36.Il cuore non dimentica
Cos'è una persona, se non il segno che lascia al proprio passaggio?
-La vita invisibile di Addie LaRue-
Dove vai così di fretta, Pad, ansiosa di vestire in verde?
Liss aveva rivolto quelle parole a Padma, il mio primo giorno all'Ephia. Sul momento non ci avevo prestato attenzione, troppo intenta a convincermi di mantenere la calma.
Non sono affari tuoi! le aveva sbattuto in faccia, nel momento in cui aveva chiesto spiegazioni a lei e ad Ewan quando era venuta Yordanka, non ti rivelerò niente.
Ricordai alcuni dei bisbigli che avevo sentito da Ewan ed Elias, quando il più scorbutico trai due mi aveva gridato contro senza motivo.
No, non può essere... deve trattarsi di un malinteso.
«Non mi sembra che Padma sia un'Arkonante» la difesi, prontamente. Con la coda dell'occhio, la intravidi voltarsi verso di me, stupita. Non era abituata che qualcuno prendesse le sue difese, intuii.
«Tu non sai niente» ribatté, sdegnosa, Liss.
«È vero» riconobbi, «allora spiegatemi cosa sta succedendo nell'Ephia che continuate a nascondere a me e Yoann. Cos'è questa storia della spia?»
«Diciamo che... c'è qualcuno che riferisce agli Arkonanti le nostre mosse, così loro sono sempre un passo avanti a noi. Ci sono questioni grosse che bollono in pentola e a causa di quella maledetta tutto continua a andare sempre peggio!» Il tono di Liss si era fatto concitato, così aggiunse, alzando i palmi delle mani in segno di resa: «Okay... okay, non ho ancora trovato le prove effettive della sua colpevolezza, ma sono sicura che sia lei. La Wang ha più motivi di tutti per-»
«Non è vero» insistette l'accusata. «Se almeno mi concedessi la possibirtunità di dimostrarti chi sono...»
«Non ne ho bisogno, quelli come te sono tutti uguali.»
Padma sbuffò, esasperata. Tornò a leggere, come se fosse stufa di perdere ancora tempo con quel discorso.
Yoann, che era sempre attento alle emozioni di tutti, dovette notare che a quel gesto Liss stava per esplodere. «Po-posso sapere» si affrettò infatti a domandare, trattenendo a stento i tremiti ancora violenti, «cosa-sa s-sta accadendo di tanto gra-ve?»
Grazie al cielo, la ragazza sembrò riacquisire un contegno. «Clara e Daniel non vogliono che gli iniziati lo vengano a sapere, perché chiunque sia dentro a questa storia è a rischio quanto loro. Dovete essere sicuri della vostra scelta di essere parte di questa Ephia. Completato il Terzo Livello, intendete tornare alla vostra vita Letargiante, o invece intraprendere una vita da Ephuri veri e propri, votata a proteggere il genere umano e combattere gli Arkonanti? ... Per le code dei sette delfini, sembra una proposta di matrimonio. Vabbè, rispondete solo sì o no, senza tergiversare troppo, grazie.»
Yoann e io ci guardammo per un attimo, condividendo con gli occhi il medesimo pensiero. «Sì» rispondemmo insieme.
«Bene.» Liss si accomodò su una bella poltroncina che prima non avevo notato e allungò le gambe sulla scrivania, incrociando gli stivali al polpaccio su uno dei pochi punti liberi della superficie. «Completate la prova e vi diremo tutto.»
«Quale prova?» esclamai, sconvolta. «Non avevate mai parlato di nulla del genere...»
«Un piccolo test, nulla di più» ridusse Liss, senza però alleviare l'improvvisa ansia da prestazione che mi aveva riempito i polmoni.
La deglutii, poi la feci spirare fuori insieme al fiato trattenuto.
«Va bene» acconsentii, determinata. «Da dove si comincia?»
Stupida tradizione. Che senso aveva indossare per forza quelle tenute bordeaux? Detestavo dovermi mettere in imbarazzo...
Trovai aperto il cancello che immetteva nella villetta Mindsmith, così entrai senza problemi nel curato giardino. Siepi intagliate in forme di animali e dolcetti circondavano la stradina in pietra che si addentrava nel verde, conducendo all'ingresso porticato, rialzato di un paio di gradini. Una porta a doppio battente, sormontata da una piccola vetrata a semicerchio, sembrava chiedere con garbo di pulirsi i piedi sullo zerbino damascato prima di entrare. Il campanello di bronzo, invece, piegato a sostenere il peso di una torcia spenta, mi osservava in attesa di essere pigiato.
