8.Pazzo. Decisamente pazzo.
Quel mattino, davanti a scuola, vidi Yoann. La sua chioma rossa evidenziata dal color mattone dell'edificio risaltava come un fungo in mezzo all'erba morta tipica dei mesi invernali, perciò fu la prima cosa che notai. Invece di chiacchierare con gli altri ragazzi presenti se ne stava accanto all'ingresso ad ascoltare la musica trasmessa dai suoi auricolari collegati al Lettore MP3. Non sembrava interessato ad interagire con gli altri e anzi sarebbe parso completamente a suo agio se solo ogni tanto non avesse lanciato qualche fugace occhiata a un gruppo di studenti tra i quali notai Ewan ed Elias, il primo che parlava energico fungendo da epicentro dell'attenzione di tutti gli altri, il secondo silenzioso come un'ombra fedele. Chissà perché era interessato a quella gente, non erano certo il suo tipo.
In ogni caso... erano passati dei giorni dal funerale di Barbara e ormai mi sentivo del tutto tornata in me, più stabile e più forte di prima grazie al rapporto che da allora era molto migliorato con i miei genitori. Nonostante il rimorso per l'accaduto perdurasse e forse non se ne sarebbe mai andato del tutto, ero pronta a riprendere con la mia vita.
E lo avrei anche fatto se non fosse stato per un minuscolo insignificante particolare: Mi ha rubato il posto. Si trovava proprio nella posizione in cui di solito sostavo io in attesa della campanella quando arrivavo in anticipo.
Sì ma non poteva saperlo, mi dissi. Tutti i giorni precedenti o io o lui eravamo in ritardo, escluso il primo terribile e infernale giorno, quando c'era anche quell'altra ragazza, Wala.
Al diavolo. Camminai nella sua direzione, decisa a restare ferma nei miei principi. Inoltre avevo scelto di ignorare le sue cosiddette stranezze, così sarei riuscita finalmente a comprendere che si trattava di un ragazzo uguale a centinaia di altri. Basta divagare con la fantasia.
Non appena Yoann mi vide avanzare verso di lui, un ampio sorriso gli scavò delle fossette ai lati lentigginosi della bocca e gli fece rilucere i turchesi intorno alle pupille di un calore che avevo visto solo guardando l'orizzonte del mare. Perché tutta questa allegria?
Mi prese talmente in contropiede che per qualche motivo mi rilassai tanto da finire per imitarne il sorriso contagioso, anche se con meno entusiasmo. Una volta raggiunto aprii comunque la bocca per dire quello che volevo dire, ma proprio in quel momento mi resi conto che non m'importava. Se lui si trovava al mio posto, cosa mi impediva di stargli semplicemente accanto? L'idea stranamente non mi infastidiva come avrebbe fatto se si fosse trattato di chiunque altro.
Yoann non mi salutò nemmeno. Si limitò a sfilare uno degli auricolari dalle sue orecchie e porgermelo. «Good miùsic!»
Perfetto, solo l'inglese ci mancava!
Aggrottai le sopracciglia, ma accettai l'offerta con un rapido e stentato «Merci».
Le prime note sorpresero il mio timpano con la profonda voce di Elvis Presley, la cui canzone frenetica mi portò a ondeggiare insieme a Yoann e alla gioia che trasmetteva. Neanche il tempo di accorgermi che io, proprio io, stavo effettivamente ascoltando della musica da un auricolare insieme a un compagno di classe, alla maniera di una persona ordinaria quale non ero, per giunta sentendomi del tutto a mio agio, che dieci interi minuti erano già passati, contrassegnati dalla campanella che indicava l'inizio delle lezioni.
