitori tenevano la mano del fratello e non la sua; gli attacchi diretti, non fisici ma verbali, il dolore che provava Yoann quando lo chiamavano "mostro" o "abominio" e tanto altro; i suoi vani tentativi di provare a piacergli a ogni costo, perseguendo persino l'assurda linea di perfezione cui loro tanto ambivano; tutte le volte in cui si era sentito in errore, a domandarsi se chiedeva troppo a desiderare semplicemente che come minimo non lo odiassero.

«Tuo fratello è un Ephuro, Simeon,» rispondeva acidamente la madre tutte le volte che suo fratello chiedeva perché a Yoann non regalassero tutti i doni che davano a lui, perché non gli si rivolgessero mai in modo gentile, perché avesse sempre la colpa di ogni cosa, «gli Ephuri sono avidi e freddi, non provano sentimenti e sono più simili agli animali che agli uomini. E poi possono entrare dentro la tua testa e farti tutto quello che vogliono.»

Ogni volta che facevano quei discorsi, i genitori non si curavano che Yoann fosse nella stessa stanza, che sentisse tutto, e che provasse effettivamente emozioni. Le prime volte, Simeon si voltava stupito e confuso verso di lui, e Yoann si chiedeva sempre cosa ne pensasse, se anche lui lo detestasse.

«Allora sono Ephuro anch'io?» Yoann sentì chiedere una volta, prima di andare a letto, oltre il muro comunicante che separava le loro camere. Ogni sera i genitori andavano a dare la buonanotte a Simeon e lui sentiva tutte le parole d'amore che riservavano solo al fratello. «Yoann ha i capelli rossi e ce li ho anch'io. Yoann ha le lentiggini e ce le ho pure io! Yoann...»

Simeon era stato interrotto prima che iniziasse uno dei suoi logorroici monologhi. «Yoann è un Ephuro e tu non lo sei, Simì. Perché tu sei come me, passerotto, sei nato per secondo, e per questo sei fortunato, sei umano

Yoann deglutì a quelle parole, stringendosi nella coperta. Ma la madre, conoscendo la curiosità di Simeon che l'avrebbe ugualmente costretta a spiegare, non aveva ancora finito: «Da piccola fui costretta a vivere in un orribile posto che quei mostri chiamano Ephia. Ammetto che in fin dei conti la vita non era così dura, avevo pur sempre tutto ciò di cui necessitavo. Però mi odiavano, perché dicevano che non ero come loro. Ero ancora molto piccola, avrò avuto sei anni, che decisero definitivamente di disfarsi di me, scaricandomi a un pulcioso orfanotrofio, dove venni picchiata e maltrattata, e in cui fui rinchiusa fino al compimento della maggiore età. Allora tornai da loro, e sai cosa mi dissero?»

Yoann non era sicuro di volerlo sentire, ma, nonostante ciò, si accucciò vicino al muro per sentire la sua voce sussurrata.

«Raccontarono di come diversi secoli prima la famiglia Ephura Roux fosse stata maledetta. A quanto pare questi individui impedivano a chiunque non fosse di sangue puro Ephuro, i cosiddetti Metephri, di accedere alla loro casa e anzi, li perseguivano persino, bruciandoli al rogo come streghe. Una di queste, in punto di morte, trovò il modo migliore di fargliela pagare: sentenziò che i figli di tutti i loro discendenti sarebbero stati Letargianti, eccetto il primogenito, l'unico a preservare la razza. In questo modo, i Letargianti, cioè gli umani, avrebbero procreato altri di quei Metephri che detestavano tanto, incrementandone il numero. La maledizione si sarebbe spezzata solo quando le nascite di Ephuri con il gene sopito avrebbero eguagliato il numero di innocenti che loro avevano processato e ucciso in quella lotta insana.»

«Quindi tu hai un fratello e sei nata per seconda come me? Ma anche papà è nato per secondo, vero? Anche uno che conosco è nato per secondo, però lui è antipatico e-»

«Sì, sono nata per seconda. All'inizio mi tennero con loro perché speravano che la maledizione si sarebbe spezzata, lo sperano ogni volta. Quando, non so come, capirono che non era così, mi trattarono per la pezzente che credevano fossi. Ma, per fortuna, conobbi tuo padre, che mi aiutò a risollevarmi e a dare un senso alla mia vita. Quando nacque tuo fratello già sapevo che sarebbe diventato uno di quei mostri, è solo questione di tempo. Provai a lasciarlo all'Ephia, ma fu rifiutato, e così lo dovetti tenere con me. Non preoccuparti però, non appena svilupperà quegli orrendi e terrificanti poteri ce ne libereremo e saremo al sicuro. Quando nascesti, io e tuo padre ne fummo immensamente felici. Sì, perché quella che per gli Ephuri è una maledizione per noi è l'esatto contrario, tu sei stato la nostra benedizione, piccolo Simì. Un figlio umano buono e innocente.»

Yoann udì il suono del bacio sulla fronte e della luce che si spegneva. Quella notte non chiuse occhio. Ora che finalmente aveva fatto luce sul motivo di tutto quell'odio, si sentiva forse ancora peggio, perché consapevole di essere condannato. Era solo questione di tempo prima che venisse cacciato di casa. Anzi, era già un lusso che gli avessero concesso di vivere con loro fino a quel momento.

