9.Una figura misteriosa

La giornata cominciò grigia e uggiosa, rispecchiando il mio stato d'animo. L'ansia che potesse piovere mi rendeva nervosa come una mosca prima di una tempesta. Di certo non mi mettevo a volare basso e a sbattere contro oggetti a caso per mancanza di agilità, ma il mio malumore era ben percepibile anche a vista per come la pressione sembrava schiacciarmi a terra rendendo difficoltoso ogni movimento.

Parte di quel malessere era anche derivato dal senso di colpa per come avevo involontariamente allontanato Yoann. Credevo che ormai non ci sarebbe stata soluzione, quando... eccolo lì. Un raggio di sole bucò la coltre di nubi solo per illuminarne la chioma fiammeggiante quanto il sorriso che mi rivolgeva.

All'improvviso mi sentii tanto alleggerita che quasi dimenticai il clima plumbeo. D'un tratto mi parve di aver sempre dato per scontato che alla fine si sarebbe rimesso tutto al proprio posto, quasi Yoann fosse già una parte fondamentale della mia vita. Non poteva scomparire da un momento all'altro, perché era sempre stato lì... anche senza esserci. Okay, questa cosa non ha senso ma non importa...

Appena lo ebbi raggiunto, mi alzai sulle punte dei piedi per raggiungere i suoi terribili milleottocentocinquantaquattro millimetri di altezza e con un gesto deciso gli scompigliai i capelli, accogliendolo con un rimprovero fasullo: «Ma guarda un po' qui chi si rivede!»

A quel gesto, Yoann si distanziò di un lungo e istantaneo passo da grillo, ravviandosi convulsamente lo sgargiante ciuffo di cui avevo rovinato la cosiddetta forma perfetta – o almeno ai suoi occhi, dato che a me sembrava identico a prima.

«Non. Toccarmi. I. Capelli» scandì a fior di pelle, poi scoppiammo entrambi a ridere.

Così ebbi la conferma definitiva che tra noi era a posto e che ero stata eccessivamente melodrammatica a pensare che tutto sarebbe finito per così poco.

Generalmente non erano da me quel tipo di gesti troppo affettuosi – non ero neanche abituata ad abbracciare, tra l'altro. Tutto era partito nel momento in cui era venuto fuori quanto Yoann fosse fissato con la sua capigliatura, che in effetti curava con amore ogni giorno. Giurava di trasformarsi in una furia se qualcuno gliela rovinava, minaccia che in verità si era rivelata falsa, e lo scherzo abituale con cui spesso lo coglievo di sorpresa ne era la dimostrazione.

A dir la verità, non ero sicura che al mondo esistesse qualcosa in grado di far arrabbiare per davvero Yoann.

Avevamo già ripreso a chiacchierare del più e del meno, quando la mia attenzione venne catturata, per qualche motivo, da uno dei tanti ragazzi presenti nelle vicinanze. All'apparenza quell'individuo non aveva niente di più né di meno di un qualunque altro adolescente un po' dark: il cappuccio calato sulla testa a coprire il viso, gli abiti scuri e la corporatura alta e slanciata.

Non ci avrei fatto nemmeno caso, se non fosse stato per il semplice fatto che il suo sguardo sembrava inchiodato su Yoann, che, dal canto suo, nemmeno lo aveva notato. Quando le porte vennero aperte, e la fiumana di studenti si riversarono nelle aule, il ragazzo in nero rimase fermo al suo posto. Dunque non si tratta di uno studente...

Ma allora che ci faceva lì? Che fosse venuto solo per... guardare Yoann?

Meglio informarlo, pensai. Quando, però, dopo aver fermato il mio amico con un gesto della mano, mi voltai nuovamente verso la direzione dell'individuo, non trovai anima viva.

Sparito.

Non me ne crucciai troppo durante il trascorrere delle lezioni, e al termine della giornata scolastica era già precipitato nel dimenticatoio. Mi ero anzi convinta che fosse giunto il momento di dire in modo chiaro e tondo a Yoann come stavano le cose, perché credevo nella nostra amicizia ed ero sicura che avrebbe potuto superare anche quel fraintendimento.

L'uscita mi sembrava un buon momento. Appena la fiumana si fosse dispersa e si fosse creata quell'atmosfera leggera e liberatoria di fine giornata, glielo avrei detto. Tutto quanto. Solo, non sapevo da dove cominciare.

«Yoann... hai presente quando si ha l'impressione... cioè, quando a due persone sembra di parlare una lingua che capiscono solo loro?»

Lui accolse quella domanda strana con uno dei suoi soliti ampi sorrisi. «Assolutamente sì! È proprio così tra noi due, vero?»