Le prime due ore le passai immersa nell'elaborazione del tema su I Promessi Sposi che era stato assegnato. Stavo giusto descrivendo con forbiti particolari la proverbiale audacia dimostrata da Lucia nel Castello dell'Innominato, quando una lieve risata dal banco accanto attirò la mia attenzione. Sollevai incuriosita lo sguardo, notando che si trattava di Yoann. Ora roteava gli occhi, ora fissava la superficie bianca, e ora riprendeva ancora a ridere o fare diverse mimiche facciali saltuariamente. Alzai un sopracciglio. Sembrava quasi che stesse intavolando un'interessante chiacchierata con... il banco.
No, è bizzarro, ma non così tanto. Di sicuro si sta scambiando qualche SMS con qualcuno... Mi sporsi a dare un'occhiata ma non notai nessun cellulare, solo le sue mani completamente libere.
Deglutii un brivido agghiacciante ma quello mi andò di traverso e per trattenere il grido finii per starnutire. Quel ragazzo ha decisamente qualche rotella fuori posto.
La mia mente si rifiutava di esplorare una qualunque altra possibilità, nonostante le centinaia di domande e ipotesi confuse che si spintonavano tra loro per scombussolarmi il cervello. Forse perché si trattava di qualcosa di troppo diverso rispetto a ciò cui ero stata abituata, e che quindi mi spaventava. C'era decisamente una spiegazione razionale; e questa era che Yoann era pazzo.
Tuttavia, la curiosità, mista alla speranza di ritrovare quella pace e rilassatezza che solo con lui riuscivo a provare, mi prese per mano e mi trascinò a seguirlo persino nel corridoio chiassoso. Il ragazzo si trovava in un angolino a gustarsi nientemeno che una piccola crêpe al cioccolato in busta. Certo che è proprio francese...
«Tu ne manges pas?» mi accolse lui, parlando bene, nonostante la bocca piena.
Eclissai la domanda scuotendo noncurante il capo. Ero decisa, questa volta, a non farmi distrarre e andare dritta al punto: «Cosa facevi oggi, durante il tema?»
Era una domanda semplice - che nemmeno mi accorsi di aver posto in italiano per sbadataggine. E nella mia testa avrebbe avuto una risposta altrettanto semplice e razionale, che avrebbe posto un freno a tutti i nonsense che volteggiavano intorno a quel ragazzo come mosche dispettose.
Yoann però ebbe una reazione del tutto diversa da quella che mi aspettavo: la sorpresa gli sgranò gli occhi mentre sul viso si palesava un sorriso a trentadue denti che esplose nella domanda: «Conosci il francese? Ma è fantastico!»
Aprii la bocca per rispondere, poi la richiusi. Pazzo. Decisamente pazzo.
«No, io-»
Lui però era già partito in quarta. «Oh, come sono felice che ci sia qualcun altro che parla la mia stessa lingua, qui. Non ne potevo più. Ma cosa aspettavi a dirmelo? Stavo impazzendo!»
«M-ma...»
«Ah, non ti preoccupare, non sono mica offeso. Capisco che magari non ti fidassi all'inizio, è del tutto normale! O almeno credo...» Yoann rise imbarazzato.
Risposi con un sorriso meccanico che non arrivava nemmeno agli occhi, ancora spalancati a fissarlo con un misto di apprensione e interesse. È seriamente convinto che in questo momento stiamo parlando francese?
«Comunque, cosa mi stavi chiedendo?»
Mi accorsi che Yoann mi fissava in attesa, gli occhi traboccanti di felicità. Quello sguardo fiducioso e speranzoso, che mai prima d'allora mi era stato rivolto da anima viva, sciolse qualcosa dentro di me: non avevo proprio la forza di dirgli la verità.
«Oh niente di che... volevo solo dirti che ascolti ottima musica!» saltai su infine, con apparente nonchalance. Sono una persona terribile.
Yoann si gasò, rispondendo fiero: «Grazie! Sono felice che ti piaccia! Elvis Presley è il mio cantante preferito, mi considero modestamente un esperto del settore... dal momento che so a memoria tutte le sue canzoni e i film. Ma in genere ascolto un po' tutta la musica rock e simili. Tu invece, che generi preferisci?»
