7.Talento naturale?
Era deliziosa la quiete casalinga che era in grado di formarsi solo quando tutta la famiglia si metteva a svolgere un'attività di gruppo insieme. La complicità, le risate facili, gli sguardi di intesa e le chiacchiere leggere erano, in quel periodo, più rigeneranti di qualunque altra cosa, persino della lettura.
Da quando mi ero confidata con mamma e papà, ogni cosa era letteralmente perfetta in casa. Quel giorno, intenta a inserire il ripieno nella sottilissima sfoglia di pasta, non potevo sentirmi più completa. A dir la verità sto facendo un vero impiastro, ma dettagli.
«Ehm... ti consiglio di fermarti prima di peggiorare la situazione...» mi avvertì papà. Troppo tardi, ormai l'agnolotto a cui stavo tentando di dare una forma sensata era stato ridotto a un intruglio accartocciato nel quale non si distingueva più l'impasto dalla sfoglia.
«Uff... ma perché non possiamo usare lo stampo o il taglia-pasta come qualunque chef sano di mente?» mi lamentai.
Mamma ridacchiò, mentre papà, l'unico che davvero se la stava cavando in quel lavoro disperato, rispose con sicurezza: «Perché siamo cuochi speciali, nessuno prepara la pasta piemontese come noi! È una ricetta di famiglia, se la riducessimo a uno dei tanti procedimenti uniformati da stampi tutti uguali perderebbe la sua particolarità! Cosa credi che rendesse tanto ambito il ristorante del nonno?»
Roteai gli occhi, morendo di invidia per la decina di agnolotti che lui aveva già completato in maniera tanto esemplare da far venire voglia di mangiarli persino da crudi.
Facile per lui, che è il figlio di un cuoco! Il rinomato ristorante di cucina piemontese, ormai chiuso da diversi anni, era sempre stato motivo di vanto nella famiglia Ferri, eppure Milo aveva preferito intraprendere la carriera di architetto, ignorando il talento che aveva ereditato - a buon avviso a mio parere: era una carriera decisamente migliore sotto diversi punti di vista, e poi era giusto fare ciò che appassionava, non ciò che avrebbe reso felice la famiglia.
Per il compleanno del nonno, quell'anno, non avevamo trovato regalo migliore che un tuffo nella nostalgia dei bei tempi andati, preparandogli una delle sue ricette migliori. Peccato che il talento familiare nell'ambito della culinaria non sia giunto fino a me...
«Sinceramente, non ho idea di come facesse a gestire un ristorante preparando un agnolotto alla volta», si accodò mamma, concordando con me, «continuo a essere convinta che alcune delle cose che racconta siano un pochettino romanzate!»
Lui non si perse d'animo. «Lo penserei pure io se non l'avessi visto con i miei occhi! E comunque, è possibile, credetemi!» Alzò un dito per attirare l'attenzione nel tono saccente da esperto che assumeva ogni tanto quando doveva spiegare qualcosa. «Guardatemi, adesso ve lo dimostro!»
Io e mamma ci scambiammo uno sguardo divertito: quando papà si accingeva a cuoco provetto era sempre ridicolo e buffo, soprattutto se tentava vanamente di imitare i modi del nonno. Poteva anche essere bravissimo a cucinare, ma di certo la recitazione non rientrava tra le sue capacità; al contrario della moglie, la quale da giovane aveva sempre desiderato fare l'attrice e aveva recitato anche in diverse rappresentazioni teatrali, costretta poi ad abbandonare il suo sogno per mancanza di possibilità.
«Il trucco per creare agnolotti perfetti in tempi brevi è la concentrazione!» spiegò con tono professorale. «Quando cucinate, non deve esistere altro che le vostre mani che creano delizie, il mondo intorno deve scomparire. Il resto viene da sé! Raccogli l'impasto, adagi con cura, tagli con sicurezza, senza pensare, poi prendi un altro e copri, premi e poi metti via, raccogli altro impasto, adagi...»
