58.Fino alla fine di questo ballo
"No, no, no, non può essere..." continuavo a ripetermi, mentre lei rideva sempre più sguaiatamente. Quella lì non ero io, non potevo essere io, doveva essere un inganno.
Cos'è che aveva detto Will? Battere le ciglia? Ci provai, più e più volte, ma non ne voleva sapere di scomparire.
«È inutile che ti ostini a negare, io sono vera!» esclamò la ragazza che fingeva di essere me. «Anche celandoti dietro quella maschera non potrai nascondere chi sei! Toglitela!»
Feci un passo indietro, invece l'altra me, ne fece uno in avanti. «Toglitela!»
"È solo dentro la tua testa, è solo dentro la tua testa, non esiste", non riuscivo più a muovermi o proferir parola, immobilizzata da un terrore che nemmeno riuscivo a comprendere. Gocce di sudore imperlavano la mia fronte, il mio fiato rimbalzava sulla maschera che sentivo ormai incollata al viso.
«Ho detto, toglitela!»
L'altra Liv mi si avventò addosso cercando con tutte le sue forze di levarmela a forza dal viso. Quell'attacco improvviso servì a farmi riacquisire il controllo del mio corpo. Presi a divincolarmi per impedirgli di toccarmi e reagire al suo attacco.
Quella... cosa mi terrorizzava in modo indicibile. Non mi ero mai trovata in una situazione di tale panico in tutta la vita. Qualche volta mi era capitato di sentirne qualche cenno, come un velo, un'ombra, un ricordo, ma mai come adesso. Avevo sempre avuto paura di me stessa eppure, era niente a confronto di quello che provavo in quel momento, nel vedermi materialmente, fisicamente, nel sentirmi toccare dalle sue mani, nel percepire la sua forza e la sua rabbia prorompente.
Senza che me ne rendessi conto, finimmo per azzuffarci, tirandoci i capelli a vicenda, mordendo e scalciando, chi spinta dalla paura, chi dalla rabbia, l'una più agguerrita della stessa. Nell'impeto della lotta mi accorsi con un attimo di ritardo che mi stava spingendo contro la balconata.
«Tu lo rovinerai!» stava esclamando l'altra Liv. «Maledetta! È qui quello che cerchi! Prenditelo! Ma lascia in pace lui!»
A ogni frase che pronunciava mi spingeva con più forza verso il Canal Grande, la ringhiera in pietra mi pressava dolorosamente sulla colonna vertebrale, il mio equilibrio vacillava sempre di più, sentivo che da un momento all'altro avrebbe prevalso e sarei caduta.
«È qui! Tuffati, prendilo e poi vattene! Peggiorerai soltanto le cose altrimenti, non lo capisci? Tuffati!»
Solo in quel momento mi accorsi che anziché essere la rabbia a spingerla, era la disperazione. «Ti odio! Ti odio! Tuffati!»
Finalmente trovai la forza di controbattere: «No!»
Mi divincolai ribaltandola e spingendola a mia volta verso il canale, lei mi afferrò una ciocca slegando in un attimo la bella capigliatura che mi aveva fatto Yoann con tanto amore. Grazie a quell'offensiva violenta, riuscì a levarmi la maschera, la sentii staccarsi dal mio viso come uno strappo doloroso - del tipo di quelli che solitamente si portavano dietro qualche pelo e tante lacrime - prima di cadere silenziosamente in acqua.
Ormai non c'erano più scudi a separarci, nessuna barriera a interporsi tra i nostri volti identici. Questo le fece riacquistare vantaggio. Approfittò della mia distrazione per la maschera precipitata, tirandomi un pugno in faccia che mi fece indietreggiare. La vista mi si fece per un attimo sfocata a causa del colpo subìto, non appena la ebbi riacquistata fui colpita da una ginocchiata e tutto iniziò a girare, mentre un liquido dall'odore metallico mi colava dal naso.
Avrei dovuto sentire dolore, mentre tutto girava, il sopra si sostituiva al sotto, il nero al bianco, il rosso al verde. Avrei dovuto sentire la ruvidezza della pietra su cui l'altra me mi stava trascinando, avrei dovuto sentire le sue dita strette sulle mie spalle.