Seppur ancora fosse troppo piccolo per capire come funziona il mondo, era convinto che dopo quella storia il fratello lo avrebbe odiato così come facevano i genitori. Era giovane e malleabile, in quell'età in cui di solito i bambini fanno quello che gli dicono la mamma e il papà senza ribattere o riflettere, perché convinti che non esistano alternative e che tutto ciò che fanno i genitori è giusto e indiscutibile, quindi da imitare.

Ma Simeon, fu chiaro fin dai primi dischi, non era un bambino come tutti gli altri. Era intollerante a ogni cosa, tutto lo innervosiva, e sembrava sempre a disagio, soprattutto in presenza di altre persone. Non riusciva mai a stare completamente fermo, anche quando era richiesto dalle circostanze persisteva sempre nel muovere almeno una parte del corpo – un piede, un dito, il collo, certe volte pure le orecchie –, era impulsivo ed era facile che da solo riuscisse a deconcentrare la propria attenzione da dialoghi inconcludenti che lui stesso aveva iniziato. Sapeva anche essere fastidioso, capriccioso, e incredibilmente testardo.

Con l'inizio della scuola il problema era diventato ancora più evidente, dal momento che non riusciva a seguire in silenzio una lezione perché ostacolato dall'istinto di fare altre cento cose contemporaneamente: guardare fuori, fare un disegno, chiedere perché c'erano fogli appesi alle pareti, domandarsi per quale motivo si trovasse lì in quell'aula e quindi decidere di andarsene. Il suo comportamento infastidiva tutti gli insegnanti che avevano quindi convinto i genitori a sottoporlo a qualche visita, da cui avevano evinto che soffriva di deficit dell'attenzione e iperattività.

Questa consapevolezza, però, non gli impediva di venire detestato e deriso da tutti i suoi compagni di classe, vuoi perché non avevano la pazienza di starlo a sentire, vuoi perché non riuscivano a prendere sul serio tutti quei suoi strani comportamenti; alcuni altri semplicemente ridevano di lui e della sua apparente stupidità con continue prese in giro. Quando poi lui, sentendosi aggredito rispondeva o insultava, si creavano veri e propri litigi. In breve tempo si era riempito di nemici, e più volte Yoann era stato costretto a intervenire per impedire che lo percuotessero di botte, prendendosi anche diversi pugni al posto suo e tirandone a sua volta per difenderlo. Ovviamente, quando i genitori notavano gli effetti delle zuffe sui figli, accusavano il maggiore di aver fatto a botte, e si preoccupavano perché il minore veniva brutalmente picchiato.

Poteva sembrare che almeno a casa sua fosse più tranquillo e rilassato, ma purtroppo non era così. I Leguérin erano una famiglia agiata ma non troppo: ondeggiavano in quella sorta di via di mezzo che non li rendeva né "plebei" né "virtuosi nobili", e che li spingeva a tentare sempre di risultare più abbienti ancora di quanto in realtà non fossero. Erano riusciti a comprare una sorta di villetta unifamiliare indipendente, che imbellivano di lussuose decorazioni per renderla più chic possibile nel tentativo di avvicinarsi alla cosiddetta classe alta. Yoann sospettava che fosse un modo, da parte della madre per lo meno, di ripagarsi di tutta la ricchezza che le era stata tolta dagli Ephuri da lei spesso definiti proprio "avari".

Allo stesso modo, negli abbigliamenti e nei modi, avevano educato i figli a essere consoni alla ricchezza che ostentavano, insegnandogli che l'apparenza era la sola cosa che contava in quel mondo: li costringevano a sorridere nelle feste e nei ricevimenti o in genere con gli sconosciuti, a essere buoni, tranquilli e educati con tutti, al fine di mostrare la famiglia felice e unita che non erano.

Yoann si impegnava con tutto sé stesso per aderire al canone comportamentale richiesto, sempre in cerca dell'approvazione dei genitori, e gli riusciva anche abbastanza facile. Lo stesso non poteva dirsi di Simeon, per cui invece pareva impossibile, anche quando si impegnava con tutto sé stesso. Non sopportava, proprio fisicamente, di dover reprimere i suoi istinti naturali costringendosi a comportamenti uguali a centinaia di altri, e per questa sua intemperanza era stato rimproverato più volte.

Per il semplice fatto di essere fatto in quel modo. Di essere nato così.

Nonostante la maggior parte delle volte i genitori gli fossero vicini, Simeon si sentiva spesso solo e diverso, e quindi simile al suo amato fratellone, perché in fin dei conti la loro situazione era simile. Frequenti erano le notti in cui il piccolo Simì sgusciava di nascosto nella sua camera e trascorrevano ore e ore a parlare dei rispettivi problemi, sognando di fughe segrete e di avventure mirabolanti. Yoann si sentiva fortunatissimo ad avere un fratello tanto speciale, che almeno non lo faceva sentire completamente solo e odiato, ed era consapevole che senza di lui non sarebbe mai riuscito a sopravvivere tutti quegli anni.

