69.Nuove tracce da seguire
Rumore. Era questo che sentivo, perché di certo non poteva essere chiamato suono. Era qualcosa di disumano, innaturale, peggio di un gessetto che strideva su una lavagna, di un coltello su una bottiglia, o di un trapano elettrico.
Mi provocava vibrazioni negative su tutto il corpo, in una sofferenza viscerale che raggiungeva persino la mia anima.
Mentre Will suonava, il paesaggio intorno a me continuava a mutare: una moltitudine di colori turbinanti si sostituiva all'immagine di Hel, la quale a sua volta scompariva per lasciare il posto a dei corpi insanguinati riversi a terra, che si deformavano fino ad assumere forme bestiali che prendevano a inseguirmi. Una volta che questi mi raggiungevano, mi trovavo a precipitare in una sorta di tunnel, il mio grido che echeggiava lungo di esso, sommandosi a quello del violino. Poi spesse barre in acciaio scendevano intorno a me per circondarmi, e io mi trovavo imprigionata, voci di bambini che piangevano, poi ridevano e piangevano di nuovo, centinaia di specchi mi circondavano da ogni dove, distorcendo la mia immagine in mille modi differenti...
Come ogni notte, il copione si ripeteva perfettamente, in una tortura assillante e senza fine, come un limbo.
Eppure, questa volta c'era qualcosa di diverso. Io ero diversa. Continuavo a rivedere i sassolini che scivolavano via dalle mani aperte di Michael, per rimbalzare timidamente sul cuscino della panca, dopo aver trapassato le mie mani.
Feci un profondo respiro. «Non mi sento più in colpa, non provo più dolore. Perdono me stessa. E tu Will?»
Tutto il caos intorno a me, si era adesso sostituito alla comune sala in cui solitamente Will suonava il violino. Percepivo la presenza, nelle vicinanze, di Cosimo, che, semisdraiato su una poltrona, ascoltava della musica con le cuffie alle orecchie, le palpebre pesanti che gli cadevano sugli occhi. Da quando eravamo tornati da Venezia non c'era stata una volta in cui avevo visto Will da solo; evidentemente avevano aumentato la sorveglianza su di lui, visto quello che era successo.
Posai gli occhi sul violinista. Aveva sentito la mia voce e adesso si era fermato, l'archetto bloccato a mezz'aria, gli occhi lucidi dal pianto e la bocca leggermente dischiusa.
Gli sorrisi, le lacrime agli occhi, e provai a trasmettergli le mie emozioni mentalmente come facevo di solito con gli altri Ephuri, fallendo. Nei sogni non eravamo mai riusciti a comunicare mentalmente, come se qualcosa bloccasse il passaggio alle porte e ai Clypeus. Con mia sorpresa, invece, vidi le mie emozioni, i miei ricordi e i miei pensieri, prendere forma intorno a me e Will, i colori di Venezia, le maschere senza volto, le gonne che ruotavano armoniosamente al dolce ritmo prodotto dai violini sulle Procuratie.
Will mi sorrise e riprese a far scorrere l'archetto sulle corde tese; questa volta però, fu un suono a essere prodotto, non quei rumori irregolari e frastornati. La stessa melodia, che accompagnava perfettamente quei ricordi dolci e intensi, aggiunse i ricordi del violinista, i quali si amalgamarono ai miei, rendendoli ancora più intensi e vividi, perché creati dalla congiunzione delle mie e delle sue emozioni.
Cullata dalla canzone, la nostra canzone, mi lasciai trasportare dalle note musicali, mentre le emozioni di Will sembravano prendere forma in una parola: grazie.
In quei giorni entrambi ci eravamo trovati nella stessa situazione. Più che le torture subìte, ciò che dilaniava Will erano i sensi di colpa, l'aver fallito nel suo tentativo di aiutarci e, anzi, aver addirittura peggiorato la situazione; questo lo logorava talmente tanto da impedirgli di fare ciò che più amava, come suonare il violino, o scrivere sulla sua agendina - qualunque cosa scrivesse, ovviamente - e, in questo modo, aveva provocato ulteriore sofferenza anche a me, oltre che a sé stesso.
