56.Lo spirito del Carnevale

Ci sono maschere e maschere. Alcune sono removibili e riposizionabili; altre sono permanenti e tali rimangono fino all'ultima ruga sul viso.

-Jean Paul Malefatti-

Piazza San Marco era completamente diversa dal giorno prima. Non solo, ovviamente, per il mastodontico palco posto al suo centro, o per le tavolate stracolme di prelibatezze, ma soprattutto per l'atmosfera trasmessa da chi si muoveva al suo interno. In un primo momento avevo visto le maschere veneziane solo come uno scomodo inconveniente, o addirittura, come una vera e propria scocciatura.

Invece adesso, all'improvviso, ero fiera di indossarne una, perché mi faceva sentire parte di qualcosa di magnifico e stupefacente. Continuavo a guardarmi intorno e venivo continuamente stupita dalle maschere che mi circondavano, l'una più splendida dell'altra, alcune persino più appariscenti di quella di Wala, con piumaggi esplosivi e colori abbacinanti.

Un assordante squillo di trombe proveniente da destra e da sinistra, sotto le arcate delle Procuratie, ovvero gli edifici che delimitavano la Piazza, attirò le maschere verso il palco, dove, annunciato da scroscianti applausi, era appena andato a posizionarsi un uomo in abiti scuri, due grosse ali piumate partivano all'altezza delle scapole sul suo costume: il Cherubino Nero.

Quando la folla di maschere gli si fu adunata intorno, il festeggiato alzò le mani per venire acclamato da scrocianti applausi.

"Battete le mani!" sentii la voce di Lauren strillarmi nella mente, facendomi sobbalzare. L'avrei volentieri mandata a quel paese, visto che io stavo già applaudendo, ma capii che in realtà era rivolta a Liss, la quale aveva incrociato le braccia con l'aria irritata. Non che questo desse il diritto alla Mindsmith di assordare pure noi - anche se in effetti non ero sicura che valesse anche mentalmente, visto che le orecchie c'entravano ben poco... In ogni caso restava un comportamento fastidioso!

«Buongiorno mie care siore mascare!» esclamò la voce di Angelo Nerini trasmessa dalle casse cui era collegato il microfono. «Questo era il saluto che echeggiava per calli e campielli quando ci si incontrava durante il Carnevale, nei tempi antichi, quando ancora questo grande e caratteristico evento non era una semplice scusa per attirare turisti ed esibirsi in spettacoli e parate!»

Il pubblico applaudì di nuovo, poi il filantropo riprese: «Ovviamente tutti - io non sono da meno - amiamo il nostro famosissimo Carnevale così com'è, dopotutto siamo veneziani e, come tali, andiamo fieri delle nostre tradizioni!»

Yoann ed io ci scambiammo un'occhiata colpevole, noi eravamo delle specie di intrusi, in un certo senso - anche se sinceramente non mi importava poi molto.

«Oggi io, compio cinquant'anni, di cui trenta della mia vita passati ad aiutare Venezia come meglio posso. In realtà, siete stati più voi ad aiutare me, per questo ringrazio la mia famiglia,» - versi di apprezzamento dal pubblico mentre il Cherubino si voltava verso le altre persone sul palco insieme a lui, che supposi essere la moglie e i figli - «ma anche tutti voi, per il vostro supporto continuo e per aver creduto sempre in un mondo migliore. È proprio per questo che, arrivato a questo punto fondamentale della mia vita, sento sia giunto il momento di sdebitarmi con tutti voi, regalandovi ventiquattr'ore di divertimenti e di recupero delle vecchie tradizioni! E poi, ovviamente, sarò anch'io a divertirmi! Si tratta del mio compleanno, dopotutto!»

Mentre la folla rideva a crepapelle alle sue "esilaranti" parole, Liss bisbigliò tra i denti: «Una banale festa tra amici con una ventina di palloncini colorati era troppo scontata, no?!»

