72.Dicevi...?!
Ciò che avevo sempre amato più di ogni altra cosa dei viaggi di andata delle vacanze, era proprio quando finivano, ovvero il tanto atteso arrivo. Certo, era bello ammirare dal finestrino dell'aereo le nuvole bianche e voluminose che sembravano fatte di zucchero filato, divertendosi a identificare le loro forme in animali o oggetti, così come era affascinante godere della vista di città e poi mare dall'alto come se ci si stesse librando in volo, pur restando seduti immobili. Ma niente di tutto ciò era paragonabile alla sensazione di speranza e libertà che si provava nel momento in cui si oltrepassavano le porte dell'aeroporto e la luce, i colori, e i nuovi ambienti sconosciuti della città ci si aprivano davanti.
All'improvviso le fitte di dolore alle braccia e alle spalle per i pesi trascinati fino a quel momento sparivano, assieme ai crampi a piedi e gambe per le lunghe attese alle code sfiancanti e alla secchezza della gola per mancanza d'acqua. Una nuova, inattesa curiosità mi possedeva e io mi trovavo a camminare a passo lento, seguendo come uno zombie il gruppo di cui facevo parte, mentre gli occhi spalancati e affamati si posavano ovunque nel paesaggio intorno a me, soffermandosi su ogni singolo particolare per catturarne e scoprirne tutte le sfaccettature e le particolarità sconosciute.
Tutto era nuovo ed estraneo, dai linguaggi che si udivano per strada, principalmente catalano, ma anche l'inglese e l'italiano dei numerosi turisti, alle forme degli edifici, i colori delle vetrine, i graffiti sulle pareti, le gigantesche foglie delle palme e quelle piccole degli altri alberi; dagli odori, alcuni esotici, altri più familiari, ai curiosi versi allegri di uccellini non identificabili che sembravano gridare e ridere in un linguaggio tutto loro.
Per di più, un nuovo sentimento di libertà sembrava prender possesso di me, semplicemente guardandomi intorno, impossibile dire se la sua causa fosse da attribuirsi alle strade ampie e spaziose, oppure agli edifici imponenti, o a tutti questi fattori messi assieme. L'atmosfera stessa, in effetti, era completamente diversa da quella che si viveva a Torino, più cupa e regolare, totalmente estranea alla vivacità della sconosciuta Barcellona.
«Questa città puzza.»
Mi voltai stupita verso la ragazza che aveva appena parlato, spezzando l'incanto: «Non ce la fai proprio a essere semplicemente felice di qualcosa senza stare a criticare e a mettere il broncio, vero Liss?»
A quelle parole, l'Ephura, indispettita, mi afferrò per una manica e sibilò, con tono innaturalmente stridulo: «Non provare a prenderti gioco di me, razza di-»
«Ehi, calmati adesso, non c'è bisogno di prendersela tanto!» mi districai dalla sua presa appena in tempo per raggiungere il marciapiede prima che una macchina ci investisse.
Ma che le prendeva? Fin da quella mattina, prima di partire, era particolarmente irritabile - più del solito, per lo meno - e lo era stata per tutto il viaggio, ininterrottamente. A un certo punto si era pure messa a gridare contro una vecchietta solo perché aveva acquistato l'ultima brioche al bar, e anche a inveire contro le circa trenta persone che si erano messe in coda al bagno dopo che lei ci si era chiusa dentro per quasi mezz'ora... Inutile dire che in ognuno di quei momenti avrei voluto sotterrarmi per l'imbarazzo.
«Non rompere, chiaro? È stato un viaggio da schifo, ora ti ci metti pure tu?» si lamentò.
«Dai, che tra poco arriviamo a casa!» sussurrò Padma, con tono dolce.
«Eh?» esclamò stranita Liss, guardando l'altra Ephura come se avesse appena minacciato di strangolarla. «Non voglio la tua compassione, sporca figlia di traditori! E poi non è detto che a casa la situazione migliori! Queste scarpe fanno schifo, questa puzza fa schifo, l'intera città fa schifo! E pure voi mi fate schifo!»