Purtroppo, però, solo quei pochi momenti rubati e segreti gli erano concessi, dal momento che i genitori tentavano in tutti i modi di ostacolare qualunque legame potesse crearsi tra loro, e impedire quindi che Simeon si affezionasse al fratello a cui un giorno avrebbe dovuto dire addio. Spesso, tutto ciò che potevano permettersi erano occhiate significative e comprensive, piccoli cenni, messaggi in codice.

La cosa che più tormentava Yoann, però, era che, nonostante amasse moltissimo il fratello, non potesse fare a meno di provare gelosia nei suoi confronti per qualunque cosa lo riguardasse, in particolare l'amore dei genitori. Da alcuni ricordi confusi, intuii che spesso quelle gelosie erano anche sfociate in veri e propri litigi che si risolvevano quasi sempre, senza, però, risolversi mai del tutto.

Fin da giovanissimo, Yoann aveva quindi preso forzatamente l'abitudine di passare tanto tempo da solo. Unica via di fuga dalla realtà era diventata ben presto la musica, a cui poi si erano aggiunti i film. Passava ore e ore con le cuffie nelle orecchie o con il viso attaccato al suo PC. Non sapeva come facesse a vivere prima di ottenere quei lussi, perché troppo piccolo per serbarne memoria. Per lui c'era sempre stata solo la sua stanzetta, i suoi cantanti preferiti e i suoi film; quello era il suo rifugio e nessuno poteva toccarglielo.

Tutto ciò era stato possibile solo grazie a zio René – da cui aveva anche preso il secondo nome –, l'unica vera figura genitoriale che Yoann aveva. Nei suoi ricordi appariva molto somigliante al padre; a differenza del fratello, però, sfoggiava sempre ampi sorrisi ed era gentile e divertente, persino con il sottoscritto. Quand'era più piccolo, giocava con lui con un trenino colorato e con altri dei doni che regalava a ogni visita, in ricordi sfocati ma colmi di emozioni forti. Man mano che Yoann cresceva lo riempiva di regali sempre più grandi e significativi: nitidissimo il momento in cui Yoann aveva scartato un pacco di Natale scoprendo al suo interno le auricolari da cui poi non si sarebbe mai separato, e che avevano segnato l'inizio del suo ingresso nel mondo della musica. Ogni volta che René veniva a trovarli, passava ore con Yoann solo a chiacchierare di musica e poi di film, che guardava dal PC sempre da lui regalato insieme a tutti i CD e i dischi.

Per via del lavoro che di frequente lo costringeva fuori città per diversi mesi, tuttavia, le sue visite erano eventi rari e non duravano mai più di un giorno. Yoann aveva tentato molte volte di partire insieme a lui, per trasformarsi in un semplice ragazzino come tanti altri che veniva cresciuto da qualcuno che lo amava, senza sapere nulla di Ephuri mostruosi.

Ovviamente, ogni tentativo era stato vano.

Yoann sapeva che non poteva fare a meno di godere di quel poco che gli era concesso e di sentirsi già fortunato ad averlo. Al mondo c'erano bambini che morivano di fame o che venivano sfruttati, lui invece aveva una vita più che agiata, il cibo non gli mancava e aveva persino la possibilità di ascoltare la musica.

Eppure, era tormentato dai suoi continui fallimenti nel comprendere il senso dell'odio dei genitori, l'unico algoritmo cui non era mai riuscito a venire a capo. Sua mamma era stata maltrattata dagli Ephuri e per questo li detestava. Seguendo la logica, si deduceva che, siccome era l'unica che poteva veramente comprendere cosa si provava, si battesse per impedire che la storia si ripetesse in senso invertito. Invece faceva l'esatto contrario, imitando lo stesso identico comportamento delle persone che più odiava.

Perché detestarlo per il solo motivo di avere qualcosa in comune con chi le aveva fatto un torto? La sua specie era tanto terribile? E chi era lei per dirlo, se ne aveva conosciuti solo pochi esemplari? Non aveva neanche pensato che, se solo l'avesse cresciuto e amato come un figlio, sarebbe diventato diverso da quegli Ephuri dei quali aveva in comune solo il nome?

Non esisteva torto peggiore che quello di ripetere gli errori del passato. Eppure, Yoann non si capacitava di come facessero i genitori a non capirlo, e si chiedeva se lui stesso, in una situazione simile, sarebbe stato in grado di comprenderlo, invece che ricadere nella trappola.

Forse fu per tutte le insensatezze che lo circondavano, forse fu per destino o innata vocazione, che la matematica entrò nella sua vita per mettere ordine al caos. Quando si trovava di fronte a un qualsiasi tipo di calcolo, diventava finalmente padrone del suo foglio, perché aveva il potere di far andare tutte le cose nel modo giusto, trovare la soluzione più logica e sensata, facilmente visibile ai suoi occhi, e renderla reale senza alcuna difficoltà. Cosicché almeno lì dentro, in quel mondo di numeri e lettere, regnasse la giustizia e il buon senso.

Fin dalle elementari, tuttavia, quando si era reso conto di essere avanti rispetto agli altri bambini e persino più veloce della maestra nello svolgere alcuni calcoli, aveva dedotto che quella particolare abilità avesse qualcosa di sovrannaturale. Trovando ovvia la connessione con quegli Ephuri di cui parlava sempre la madre ogni volta che si riferiva a lui, gli fu ben presto chiaro che doveva nascondere quel suo talento se non voleva rinunciare a suo fratello e finire in qualche orfanotrofio, o peggio. Così, iniziò a sbagliare appositamente alcuni calcoli nelle prove che svolgeva a scuola e si dedicò alla matematica in totale segreto, sperimentando operazioni via via più complesse in camera sua e nascondendo sempre i fogli, proprio come nel primo ricordo che ci aveva mostrato.