«In origine,» riprese il signor Nerini, «addirittura già in epoca romana, durante gli antichi Saturnali esisteva un periodo dell'anno in cui era permesso, quasi incoraggiato, un gioioso rito collettivo con cui sovvertire l'ordine tra le classi sociali, tra i sessi, le religioni e le gerarchie. Altro non era che lo spirito del nostro caro Carnevale, che già alleggiava per queste nostre amate vie seguendo il corso del Canalazzo,* e ripreso poi diversi secoli più tardi e infine riconosciuto come 'festa pubblica' nel 1296 da un editto del Senato della Serenissima!

«Ma il Carnevale non era solo un momento di svago. Questa festa unica al mondo era il periodo di tempo in cui si azzeravano tutte le differenze, in cui l'artigiano poteva ballare insieme al nobile e le donne non erano diverse dagli uomini. Poteva esserci chiunque celato dietro le maschere, ma non aveva alcuna importanza, perché contava solo divertirsi insieme, come semplici persone, indipendentemente dalla propria identità o ceto sociale. Ed è proprio questo bellissimo sentimento, questo messaggio, che nell'odierno Carnevale è ormai andato perduto, che intendo riprendere quest'oggi per far rivivere a tutti voi le nostre origini e farvi ragionare su chi siete veramente.»

Applaudii insieme alle altre maschere, questa volta con maggior sentimento e impeto. Mi era piaciuto quello che aveva detto, non mi sarei mai aspettata che ci fosse un significato del genere dietro quell'evento.

«Non ha importanza come vi chiamate, se vi conoscete, se vi odiate o se vi amate. Durante questa festa siete solo "Siore mascare" - signore maschere -, io stesso, nonostante voi tutti conosciate il mio nome, vorrei essere chiamato da voi "Cherubino Nero" (bello il gioco di parole, non è vero?)» - altre risate generali.

«Nonostante ciò, abbiamo deciso di mantenere alcune delle manifestazioni più note e caratteristiche del Carnevale moderno, come il Corteo delle Marie e il Volo dell'Angelo, perché questa festa sia a metà tra il passato e il presente e accontenti tutti voi. Dopotutto, come dicevo prima, l'obiettivo è anche divertirsi insieme!»

Lauren si volse verso di noi con sguardo significativo al cenno del Volo dell'Angelo, e capii che stava pensando al nostro piano.

«E ora, che si aprano le danze! È il momento che tutti voi aspettavate! Su, su! Rimpinzatevi pure di tutti i dolcetti messi a disposizione, riempitevi gli stomaci fino a quando non vi sentirete scoppiare! Ridete, scherzate, fate nuove conoscenze! Questa prima parte è dedicata al puro svago, in seguito vi attendono sorprese inaspettate!»

Le maschere cominciarono a disperdersi per la piazza, chi a piccoli gruppi di due o tre persone, chi da solo, dirigendosi verso i tavoli imbastiti che attiravano con profumini deliziosi.

«Che facciamo? Si mangia?» chiese Padma.

Lauren annuì. «Esatto.» Pad fece un verso stupito, probabilmente non si era aspettata una risposta del genere.

«Dobbiamo dividerci e comportarci come tutti. È ancora presto per attuare il nostro piano. Informatemi però se riuscite scoprire chi è la Maria prescelta.»

«Ai suoi ordini!» bofonchiò Liss prima di allontanarsi. Wala invece se ne era già andata per conto suo per pavoneggiarsi e farsi elogiare dalla gente. Era evidente che non le importasse nulla del frammento - dopotutto non aveva neanche ascoltato quale fosse il nostro piano -, sembrava incredibile, ma era venuta davvero soltanto per godersi la festa.

Dopo esserci allontanati un po' dagli altri muovendoci lentamente senza una meta precisa, Yoyo esordì: «È proprio necessario?»

Il suo sguardo era rivolto al festeggiato, il quale, circondato da una folla di persone tale da renderlo inavvicinabile, discorreva e rideva placidamente.

Io e Pad intuimmo subito che si stava riferendo al nostro piano. «Suppongo di sì. Ma per te qual è il problema? Tu mica rischi!» esclamò Padma. Ci eravamo allontanati dagli altri camminando un po' a caso senza una meta precisa.