Eppure, la rabbia offuscava la mia razionalità, la disperazione rendeva tutto privo di significato ed ero ormai in pieno potere della paura, una completa schiava in balia del suo controllo.
Le emozioni mi stavano dilaniando, ma erano le uniche cose su cui facevo affidamento perché mi facevano sentire viva, erano le uniche ad avere senso in quel momento.
E proprio quando sentii il vuoto dietro la mia nuca, mentre il rumore dell'acqua dietro di me si avvicinava sempre di più, udii la sua voce nella mia testa.
Affidati alle tue sensazioni, quelle non sbagliano mai. O meglio, sbagliano ma solo se offuscate dalle tue emozioni, su cui le illusioni giocano. Non affidarti alle tue emozioni. Mai.
Un primo battito di ciglia.
Will. Lui mi aveva dato la soluzione, ma io non l'avevo ascoltato. Che stupida che ero stata.
Era così semplice ma allo stesso tempo difficile se non si era abbastanza aperti con sé stessi, e io, in effetti, non lo ero poi tanto. Altro non era che un'illusione, una manifestazione delle mie peggiori paure, dubbi, incertezze sulla mia vita o su di me in generale.
Un secondo battito di ciglia.
Non poteva toccarmi. Né picchiarmi, spingermi o buttarmi in acqua.
Era tutto solo nella mia testa.
Un terzo battito di ciglia.
La gente intorno a me camminava, discorreva pacatamente, oppure guardava semplicemente il panorama dal ponte. I miei capelli erano in perfetto ordine, la maschera adagiata sul mio viso esattamente come prima, non avevo più la sensazione di sanguinare e non percepivo nemmeno la stanchezza fisica.
Dell'altra me in verde, non c'era più nemmeno l'ombra.
Mi resi conto di essere rimasta ferma a fissare il punto in cui si trovava un attimo prima che cominciasse il nostro scontro. Nonostante tutto fosse sparito, sentivo ancora il fiatone provocato dalle forti emozioni provate, ero sfinita, come se la testa rischiasse di esplodere da un momento all'altro.
Non ne potevo più. Quel posto era assurdo, troppo da reggere, da un momento all'altro sarei potuta crollare, se non era già accaduto, ovviamente. Mi voltai irata verso l'acqua che scorreva, come se nulla fosse, sotto di me.
Sembrava così innocente, nel suo corso lento e rilassato, semplice acqua, insomma. Invece era una fonte inesauribile di agonia. Per quale motivo, l'altra me, voleva che mi tuffassi? Le illusioni desideravano indurmi alla morte, esattamente come avevano tentato di fare con Wala?
Eppure, c'era qualcosa che non mi tornava nelle sue parole, non che fossi riuscita ad ascoltarle molto, tra un pugno e l'altro, però mi sembrava di aver sentito che dovevo prendere qualcosa che si trovava lì, altrimenti avrei peggiorato "la situazione".
Qualunque fosse quella cosiddetta situazione, o la cosa che voleva prendessi, non mi riguardava. Non avrei assecondato il volere di quelle visioni illusorie, non mi sarei lasciata ingannare in alcun caso.
Era inutile rimanere lì a rimuginare, le esperienze vissute in quel luogo con l'altra me stessa erano ancora troppo vivide e dolorose, a momenti mi sembrava ancora di sentire la sua - mia - risata sguaiata rimbombarmi nelle orecchie.
Così mi voltai, afferrai le gonne e, senza la minima esitazione, presi a correre verso Piazza San Marco, il cielo stava già tramontando e presto sarebbe cominciato il ballo.
Avevo un estremo bisogno di una spalla amica cui appoggiarmi, anche se qualcosa, dentro di me, mi diceva che sarebbe stata quella di qualcuno diverso da chi mi aspettavo.
Il cielo di un intenso arancione si abbatteva delicatamente su Piazza San Marco, riflettendosi sul pavimento e rendendo più caldi anche i colori delle gonne che danzavano soavemente a ritmo di musica.
