51.La leggenda del drago blu
Alla fine, la reazione di Liss non fu esageratamente drammatica, ma soltanto perché l'entusiasmo per le nuove informazioni su R.R.R. era talmente grande da aver velato tutto il resto.
Avevo infatti aspettato il giorno dopo a rivelarglielo - dopo una bella dormitina per riprendermi al meglio, anche perché quel sogno non mi aveva riposata affatto, ovviamente - in modo che fosse presente anche Padma, ormai tornata da Roma.
«Tra l'altro, sei riuscita a sapere qualcosa su R.R.R.?» le chiesi non appena la vidi, nella speranza che magari mi rivelasse anche qualcosa in più su chi fosse andata a visitare, ma lei si limitò a scuotere la testa, evasiva.
Ci eravamo di nuovo messi al lavoro, questa volta in una camera vuota nella soffitta del dormitorio in cui non andava mai nessuno e che decidemmo di scegliere come nostro luogo di ritrovo, per non rischiare di essere spiati ulteriormente.
Munimmo la camera di difese sonore per non far udire ciò che si diceva all'interno anche con i cebrim più avanzati, e mettemmo anche una protezione: la porta sarebbe rimasta sigillata per chiunque, e se qualcuno - esclusi noi - avesse voluto entrare avrebbe dovuto prima superare tutti e quattro i nostri Clypeus.
A me e Yoann era sembrata una cosa fighissima, Liss e Padma avevano invece affermato che si trattava della classica protezione Ephura tipo (non diversa, tra l'altro, da quella che proteggeva l'Ephia).
Mi piaceva quel nostro nuovo "rifugio" perché era proprio questo che sembrava quella soffitta. Colma di vecchie cianfrusaglie e oggetti vari, non era mai stata adibita a camera per dormire perché troppo piccola e bassa - infatti Yoyo sbatté la testa sul soffitto inclinato almeno tre volte - ma nonostante questo la trovavo proprio accogliente, con la sua penombra costante, quelle vecchie ma comode poltroncine e quel leggero profumo di legno vecchio che aleggiava nell'aria.
«Bene, incomincia pure, nostro ecceglioso Oracolo, noi siamo tutti orecchie!» esclamò Padma con tono ironico e svogliato spaparanzandosi sulla prima poltrona a disposizione. Avevo appena posato su un tavolo polveroso alcuni vecchi libri presi in prestito dalla biblioteca Letargiante per alcune informazioni riguardanti Venezia.
Incominciai introducendo la faccenda di Lauren e Wala, e poi riferii la città che mi era stata indicata. Subito, nell'udire il suo nome, le due Ephure più esperte si scambiarono uno sguardo.
«Venezia, hai detto?» chiese Liss con tono cauto. Okay, c'era decisamente qualcosa di strano riguardo quella città, senza contare che pure Lauren aveva descritto Venezia come una città non qualunque, in particolare per gli Ephuri...
«Sì... Perché?»
«Ah, niente, sono solo leggende, nulla di cui preoccuparsi.»
Questa volta fummo io e Yoann a scambiarci uno sguardo preoccupato. «Lo sai vero, che è proprio facendo così che ci preoccupi di più?» chiese il ragazzo francese.
Liss sospirò. «E va bene, se proprio volete saperlo! Si tratta di una vecchia leggenda Ephura, che Clara raccontava a me e ai Mindsmith quando eravamo piccoli, ma è solo una stupida storia per bambini.»
«Però devi riconoscere che ha delle basi di verità!» ribatté Padma, che evidentemente sapeva di cosa stesse parlando.
«Be' certo, tutte le leggende nascono per spiegare dei fenomeni naturali, no? Ma questo non significa mica che siano reali!»
«Allora, volete raccontare o no?» chiesi esasperata. «Se dobbiamo andare a Venezia è meglio che ognuno di noi sappia il più possibile al riguardo!»
«E va bene, se proprio insistete. Anzi, se volete ve la racconterò esattamente come ce la raccontava Clara, così magari vi divertirete anche un po', da bravi bambini...» disse Liss, il tono condiscendente. «Su, aprite le vostre porte, così vi trasmetto la storia.»
Senza capire cosa intendesse con "trasmettere la storia" aprii la mia porta. Evidentemente le mamme Ephure avevano un modo tutto loro di raccontare le storie per la nanna...
Solo un attimo dopo mi resi conto di quanto questo modo fosse meraviglioso.
In un secondo tutta la stanza scomparve, sostituita da un mondo di colori abbaglianti e illustrazioni stilizzate, con una voce di sottofondo che ricordava moltissimo quella di Clara, resa però ancora più dolce e allo stesso tempo tonante dal fatto che sembrava emessa direttamente da quelle nuvolette colorate.
Tutte le parole pronunciate dalla signora Mindsmith assumevano forma e colore raffigurando ciò che diceva, a partire da alcune case di un piccolo e accogliente villaggio...
C'erano una volta, in quello che allora era solo un modesto e insignificante paesino, ancora per nulla somigliante alla famosa città nella Laguna, due fratelli, appartenenti alla famiglia di Ephuri che governava il luogo.
Entrambi possedevano un numero smisurato di cebrim ed erano tra i più potenti mai esistiti. La loro famiglia manteneva la pace e l'armonia da tempi immemori.