Mentre parlava, svolgeva le azioni che descriveva in modo esemplare, alla stessa velocità con cui le pronunciava. A tratti le sue mani sembravano muoversi da sole, in altri parevano seguire gli spostamenti degli ingredienti anziché guidarli. L'impasto e il ripieno parevano danzare al ritmo della musica scandita dalla sua voce, anche dopo che ebbe finito di parlare per lasciar spiegare il resto direttamente dai suoi gesti.
Nemmeno mi resi conto di esser stata totalmente incantata da quei movimenti. Non mi accorsi di cosa stavano facendo le mie mani, e neanche il bizzarro ma sonoro schiocco alle orecchie fu sufficiente a distogliere la mia attenzione. Percepii distrattamente mamma e papà esclamare qualcosa sorpresi... ma sembravano appartenere a un'altra dimensione, lontana e distaccata dal meccanismo di quel movimento.
Solo quando l'ultimo pezzo di sfoglia sottile scomparve dal nostro piano di lavoro, raccolto dalle mie mani sicure, mi resi conto di quello che era appena accaduto.
Sobbalzai sul posto per lo spavento. Per la miseria. Com'è possibile?
Decine di agnolotti, dalle delicate e precise forme sofficemente ondulate, mi osservavano accusatori. Talmente immersa nei movimenti che stava svolgendo papà, mi era venuto automatico imitarne i gesti. Non avevo idea di cosa mi avesse spinta, forse l'istinto, forse la concentrazione, come la chiamava lo chef di famiglia. Sono stata io.
Strabordavano dalla teglia su cui io li avevo posati con cura, dopo averli modellati con le mie dita impacciate e grassocce. Per giunta in tempi da record.
«Cosa...»
«Ma come hai fatto? Wow, sono perfetti!» esclamò papà esterrefatto, mentre mamma era ancora intenta a fissarmi a bocca aperta. Non poteva essere stupita quanto me, però.
Un brivido mi corse lungo la schiena nel rendermi conto dell'orgoglio e della spavalderia che mi stava infuocando il petto, nell'aver creato tale perfezione senza la minima difficoltà. All'improvviso mi sentivo al di sopra di ogni cosa, troppo potente a confronto di quelle persone così normali, banali. Con un'agghiacciante déjà-vu, la mia mente riportò alla luce le emozioni e i pensieri provati il giorno in cui Barbara mi aveva fermata fuori scuola per costringermi a svolgere il suo progetto. Gli stessi che potrebbero aver portato alla sua morte...
Fu mamma ad allontanare quei pensieri funesti da me: «No, sul serio, come sei riuscita?»
Per evitare di fargli notare i miei dubbi, sorrisi raggiante, convincendo persino me stessa che forse mi stavo facendo troppi dilemmi. La paura di qualcosa che mi covava dentro e a cui non sapevo dare un nome mi portò a adagiarmi nella culla della rassicurante idea che magari un po' di predisposizione alla cucina l'avevo davvero ereditata.
Così, scrollando le spalle con fare misterioso, ipotizzai: «Talento naturale?»
Con la scusa di dover digerire lo squisito pranzo appena concluso, mi allontanai dalla sala da pranzo dove i nonni si stavano ancora complimentando per gli agnolotti perfetti che avevo preparato, e chiusi la porta dietro di me.
Il nonno aveva persino proposto di riaprire il ristorante e di farmelo dirigere. Per quanto mi facesse piacere tutto quel riconoscimento, tuttavia, non potevo fare a meno di pensare che non me lo meritavo completamente. Certo, ero io ad aver creato quegli squisiti agnolotti... ma come diamine avevo fatto? Era normale quell'improvviso e radicale cambiamento? Un attimo prima non ero neanche in grado di prendere in mano la pasta senza spezzarla con la mia radicale goffaggine.