Seppur pienamente consapevole che quanto stavo facendo era sbagliato e indicibile per una miriade di motivi diversi, risposi e continuai a chiacchierare con lui fino al suono della campanella.
Lo stesso feci il giorno seguente. E quello dopo ancora. Appena trovavamo un momento di pausa, parlavamo in italiano - o francese o chissà cosa, meglio non chiederselo. Mi trovavo incredibilmente sciolta e rilassata nel comunicare con Yoann, in un modo che proprio non sapevo come spiegarmi. Tutte le remore che sempre avevano ostacolato la mia comunicazione con chiunque, anche con i miei stessi genitori, con lui si dissolvevano nel nulla.
Intavolammo tante belle chiacchierate, inizialmente semplici domande reciproche per conoscerci meglio a vicenda, come ad esempio cosa ne pensasse della nuova classe, dei professori o della città in generale - che promisi di fargli visitare un giorno, dato che non aveva ancora avuto occasione di conoscerla bene - e tanto altro. Adorava l'idea di viaggiare e visitare posti nuovi e indossava fascino e galanteria con totale naturalezza, come se per lui fosse un'abitudine. Aveva la straordinaria capacità di far sentire a proprio agio già solo con l'entusiasmo e il dolce trasporto con cui impreziosiva chiacchiere, domande e risposte anche banali, e trasmetteva tanta voglia di vivere.
Non sempre, però, era totalmente disposto a fornire informazioni su se stesso: ogni volta che accennavo anche solo un vago interesse in merito alla sua famiglia, ai motivi del suo trasferimento, a dove o con chi abitasse, mutava espressione, si adombrava, o cambiava sapientemente argomento. E ogni volta io decidevo di sorvolare, intuendo di essere stata troppo indiscreta o insistente e mi pentivo subito del mio comportamento. Poteva tenersi per sé ciò che desiderava e nessuno avrebbe mai potuto privarlo di questo diritto; ciononostante, dovevo riconoscere che quel mistero mi incuriosiva sempre di più.
Non era minimamente paragonabile, tuttavia, a confronto dell'emozione che provocava in me quel bellissimo rapporto che si stava creando tra noi. Certo, per il momento si trattava di una banale amicizia scolastica, non ci eravamo mai nemmeno frequentati o anche solo incontrati a più di duecento metri di distanza dalle mura del Guarini; eppure, quell'intessa aveva qualcosa di speciale e unico, o almeno questa era la mia impressione da totale inesperta nel settore interazioni sociali. Più volte capitava che fosse sufficiente un rapido sguardo per capirci, come ci conoscessimo da sempre, e spesso, anche durante le lezioni, ci cercavamo a vicenda con gli occhi, come se l'uno non vedesse l'ora di poter interagire con l'altra. Nessuno prima di allora mi aveva mai considerata tanto importante e questo mi riempiva di un calore inimmaginabile, portandomi a ricambiare a mia volta, perché tutto avveniva in maniera inspiegabile eppure splendidamente... naturale.
Era strano, quel ragazzo rappresentava per me sia una sorta di fresca novità, sia quel che si dà per scontato perché lo si ha sempre avuto al proprio fianco; in un certo senso era ciò di cui avevo sempre avuto bisogno senza saperlo.
Ero consapevole del fatto che non avrei dovuto costruirmi troppe aspettative, ma non potevo fare a meno di provare meraviglia per quella mia prima amicizia nascente, come una bambina che esplora incantata ogni piccola scoperta nella sua vita, e che non può fare a meno di sorridere, perché non esiste nulla di più bello e affascinante al mondo. Mi godevo semplicemente il presente.
Anche le mie giornate diventarono più rosee e sempre meno cupe, ridenti come gli occhi di Yoann quando scherzava, e gioiose come le canzoni di violino che ogni notte rispecchiavano il mio stato d'animo.