Notai con la coda dell'occhio i miei genitori voltarsi preoccupati verso di Liss, la quale aveva alzato un pelino di troppo la voce nel pronunciare quell'ultima frase. In effetti, quella sera a cena si erano fatti un'idea completamente diversa di lei, che sembrava essersi totalmente dimenticata di reggere il gioco della ragazzina ingenua che sperava di incontrare il "vero amore" in quella città.
Padma sollevò stupita lo sguardo su di Liss. «Ehm... in realtà non parlavo con te. È Luna al momento quella che sta soffrendo di più, e si lamenta anche molto meno di te, tra l'altro.»
Notai che in effetti Padma teneva delicatamente tra le braccia il trasportino contenente la gatta. Scoppiai a ridere per il malinteso mentre Liss arrossiva lievemente e si irritava ancora di più, conficcando le unghie nei palmi delle mani. Yoann, che camminava al mio fianco, anche lui catturato dal mondo intorno a sé, rise lievemente per quel poco che doveva aver carpito dalle nostre parole - non molto, considerando che stavamo discutendo in italiano in quel momento.
Udii un lieve e tenero miagolio fuoriuscire dal trasportino, come a confermare quanto detto da Padma. In effetti non doveva essere affatto facile viaggiare in quella maniera, in particolare per un gatto, ma purtroppo non c'era altro modo.
Era stato un grande shock, per i miei genitori, venire a sapere che insieme a noi avrebbe viaggiato anche Luna. Non tutti gli aerei, infatti, permettevano agli animali di volare, ed era troppo tardi, ormai, per cercarne uno appropriato. Nonostante questo, la mia amica non si era fatta intimorire, assicurandoli del fatto che non avevano nulla da temere perché se ne sarebbe occupata lei; niente e nessuno sarebbe mai riuscito a tenerla separata dalla sua gatta per un intero mese o più! Come previsto, infatti, era andato tutto liscio, grazie a una semplice illusione che aveva velato la sua esistenza. Non che questo avesse impedito ai miei genitori di trascorrere l'intero viaggio nel totale terrore di essere scoperti e dover quindi pagare una multa.
Mentre Liss continuava a inveire contro tutto ciò che vedeva intorno a sé, mi venne automatico ripensare a quel "sporca figlia di traditori" con cui poco prima si era rivolta a Padma, forse un errore dovuto alla collera che la possedeva in quel momento. Certo, la ragazza tibetana non sembrava averci dato peso, ma forse era solo perché troppo presa dalla preoccupazione per la sua gatta, quindi il dubbio non aveva potuto fare a meno di prendere piede in me: a cosa si riferiva? Chi erano in realtà i genitori di Pad?
Il viaggio per raggiungere la casa che i miei avevano affittato per la vacanza fu più lungo del previsto perché ci perdemmo diverse volte.
Nessuno di noi, infatti, era mai stato prima a Barcellona e trovare la strada che ci avrebbe condotti all'appartamento, ovvero una certa Carrer de Joan Oliver, si stava rivelando particolarmente complicato, soprattutto a causa dell'unica cartina di cui disponevamo, vecchia di minimo dieci anni a vedere dalla vivacità dei suoi colori. Il sole cocente poi, di certo non contribuiva molto, in particolare a chi non poteva avvalersi del cebrim dell'immunità.
Avevo provato a essere d'aiuto, ma l'unico risultato ottenuto era stato quello di peggiorare ancora di più la situazione, perché a quanto pareva il mio cebrim dell'architettura non sembrava comprendere anche l'interpretazione delle mappe. Alla fine, a trovare la via giusta, ci pensò Padma, utilizzando un cebrim di cui non sapevo fosse in possesso. Non che questo mi avesse sorpresa più di tanto, il numero dei suoi cebrim superava quasi sicuramente persino i trucchi celati dal migliore tra i prestigiatori!
Causa principale della fatica per trovarla, fu anche il fatto che tutti quegli edifici erano stati costruiti in un'epoca successiva rispetto a quella della mappa. Si trattava infatti del villaggio olimpico predisposto per gli atleti in occasione dell'edizione del 1992, e che era stato probabilmente adibito ad abitazioni qualche anno più tardi.
Riguardo l'appartamento affittato se ne erano voluti occupare completamente mamma e papà, lasciando volontariamente tutto abbastanza nel mistero per farci la sorpresa. Da quel che ero riuscita a carpire loro, sapevo solo che era molto grande e spazioso, e che aveva una gran bella vista sul mare - inutile dire che già con queste poche informazioni ero impaziente di vederlo e, ovviamente, di abitarlo.