Stava già iniziando a formarsi la lieve penombra che preannunciava l'incombenza della notte, rischiarata però dalle luci dei lampioni che diffondevano, in zone circoscritte, una limitata luce soffusa vicino alle Procuratie, circondando quindi la piazza come un'aureola.
Quei colori intensi, uniti alle perfette arcate dei portici e, alla sinuosità dei movimenti allineati di tutti i ballerini, tali da sembrare parte della musica stessa anzi che guidati da essa, erano tanto suggestivi che sentii un calore divampare dentro di me, solo per la bellezza di ciò che stavo guardando. Era uno spettacolo già solo da vedere, come un'opera d'arte, di quelle che lasciano a bocca aperta e con il fiato mozzo.
Insomma, incredibilmente romantico.
A risvegliarmi dalla mia contemplazione fu la voce di Padma che gridò al mio Clypeus: "Liv! Dove ti sei cacciata? Ti stiamo aspettando qui in piazza!"
Oh, giusto, mentre correvo verso di lì, avevo avvertito i miei amici che stavo arrivando, in modo anche abbastanza trafelato tanto che di sicuro adesso erano preoccupati - beh non tutti, molto probabilmente Lauren era solo molto arrabbiata e mi avrebbe fatto una delle sue terribili strigliate per essermi allontanata così tanto -, perciò era meglio trovarli il prima possibile, dovevo riferirgli di aver visto gli Arkonanti.
La visione era meglio ometterla invece, almeno per il momento. Anche perché mi aveva lasciata piuttosto scossa, solo una volta giunta lì dinanzi a quel magnifico spettacolo, mi ero all'improvviso sentita meglio.
"Sono appena arri-" non riuscii a finire la frase, perché qualcosa aveva attirato la mia attenzione, portandomi, quasi per istinto, a sigillare nuovamente la porta del mio Cerebrum e chiudere quindi i contatti con gli altri Ephuri.
Ai lati della piazza, vicino a uno dei lampioni, un ragazzo mascherato mi fissava. L'abito in stile ottocentesco che sarebbe risultato ridicolo su chiunque, era perfetto per il suo fisico alto e slanciato, ma incredibilmente esile. Il colore sfumava tra il bianco e l'azzurrino chiaro, diverso però dal celeste acceso e allegro di quello di Yoann.
Ma ciò che più attirò la mia attenzione fu la sua maschera; stesso colore dell'abito, presentava una particolarità che non avevo mai visto in nessuna delle altre, finora: copriva solo parte del viso, non come quelle che arrivavano fino alla punta del naso lasciando visibili bocca e mento, ma rivelando l'occhio destro e gran parte del viso e, celando invece, il lato sinistro.
Deglutii, riconoscendo immediatamente l'occhio visibile, mentre sentivo le mie gambe muoversi da sole verso di lui. L'iride grigio-azzurra screziata con scaglie di un blu a malapena percettibile, circondata da lunghe ciglia bianche, esattamente come in tutti i sogni in cui avevo avuto la fortuna di poterlo ammirare, era posata su di me, come se fossi l'unica persona presente in quel luogo incantevole, e non una sola tra tante.
I pochi metri percorsi per raggiungerlo mi sembrarono infiniti e, una volta che fummo l'uno davanti all'altro, mi vennero in mente centinaia di domande da porgli, che però si accavallavano l'una sull'altra, provocando nella mia testa un caos infernale che mi impedì di ragionare.
Alla fine, le mie labbra si mossero da sole: «Sei un'illusione?»
A quelle parole un sorriso spontaneo gli affiorò sulle labbra, visibile dal lato mancante della maschera.
«Ottima domanda,» rispose, con tono ambiguo, «se lo sono, mica te lo dico. Sei tu che dovresti saperlo, sbaglio?»
Mi morsi il labbro. Dannazione, aveva proprio ragione. Però se davvero era un'illusione, l'ultima cosa che volevo, era che finisse.
«Oppure potrebbe essere un sogno?» continuò lui, guardandosi intorno. «Dopotutto è particolarmente surreale questo suggestivo tramonto, non credi anche tu?»
Come dargli torto? Ogni parola che usciva dalla sua bocca sembrava scolpita nelle stelle, sapeva sempre trovare le cose giuste da dire al momento più opportuno.
