35.Disegnare la realtà con la mente

«Kung fu» scandì Padma. «Significa esercizio eseguito con abilità, e consiste nell'apprendimento e interiorizzazione profonda della tecnica. Non è semplicemente "stendere l'avversario" come pensano tutti!»

Un rapido calco rotante, eseguito con maestria, fece reclinare all'indietro il manichino davanti alla ragazza. Dato che era collegato con una molla a una base fissa sul pavimento della palestra, per rimbalzo ritornò subito su. L'avrebbe colpita, ma lei scartò di lato, ponendosi al suo fianco e colpendolo da dietro con il taglio della mano. Approfittò poi della spinta del successivo ritorno della molla per appoggiarvi i piedi a seguito di un piccolo saltino. Venne lanciata verso un enorme tira a segno appeso al soffitto, che centrò nel suo cerchio più piccolo con un perfetto ed elegante calcio in aria laterale, creato piegando la gamba sinistra e tendendo la destra, il pugnetto disteso in avanti e lo sguardo marmoreo.

Il bersaglio continuò a sfrigolare avanti e indietro per almeno un altro minuto dopo che era atterrata.

Avrei voluto esultare e complimentarmi con lei, ma decisi che sarebbe stato inappropriato; la sua ramanzina era rivolta proprio a me e Yoann. Continuavamo a sbagliare e faticavamo a comprendere la tecnica che Padma intendeva farci apprendere per insegnarci le arti marziali che tanto amava. Sembrava che ogni nostro fallimento la pugnalasse al petto...

«Somiglia a una danza» commentò invece Yoann, estasiato.

Padma sbuffò, tornando abbattuta davanti a noi. «Uff, è così difficile insegnastruire... non dovete guardare all'aspetto estetico del movimento – quella è una cosa che viene da sé e che non è fondamentale. Come posso spiegarlo?»

Si arrovellò per qualche minuto, facendo avanti e indietro mentre si sgranocchiava un'unghia.

«Ci sono!» esclamò poi all'improvviso. Si guardò intorno, come alla ricerca di qualcosa. Sgambettò a rovistare dentro uno degli scatoloni assiepati agli angoli della palestra e ne tirò fuori due incensi, che accese solo sfregando tra loro le dita fino a germogliarvi una minuscola scintilla. Ne spirò un fumo latteo che subito mi solleticò le narici con una fragranza legno-resinosa.

Invece di posarli a terra come aveva fatto durante il "meditapacemento", le sue dita delicate impugnarono le estremità opposte a quelle che bruciavano. Come scambiandoli per pennelli, con essi disegnò un ampio cerchio ruotando lentamente le braccia distese. Al passaggio dei bastoncini in legno, il fumo che tracciavano nell'aria si raccolse nella forma di una circonferenza perfetta. Un'illusione, mi chiesi, o una manipolazione dei mens che compongono il fumo?

Dentro al cerchio, Padma inscrisse una coppia di circonferenze tangenti nel punto centrale. L'esalazione nivea si dissolse in metà di ognuna, lasciandosi dietro solo il profilo di due mezzelune verticali con le pance rivolte nei versi opposti, congiunte ai vertici nel punto di incontro a formare un'unica onda regolare a forma di S. Dentro una delle semisfere, disegnò un piccolo cerchio servendosi del primo bastoncino, mentre il secondo pitturava la metà a forma di goccia, che riempì per intero a eccezione di un piccolo cerchio lasciato vuoto.

«Yin e Yang» commentai, riconoscendo il celebre simbolo di origine orientale.

«Taijitu. Nella filosofia taoista» spiegò Padma, mentre il disegno prendeva a girare lento attorno al suo asse, spinto dalle sue mani, «rappresenta la legge dell'universo che muove tutte le cose.»

Il lato colorato, quello che supposi rappresentasse la parte di solito tinta in nero, si sciolse dalla sua posizione e seguì le sue mani che si tendevano adagio per spingere il manichino. «Yang è l'energia maschile, il giorno, il sole, la luce, il fuoco e il calore. In questo caso l'attacco.»

Mentre piegava i gomiti per assecondare il movimento riflesso del manichino, il flusso dello yin ruotò su se stesso lasciando il posto al vuoto contornato di fumo, che sembrava quasi rilucere, contrastato da una sfera bianca nel mezzo. «Yin è associato all'energia femminile, alla notte, alla luna, all'ombra, all'acqua e al freddo, e corrisponde alla parata.»