Il segreto sembrò funzionare, andando avanti per diversi anni. Ma non tutto dura in eterno, e la verità prima o poi viene sempre a galla.

Quando ormai lo specchio nella camera restituiva il riflesso del Yoann che conoscevo io, sentii attraverso di lui lo sgomento e la disperazione che caratterizzavano quel particolare CD.

Era un giorno qualunque, stava rientrando da scuola insieme a Simeon. Neanche il tempo di chiudere la porta, che la madre l'aveva accolto sbattendo alcuni dei suoi fogli pieni di algoritmi sul tavolo mentre gli gridava in faccia: «Che cosa sono questi?»

Aprì la bocca e cercò di trovare un modo per spiegare, una qualunque scusa sensata, ma in quel momento il panico lo assalì, la sua voce non trovò la forza di uscire e il suo cervello di ragionare. Come li aveva trovati? Non che avesse importanza, dato che ormai era successo. Era tardi per rimediare? Esisteva, effettivamente, qualcosa che fosse in grado di scagionarlo?

«Rispondi alla domanda, mostro!» intervenne suo padre prendendolo per il colletto della camicia e premendolo contro il muro. «Ci hai mentito, non è vero? Questi calcoli sono troppo complessi per uno della tua età! Da quant'è che li nascondi? Per quanto speravi di poterci fregare?»

Confuso dalla rapidità con cui tutto stava succedendo, dall'impatto di ciò che gli aveva sputato addosso il padre, dallo sguardo spaventato della madre e dalle grida di Simeon, riuscì solo a mugolare un inutile «mi dispiace», di cui si pentì subito dopo. Non aveva nulla di che dispiacersi, erano loro in torto e lo sapeva, ma nonostante questo la paura l'aveva costretto a piegarsi al loro volere nella disperata cerca di pietà.

Pietà che non gli fu ovviamente concessa. «Ti dispiace? Ti dispiace

Sempre tenendolo per il collo della camicia, con la mano libera il padre aprì la porta e poi lo gettò sui gradini d'ingresso. «Ecco cosa succede a chi fa del male alla mia famiglia!»

Il dolore dell'impatto sull'asfalto di gomiti e busto era solo un vago sentore lontano, come una nota particolarmente bassa o irrilevante, a confronto di tutta la paura e lo smarrimento. La mia famiglia; insito in quella frase che lui certamente non ne faceva parte e mai ne aveva fatto.

Prima che potesse rendersene conto, la porta di casa si era già chiusa, e lui era fuori. Fuori per sempre.

Non aveva neanche avuto modo di salutare suo fratello o di dare un'ultima occhiata alla sua camera, tanto era accaduto velocemente. Si era chiesto spesso come sarebbe successo, pensava che l'avrebbero fatto salire in macchina e poi abbandonato in mezzo a una strada di periferia o davanti a un orfanotrofio. Pensava che gli avrebbero per lo meno concesso di prendere le sue cose.

Invece l'avevano solo buttato fuori di casa, letteralmente, senza neanche avere il tempo di assorbire la notizia e fare i conti con ciò che lo attendeva.

Persino in quel momento, ancora non riusciva a capacitarsi di quello che era successo, il che era strano, dato che aveva sempre saputo che sarebbe accaduto.

Per un attimo pensò di bussare alla porta e gridare disperato di farlo rientrare nella speranza di smuovere un briciolo di empatia nei suoi genitori, ma era ovvio che sarebbe stato del tutto inutile. Non l'avevano avuta per tutti quegli anni, perché ora sarebbe dovuto cambiare qualcosa?

Così si rialzò, spolverò i suoi abiti, con una strana apatia guardò per un'ultima volta la porta chiusa e infine voltò per sempre le spalle a quella casa.

I dischi continuarono a roteare su loro stessi, in un succedersi di scene che mostrarono i primi giorni vissuti da Yoann come senzatetto; non aveva alcuna intenzione, infatti, di passare gli ultimi due anni prima di diventare maggiorenne in un "pulcioso orfanotrofio" come l'aveva chiamato la madre, e preferiva piuttosto, vivere per strada per qualche settimana fino al ritorno dello zio, a cui aveva telefonato non appena era stato possibile.

Fino ad allora, Yoann doveva cavarsela contando solo sulle proprie forze, e cercando di arrangiarsi con quello che aveva. E se questo significava dormire sul pavimento duro della metropolitana, su vecchi materassi pieni di sudiciume e chissà quanti germi, costretto a non lavarsi, e a mangiare quel poco che riusciva a trovare nei bidoni della spazzatura, Yoann era disposto a farlo e lo fece. Ma ciò che più lo tormentava era essere stato separato dalla musica, la colonna sonora della sua vita che gli avrebbe dato la forza di affrontare con maggiore coraggio quella situazione. Si pentì almeno cento volte per non essersi portato le auricolari e il Lettore MP3 quell'ultimo giorno a scuola, solo perché i genitori erano convinti che stonasse con l'aspetto snob che dovevano possedere tutti i loro figli. Ora dov'era finita tutta la raffinatezza, tutta l'eleganza e la galanteria? Yoann non aveva neanche il coraggio di guardare i propri amati capelli di solito sempre perfetti.