Era esattamente come aveva detto Michael. Ognuno dei due era talmente concentrato sul proprio dolore, da aver automaticamente escluso tutto ciò che c'era di bello, così entrambi eravamo restati soli con noi stessi e la nostra sofferenza. Ora, però, io mi ero perdonata, e avevo aiutato anche Will a farlo. Insieme, avevamo superato quella situazione.
A un certo punto, però, le immagini intorno a noi si sfocarono, vidi nello sguardo eterocromatico di Will che voleva dirmi qualcosa di importante, quasi urgente. Aprì la bocca per parlare, ma poi all'ultimo secondo decise di non farlo, dopo aver lanciato una rapida occhiata a Cosimo, ancora sulla poltrona. Non aveva abbastanza libertà, compresi. Nonostante questo, non si arrese, e riprese a suonare, una melodia diversa questa volta, dai suoni bassi e vibranti, quasi misteriosi.
Il paesaggio intorno a me mutò nuovamente, il buio, screziato da un tenue bagliore rosso e spettrale, dominò l'ambiente, provocandomi un intenso sentimento di angoscia, che mi fece battere forte il cuore. Udii grida di paura e di dolore, il rumore di corpi che cadevano inermi a terra, la figura in controluce di Hel.
Lettere rosse, come scritte col sangue, presero forma dal nulla, una dopo l'altra, fino a formare una vera e propria frase. Per leggerla dovetti ruotare su me stessa perché mi si erano posizionate a cerchio intorno: Tanta è la desolazione della morte in illusione,
Mentre la musica da spettrale si faceva più acuta e altalenante, come per descrivere speranza, o semplice curiosità, la luce rossa divenne bianca e poi azzurrognola, poi si fece sempre più presente, espandendosi fino a inghiottire anche l'ultimo angolo di oscurità. Contemporaneamente nuove parole, questa volta oscure, venivano scritte sul pavimento ai miei piedi, contrastando la luce: eppure, esiste al problema una soluzione:
Il pavimento si crepò, e con esso la scritta. Il mio grido si mescolò alle note più alte mai suonate dal violino, mentre precipitavo nell'abisso. La mia caduta però, non durò a lungo, perché poco dopo mi trovai al centro di una sorta di quadrato o rombo, era difficile capirlo dal mio punto di vista. La sua luce verde intenso mi si rifletteva addosso, tingendo anche pelle e capelli di quel colore. Mentre la musica, ora più lenta e bassa, infondeva sicurezza, lettere nere camminarono verso di me, formando una nuova frase: un pezzo di eredità, il più importante,
Dalle scritte il nero si espanse, sfumando in una grigia e anonima parete, sulla quale comparve un'ombra, che di certo non era la mia. Era una figura alta, slanciata, maschile, i riccioli dei capelli descrivevano piccole onde e il mantello lungo fino ai piedi lo rendeva ancora più misterioso, effetto ampliato ovviamente dagli alti e bassi del violino. L'ombra afferrò il suo mantello e, con un movimento sicuro ed elegante, si coprì con esso, mentre, come acqua, delle scritte ne sgorgavano e si allungavano verso di me. Per leggerle fui costretta a inclinare la testa, perché continuavano a muoversi: è protetto dal nostro mecenate, con dedizione costante.
Le scritte assunsero i movimenti sinuosi di un serpente, che mi strisciò intorno in un cerchio, volando, per poi allontanarsi, mentre la musica assumeva quasi il suono di un ruggito. Ora le scritte sul serpente si erano modificate: Nella città del paladino prima accennato, non appena ebbi finito di leggerle, si dissolsero, siccome, una nuova figura, composta di stelle, aveva appena colpito il drago con una lancia, provocando un ruggito ancora più forte del precedente, accentuato dalle note gravi e tragiche del violino.
Quella scena mi era familiare... Non ebbi però il tempo di comprenderne il motivo, perché il paladino iniziò a sciogliersi e frammentarsi in tante piccole mattonelle dai colori variopinti, mescolandosi con l'ambiente intorno a lui, il quale aveva assunto gli stessi motivi. Le pareti ondulate e morbide, ricordavano le forme della natura, esattamente come nel Clypeus di R.R.R.