Una volta che fummo arrivati in Plaça de Tirant lo Blanc, potei constatare che le mie speranze non erano state affatto mal riposte. Già la piazzetta dalla forma semicircolare, infatti, non si rivelò affatto male, pur con la banale pavimentazione che imitava i mattoni rossi caratterizzanti i fronti degli edifici affacciati su di essa. Tra una casa e l'altra spiccavano, vigorosi, dei giardini, alcuni interamente costituiti di palme, altri di alberi alti e frondosi, intervallati da eleganti pali della luce che avrebbero di sicuro creato un'incantevole atmosfera con il sopraggiungere della notte. La gente che passava, portando con sé asciugamani o ombrelloni, faceva supporre una considerevole vicinanza al mare.
Le abitazioni, seppur sprovviste di baldanzose decorazioni, spaziosi balconi, terrazze o colori sgargianti, erano contraddistinte, nella loro semplicità, da una certa nota originale in grado di catturare l'attenzione grazie alle sue forme non convenzionali, che seguivano la curva del semicerchio da loro creato con pareti inclinate in dentro e poi in avanti, somiglianti quasi all'ondulazione rigida di un ventaglio allentato.
Solo un edificio faceva da eccezione: situato verso il limitare della piazza, spiccava come una torre, mettendo in mostra le facciate tondeggianti a descrivere la forma che, da dove ci trovavamo noi, poteva somigliare a quella di una mandorla con la punta rivolta verso la strada dante sul lungomare. Qualcosa, nel modo in cui i miei genitori lo osservavano con le estremità delle labbra inclinate verso l'alto senza riuscire a trattenere l'entusiasmo, mi fece supporre che si trattava proprio della nostra destinazione.
«Ehi! Guardate là! Quello non è un pappagallo?» esclamò all'improvviso Yoann, distogliendo la mia attenzione dalla casa, mentre indicava un piccolo uccellino verde che si abbeverava da una pozzanghera.
«Eh?!» esclamò mamma confusa, mentre papà sussurrava: «Era seriamente francese, quello?»
In verità era ben altro, ma sul momento non diedi troppo peso al piccolo errore fatto da Yoann, perché la mia attenzione, così come quella degli altri Ephuri, era posta su ben altro.
Aguzzai immediatamente la vista, riuscendo così a distinguere il beccuccio arancione e concavo, il verde erba della parte posteriore della piccola testa e delle ali che sbiadiva sfumando nel bianco a livello della pancia e della parte restante del capo. Sì, si trattava decisamente di un pappagallo.
Ma come era possibile?! Non poteva esser stato così facile, eravamo praticamente appena arrivati!
Notando il nostro interesse per il curioso esemplare di uccello, i miei genitori si avvicinarono lentamente insieme a noi, interessati.
«Oh, ma che carino!» esclamò mamma, poco prima di tirare fuori la sua macchina fotografica per scattargli una foto.
"Lo catturiamo?" chiese Liss studiandolo attentamente.
"In teoria dovremmo seguirlo, non catturarlo..."
"Gli leghiamo un filo alla zampa o qualcosa del genere...?" tentò ancora l'Ephura.
"Liss!"
C'era ancora qualcosa che non mi tornava, era troppo assurdo! Mi guardai intorno per cercare un possibile padrone o una gabbia da cui potesse essere uscito, senza però trovare alcunché. Poteva trattarsi di un pappagallo selvatico, anche se mi sembrava completamente privo di senso, dal momento che, da quel che ne sapevo, i pappagalli di solito tendono a preferire le foreste. Molto più probabile che fosse fuggito da qualche balcone...
"Non credevo che sarebbe stato così facile!" esclamò Yoann esterrefatto.
Certo, non era color arcobaleno, però, intanto, era un pappagallo, uccello più che raro in ambienti antropici! Per di più, tra tutti i volatili della città, proprio il pappagallo che cercavamo era venuto a bere da una pozzanghera a pochi passi da casa nostra?