«Oppure potremo semplicemente ballare insieme prima che finisca, qualunque cosa sia, mia cara Signora Maschera.»
Mi fece l'occhiolino e poi tese la sua mano destra verso di me, dischiusa, con il palmo rivolto in alto.
Era una pazzia. Non perché non sapessi ballare - prima di partire per Venezia ci eravamo esercitati per sviluppare il cebrim della danza, per l'evenienza - ma, più che altro, perché non sapevo chi fosse, era la prima volta che lo vedevo in vita mia - di persona ovviamente - e, soprattutto, non ero del tutto sicura di potermi fidare di lui.
Eppure, allungai la mano, fino a che le mie dita non sfiorarono le sue, provocandomi una vibrazione che partì dalla pelle dei polpastrelli e mi attraversò tutto il corpo, dal capo ai piedi. Dentro di me nacque la consapevolezza di un legame indissolubile tra noi, che ci legava e ci aveva sempre legati nel profondo, ognuno dei mens di entrambi fremeva dal desiderio di incontrarsi con quelli dell'altro per quel contatto tanto angosciato. Dal momento in cui esso era finalmente avvenuto, fui pervasa da un sentimento di completezza e appagamento, che mi fece comprendere di non avere la minima intenzione di interromperlo né ora, né mai.
Prendemmo a danzare, coordinandoci con il mondo intorno a noi, in modo del tutto naturale, i nostri corpi combaciavano perfettamente come se fossero stati scolpiti l'uno su misura dell'altra, i movimenti sempre perfettamente allineati tra loro come se fossimo estensioni di un unico organismo.
I miei occhi erano fissi nei suoi e i suoi nei miei, nulla distolse il nostro contatto visivo, se non si contavano ovviamente le occasionali piroette, al termine delle quali, però, ritornavo immediatamente a giovarmi la vista con la sua presenza.
«Questa musica... è bellissima», sussurrai, «però mi è anche familiare»
«Sono felice che tu l'abbia riconosciuta,» sorrise lui, «l'ho consigliata io ai musicisti.»
Fece un cenno verso le Procuratie, indicandomi i violinisti posti in alto a intonare quella melodia stupenda. E pensare che all'inizio non li avevo neanche notati!
«L'hai scritta tu?» chiesi, conoscendo già la risposta. Ecco perché mi era familiare, me l'aveva suonata una volta in sogno, la notte prima che la Fimberti ci desse quella consegna assurda, lo stesso giorno in cui Yoann era arrivato in classe. Il momento in cui tutto era incominciato.
Will mi rispose con un nuovo sorriso che gli accese lo sguardo di quella bellezza semplice e delicata, afferrandomi dolcemente per i fianchi e sollevandomi un poco per seguire la sintonia della danza, così come fecero tutti i ballerini intorno a noi.
«Will...» incominciai, ma lui mi fermò.
«No. Non sono Will come tu non sei Livia, abbandoniamoci al lusso di essere soltanto maschere e basta, come facevano le persone a Carnevale nei tempi antichi,» mi fece fare una piroetta, «senza alcuna differenza tra Arkonanti e Umanenti, e tra tutto il resto. Inoltriamoci insieme in questo luogo unico, misterioso, sconosciuto che è il grande interrogativo delle nostre esistenze, dove ogni scorcio non cessa di incantare, e fingiamo che non esista altro, solo per un po'.»
Sentii un fremito dentro di me, mentre la sua mano si riposava sui miei fianchi. «Fino alla fine di questo ballo, l'unica cosa che conta siamo io e te.»
Rapita dalla sua voce e dal suo sguardo dolce mentre pronunciava quelle parole sentii l'istinto di avvicinare il mio viso al suo e far combaciare le nostre labbra, che ero sicura sarebbero state perfette insieme, esattamente come lo eravamo in tutto il resto.
Sentivo che anche Will voleva lo stesso, ma entrambi non ci sentivamo ancora pronti. Nonostante fosse la prima volta che ci incontravamo però, sentivo di averlo vicino da una vita e non solo perché era sempre presente nei miei sogni, ma perché avevo la consapevolezza che, una parte di me, inspiegabilmente, già lo conosceva nel profondo.