«Neanche tu se per questo!» esclamai guardandola male da dietro la maschera. Lei fece spallucce.

«Lo so...» incominciò Yoyo per rispondere a Padma, «Però ovviamente mi metto nei vostri panni! Inoltre, mi sembra una cosa un po' esagerata!»

Esagerata lo era sicuramente, ma al momento era l'unica chance che avevamo per avvicinare il Cherubino Nero - se avesse funzionato, ovviamente.

Per coerenza con le persone che ci circondavano, andammo ad avventarci sul cibo. Mentre Pad si dirigeva spedita verso le pizzette, i dolci con fragole, ciliegie, e qualunque prelibatezza avesse anche solo un goccio di colore rosso, io fui attirata da alcuni dolci a me familiari.

«Ah, che bello, avete le Bugie! Ne potrei avere una?» chiesi sorridente. L'uomo che le distribuiva, di cui, grazie alla maschera che arrivava fino al naso si riusciva a intravedere la parte inferiore del viso, contratta in un'espressione confusa, ne prese uno.

«Intende i Galani, forse?»

«Galani? No, quelle sono le-» mi bloccai, rendendomi all'improvviso conto dell'errore: Bugie si diceva a Torino, lì quei dolci erano evidentemente chiamati diversamente. «Galani, intendevo proprio dire questo!» dissi sorridendo mentre ne prendevo uno e poi mi allontanai a passo rapido. Facevo prima a salire sul palco e gridare a tutti che non ero veneziana, sarebbe stato sicuramente un modo meno imbarazzante di farsi scoprire!

«Salve Signora Maschera!» mi salutò in coro una coppia. I loro travestimenti erano abbinanti, entrambi i volti in oro scuro, dalle fattezze relativamente semplici, cappelli e abiti marroni, con le maniche molto larghe sulle spalle che gli conferivano una sontuosità senza pari. L'uomo portava un bastone, la donna un ventaglio.

«Salve», risposi al saluto con un lieve inchino imitando il loro comportamento.

«Bella giornata, non trova?» chiese la donna.

«Splendida.»

Sperai che la discussione potesse interrompersi lì, e per la scusa di allontanarmi, cercai Yoyo e Pad con lo sguardo, ma purtroppo anche loro erano stati intrattenuti.

«Cerca qualcuno?» mi chiese l'uomo.

«No, certo, che no, nessuno conosce nessuno, non è vero?» dissi con tono scherzoso, anche se nessuno dei due mostrò neanche un cenno di una risata.

«Sa, ha una maschera davvero stupenda!» riprese la signora come se nulla fosse, «Quei piumaggi in stile pavone poi, sono veramente affascinabili, gradirei venire a conoscenza della località ove li ha acquistati! Per non parlare poi di quegli eccelsi lustrini che, le sembrerà indicibile, ma di questi tempi è a dir poco impossibile trovarne di similari! È inopinabile il modo in cui, al giorno d'oggi, non sia neppur possibile...»

La coppia prese a discutere impersonificando dei personaggi dell'epoca cui le nostre maschere appartenevano - supposi che proprio per quel motivo avessero scelto me, come spettatrice della loro esibizione.

In un primo momento ne fui alquanto scocciata, però poi quando la signora si mise a raccontare pettegolezzi, inventati ovviamente, ma ugualmente spassosi, mi unii anch'io, ideando sul momento i racconti più assurdi con i personaggi più strambi e imbecilli che potessero esistere, come Didolò il Calzolaio Cornuto, Ermengarda la Vagabonda, Francardo il Frate Svampito, e molti altri.

In quelle discussioni così rilassate e senza pretese cominciai a sentirmi gradualmente sempre più a mio agio, allontanandomi dall'ansia provata inizialmente. Udendo le nostre risa, ben presto anche altre maschere si aggiunsero, arricchendo le nostre già strampalate conversazioni.

Più volte scoppiai a ridere a crepapelle, senza filtri anche se eravamo tutti mascherati. Solitamente non mi veniva tanto naturale parlare con la gente, specialmente se in gruppi tanto vasti come quello che si stava creando, e non riuscivo a capacitarmi di come facessi a divertirmi tanto con persone che neanche conoscevo.