Quando Liss mi aveva spiegato che per la prova era necessario richiedere una tutina rossa della mia taglia agli Ephianti, avevo sperato fosse sufficiente recarsi sulla torretta in cui ero stata vittima, ma catturata spettatrice, delle illusioni che mi avevano aperto le porte sulla realtà Ephura. Invece, lassù, prima di entrare, alcuni bisbigli erano sgusciati fuori dalla porta in legno dello studio.
«Se quello che dici è vero...» La pausa nella voce sconvolta di Daniel aveva congelato la mia mano sulla maniglia. «allora tutta la storia degli Umanenti assumerebbe un nuovo aspetto. Tutto ciò stravolgerebbe le fondamenta stesse su cui i Delphini basano il loro governo e-»
A quel punto si erano accorti di me. Non mi era restato che aprire la porta. Delle iridi di ruggine, incorniciate da un eyeliner felino, si erano assottigliate a trafiggermi. Wala.
In quel momento mi ero sentita sul filo di un rasoio. Avevo comunque avuto il coraggio di chiedere la tuta, solo per sentirmi rispondere di rivolgermi a Clara, la quale al momento si trovava nella villetta dei Mindsmith.
Ed eccomi qui. Non mi resta che suonare il campanello...
Presi un respiro profondo, poi pigiai il pulsante. La tensione, inasprita dopo lo sprazzo di conversazione che avevo udito per sbaglio, mi elettrizzava i peli sulle braccia. In cos'altro mi sarei imbattuta, lì dentro?
Il mio udito amplificato mi trasportò fino alle orecchie il trotto di alcuni piccoli passetti allegri e una vocina giovane che diceva: «Arrivo!»
L'uscio si schiuse sui millequattrocentoquarantatré millimetri di una ragazzina sui tredici anni. I lisci capelli biondo cenere incorniciavano un visino appuntito che si adombrò nel vedermi. Dal modo in cui gli occhietti di rame guizzarono rammaricati su di me, compresi che non ero la persona per cui era corsa entusiasta alla porta.
«Ciao! Tu devi essere...» cominciai, salvo poi trovarmi a parlare con il nulla, perché la piccoletta era già schizzata via. «... Mirea.»
Mossi un cauto passo all'interno, puntando gli occhi nella direzione in cui era scomparsa. L'unica Letargiante dell'Ephia, figlia più piccola di Clara e Daniel. Non aveva ancora sviluppato nessun cebrim, il che era strano perché, a quel che avevo sentito, gli Ephuri cosiddetti "puri" maturavano il gene Ephuro in età precoce rispetto agli altri. Era la stessa che mi aveva osservata dietro il vetro scuro della sua finestra quando Padma mi aveva fatto il giro turistico dell'Ephia... mi aveva inquietata allora come mi inquietò in quel momento.
Forse è solo timida, mi dissi.
«Miry? Chi era alla porta?» sentii chiedere una voce dolce, familiare.
Dimenticandomi di attuare la felivista, impiegai qualche attimo ad abituare gli occhi alla penombra che ammantava il salotto dell'ingresso, delineata solo dal fuoco scoppiettante in un camino e da alcune tiepide lampade pendenti dalle travi a vista del soffitto. Se da fuori la villa era nivea e luminosa, l'interno era una nicchia di calore in cui veniva voglia di mettersi in letargo: legni a vista cupi, carte da parati poco riflettenti, tappeti rossi e mobilia intagliata nel bronzo. A rievocare il bianco delle pareti esterne, c'era solo una lunga tenda calata sul serramento più ampio, rivolto al divano.
Quasi a sottolineare quell'aria casalinga da cui mi sentivo un'estranea, infiltrata, Clara reggeva una pila di panni appena piegati, che poggiò sul bracciolo del sofà. Anche sotto quella luce più domestica, manteneva una grazia rigorosa ma accogliente, che faceva sentire... al sicuro.
«Devi scusarla,» mi accolse la donna, riferendosi alla figlia più piccola, «è un po' timida con gli sconosciuti, ma sono stata felice di vederla legare con Wala, negli ultimi tempi. Credo pensasse fosse lei ad aver suonato il campanello... comunque, cosa ti porta qui, Liv?»