Tutto era perfetto, e sembrava che così sarebbe rimasto per sempre, ma la serenità nella piccola città non sembrava fatta per durare, perché ben presto sorsero i primi problemi. In un oscuro febbraio, infatti, il padre dei due fratelli morì.
Il lutto fu molto duro per entrambi, e il maggiore dovette assumersi la responsabilità di mantenere la discendenza della famiglia.
Chiese così la mano di una giovane ma potente Ephura di cui era sempre stato follemente innamorato, peccato che ella invece non ricambiasse, così rifiutò. La giovane, infatti, era già da tempo felicemente fidanzata con il minore dei fratelli e presto i due si sarebbero uniti per sempre in matrimonio.
Il maggiore, temendo di perdere il potere, ma soprattutto per il dolore di non essere amato e la conseguente gelosia nei confronti del fratello, fu assalito da una rabbia atroce che lo portò ad architettare un infido piano che gli permettesse di ottenere l'amore della donna amata e di liberarsi del fratello.
Così creò un'illusione. La più eccelsa che fosse mai stata creata nella storia della nostra razza, perché doveva essere tale da permettergli di ingannare ben due potenti Ephuri contemporaneamente.
Agli occhi della giovane, assunse l'aspetto del fratello da lei amato. Il minore, a sua volta, divenne un enorme drago blu, dal corpo lungo e serpentesco, con fauci spaventose e zanne più taglienti delle più affilate delle sciabole. Il suo ruggito era tempesta e ogni suo movimento, terremoto.
Tutto il villaggio fu terrificato da tale raccapricciante mostro, inconsapevole del fatto che in realtà non esisteva se non all'interno delle loro menti. Il fratello maggiore, infatti, si era ispirato ad alcune delle peggiori paure dei locali, inerenti al drago del mito di San Giorgio, l'eroico paladino che aveva ucciso la creatura per salvare la sua principessa, e che lui aveva intenzione di impersonare proprio per conquistare l'amata.
Ma non andò esattamente come previsto. Infatti, per rendere più credibile l'illusione, il maggiore fece credere al fratello che lui fosse il drago in procinto d'aggredire l'amata, per spingerlo ad attaccarlo.
La giovane Ephura, vedendo il proprio amato - ovvero il fratello sotto mentite spoglie - assalito dall'orrida creatura, intervenne per salvarlo, uccidendo il drago, non prima che questi però, togliesse la vita all'ingannatore.
Quando il fratello maggiore ebbe esalato l'ultimo respiro, le illusioni si dissolsero con lui, e la giovane vide il drago per quel che realmente era, riconoscendo con orrore l'amato. Nel realizzare ciò che aveva fatto, impazzì letteralmente dal dolore, e i mens circostanti impazzirono con lei.
La terra, infatti, iniziò a tremare e a creparsi, modellandosi seguendo la figura del corpo serpentesco del drago per il quale aveva scambiato il minore dei fratelli, fino a quando essa non fu riempita d'acqua, formando così la grande laguna che ora tutti noi conosciamo.
Ma la giovane Ephura provava troppo dolore, sensi di colpa e rabbia nei confronti dell'inganno di cui era stata vittima. Mai più una cosa del genere sarebbe dovuta capitare a chiunque abitasse e avrebbe abitato in futuro la sua terra.
Impiegando tutte le sue forze e le sue capacità, trasferì i propri mens nel fiume nel quale si gettò per togliersi la vita, intenta a ricongiungerli con quelli dell'amato. Peccato che ancora imperversassero quelli del fratello più grande.
Iniziò così una lunga lotta, in corso ancora oggi, che vede coinvolti i mens dei tre Ephuri. Una lotta combattuta da illusioni contrastanti, in cui l'uno continua a cercare di illudere gli altri e gli altri a loro volta illudono. Una battaglia continua tra l'amore e la rabbia, tra il dolore e la gelosia, tra il bene e il male, che si svolge nelle correnti del fiume del drago, dal capo alla coda, prima avanti e poi indietro, ripercuotendosi sul territorio circostante con illusioni che non possono essere controllate da nessun Ephuro vivente, perché hanno assunto una loro volontà propria.
I Letargianti stessi ne subirono e ne subiscono tutt'ora gli effetti, con frequenti apparizioni misteriose, spesso interpretate come fantasmi.
Per questo, ogni febbraio, in ricorrenza dell'anniversario della morte dei tre grandi Ephuri e quando le illusioni si fanno più frequenti, la gente della città tenta a sua volta di ingannare le illusioni, nascondendosi dietro maschere colorate per celare le proprie identità e organizzando sfarzosi e rumorosi festeggiamenti nel tentativo di coprire l'assordante ruggito del drago in continua lotta con sé stesso.
I tre Ephuri, che si chiamavano Giorgio, Marco e Vena, furono sempre ricordati dai Letargianti del luogo. L'isola posta alla coda del drago fu dedicata al santo omonimo dell'ingannatore, San Giorgio, per restituire gloria al suo nome dopo che esso era stato tanto aspramente infangato. Al minore dei fratelli fu dedicata la basilica di San Marco, santo che, oltre che il suo stesso nome, aveva il suo stesso coraggio. E infine, alla città fu dato il nome di Vena, col tempo divenuto Venezia.
E, ancora oggi, dentro la corrente di mens che compone il Canal Grande, i due amanti continuano, inarrendevoli, a lottare insieme contro il perfido ingannatore, in uno scontro infinito con l'intento di far prevalere il loro amore ultraterreno.
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