5.Una sola lacrima
Gli alberi sembravano risplendere di luce propria, così come le tombe e i mausolei in marmo candido e puro, scalfito da evidenti cicatrici inferte dal tempo che, spietato, si era abbattuto su di esse.
Il vento pareva soffiare auguri di speranza e rinascita, vezzeggiandoci con aromi di piante appena sbocciate. E, come se non bastasse, primaverili fiori colorati adornavano buona parte dei monumenti in pietra e del prato che intercorreva tra essi, conferendogli un aspetto quasi magico, surreale.
Detestavo quel periodo dell'anno in cui la natura si risvegliava in vista dell'estate: creava un'atmosfera fin troppo gioiosa per i miei gusti, che ogni volta mal si addiceva, chissà perché, al mio stato d'animo.
In particolare, quel giorno più di tutti gli altri.
Per quanto detestassi e temessi la pioggia, avrei tanto desiderato che il cielo avesse riversato la sua furia sulla mia testa, che stille spietate mi avessero graffiato la pelle e infradiciato gli abiti e che dita di gelo mi avessero attraversato le ossa. Meritavo di essere punita.
Perché, se i genitori di Barbara stavano piangendo, abbracciandosi a vicenda per mitigare il loro dolore, la colpa era solo mia. Se Martina e Rosa continuavano a emettere mugolii e pianti trattenuti fin da quando eravamo arrivati lì, era colpa mia. E se tutte quelle persone, tra cui professori e compagni, si trovavano lì a commemorare una ragazza defunta in età fin troppo precoce, era sempre e soltanto colpa mia.
Era tutto tremendamente reale, in modo crudo e doloroso tale da farmi fremere dall'interno di una furia a cui non sapevo dare spiegazione. Percepivo solo distrattamente la presenza della mano di mamma ad accarezzarmi la schiena per confortarmi della perdita della mia migliore amica, e di quella di papà sulla spalla.
Era tutto annebbiato dalla mia coscienza terribilmente confusa e stordita da quanto accaduto. Non mi ero mai aspettata che quella storia sarebbe potuta andare tanto oltre.
La prima volta si era trattato di una pura e semplice amnesia, niente di troppo grave in fin dei conti. Erano passati anni, ma ricordavo bene l'ansia provata quando il mio maestro delle elementari aveva frainteso la mia solitudine per bullismo da parte dei miei compagni di classe, dicendo che l'indomani mattina ne avrebbe parlato con i miei genitori. La sera mi ero addormentata desiderando ardentemente che dimenticasse quanto aveva visto. Il giorno seguente, quel pover'uomo si era svegliato privo anche del più piccolo ricordo che riguardasse me e la mia classe.
Alcuni anni dopo, papà era incappato in un piccolo incidente stradale. Il tizio con cui aveva urtato, al fine di aggravare i risarcimenti del danno e mettere maggiormente nei guai la mia famiglia, aveva finto di essersi ferito tanto gravemente da non poter nemmeno più camminare. Io, che avevo scoperto la verità, avevo provato molta rabbia per l'ingiustizia che stavamo subendo, desiderando solo che venisse smascherato. E così era successo: il mattino dopo era stato trovato a sonnecchiare proprio sul marciapiede a cui si affacciava la casa del giudice che si occupava dell'inchiesta. A parte il sonnambulismo di cui non aveva mai sofferto prima, si trovava ovviamente in perfetta salute.
Infine, il caso più grave ed eclatante era stato di sicuro quello della Piedmont Architecture, che aveva coinvolto ben tre persone, condannate a un'esistenza di reclusione e follia. Mi era sempre sembrato qualcosa di così terribile da non poter essere vero, e pensavo che non sarebbe potuto accadere nulla di peggio.
Mi sono smentita. Questo è molto più grave.
Ogni volta si era "accidentalmente" verificato qualcosa di inspiegabile che, guarda caso, faceva comodo a me e alle persone a cui tenevo. Pur non sapendo trovare una spiegazione sensata, non potevo neanche negare l'evidenza. Nonostante una parte di me ancora stentasse a credere che tutto ciò fosse colpa mia, e si aggrappava disperatamente alla speranza che si fosse trattato di un semplice equivoco, mi sentivo oppressa da un viscerale senso di colpa.