«Esatto!» esclamai, sollevata. Forse non sarebbe stato nemmeno così difficile, in fin dei conti. «È proprio qui che volevo arriv-»

Le parole mi andarono di traverso. Il ragazzo in nero era di nuovo lì. E di nuovo fissava Yoann.

Questa volta riuscii a scorgerne parte del viso. Mi trasmetteva un vago senso di familiarità, peccato solo che a quella distanza era difficile capire perché.

Non faticavo tuttavia a distinguere nei suoi occhi una meticolosa concentrazione da predatore.

«Livvina?» Yoann richiamò su di sé l'attenzione. «Dicevi?»

«Io... uh, non lo so...»

La mia attenzione era stata talmente catturata da quell'individuo che mi era sfuggito di mente cosa avessi intenzione di dire a Yoann. Tra l'altro, dov'è finito?

Yoann seguì il mio sguardo, perso nella folla generica di studenti che aveva sommerso il tizio losco. «C'è qualche ragazzo carino?» chiese con sorprendente interesse.

«No! Cioè, non stavo guardando quello! Solo che...» Sembrerei paranoica? Sì, sembrerei proprio paranoica... «Niente, mi era solo sembrato.»

Yoann assottigliò lo sguardo e fece per dire qualcos'altro, quando la sua attenzione venne attirata dal movimento di due figure che si incamminarono dietro di noi. «Io devo proprio andare, magari domani ti ricorderai quel che volevi dirmi,» ridacchiò, «au revoir

Lo salutai, e seguendolo con lo sguardo scoprii che si trattava di Ewan ed Elias. I due ragazzi camminavano alteri per la propria strada e Yoann si affrettava a seguirli a pochi passi di distanza. Sì, ormai non c'era dubbio che Ewan fosse andato a prendere proprio lui in Francia.

Sembra quasi che facciano finta di non conoscersi... perché? Come ad avvalorare la mia ipotesi, Elias si voltò distrattamente indietro, come per verificare se Yoann stesse venendo con loro. I suoi occhi tuttavia, superarono il mio amico e si posarono su di me.

Neri, taglienti e minacciosi. Mi sentii sprofondare. Girai subito su me stessa, rossa in viso, sentendomi come una ladra di sguardi colta in fallo. Non sapevo nemmeno il perché di quell'imbarazzo, era del tutto normale guardare un amico che si allontana...

Feci per dirigermi verso la fermata, decisa a non pensare più né a Yoann né a Elias né a... il tizio losco. Era di nuovo lì e, proprio come me, aveva appena finito di lanciare un'occhiata al gruppo in allontanamento. Deglutii. Quella storia non mi piaceva. Proprio per niente.

Per un attimo mi trovai sospesa in una cappa tesa mista a paura, che mi inchiodava con la sensazione ghiacciata di essere finita proprio nel mezzo di due fuochi... poi l'attimo finì, e la tensione si sciolse come un gelato sotto il sole d'agosto. Il tizio losco, che probabilmente era solo un tizio qualunque, se n'era andato per la sua strada, Yoann e quegli altri due erano ormai spariti alla mia vista. Non era successo niente.

Sì, sono proprio paranoica.

Il mondo tornò a scorrere con regolarità con una tale improvvisa frenesia che mi disorientò. Mattia e Riccardo mi sfrecciarono davanti a tutta velocità, diretti verso la fermata del bus. Battei un paio di volte le palpebre, poi mi resi conto del perché. Imprecai, e presi a correre pure io, gettandomi distrattamente alle spalle i misteri e gli interrogativi.

«Perché ridi così, Libriccina?» mi chiese mamma. Eravamo sedute l'una accanto all'altra, intente a pelare le patate per il pranzo, baciate dalle leggere carezze dei raggi luminosi che s'infilavano in cucina.

Mi fece sorridere, come ogni volta, sentirmi chiamare con quel nomignolo con cui solo dai miei genitori venivo appellata. Me l'avevano affibbiato quand'ero piccola dal momento che già mi vedevano sempre con un libro tra le mani, anche quando ancora non ero in grado di leggere.

Feci spallucce. «Stavo ridendo?» Talmente immersa nel ripensare a una cosa divertente che aveva detto quella mattina Yoann, avevo prestato poca e disinteressata attenzione a quanto accadeva intorno a me.

«Va bene, forse non stavi ridendo, però sorridevi come stessi cucinando una squisita torta al cioccolato, e non pelando delle semplici patate!»

«Sinceramente credo che sorriderei mangiandola, la torta, piuttosto che mentre la cucino...» ridacchiai.