Una sola canzone, di durata imprecisata, siccome il tempo sembrò rallentare ma anche scorrere maledettamente veloce e, il nostro ballo, era già concluso.
Avrei voluto danzare ancora, riprendere a volteggiare tra le stelle che stavano cominciando a luccicare in cielo rispecchiandosi su di noi, restare ancora aggrappata a Will mentre la musica, che già stava riprendendo, ci cullava in quel mondo tutto nostro.
Eppure, lui si staccò e disse una frase che ormai mi era fin troppo dolorosamente familiare: «Liv, non ci resta molto altro tempo».
Mi venne spontaneo ribattere che non ero Liv, ma una semplice maschera, restando fedele alle sue stesse parole, ma il suo tono si era fatto nuovamente serio, l'espressione sul suo viso mi ricordava quella che mostrava sempre nei miei sogni: un animale braccato a cui non rimaneva molto tempo da vivere prima che i cacciatori tornassero a verificare se qualche preda fosse rimasta vittima della trappola da loro appositamente innescata.
«I tuoi amici ti stanno cercando e... anche i miei» deglutì, spostando lo sguardo intorno a sé. «Vieni.»
Mi prese una mano e la strinse forte, dirigendosi, dopo essersi attentamente guardato intorno, sotto a uno dei portici che circondavano la piazza. Ci nascondemmo dietro a una colonna, dopo aver controllato che nessuno ci avesse visti.
Catturata prima da Will e poi dalla danza, mi erano completamente passati di mente gli altri Ephuri, che stavano sicuramente morendo dalla preoccupazione. Mi stavo comportando veramente male nei loro confronti, me ne rendevo conto, però non volevo in alcun modo separarmi da Will, soprattutto dopo tutto quel tempo aspettato per incontrarlo finalmente di persona.
«Il vero motivo per cui ho voluto parlare con te, è un altro,» disse Will, prendendo un respiro profondo, «non che il ballo mi sia dispiaciuto, ovviamente.»
Mi sorrise dolcemente, in quel modo che sapeva fare solo lui, ai suoi occhi mi sentivo qualcosa di speciale, unico, quello che per lui contava più al mondo.
Era bellissimo, ma non completo. Perché coprire parte di un sorriso così bello? Perché privarsi di un tale privilegio? Non sopportavo più di vedere parte del suo viso coperto da quella maschera, seppure molto bella. Nei miei sogni era un'ombra di cui non sapevo come liberarmi; a coprirlo adesso, invece, era qualcosa di tangibile, mi sarebbe bastato allungare una mano e levarla per vedere finalmente il resto del suo viso, in particolare l'altro occhio sempre oscurato.
Un attimo prima che lui avesse la possibilità di aprire bocca, lo fermai. «Aspetta. Voglio vederti. E con questo intendo per intero, voglio parlare faccia a faccia con un te, non con un mezzo viso.»
Feci per toccare la maschera, ma lui fermò la mia mano, posandoci sopra la sua. «Non ti piacerà. C'è un motivo se te ne privi la vista in sogno, una parte di te non è ancora pronta ad accettarlo.»
«Non mi importa,» ribattei, decisa, «ora sono pronta.»
Will si sporse rapidamente oltre la colonna poi, forse comprendendo che non gli avrei permesso di parlare se prima non si fosse scoperto il viso, accettò.
«Va bene, però devi promettermi di non gridare,» mi avvertì, con un leggero sorriso in volto, mentre si portava lentamente le mani al viso.
«Non lo farò.»
Il mio cuore accelerò il battito, per l'emozione di essere riuscita a convincerlo e dall'impazienza di scoprire finalmente quale fosse il suo aspetto. Non aveva alcuna importanza cosa fosse, nessuna cicatrice o marchio di alcun tipo avrebbe potuto spaventarmi più di tanto, lui era Will, e questo nulla l'avrebbe cambiato.
Infine, la maschera fu abbassata, e il lato destro del suo viso uscì, finalmente, allo scoperto.
Diversamente da come avevo promesso, lanciai un grido.
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