O si trattava soltanto di una grande presa in giro, o meglio, una trappola, oppure... il destino voleva che trovassimo R.R.R. Dopotutto non vedevo Arkonanti nelle vicinanze, senza contare che era davvero difficile che fossero a conoscenza del Lorichetto Arcobaleno, quindi...
"Non giungenterei vittorusioni troppo prestaffrettate, se fossi in voi..." *
Neanche il tempo di tradurre la frase di Padma, che papà esclamò: «Guardate, ce n'è un altro!», indicando un secondo uccellino terribilmente simile al primo, appena atterrato nelle vicinanze per poi camminare con passetti buffi e goffi verso la pozzanghera a cui si stava abbeverando l'altro.
Il sorriso mi sparì dalle labbra, sostituito da un'espressione confusa e lievemente intimorita. Un secondo pappagallo? Okay, ero felice finché il pappagallo era uno, ma questa era un po' un'esagerazione...
«Ma come è possibile!? Oh, ma guardate che bellini!» esclamò mamma, continuando a scattare foto da diverse angolazioni.
Mi guardai spaesata intorno, mentre gli svolazzi rapidi tra gli alberi e i versetti sconosciuti, simili a risa, notati fin da subito tra le strade della città, assumevano un nuovo significato. Alzando lo sguardo verso l'alto, intravidi con mia incommensurabile gioia, un terzo uccellino verde che camminava tra i rami di uno degli alberi più vicini, un quarto che sfrecciava rapido tra le fronde e un quinto appollaiato su un altro albero a cantare, come ridendo di noi.
E non erano i soli. Attuando la vista acuita dal cebrim dell'Antilìpsi, decine di piccoli nidi e un numero ancora maggiore di uccellini verdi, si mostrarono ai miei occhi.
Ormai era appurato, la città ne era invasa: i pappagalli erano ovunque, ed erano decisamente troppi.
«Ma... sono tantissimi», biascicai senza curarmi di celare il mio stupore, lo stesso che si poteva facilmente riconoscere nelle espressioni dei miei amici. Altro che destino favorevole, la fortuna ci remava contro! Trovare il lorichetto arcobaleno in mezzo a tutti quei pappagalli sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio, se non peggio, perché l'ago era pure munito di ali.
All'improvviso ebbi quasi la sensazione che i piccoli pappagalli intorno a noi stessero ridendo della nostra ingenuità, divertiti dallo scherzo particolarmente esilarante di cui noi eravamo stati inconsapevolmente vittime. La stessa Barcellona sembrava sbeffeggiarci insieme a loro, come a darci il benvenuto tra le sue ingannevoli grinfie, mentre realizzavamo che l'impresa sarebbe stata ancor più ardua di quanto avevamo creduto all'inizio.
Yoann deglutì, rimangiandosi quanto detto poco prima sulla facilità che avevamo avuto nel trovare un pappagallo. Liss, le labbra piegate nel suo solito sorrisino sarcastico e un sopracciglio alzato, mormorò, con tono lievemente stizzito: «Dicevi...?!»
* "Non giungerei a conclusioni troppo affrettate" e "Non canterei vittorietroppo presto" nel linguaggio Padmico. (Questa volta la traduzione era d'obbligo perché la frase è venuta fuori abbastanza incomprensibile...e allo stesso tempo troppo epica per non tenerla😂)
Ed eccoci finalmente alla tanto attesa Barcellona!!!
Chiedo immensamente scusa per avervi fatti attendere ben due mesi, ma potete consolarvi con il fatto che da adesso ci saranno aggiornamenti regolari! Ogni venerdì nuovo capitolo! Incredibile vero? Da una parte non ci credo neppure io ahahah
Comunque i pappagalli ci sono davvero a Barcellona, si chiamano "parrocchetti monaci" e sono veramente carinissimi 😍😍😍
Volevo pubblicarvi qui un piccolo video di due pappagalli che si fanno il bagnetto, che ho fatto quando ci sono stata quest'estate, ma mi sono appena resa conto che non ho idea di come mettere i video della galleria su Wattpad 😵
Ce n'era un'altro di un pappagallo su un ramo che mangia con la zampettina in modo davvero buffo, ma non riesco proprio a ritrovarlo! ☹️
Va bè, spero che questo breve capitolo vi sia piaciuto, al prossimo venerdì!
꧁ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA꧂
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