Non c'erano prove né collegamenti che avrebbero potuto ricondurre a me. Questo però non prova nulla.
Non ricordavo di averla uccisa. Però non posso negare di aver desiderato che sparisse dalla mia vita.
La verità era che non avevo nemmeno idea di cosa provare. Ero certa di non aver mai desiderato la morte di nessuno, ma al tempo stesso non ne ero così sicura. Forse solo tentavo di convincermi dell'una o dell'altra cosa, perché tutto ciò era così terrificante e inspiegabile... e terrificante proprio perché era inspiegabile?
E perché la mia testa non smette di pensare? mi chiesi anche, nella speranza di porre fine a quel caos in cui si erano persi i miei neuroni storditi e sbandati. Non ne potevo più: desideravo soltanto essere in grado di dimostrare il giusto rispetto per quanto accaduto, provare dolore per una persona che conoscevo da anni e che ora non esisteva più.
Eppure, il mio volto rimaneva arido di lacrime.
Piangi, piangi, piangi. mi ripetevo. Era quello che si aspettavano i miei, che fossi addolorata per una perdita che credevano avessi subito. Invece, non c'era niente che avessi perduto; al contrario invece, ci avevo guadagnato. Guadagnato un'illusione di libertà, che però mi ingabbiava in una consapevolezza ben più amara: c'era qualcosa che decisamente non andava in me, era impossibile negarlo ormai.
Anche perché non ero in grado di provare dolore per la sua scomparsa. Anzi, per la sua morte – perché non denominarla per quel che era, dopotutto? Una persona era morta, perché io nascondessi i miei crimini. In fin dei conti, era accaduto così.
Non era mio il lutto.
Erano i genitori che soffrivano, così come tutte le persone venute a presenziare e a donare le loro lacrime in sua memoria.
Io ero l'intrusa, la responsabile.
Non avrei mai dovuto trovarmi lì. Non sarei mai stata nemmeno in grado di piangere.
Inutile sforzarsi, con la consapevolezza che non avrei ottenuto nulla. In fin dei conti, Barbara non era mai stata nulla per me, se non un capitolo triste della mia vita... ormai concluso. L'avevo stimata, poi invidiata, e infine odiata.
Forse il mio senso di colpa non era causato da quell'assurda situazione, forse non ero io la responsabile. Forse, mi stavo costruendo centinaia di film mentali privi di senso solo per trovare una spiegazione al mio distacco in quel momento così importante.
Non mi ero mai messa veramente alla ricerca di qualcosa di buono in lei, di un solo goccio di umanità. Avevo considerato sempre e solo gli aspetti negativi del suo carattere, senza provare mai a soffermarmi davvero su chi fosse realmente, quali le sue aspettative per il futuro, quali i suoi segreti più intimi e quali i suoi sogni inespressi.
Tutte cose che si era portata nella tomba, probabilmente, e che non avrebbero mai visto la luce.
Sono stata superficiale ed egoista. E ora lei è morta. Che fossi oppure no la responsabile, non potevo ignorare quella premente consapevolezza.
Gli occhi mi vennero punti da una singola lacrima che lentamente mi solleticò la guancia fino a scivolare via dal mio mento, per infrangersi sull'abito nero che indossavo.
Tutte le mie emozioni condensate in quella piccola, insignificante, goccia d'acqua. Non una lacrima di tristezza; una lacrima di rimorso.
Ciao a tutti e grazie di aver letto questi primi 5 capitoli, spero che la storia vi stia un minimo interessando. A quanto pare Barbara è stata uccisa, non si sa come e perché, e non vi è dato sapere se Liv ne sia davvero responsabile 👀
Però sono curiosa dei vostri pareri in proposito... cosa è accaduto secondo voi? Di che tipo di potere potrebbe trattarsi?
In ogni caso questo bizzarro evento, seppur importante, d'ora in avanti verrà messo da parte e ripreso solo ogni tanto, perciò vi consiglio di ricordarvelo se volete proseguire la lettura. Ora c'è un altro mistero che verrà approfondito, riguardante un certo ragazzo francese dai capelli rossi... e i tracciatori.
Come sempre non esitate a segnalare correzioni e consigli di vario tipo, che aiutano davvero tanto a migliorare. Grazie mille e a presto ❤️
꧁ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA꧂
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