Continuavano a verificarsi, tuttavia, quelle bizzarre stranezze linguistiche e non solo, accrescendo i miei sensi di colpa per l'indifferente egoismo con cui ignoravo totalmente il problema. Ormai mi era più che chiaro che il mio desiderio di mantenere così com'era quella bellissima intesa superava di gran lunga la mia necessità di sapere cosa stesse realmente accadendo. Era come una crepa. Una crepa che attraversava gli anfratti celati alla vista della struttura che io e Yoann stavamo andando a comporre giorno dopo giorno. Se l'avessi fatta uscire allo scoperto, la crepa si sarebbe espansa, fratturando e infine provocando il crollo di quella che non si sarebbe rivelata altro che una costruzione labile. Come una sciocca illusione.
Sono una vigliacca.
«Antoni Gaudì fu il massimo esponente del Modernismo Catalano, che è la corrente artistica e architettonica che si sviluppò tra il XIX e il XX secolo, manifestazione spagnola dell'Art Nouveau, di cui ovviamente vi ricorderete le caratteristiche, dato che ne abbiamo parlato giusto nella precedente lezione...»
Mentre la Fimberti spiegava - come sempre argomenti di programma della quarta o quinta, per "tenersi avanti" - e io prendevo appunti il più in fretta possibile per non rischiare di perdermi nemmeno una parola, Yoann mi chiese se potevo prestargli la matita per poter copiare sul suo quaderno l'immagine della Sagrada Familia, che veniva proiettata sulla parete dietro alla professoressa; ovviamente, dal momento che comprendeva poco o niente di quello che veniva detto a lezione, quello era l'unico modo con cui poteva provare a seguire.
«Ehi!» mi chiamò sottovoce Ahmed, il mio vicino di banco del lato di sinistra. «Come hai fatto a capire che ti chiedeva la matita?»
Aggrottai le sopracciglia. Non mi aveva praticamente mai rivolto la parola dall'inizio dell'anno e lo faceva in quel momento per chiedermi... che cosa, di preciso?
«Ehm... me l'ha chiesta, e quindi...»
«Sì, ma come? O meglio, in che accidenti di lingua ha parlato?»
Le mie sopracciglia aggrottate divennero un cruccio sempre più confuso. «In italiano, ovvio...»
«Ah, credimi, se quello era italiano o magari francese, allora io sono la Regina d'Inghilterra! Certo che sei strana forte...» Borbottò qualcosa, poi tornò a prendere appunti.
Caspita. Realizzai in quel momento il significato di molte di quelle strane occhiate che, come avevo iniziato a notare negli ultimi tempi, venivano lanciate a me e Yoann quando parlavamo in corridoio o comunque in presenza di altre persone. Non vi avevo mai prestato troppa attenzione, ma dopo le parole di Ahmed mi accorsi che in effetti era... alquanto bizzarro.
Stavo ancora cercando di dare un senso a quell'informazione, quando si intromise Yoann, incuriosito: «Di cosa stavate parlando? Mi è sembrato che Ahmed parlasse di me».
«Non hai capito quello che dicevamo...?»
«No, lo sai Livvina, che quando non parli in francese fatico ancora parecchio a comprendere.»
Ah già, lui è ancora convinto che stiamo parlando francese... ma a questo punto, è davvero lui a parlare in una lingua che è convinto di non conoscere? Oppure sono io il problema?
Ahmed, dall'altro lato, borbottò: «Eccoli che ricominciano...»
Rimbalzai lo sguardo dall'uno all'altro, destra sinistra, sinistra destra. Poi la mia testa venne sostituita da una trottola che due dita prillarono tanto rapidamente che quella rotazione infinita divenne l'unico modo per restare ancora in piedi anche se tutto girava e girava e girava e-
«Ferri, sapresti dirmi da cosa erano ispirate le opere di Gaudì?»
La trottola cadde con un tintinnio. Fissai inebetita la Fimberti.
«Eh?»