Già, Wala...
Scacciai il ricordo recente e, impacciata, le spiegai il motivo della mia presenza. Un ampio sorriso le incurvò il viso. «Sono davvero felice che tu abbia scelto di restare con noi. Conta davvero molto. Sai che sei la prima? Almeno tra quelli che non abitano qui...»
Annuii, rispondendo con un sorriso timido. Avrei voluto chiederle perché, per capire cosa ci facessero lì tutte quelle persone provenienti dagli angoli più disparati del globo. Inoltre per quale motivo, se la base della società Ephura era accumulare conoscenza di cebrim, arricchendone la biblioteca, non prendevano provvedimenti per far restare più Ephuri locali?
Tutte domande che sul momento mi sembravano solo fuori luogo, ma delle quali necessitavo davvero una risposta. Dopo il test, mi dissi.
Mi indicò di seguirla lungo delle scale accostate a una carta da parati in cui damaschi dorati si intrecciavano a corna di cervo su uno sbiadito sfondo purpureo. L'illuminazione distribuita peggio ancora che nel salotto si aggiunse a una cappa di chiuso quasi opprimente. Chiunque avesse progettato quella villa non possedeva il cebrim dell'Architettura, ne ero certa. L'intera abitazione era sorretta su una moltitudine di errori gravi e imprecisioni nascoste goffamente dietro un arredo piacevole agli occhi. Necessitava di una bella ristrutturazione, almeno per correggere il rapporto aeroilluminante e per assottigliare quelle pareti così spesse...
Smettila, mi imposi. Da quand'è che sono tanto saputella?
Solo che... mi dava fastidio.
Per fortuna erano solo due rampe, non avrei sopportato oltre lo scricchiolio del legno vecchio sotto la moquette di velluto e la disuniformità tra alzata e pedata dei gradini. Nel primo piano incontrammo una biforcazione, che ci trascinò su un lungo e stretto corridoio povero di porte, ma costellato di fotografie, alcune delle quali incorniciate, e disegni di bambini.
Rallentai il passo, catturata dai sorrisi che mi rivolgevano gli scatti. La parete doveva essere stata tappezzata gradualmente nel corso degli anni fin dall'origine dell'Ephia: trovai foto di Clara e Daniel da giovani, neonati e bambini che crescevano di immagine in immagine assumendo pian piano i lineamenti che riconoscevo nei Mindsmith, così come in Liss, Padma, ed Elias, anche se già più grandini. In molte foto c'era anche Michael, intento a badare ai bambini più piccoli. Se Ewan e le gemelle erano sempre stati sorridenti, Lauren si mostrava seria e composta fin dalla più tenera età, mentre Mirea rivolgeva grugni offesi. Mi stupì scoprire un viso dolce persino nel piccolo Oliver, inasprito con l'avanzare degli anni. Chissà cosa l'aveva fatto diventare così spocchioso...
Quella foto. I miei piedi si inchiodarono innanzi a una maestosa cornice d'ebano, quaranta centimetri per ventiquattro, scolpita in minuziose sopraelevazioni, tra le quali spiccavano due arzigogolate corna di cervo. Si dispiegavano a partire dal punto medio del lato superiore, ed erano identiche a quelle svettanti sul cancello dell'Ephia. Lo stemma dei Cervini.
A catturare la mia attenzione, fu, d'altro canto, il gruppo di persone che la abitava. Non ne riconobbi nessuno al di fuori di una versione giovanissima di Clara, forse appena sedicenne. Anche il cipiglio dell'uomo che stava al centro della numerosa famiglia aveva un vago cenno di familiarità, che ricondussi alla foto che avevo notato nello studio sulla torretta. Ma più che altro c'era quel punto, che...
«La mia vecchia famiglia» spiegò Clara, notando che mi ero fermata a osservarla. «Questa foto venne scattata a Roma, molti anni fa.»
«Siete davvero numerosi» commentai. Contai circa una trentina di volti, adulti e anziani, bambini e ragazzini, costretti in una posa fiera. Era una bella composizione, che rasentava la perfezione. Se solo non fosse stato per quella... macchia.
Non sapevo in quale altro modo descriverla. Un alone? Un bizzarro riflesso?
No, più che altro, una vera e propria porzione di superficie mancante. Un pezzo cancellato.