Adesso la musica aveva assunto delle intonazioni che mi ricordavano tratti della Primavera di Vivaldi, mentre nuove lettere, anch'esse colorate, si sopraelevarono sinuosamente, in completa armonia con tutto il resto: resa grande dall'architetto dalla natura ispirato,
All'improvviso tutti i colori si accartocciarono su loro stessi, risucchiati in un unico punto, mentre, accompagnati dall'altalenante melodia che ricordava tanti stridii di uccelli, si riducevano ai colori blu, verde, giallo e rosso, rispettivamente testa, ali, petto e becco di un uccellino che volava rapido, danzando a ritmo di musica. Ricordandolo da uno dei miei recenti sogni, presi a seguirlo, mentre dalla sua coda si dipartivano nuove lettere: segui il volo del lorichetto arcobaleno,
Le lettere si dissolsero in scoppiettii una dopo l'altra, da quelle più vicine a me, fino alle ultime, presso la coda del lorichetto. Allungai la mano, tentando di afferrarlo, ma proprio nel momento in cui lo raggiunsi, si dissolse anche lui, accartocciandosi in qualcosa di deforme che, poco dopo, si dispiegò in nuove scritte, squarci nell'oscurità: ma troverai chi cerchi solo se lui lo vorrà in pieno.
Le parole si ingrandirono e, deformandosi, con uno scatto vennero verso di me, provocando un'immensa onda d'urto che mi sbalzò all'indietro. Cominciai a precipitare, l'oscurità che mi inghiottiva, mentre l'ultima, intensa, nota di violino, accompagnava la mia caduta, come se mi stringesse la mano per non lasciarmi sola, mentre tutto scompariva nell'oblio.
Spalancai gli occhi di scatto, pervasa da una dolorosa fitta alla schiena. Ci impiegai qualche attimo a comprendere che avevo appena sbattuto la colonna vertebrale sul pavimento asfaltato del piazzale del Monte Cappuccini.
«Ahi», mugugnai, dolorante, rialzandomi lentamente. Ma come diavolo mi era venuto in mente di mettermi a dormire su un balcone? Mi era già andata bene che fossi caduta verso l'interno e non nella direzione della vista panoramica, altrimenti mi sarei svegliata precipitando o rotolando, oppure avrei potuto sbattere la testa, svenire e poi... no meglio non pensarci.
Mi venne naturale voltarmi verso il punto in cui era stato seduto Michael, ma ovviamente lui non c'era, o meglio, non c'era mai stato.
Dando un'occhiata all'orologio, capii che dovevo aver dormito almeno un'ora, perché erano già le sette; potevo quindi dedurre che i miei amici si fossero già svegliati. In effetti, iniziavano già a comparire i primi turisti mattinieri, che probabilmente preferivano godersi la vista della città dall'alto in un momento in cui l'afa di fine giugno non era ancora tanto soffocante e sfiancante.
Individuai in un attimo i Clypeus degli Ephuri che mi serviva contattare e trasmisi il messaggio: "Ho nuovi indizi. Riunione di squadra il prima possibile."
Tanta è la desolazione della morte in illusione,
eppure, esiste al problema una soluzione:
un pezzo di eredità, il più importante,
è protetto dal nostro mecenate, con dedizione costante.
Nella città del paladino prima accennato,
resa grande dall'architetto dalla natura ispirato,
segui il volo del lorichetto arcobaleno,
ma troverai chi cerchi solo se lui lo vorrà in pieno.
Non appena ebbi finito di scrivere il nuovo indovinello su un foglietto, Liss me lo fece scivolare via dalle dita per leggerselo per bene, guadagnandosi le occhiatacce di Yoann e Padma, ben visibili nonostante l'ambiente semibuio della soffitta. Mi scappò un sorrisino divertito; almeno il suo comportamento scortese dimostrava che un po' era tornata in sé...
«Non sembra molto complicato, dovremmo riuscire senza difficoltà», disse infine.