Era quello, lo spirito originario delle maschere e del Carnevale accennato prima dal Cherubino? Quel sentimento di fratellanza, di uguaglianza, di amicizia plurilaterale senza filtri né ostacoli?

Ognuno dei presenti fingeva, fingeva deliberatamente e tutti ne erano a conoscenza, eppure non dava fastidio a nessuno, perché era giusto così, la finzione era bella ed esilarante proprio perché non rappresentava la realtà.

Persino io, che non avevo neanche il coraggio di proferir parola con gli sconosciuti, mi sentivo del tutto naturale nel mentire e fingere. Perché? Era forse quella maschera che copriva i miei lineamenti? O forse l'insieme di tutte quelle che celavano i volti di tutti?

No, quelle maschere non celavano solo i volti, ma intere identità. Non avevo idea di chi fossero le persone con cui parlavo. Dalle voci o dalle loro stature ci si poteva avere una vaga idea, ma ovviamente c'era la possibilità che fingessero. Che fossero ragazzi, anziani, uomini, donne, era del tutto indifferente: quel giorno erano solo maschere, identità fittizie.

Di solito, anche solo dalla faccia di una persona ci si faceva una certa idea, si decideva se con essa si poteva parlare o divertirsi, si stabilivano dei paragoni con altri basandosi sulle proprie esperienze, si capiva immediatamente ciò che accumunava e ciò che invece allontanava.

Lì, invece, non esistevano giudizi. Erano tutti semplicemente persone e basta. Non guardai dentro alle porte di quelli che mi circondavano, ma afferrai solo sprazzi di pensieri casuali, che erano sempre coerenti con lo stato d'animo visibile già dall'esterno. Spesso, invece, leggendo in modo casuale le menti delle persone che mi circondavano, notavo quanto le loro emozioni fossero diverse da ciò che invece manifestavano.

La verità, era che le persone avevano sempre finto. Tutti indossavano maschere su maschere, una diversa per ogni occasione. Io stessa, probabilmente facevo lo stesso, senza rendermene conto. Perché ci veniva naturale, a tutti noi. C'era però chi in quella finzione ci stava bene, chi invece ne soffriva, chi si sentiva solo, escluso.

Fin dai primi tempi in cui avevo sviluppato il cebrim della telepatia avevo notato quanto le persone si chiudessero in sé stesse, arrecandosi dolore da sole, soltanto perché non sapevano manifestare quello che provavano realmente. Era quello il motivo per cui, nel corso della mia vita mi ero sempre sentita diversa dalle altre persone: riuscivo a percepire quella finzione, quella superficialità che tutti mostravano e me ne ero allontanata.

Però adesso era diverso. Perché la finzione era evidente, voluta, e non naturale. Perché, a differenza di quando non si indossavano maschere, tutti ne erano consapevoli. Ironicamente, nessuno era mai stato tanto sincero come in quel momento di massima falsità.

Non si trattava di una semplice leggenda: le maschere proteggevano davvero dalle illusioni, solo che inizialmente l'avevo solo interpretata nel modo sbagliato. Non erano le maschere in sé, con i loro colori destabilizzanti e le loro forme, a contrastare le illusioni, quanto l'uso che se ne faceva e quello che provocavano in chi, impersonificandole, diventava esso stesso inganno, annullandone l'effetto.

E adesso ero entrata in quell'armonia, ero una nuova piccola parte che si sommava alle altre componenti di quella lotta inconsapevole contro coloro che volevano renderci schiavi delle nostre emozioni, beffandoci con esse. Aprendo gli occhi potevo vedere i nostri mens unirsi in un grosso flusso lento ma consistente, che, ruotando e contorcendosi, allontanava le vibrazioni delle illusioni, creando un temporaneo ma resistente equilibrio.

Nel momento però, in cui quell'unione, quel gioco comune, si sarebbe spezzato, ognuno di noi sarebbe tornato a essere completamente solo contro il mondo e quindi del tutto vulnerabile ai suoi inganni.

*Canalazzo: Canal Grande in dialetto veneziano.

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