Era iniziato tutto quando avevo percepito quello schiocco nelle orecchie a cui, in un primo momento, non avevo neanche prestato attenzione. Mi sdraiai sul letto, gli occhi attirati dalle macchie sul soffitto che erano state le costellazioni della mia infanzia. Uno sciame di imperfezioni lasciato dal segno di vecchi adesivi incollati e poi staccati subito anni addietro. Dipingeva forme ritorte e interpretabili in mille modi diversi; mi apriva la mente in alcune occasioni, mi faceva sprofondare in galassie di pensieri in altre.
In quel momento, mi accese una luce che rese più nitido un ricordo recente: non era la prima volta che accadeva una cosa del genere. Appena qualche settimana prima, stavo studiando la composizione del muro portante, quando uno schiocco improvviso mi era scoppiato nelle orecchie, non molto diverso da quello degli agnolotti. Poco dopo, le mie percezioni delle strutture che mi circondavano si erano ampliate, permettendomi poi di migliorare in molte delle materie scolastiche, con successivi schiocchi minori, come degli echi, ad esempio quando avevo sviluppato la percezione delle misure disegnando. Possibile che questi due eventi siano collegati?
Quel pensiero mi terrorizzava. Non aveva senso che dal nulla, all'improvviso, uno schiocco d'orecchie e voilà: superpoteri strani. Nei libri e nei film venivano sempre scaturiti da un fatto sensato, non dal più banale nulla. In ogni caso, chiunque avrebbe desiderato dei superpoteri, e anche io probabilmente, però... non per davvero. Non se significa uccidere senza volerlo.
Avevo cercato di ignorare la stranezza di quel che mi stava accadendo, approfittandone anche per il mio rendimento scolastico... però non potevo tenere a freno i miei pensieri incontrollati e sempre ritorti contro di me, che non mi facevano mai arrivare a una soluzione ma anzi, mi ingarbugliavano ancora di più in un nodo da cui era sempre più complesso districarsi. Più ci ragionavo sopra e più ero confusa. E man mano che la confusione appannava tutto, la paura trovava lo spazio per sedimentare e mettere radici in me. Per impedirle di ramificare e stritolarmi in tralci spinosi, avevo continuato a ignorare il problema, andando avanti con la mia vita... e come risultato adesso ero ancora più terrorizzata.
Sola. Diversa. Incomprensibile.
Ricordai come mi avesse rigenerato l'anima raccontare ai miei genitori i miei pensieri sul mondo, e ragionai su come la nostra vita fosse migliorata da quando mi ero aperta.
E se... no, loro non potevano capire. Non potevano capire la mia estraneità e la mia solitudine, figurarsi se potevano comprendere il sovrannaturale. Non era faccenda per Rachele Musso e Milo Ferri. Loro erano persone pratiche, basate sui fatti reali, avrebbero cercato una soluzione logica e l'avrebbero trovata dallo psichiatra. Mi sentivo sciocca già solo al pensiero di parlargliene.
No, si trattava di una cosa che riguardava solo me. Avrei davvero avuto bisogno di uno specialista se non la finivo con quei pensieri assurdi sul sovrannaturale e sulla mia presunta colpevolezza in omicidi. Anche Yoann non era altro che un ragazzo francese che parlava francese e basta. Per non parlare del violino che suonava per me ogni notte! Erano solo fantasie di una ragazza annoiata e stressata dalla scuola. Una ragazza che desiderava solo sovvertire la forza di gravità, lanciarsi nel vuoto, roteare in aria, volare, sfidare e oltrepassare il limite del possibile... e che sentiva inspiegabilmente di esserne in grado.
No, mi dissi. Dovevo finirla. Erano troppe cose, ed erano troppo strane anche per essere sovrannaturali. Era solo la mia mente affetta da crisi adolescenziali che mi giocava brutti scherzi, nulla di più.
Non sono una tracciatrice. Non sono un'assassina. Non sono niente più che me stessa.
Solo Liv.
È l'ora di smetterla di sognare.
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