«Come non detto,» commentò saccente. «Massima ispirazione dell'architetto catalano, era semplicemente, la natura che aveva intorno a sé. È considerato, difatti, uno dei rappresentanti dell'architettura biomimetica, come si può evincere dalla frase che ripeteva spesso: l'originalità consiste nel tornare alle origini...»
Mentre la professoressa riprendeva a spiegare, mi convinsi a ignorare i miei problemi e seguii il resto della lezione.
Dopodiché, mi trovai ancora una volta a celare dietro sorrisi e indifferenza tutti i dubbi che mi assalivano riguardo a Yoann, ma soprattutto a me stessa; la crepa che rischiava di fratturare ogni cosa era sempre più visibile.
Di questo ne ebbi la prova quando, qualche ora più tardi, mi capitò di ipotizzare, senza dirlo ad alta voce, che forse il bidello del nostro piano si era tagliato i capelli da un paio di giorni.
Stavo per dirlo a Yoann, che in quel momento era pure voltato da un'altra parte, quando lui se ne uscì con un: «Sì, ovvio che se li è tagliati, e secondo me così sta anche molto meglio, lo ringiovaniscono!»
«Aspe', come facevi a...»
Notando la mia espressione confusa, sbarrò d'improvviso gli occhi, e la carnagione già chiara si fece ancora più pallida. «Intendi dire che non hai detto niente?»
Il mio silenzio fu una risposta sufficiente. «Io... devo andare, scusami.»
Si allontanò a passo rapido, massaggiandosi la tempia con una mano, come avevo notato fare spesso quando era in difficoltà. Non era la prima volta che sembrava percepire qualcosa che non pronunciavo a parole, ma nei casi precedenti si era trattato di semplici risate o occhiate, nulla di troppo significativo insomma.
Era, tuttavia, la prima volta che, presa alla sprovvista, glielo facevo notare. Che cosa ho fatto...
Non mi rivolse una parola fino alla fine delle lezioni, dopo le quali mi salutò rapidamente senza nemmeno guardarmi, e il giorno dopo fu persino assente. Al mattino, notando la mancanza della sua figura adiacente il muro davanti a scuola dove solitamente ci incontravamo, fui pervasa da una profonda tristezza e rammarico per quanto ero stata stupida. Iniziai a temere che potesse davvero finire tutto.
Fu in quel momento che percepii su di me gli sguardi di Ewan ed Elias. Ricordando altre occhiate reciproche che quei due e Yoann si erano scambiati più volte, cominciai a pensare che in qualche modo si conoscessero. Che questo significasse che Yoann avesse a che fare con quegli ambigui tracciatori? Dopotutto era arrivato lo stesso giorno in cui erano riapparsi loro e avevo sentito dire che la vacanza di Ewan era stata proprio in Francia...
Il mistero che aleggiava intorno a Yoann e a tutta quella storia si stava infittendo giorno dopo giorno, facendo crescere sempre di più in me la sensazione di avere a che fare con qualcosa di troppo grande e fuori dalla mia portata, ma nel quale ormai, mi trovavo immersa fin sopra il collo. Perché sono sciocca, egoista e vigliacca. Accidenti a me.
Inoltre, con la sua assenza andò a intensificarsi la paura che tutto ciò che si stava creando tra noi finisse, facendo crollare su se stessa la struttura retta su quel calcolo errato, piccolo ma fatale. Sentivo già il frastuono delle macerie che franavano.
Sono curiosa, cosa ne pensate di Yoann? Pensate anche voi che sia pazzo o che ci sia altro sotto? 👀 Sono curiosa di sentire le vostre teorie.
Oh, e ricordatevi dell'accenno a Gaudì, perché è uno di quei particolari casuali inutili che poi si scopre che non sono così tanto inutili e per niente casuali 💀 Oppure mi sono inventata tutto solo per intortarvi il cervello e quindi non ci dovete fare caso... CHISSÀ ✨
Buona lettura 📖
꧁ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA꧂
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