Il disco successivo aveva, con mia sorpresa, proprio suo fratello come protagonista. Yoann si sentì scuotere per la spalla e, in un primo momento, tra il sonno e la veglia, gli sembrò di essere di nuovo a casa sua, con Simeon che lo svegliava per ricevere conforto dopo un incubo. Quando tornò in sé, si rese conto, con una fitta di tristezza più dolorosa dei lividi provocati dalle notti passate per strada, che era lui stesso a trovarsi in un incubo, da cui però non esisteva via d'uscita.

«Finalmente ti ho trovato! Non avevo idea di dove passassi le notti, avevo paura di avvicinare per sbaglio un altro senzatetto che potesse essere pericoloso e... oh bello, vedo che hai trovato un materasso! Sono arrabbiatissimo con mamma e papà per quello che ti hanno fatto! Sei sicuro che sia comodo il materasso? Ho litigato con loro e mi hanno anche messo in punizione! Posso abbracciarti Yonnì?»

Solo in quel momento, Yoann si rese veramente conto di quanto gli erano mancati quei discorsi sconclusionati, quei caldi occhi scuri, e l'espressione sempre smarrita che era costantemente dipinta sul viso di Simeon. Anche se un po' preoccupato per tutti i pidocchi che rischiava di trasmettergli, si lasciò abbracciare e lo strinse forte a sé, per compensare il modo brusco con cui erano stati costretti a lasciarsi l'ultima volta. Non poteva esserci sorpresa migliore.

Incurante della sozzura, Simeon si sedette vicino al fratello e raccontò che era da giorni che lo cercava. Ogni mattino, quando prendeva la metro per andare a scuola, guardava tra i numerosi senzatetto per riconoscere la sua chioma ramata, e per il resto delle giornate girava per la città nei luoghi più malfamati. Da una parte Yoann si sentì in colpa per aver spinto il fratello ad addentrarsi in luoghi così poco raccomandabili; dall'altra era rincuorante sapere che c'era qualcuno che teneva così tanto a lui e non poteva che essere felice di aver deciso, quella notte, di dormire in quel determinato angolino della familiare metropolitana, perché gli aveva permesso di riunirsi.

«Ah, quasi dimenticavo! Ti ho portato questi!»

Yoann quasi non credette ai suoi occhi quando il fratello gli mostrò ciò che conteneva lo zaino scolastico che portava in spalla. Il suo PC, le sue cuffie, qualcuno dei suoi poster, il Lettore MP3, e almeno dieci dischi, tutti quelli che poteva contenere la cartella. Yoann notò con sorpresa che aveva selezionato tutti i suoi film preferiti, malgrado non fosse mai stato tanto attento ogni volta che gliene aveva parlato; a quanto pareva ascoltava sempre più di quello che poteva sembrare.

«Io... non ho parole» si commosse Yoann con le lacrime agli occhi. Era come se tutta la sua amata cameretta fosse contenuta in quel piccolo zaino. Uno scrigno di tesori. Un'ancora di salvezza.

«Ora possiamo fuggire insieme! Dove andiamo? Ho preso alcuni gioielli di mamma, se li vend-»

«No, Simì» lo fermò Yoann, intenerito dal pensiero del fratello. «Devi tornare a casa, è giusto così, non posso trascinarti insieme a me in questa vita, non te la meriti. E poi come faresti a prendere le tue medicine?» Oltre al ADHD, come lo chiamavano i dottori, Simeon aveva anche numerose intolleranze alimentari che restringevano la varietà dei cibi di cui poteva nutrirsi e soffriva di frequenti crisi di asma. Quella comorbidità l'aveva sempre reso una delicata creatura da proteggere agli occhi di Yoann, che era sicuro che no, la vita da strada non era decisamente adatta a lui.

«Non ha importanza, finché saremo insieme potremo affrontare tutto!» insistette ancora lui, il tono più convinto che Yoann gli avesse mai sentito, il quale gli rese ancora più difficile ribadire, secco: «No», la voce inflessibile che non accettava repliche.

L'ultima cosa che vidi di quel disco prima che venisse avvolto come un nastro dal ricordo seguente, fu il viso di Simeon travolto dalla rabbia del rifiuto, gli occhi lucidi e il labbro inferiore tremante mentre si allontanava, ferito. Un muro che si innalzava tra i due fratelli e che forse non era ancora stato abbattuto.

Accompagnato dalle familiari note musicali, Yoann trovò conforto nelle passeggiate lungo la Senna, nelle occasionali visite alla biblioteca in cui andava a caricare i suoi dispositivi, e nelle panchine su cui sedeva ad ammirare i passanti scorrere intorno a lui senza vederlo. Suo malgrado, si stava abituando a quella nuova vita di stenti. Si era abituato a essere una sorta di fantasma per quei parigini che evitavano il suo sguardo o lo attraversavano come non esistesse, e a quelli che invece non lo consideravano altro che semplice spazzatura vivente.