Come se qualcuno avesse passato una spugna su una parte in cui non si doveva assolutamente guardare, che anzi, non meritava di essere osservata.
Ricopriva lo spazio di una persona alta all'incirca come Clara, situata esattamente tra lei e un bambino paffuto che poteva avere al massimo otto anni.
«C'era qualcuno, qui?»
Feci un cenno verso quel punto, il retro del collo solleticato da brividi di dita gelate a cui non sapevo dare spiegazione.
Un sorriso mesto le infoltì gli zigomi. «Proprio così. C'era una persona. Purtroppo, nessuno ricorda chi fosse.»
Aggrottai le sopracciglia. Era presente anche lei quando era stata scattata la foto, e quell'individuo le era seduto proprio accanto. Com'era possibile non ricordarsene?
«Non capisco...»
Clara sospirò. Il suo viso venne scolpito da ombre cupe. «È una maledizione. La chiamano Dannazione della Memoria, o... Damnazione. Hai mai sentito parlare della condanna con cui gli antichi romani cancellavano ogni sorta di fonte storica di determinati individui? Si chiamava Damnatio Memoriae.»
«Sì» confermai, ancora confusa.
«A partire da quell'antica pratica,» continuò Clara, amareggiata, incrociando le braccia al petto senza staccare gli occhi dalla fotografia, «i Delphini iniziarono a adoperare il vasto potere degli Antichi Eph, per... punire coloro che si macchiavano di crimini a loro parere imperdonabili. La condanna peggiore che si possa subire è la cancellazione totale da ogni tempo e memoria individuale e collettiva.»
«Quindi hanno fatto sì che... tutti si dimenticassero di quella persona?»
«Non solo. Chi viene Damnato cessa di esistere per tutti al di fuori di se stesso. Non viene cancellato solo nel passato, ma anche nel presente e nel futuro. Tutti i segni della sua vita – oggetti personali, raffigurazioni, creazioni – scompaiono con esso. Come se non fosse mai esistito.»
Deglutii. «È orribile, e... sbagliato. Ignorando il passato, quello che è accaduto può ripetersi... non rischiano di fare più danni che altro?»
«Concordo pienamente.» Il viso di Clara si fece ancora più ombroso. «Infatti ho sempre disapprovato questa condanna. Per di più, non si sa con esattezza cosa accada ai Damnati, una volta eseguita la maledizione. I più ottimisti sostengono che muoiano, ma ricerche più recenti, purtroppo, dimostrano che la loro è una pena peggiore anche della morte. Pare che... continuino a vivere. Se davvero vita si può chiamare. Si dice che camminino in questo limbo senza fine e senza inizio, in cui nulla può toccarli e nulla possono sfiorare. Nessuno li vede, nessuno li sente, ma ci sono. Uno di loro potrebbe trovarsi anche qui in questo esatto momento e non ne avremmo la minima idea...»
Sobbalzai. Clara, i cui occhi si erano fatti spiritati, divorati dai pensieri, sembrò tornare in sé. Rise, forse per nascondere un lieve disagio. «Devi scusarmi. Mi sono fatta prendere dal discorso. Non intendevo spaventarti.»
«No, è...» cercai una parola adeguata. Affascinante, o inquietante, non erano abbastanza. «Terribile» decisi infine.
«Ma non capisco come funziona. Cioè, diventano delle specie di... fantasmi?»
«Suppongo di sì. La Damnazione ha dato vita a molte leggende, tra cui appunto quella secondo cui continuino a circolare non visti tra i Letargianti, riuscendo ogni tanto a spostare qualche oggetto, proprio come dei fantasmi. Personalmente lo trovo improbabile, ma non è escluso che un Damnato decida di stare vicino alle persone che conosceva, per guardarle crescere, invecchiare e morire, e magari fare lo stesso con i figli e i figli dei figli... è molto triste.»
Deglutii, chiedendomi se il Damnato raffigurato nella fotografia vegliasse su Clara. E se davvero ci stesse guardando, ora?
Ignorai i brividi gelidi che si rincorrevano per tutto il mio corpo. «Ma se ci toccasse,» sussurrai, temendo di essere udita dai granelli di polvere, «cosa accadrebbe?»