Quando anche gli altri ebbero letto, annuirono concordi.
«Ehi, ragazzi, però aspettiamo un attimo», disse subito dopo Yoann, «siamo proprio sicuri che sia una buona idea? L'ultima volta che abbiamo seguito uno di questi indovinelli, sono più i problemi che abbiamo causato piuttosto che il contrario...»
In effetti Yoann non aveva tutti i torti. Quando Clara e Daniel erano partiti per consegnare la corona all'Ephia londinese, erano stati via una giornata intera, intrattenuti da lunghe discussioni per spiegare l'accaduto per il quale la coppia si era assunta la responsabilità. A quanto avevo capito, erano riusciti a evitare di essere puniti, o di far punire l'Ephia, solo grazie alle grandi doti oratorie di Clara, che era riuscita a capovolgere la situazione mettendoli in buona luce agli occhi del Consiglio.
In ogni caso, non era stato facile, senza contare che la signora Cervini ci aveva fatto capire che non potevamo più permetterci di disubbidire in questo modo alle leggi Umanenti; non ero sicura di aver compreso appieno la situazione, ma i cenni riguardo al possibile trasferimento di Liss o di altri Ephuri, lasciavano intendere come la situazione fosse ben più complessa di quanto apparisse.
«Hai ragione» disse Padma, senza smettere di accarezzare la sua gattina, che fusava stravaccata sulle sue gambe, «vuol dire che questa volta faremo più attenzione!»
Un sorrisino divertito le accese lo sguardo dopo aver pronunciato quelle ultime parole. Liss la guardò sinceramente sorpresa: «Grande! Finalmente ne hai detta una giusta!»
Pad fece spallucce, e anche Yoann si lasciò andare a uno risolino rilassato, dimostrando che concordava.
«Bene,» cominciai, «i primi due versi si riferiscono chiaramente alle uccisioni per conto di Hel di questi giorni.»
Solo dopo aver pronunciato quelle parole mi resi conto della loro probabile indelicatezza, così per sicurezza diedi una rapida occhiata a Liss, la quale sembrò mostrarsi disinvolta, ma fu tradita dallo sguardo puntato verso il basso e il labbro inferiore che tremava impercettibilmente.
«Poi si riferisce al fatto che la soluzione può essere trovare un pezzo di eredità, quindi un frammento, che, questa volta, è protetto da R.R.R. in persona», continuò Yoann, passandosi un dito sulla tempia, pensieroso. «È abbastanza semplice in effetti, questo cebrim degli indovinelli denomina sempre allo stesso modo le cose: pezzo di eredità, mecenate... basta aver risolto gli indovinelli precedenti per arrivare alla soluzione!»
"Già... il cebrim degli indovinelli..." A volte dimenticavo che loro erano ancora convinti che quegli indovinelli venissero fuori da un "cebrim degli indovinelli" o "da oracolo" come l'aveva chiamato Yoyo la prima volta.
«Il paladino invece potrebbe essere San Giorgio che uccide il drago...» aggiunse Liss. In effetti avevo anche rivisto la stessa scena del mio vecchio sogno. Cosa c'entrava, però, questa volta? Faceva per caso parte di una qualche altra leggenda Ephura di cui non ero a conoscenza?
Yoann cercò sul suo portatile una città che si chiamasse San Giorgio, e ne trovò una in Italia. Però... c'era qualcosa che ancora non mi convinceva, in particolare il verso subito successivo, riferito all'architetto che l'aveva resa grande. Doveva trattarsi di una città importante.
«Yoann, potresti cercare architetti che si siano ispirati alla natura?» chiesi, ricordando il verso successivo.
Lui eseguì subito e in un attimo trovò le risposte che cercavo: «È un tipo di architettura chiamata biomimetica, i massimi esponenti sono Le Corbusier, Antoni Gaudì, Jorn Utzon, Zaha Hadid...»
Una lampadina mi si accese nel cervello nell'udire il secondo nome, mentre i pezzi di puzzle nella mia testa finalmente combaciavano tra loro: il Clypeus di R.R.R. mi aveva dato l'impressione di trovarmi nella natura, con tutti quei colori, quelle forme perfette e irregolari... Si era evidentemente ispirato a qualcosa di esistente e di cui avevo sentito parlare.