Quella sua nuova invisibilità, capii, gli aveva però permesso di vedere il mondo da nuovi occhi: ogni tanto, quando si faceva prendere dallo sconforto, si soffermava a fissare le famiglie dei turisti che già a maggio affollavano le strade di Parigi, i genitori che si stringevano i figli al petto o che gli ripetevano di tenergli sempre la mano per non venire aggrediti proprio da quelli come Yoann, che invece non aveva mai goduto del lusso di avere qualcuno che tenesse tanto a lui da stringere la sua mano per proteggerlo dai mali del mondo. Altre volte, invece, si distaccava dalla frenesia della società che lo circondava e diventava parte di quelle strade curate o malmesse, scorreva insieme all'acqua del fiume e soffiava come vento tra gli alberi. Mai, prima di quel periodo, si era sentito tanto connesso con la sua Parigi, che iniziò a percepire come parte di sé stesso, sfondo dei suoi dispiaceri, e soffice culla per la sua anima tormentata.

Aveva ormai appreso come destreggiarsi, sapeva dove nascondere i suoi "tesori", di quali individui poteva fidarsi e di quali invece era meglio tenersi alla larga. Frequentava luoghi non troppo malmessi quando poteva e preferiva dormire in zone isolate, per non avvicinare nessuno ed evitare la malavita. Per procurarsi da mangiare vendeva i gioielli che gli aveva dato Simeon, che aveva opportunamente sciolto in perline al fine di sfruttarli più a lungo, sempre in attesa di risposte da zio René. Era anche consapevole che, se quella sua condizione si fosse prolungata nel tempo, sarebbe stato costretto a vendere il PC e le auricolari, ma sperava di non arrivare a tanto.

Dopotutto quella era solo una condizione temporanea. Lui non faceva realmente parte di quel grigio mondo di miseria, i suoi capelli non sarebbero sempre stati così lerci e il suo odore così nauseante. Era solo questione di tempo prima che René rispondesse. Erano questi i pensieri che permeavano quei ricordi, il conforto della consapevolezza che tutto sarebbe presto finito.

Eppure, il tempo continuava a scorrere inesorabile senza che giungesse alcuna notizia. Erano già passate tre lunghe settimane in cui Yoann preservava ancora la speranza, perché si fidava dello zio e sapeva che non l'avrebbe mai abbandonato.

Era un mattino alquanto soleggiato nel XII Arrondissement che faceva da sfondo a quel particolare disco su cui si soffermò la memoria di Yoann. Passava spesso le giornate in quella zona, in particolare al Parc de Bercy, a cui tornava sempre perché legato da vecchi ricordi della sua infanzia o in genere della sua vecchia vita agiata. Quando notò, tra i numerosi gruppi in visita ai giardini, una famiglia in particolare, si soffermò a fissarli per qualche minuto, non credendo ai suoi stessi occhi.

Si trattava proprio di loro, dedusse, dopo un'attenta analisi. Era passato del tempo, certo, ma avrebbe riconosciuto ovunque le figure snelle e altezzose dei genitori, quella più insicura di Simeon e... lo zio René.

Con un misto di emozioni confuse, li guardò chiacchierare tra loro come una qualunque famiglia normale, sedersi su una panchina, ammirare il paesaggio e godersi la bellezza della natura. Come se la vita fosse splendida e perfetta, libera dall'ombra ingombrante che quel figlio che non avevano mai voluto aveva sempre gettato su di loro. Simeon sembrava il più intollerante alla lenta passeggiata, segno che era stato costretto a venire lì con loro, come, in effetti, accadeva spesso.

Yoann, approfittando del fatto che non avessero notato la sua presenza, si avvicinò per scoprire di che cosa parlassero, nascondendosi dietro il tronco di un imponente albero secolare. Della forma e della corteccia, riserbava una memoria alquanto precisa, forse perché era l'unica cosa che guardava, e a cui poteva poggiarsi, mentre ascoltava le parole che avrebbero cambiato tutto.

«Non capisco... perché diamine non me ne avete mai parlato prima?» stava dicendo zio René.

«Non sapevamo come comportarci, temevamo che saperlo ti avrebbe messo in pericolo, dato che gli Ephuri non permettono che gli umani siano a conoscenza dei loro segreti... però a questo punto non ha più alcun senso continuare a mentirti» gli rispose sua madre.

«Per tutti questi anni ho amato, coccolato e abbracciato quel... quel mostro senza avere la più pallida idea di cosa fosse! Non ho parole, non ho parole!»

Quella lamentela trafisse Yoann come una lama affilata, perché pronunciata proprio dall'unica voce a cui si era affidato per tutta la vita. Dal solo uomo da cui aveva mai ricevuto amore. Dallo zio che gli aveva concesso di trovare sé stesso tramite la musica. Dallo stesso che gli aveva dato la forza di affrontare la vita di strada nell'attesa del suo ritorno.

Si sentì mancare il fiato e si irrigidì più della corteccia a cui era aggrappato, il mondo intorno a lui che si faceva buio e tetro, gli uccelli nel cielo che volavano via a bassa quota.

«Non ti preoccupare René, almeno ora lo sai» continuava intanto il padre, «oh, ma che succede? Perché il cielo si è annuvolato così all'improvviso? Fino a poco fa c'era il sole!»