«Questo te lo concedo. Però non hai ancora risposto alla mia domanda» si impuntò lei. «Come è possibile che la mia bambina sorrida tanto dopo una dura e lunga giornata di scuola? Cosa c'è di tanto emozionante?»

Lo sguardo fisso puntato su di me era talmente intenso che distolse la mia attenzione dalle patate, costringendomi a volgere per un attimo il capo verso di lei. In viso le si era delineata la solita espressione risoluta impossibile da contraddire. Rachele Musso certe volte sapeva essere davvero cocciuta. Il problema era che esaltava in modo fin troppo esagerato anche le più piccole cose, con un atteggiamento quasi snervante.

Vedendomi reticente, mutò la sua espressione da risoluta a supplicante, e poi delusa.

«Capisco,» emise, tornando rassegnata al lavoro, «dopotutto, chi sono io per pretendere che mia figlia mi dica tutto della sua vita? È già tanto che l'altro giorno ci hai detto quelle cose, è giusto che mi accontenti così...»

Roteai gli occhi. Sapevo che stava facendo. Giocando sui miei sensi di colpa e su quanto il nostro rapporto fosse migliorato a seguito della chiacchierata che era seguita al funerale di Barbara, intendeva sfruttare le sue ottime doti di attrice mancata, per spingermi a raccontarle di Yoann! Che subdola manipolatrice! Se davvero crede che basti questo a convincermi... beh, ha ragione.

Mollai una povera patata che senza nemmeno accorgermene avevo preso a stritolare, e infine esordii: «E va bene... c'è quel ragazzo nuovo, Yoa-»

Venni interrotta da un grido elettrizzato. A quel punto mi resi conto, imbarazzata, di quanto avessi iniziato male la frase.

«Perdinci! Raccontami tutto! Com'è questo ragazzo? Alto? Biondo? Gentile? Dovremmo invitarlo a cena... o forse è meglio a pranzo?» Dal tono acuto che aveva assunto la sua voce e dai suoi saltelli emozionati, compresi che era troppo tardi: mia mamma si era già trasformata in una cheerleader post-adolescente dai capelli spettinati e l'odore di patate addosso.

Indecisa se ridere o piangere per il malinteso, decisi di fermarla prima che cominciasse a raccontare a tutto il vicinato del mio presunto nuovo ragazzo. Sarebbe una catastrofe.

«No, mamma, no! Hai capito male!»

«...devo chiamare immediatamente Milo, oddio, impazzirà di gioia» non mi degnò lei, cominciando già a guardarsi intorno per cercare il telefono e chiamare papà, che quel giorno era stato trattenuto a lavoro.

«Mamma! Ferma!» riuscii finalmente a bloccarla, prendendola per le braccia. «Siamo solo amici. Credo. Lo conosco appena.»

Vidi sul suo viso attenuarsi parzialmente l'entusiasmo che prima l'aveva tanto ravvivata. «Ah. Capisco.»

Sospirai di sollievo, convinta che la chiacchierata imbarazzante si fosse finalmente conclusa.

«E com'è», riprese, invece, dopo un attimo, «questo... Yoa

L'aveva pronunciato con tanta enfasi e sensualità che detto da lei sembrava il nome di un profumo di marca in una pubblicità televisiva.

«Yoann» la corressi subito. «È... un tipo a posto...»

Perché ovviamente è totalmente da persona a posto esprimersi in italiano dicendo di parlare francese, conversare con un banco, far sembrare che legga il pensiero...

Vedendo che non era ancora convinta, tuttavia, fui costretta a tergiversare ulteriormente. Le dovetti descrivere il suo carattere e parlammo delle sue abitudini e di tanto altro, evitando accuratamente di rispondere alle domande più strane che mi venivano poste, come: 'È carino?', 'È single?', 'Li mangia i pomodori? E le patate invece?' o ancora 'È allergico a qualcosa?'.

Quando, orripilata, mi resi conto che aveva intenzione di invitarlo a casa per cena, mi affrettai a convincerla di non farlo. Ottenni il solo risultato di rimandare a tempo indeterminato l'inevitabile.

Non potevo negare, nonostante tutto, che mi faceva molto piacere condividere con qualcuno l'emozione di quella nuova esperienza; era qualcosa di molto più semplice e al contempo più profondo di quel che pensava mia mamma, di certo però non c'era di mezzo l'amore, almeno per parte mia. In un certo senso, tuttavia... era qualcosa di molto più speciale.

In un lampo d'inquietudine mi tornò in mente il tizio losco. Le possibilità erano due: o ero davvero paranoica, oppure... Yoann era in pericolo.

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