Avevo un vago ricordo di un cenno che la Fimberti aveva fatto una volta a lezione riguardo quell'architetto catalano che si ispirava alla natura ... ora che ricordavo, ci aveva pure mostrato un'immagine di una delle sue opere...
«Antoni Gaudì!» esclamai, elettrizzata, con un acuto talmente alto da far sobbalzare la gatta di Padma che scese dalle sue gambe con un versetto scocciato. Dissi a Yoann di fare ricerca per immagine, e uscirono le foto di alcune delle opere dell'architetto. Mi portai le mani alla bocca per lo stupore, incredula, riconoscendo le forme e i colori visti sia in sogno che nel Clypeus del mecenate... okay, forse lì erano più esagerate e strane, senza contare il fatto che avevano anche preso vita e mi avevano inseguita, ma quelli erano dettagli.
Yoann lesse che tutto ciò che Gaudì aveva creato era stato a Barcellona e nei suoi dintorni, città in cui aveva vissuto fino all'ultimo giorno della sua vita e che il suo ultimo progetto, la Sagrada Familia era ancora in costruzione.
«Cavolo, serve avere una futura architetta tra noi!» esclamò Padma. Gonfiai il petto orgogliosa.
«Okay, brava, brava, vuoi una statua? Ricordatevi che resta ancora il problema principale, cioè l'ultimo verso: R.R.R. non vuole farsi trovare da noi! Si è sempre nascosto fino a ora, perché adesso che sappiamo dov'è dovrebbe cambiare qualcosa? Come faremo a convincerlo?» sbottò Liss.
«Intanto è già qualcosa» ribatté Yoann, «possiamo cominciare andando a Barcellona, e da lì investigare.»
«E inseguire pappagalli» aggiunse Padma, attirando l'attenzione di tutti i presenti, me compresa. «Che c'è? Dimenticate forse il "lorichetto arcobaleno"?»
Dopo un attimo di stallo generale, in cui ognuno di noi tentava di assimilare ciò che avevamo appena saputo, e in cui io mi rendevo conto che l'uccellino del mio sogno in effetti, era proprio un pappagallo - mi stavo dimostrando proprio una grande esperta di volatili -, Liss fu la prima a ribattere:
«Intendi dire che, in tutta Barcellona, una città di almeno cento chilometri quadrati, metropoli popolata da chissà quante migliaia di abitanti, con altrettante case e alberi in cui potersi nascondere, noi dobbiamo trovare uno stupido pappagallino dei colori dell'arcobaleno, e, non contenti, metterci anche a inseguirlo come dei mentecatti rimbecilliti?!»
«Sono sicuro che ci divertiremo da matti!» esclamò Yoann con sguardo sognante, senza far caso allo sguardo irritato dell'Ephura.
In effetti Liss non aveva tutti i torti, le possibilità di riuscita erano davvero minime. Sperai solo che il riferimento al pappagallo fosse in realtà in senso figurato, e che magari significasse qualcosa di completamente diverso da come pensavamo e che avremmo scoperto solo una volta che ci saremmo trovati sul posto.
«Un problema alla volta, adesso cerchiamo di trovare un modo di andare a Barcellona, possibilmente attirando meno attenzione dell'altra volta» dissi.
«Ha parlato quella che si è fatta beccare da Lauren!» borbottò Liss.
Roteai gli occhi, irritata.
«Dobbiamo far sì che sembri una cosa casuale, che non insospettisca nessuno», ragionò Yoyo, «forse dobbiamo inventarci un motivo per cui facciamo questo viaggio, qualcosa come una conferenza, una vacanza, una ricerca... no forse ricerca meglio di no, troppo simile alla verità...»
Mi alzai in piedi. «Forse ho un'idea, stupida, ma è già qualcosa», dissi frettolosamente e, prima che avessero il tempo di chiedermi spiegazioni ero già corsa via dalla soffitta, senza ascoltare gli insulti che mi furono gridati dietro da Liss.
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