Ma Yoann non li udiva più, si sentiva sprofondare nella linfa che scorreva dentro a quel tronco secolare, la Senna poco distante scrosciava gridando il suo dolore, e le particelle d'acqua che addensavano le nuvole sopra la sua testa erano scaglie della sua speranza frantumata. Il mio cuore accelerò il battito quando mi resi conto che le nuvole nere che avevano all'improvviso adombrato il parco erano opera di Yoann.

Il protagonista del ricordo non ne era consapevole, ma colui che ce lo stava mostrando invece sì, se ne era reso conto nel momento in cui aveva compreso di essere un Naeph, e ciò intrideva quel ricordo di profondi sensi di colpa.

I genitori proposero di tornare subito a casa per evitare di bagnarsi, lamentandosi di quanto fossero fastidiosi quei classici temporali primaverili. Tutte le persone prima impegnate in picnic e passeggiate, ritirarono le loro cose e si allontanarono con passo affrettato, alcuni persino correndo, spaventati dai tuoni minacciosi che riverberavano nel cielo così come in Yoann. E in tutto quel caos, nella paura e nella frenesia che lo circondava, lui si sentiva bene, perché la natura intorno stava riflettendo il suo stato d'animo, come a ricordargli che non era completamente solo.

Neanche si era accorto di essersi alzato, forse era stato spinto dal vento, forse l'aveva fatto inconsciamente. Udì solo in lontananza il suono della voce di Simeon che chiamava il suo nome, attirando su di lui gli sguardi dei genitori e dello zio, che finalmente lo notarono.

«Yoann... che ci fai qui?» chiese proprio René, gridando per farsi sentire nel caos della furia della tempesta. Yoann la percepiva, nella sua voce, la nemica che conosceva bene, la stessa che aveva ammantato gli sguardi dei genitori per tutta la sua vita: la paura. Paura di lui e di ciò che poteva fargli. Paura di un mostro.

Forse spinto da una piccola, invisibile, reminiscenza di speranza, Yoann balbettò: «Zio... io ti aspettavo... ti ho chiamato... perché non sei venuto?»

«Stai lontano da noi, mostro! Forza, andiamocene!» intervenne sua mamma, prendendo rudemente Simeon per il braccio e cominciando a dirigersi a passo spedito verso la Passerelle Simone de Beauvoir, seguita dal marito.

Non fu l'odio nelle parole della madre, che già gli era stato rivolto tante volte. Non furono le spalle che gli voltò il padre. Non fu il modo in cui Simeon si lasciò trasportare nonostante desiderasse parlare con lui.

Tutto ciò non era nulla a confronto dell'espressione schifata che incrinava lo stesso volto che per lui era stato un punto di riferimento, un faro nella tempesta, un sorriso nell'oscurità. «Mi hai mentito Yoann, per tutti questi anni non mi hai detto chi sei davvero. Ma non mi lascerò più soggiogare da te.»

Si voltò e cominciò a correre verso le dune del ponte, per raggiungere gli altri. Tutto il ribollire che era evaporato verso il cielo si abbandonò all'improvviso, rovesciandosi, disperato ed esausto, su Parigi. Ogni fredda goccia d'acqua che precipitava violenta sul suo viso rivolto verso l'alto, si confondeva alle lacrime.

Tutta la vita era stato accusato di essere era un mostro, ma lui non ci aveva mai creduto veramente, perché poteva contare sull'amore di Simeon e sull'approvazione di René. Si ripeteva che se davvero fosse stato un essere tanto spregevole, non avrebbe potuto meritare di essere apprezzato. Eppure, si era sbagliato, non si era mai trattato di vero amore, lo zio non aveva mai saputo chi lui fosse in realtà. Amava qualcuno che non esisteva, una figura di paglia montata ad arte a sua immagine e somiglianza.

Perché lui era davvero un mostro. Un mostro che aveva sempre cercato di mascherarsi, di nascondersi, adeguarsi a quegli umani che mai avrebbero potuto comprenderlo veramente. Così si abbandonò all'acqua del fiume e al vento che gli ruggiva nelle orecchie, ai tuoni che scuotevano il cielo e alle gocce di pioggia che rigavano la sua città. Solo la natura poteva comprenderlo veramente, solo quel temporale oscuro da cui tutti fuggivano, perché faceva paura, perché era un mostro, esattamente come lui.

Ruggendo insieme ai tuoni, percependoli come estensione di sé stesso anche se allora non ne sapeva il motivo, si incamminò dietro allo zio, sentì la sua voce gridare il suo nome.

Quando lui si voltò, arrabbiato, disgustato, spaventato, verso di lui, i capelli zuppi incollati al viso e le mani strette intorno alla ringhiera di metallo per evitare di scivolare, Yoann sentì congelarsi dentro di sé l'amore e il rispetto che aveva provato per quell'uomo. Cristalli di ghiaccio che collidevano con le particelle d'acqua del dolore che gli dilaniava il petto, originando potenti cariche negative nei cumulonembi che lo sovrastavano.

Per un solo attimo, la luce frantumò l'oscurità con una crepa.

Un rombo intenso, troppo vicino.