Sul viso della signora Cervini si fece largo un sorriso amaro che le piegò gli angoli degli occhi. «Nulla. Il funzionamento è molto semplice: la maledizione non agisce solo sulle menti degli esseri viventi, ma sui mens che compongono tutte le cose e loro stessi. Il fiato di un Damnato può provare a fendere l'aria, e l'aria si dimenticherà della sua presenza nell'immediato. Può allungare la mano sulla tua spalla, però la tua mente cancellerà la sensazione del tatto prima ancora che la raggiunga, e quindi ci passerà semplicemente attraverso. Se ti parlerà, le tue orecchie debelleranno subito quel suono dalla tua memoria. Quindi no, non ti accorgeresti di nulla.»
«E come fanno a camminare? La terra su cui poggiano i piedi non si dimenticherebbe di reggerli?»
Clara scosse la testa, come a dire che non lo sapeva. «Purtroppo non esistono testimonianze di cosa accada a queste persone, perché una volta che la si... sperimenta, poi è troppo tardi per poterne parlare, per ovvi motivi. Per loro, io spero che la Damnazione corrisponda alla morte. Non oso immaginare cosa significhi affrontare un'esistenza del genere.»
La vidi allungare una mano tremante verso la macchia accanto alla versione giovane di se stessa. Appena le sue dita incontrarono la teca di vetro che ricopriva la foto, la donna sobbalzò e chiuse gli occhi, ritirando subito il braccio, come se avesse sfiorato una lastra incandescente.
«A chi ha conosciuto in vita il Damnato, però, rimane sempre una sorta di traccia,» sfregò le dita tra loro e le iridi nocciola scintillarono, «una sensazione, una consapevolezza che non si sa spiegare. Nulla di concreto, solo... affetto. L'amore non si cancella neanche con la mancanza di memoria. Non ho idea di chi fosse, so solo che tenevo davvero a questa persona, e loro me l'hanno portata via.»
Chiuse la mano a pugno, e se la avvolse tra le dita dell'altra, come a proteggere quell'ultimo contatto con quel qualcosa a cui non sapeva nemmeno dare un nome. «Quando tocchiamo un frammento di colui o colei che è stato cancellato, percepiamo la scossa della condanna allontanarci della verità. Una sorta di cicatrice che ci rammenta che la Maledizione non è solo per i Damnati, ma anche per tutti coloro che li dimenticano.»
A seguito di quell'amara conclusione, che le increspò i lineamenti del viso in un dolore che intuii fosse abituata a portarsi dentro da anni, chinò il capo e sciolse la tensione che le aveva irrigidito il corpo.
Mi sorrise. «Però ora basta pensare al passato, che dici? Sei venuta qui per un motivo, non perdiamoci in chiacchiere.»
Si voltò e raggiunse il fondo del corridoio, sparendo dentro una camera da cui la sentii chiedermi: «Indossi la M o la L? Vieni pure a scegliere il modello che ti piace di più, abbiamo pure i camerini...»
Non risposi. I miei occhi erano ancora magnetizzati dalla porzione di foto mancante, e non avevano intenzione di scollarsi.
Il mio dito si mosse da solo. Sfiorai appena la macchia. Un solo impercettibile attimo, poi ritrassi subito la mano, gli occhi divaricati e il respiro mozzato via.
«Liv?» La voce confusa della signora Cervini. La vidi sporgersi.
Forzai un sorriso e riportai le mie braccia lungo i fianchi. Trattenere il tremito della voce fu difficile, ma infine riuscii a racimolare un: «Arrivo».
Avanzai verso il camerino, a passo leggero. Eppure le mie gambe tremavano.
Nelle orecchie, ancora mi riverberava la scossa violenta che, toccando il vetro, mi aveva pugnalata dritta al petto.
Proprio lì dove il cuore non aveva dimenticato.
What? Lo scoprirete, ma tra moooolto tempo. Intanto concentratevi su altro perché per questo primo libro i damnati sono ancora un tema marginale, mentre invece svolgeranno un ruolo centrale per il secondo e terzo, quindi teneteli a mente 👀
Intanto Liv è pronta per fare la sua prova d'ammissione, dopodiché giuro che questo libro comincia davvero ad avere una sottospecie di trama e succedono addirittura cose! Si farà anche più accentuata la vena mistery di Cerebrum, riguardo in particolare alla SPIA di cui parla Liss. Non sarà nulla che si avvicini a un giallo però, perché non sono pratica del genere e non mi fa nemmeno impazzire 😅 però c'è gente che si sospetta a vicenda e segreti e misteri e vedrete ✨
꧁ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA꧂
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