René era crollato a terra, il grido nemmeno si era udito. Tra la pioggia e gli altri tuoni che sconquassavano la città e il suo cuore, in un primo momento Yoann non comprese nemmeno quello che era accaduto.

Sapeva solo che un fulmine era disceso dal cielo, aveva evitato tutti gli alti edifici, e si era infranto proprio sulla ringhiera di metallo a cui René era aggrappato.

Il suo corpo adesso era immobile, disteso sulla superficie del ponte, devastato dalle ustioni, la pioggia che ancora si abbatteva spietata sopra di lui e la Senna che mugghiava al di sotto.

Il ricordo si trasformò in una miscela confusa di dolore e confusione, rabbia e paura, consapevolezza e sensi di colpa che però non appartenevano all'ignaro Yoann che, disperato, correva a piangere, insieme al cielo grigio, al petto dell'uomo che, nonostante tutto, aveva contato così tanto nella sua vita.

Quando il pacifico blu del cielo iniziò a scorgersi dietro alle nuvole schiarite, tra cui si infiltravano, disinvolti, i raggi solari che rivendicavano il loro cielo, Yoann era già lontano; lontano dal ponte, dal corpo dello zio, dai genitori. Lontano come gli uccelli che stavano tornando a danzare nel blu insieme a lui.

Dopo tutto quel caos, stranamente, si sentiva in pace, perché il dolore si era acquietato, la rabbia era stata sfogata, e ogni cosa gli era finalmente scivolata via, rendendolo libero dalle catene del passato e pronto a iniziare una nuova vita. Mentre guardava la sua Parigi, immersa in quella quiete dopo la tempesta, pensò che non esistesse nulla di più bello al mondo di ciò che stava ammirando.

Fu in quel momento che si sentì chiamare e, voltandosi, vide per la prima volta Padma, Liss, ed Ewan. I dischi trascinarono via, roteando in un vortice, ciò che rimaneva di Parigi, e ci trasferirono nei primi giorni di Yoann all'Ephia, l'innata simpatia per quella stramba ragazza orientale e per la Letargiante con cui andava a scuola, e con cui si sentiva così in sintonia, e poi a quando, nella camera di Padma, aveva cercato le nostre mani per trovare la propria porta. Sentii, attraverso le mani che ci stringeva in quello stesso momento, il più puro desiderio di amore e protezione che trasmetteva in quel gesto, tutto ciò che nella sua infanzia gli era sempre stato negato.

Infine, l'ultimo ricordo si soffermò su quella stessa spiaggia di Barcellona, illuminata da quel mattino soleggiato in cui Yoann aveva scoperto di essere un Naeph.

«Di solito vengono scaturiti la prima volta da forti emozioni portate a livelli estremi: rabbia, paura, tristezza,» stava dicendo Padma, «che portano l'Ephuro in questione a distaccarsi in un certo senso da sé stesso e a trovare conforto in qualcosa di ben più potente che possa proteggerlo o rispecchiare i suoi sentimenti tramite una manifestazione ben più evidente e spaventosa. Quindi, Yoann, cosa provavi nel momento in cui hai creato l'onda?»

Ma la vera domanda era, cosa provava quando aveva colpito suo zio con un fulmine? Yoann si sentì sprofondare, nell'improvvisa consapevolezza di quanto era realmente accaduto quel giorno. Non era un rischio futuro, una probabilità minima, o un'incertezza ciò che poteva provocare il suo potere; era qualcosa che ormai era accaduto. Il danno era già stato fatto, e lui ora doveva rimediare, doveva far sì che la storia non si ripetesse una seconda volta.

Perché era un assassino.

Perché era un mostro.

Proprio come gli era sempre stato detto.

Come trasportate da un'onda impetuosa di rabbia e dolore, venimmo trascinate fuori dallo Jutnos e poi nel Clypeus.

...
Sconvolti? Ve l'aspettavate che si nascondesse così tanta oscurità dietro i sorrisoni di Yoann? Vi immaginavate che potesse essere in grado di creare addirittura un fulmine? Che dite, adesso potrebbe essere scusato per il fatto di voler diventare così tanto un Ophliro? 🙃

Comunque questo è uno dei pochi capitoli della storia a cui associo una canzone specifica, che descrive perfettamente sia le sue emozioni che, sorprendentemente, anche parte della storia... ED È PERSINO IN FRANCESE!!!

Visto che non ho trovato un video con il testo in italiano in cui però si vedesse pure il video in sé (che, se vedete sembra proprio raccontare la sua storia!) vi metto qui le parti più "salienti":

Oh mia dolce sofferenza
Perché preoccuparsi? Stai ricominciando
Sono solo un essere senza importanza
Senza di lui, sono un po’ parrocchiale (??)
Cammino da solo in metropolitana
(...)
muovo il cielo, giorno, notte
Danzo con il vento, la pioggia
Un po’ d’amore, un rametto di miele
(...)

Eccetera eccetera. Che dite, gli si addice, vero? 😍
Per giustizia vorrei poter associare delle canzoni pure a Liv e a Padma, ma purtroppo sono davvero pessima in queste cose e questa qui l'ho trovata solo per caso 😭 Quindi se qualcuno di voi che se ne intende un po' di più conoscesse qualcuna da consigliarmi mi farebbe davvero piacere!❤️

ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA

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