Nel dirlo eseguì il movimento con l'avambraccio per contrastare l'attacco.

Si rivolse poi a un manichino di legno che la osservava dal lato opposto. Ce n'erano altri due uguali, uno per Yoann e uno per me. Ci aveva già spiegato i movimenti di base da eseguire con l'attrezzo per principianti – un semplice tronco di legno dal quale sporgevano tre pioli e uno più lungo nella parte più bassa – ma eseguiti da lei erano tanto belli da sembrare ipnotici.

«Tutto si basa su questa bipolarità tra opposti, per cui Yin e Yang sono dinamici, in costante movimento, e si influenzano a vicenda. Come... una pallina che rotola di continuo!»

Neanche a dirlo, e il Taijitu si avvolse nella forma di una piccola sfera che le ruzzolò lungo un primo braccio che colpiva un piolo, e da lì rimbalzò sull'altro arto, per poi ritornare al primo in un flusso continuo, spinto e trascinato dalla danza delle sue braccia, a disegnare un intricato simbolo di infinito.

«Non sono contrastanti, ma complementari e inscindibili, dato che uno esiste grazie all'altro, e insieme creano la ciclicità continua della natura in continua evolusformazione. Se spezzato,» distese una delle braccia in un movimento contorto, che la incastrò, «si perderebbe l'equilibrio.»

La sfera cascò a terra, dove si sciolse in un alone di fumo e scomparve.

Annuii, convinta di aver capito. «Rappresenta anche il male e il bene, vero?»

Padma reagì con un sospiro rumoroso che le afflosciò le braccia. «Questa è la classica interpretazione priva di senso legata alle filosofie occidentali. Bene e male sono concetti morali, che non hanno a che fare con ciò che rappresenta il Taijitu

Ah. Forse Liss aveva ragione, meglio evitare di parlare a sproposito di cose che non sapevo.

Yoann si portò una mano al mento. «Però non capisco... cioè, è molto interessante, ma sapere questo come ci aiuta a imparare e applicare i movimenti nel modo giusto?»

«Saperlo non vi serve a niente» rispose, intagliando stranite espressioni di sorpresa sui visi di entrambi. «Interiorizzarlo, invece, è la chiave per avere il Kung fu.»

Yoann e io la fissammo battendo le ciglia in silenzio.

Lei soffiò un verso esasperato. «E va bene, mettiamola così: tradizionalmente, il meccanismo si assimila con anni e anni di esercizio, ma nel caso di noi Ephuri il Cerebrum è in grado identificarsi con il Taijitu al punto che diventa automatico, istintivo. Tutto ciò che dovete fare, perciò, non è memorizzare e ripetere i movimenti: solo comprenderli fin nel profondo, farli diventare parte di voi. Solo allora, voi stessi entrerete dentro il flusso continuo dello Yin e dello Yang.»

Perciò si tratta di un processo più intellettuale, che fisico, ragionai, ma si traduce in istinto del corpo. Un po' come con il parkour: senza consapevolezza del movimento non riuscivo...

«Da una parte è anche più difficile,» riconobbe Padma, «perché in meno di una giornata si apprende e si supera quello che altri avrebbero ottenuto con anni e anni di allenamento continuo. Ma in fin dei conti si tratta del meccanismo base del Cerebrum: disegnare la realtà con la mente, entrando voi stessi a farne parte.»

Yin contrazione; Yang espansione. Difesa; offesa.

Parata di un colpo da destra; attacco da sinistra.

Uno schiocco mi tuonò nelle orecchie.

Yoann cadde a terra, spinto dal mio calcio. Un colpo compiuto con cognizione di causa e movimento fluido, ma eseguito senza pensare. Puro istinto.

«Scusa!» esclamai subito, tornata alla realtà dopo un momento di pura, sconcertata, sorpresa. Lo aiutai a rialzarsi, poi la mia attenzione venne attirata dal visino tondo di Padma, che osservava a poca distanza. Annuì.

Compresi di esserci riuscita: avevo interiorizzato il Taijitu. Pur non possedendo la forza necessaria a stendere un grattacielo come Yoann, la tecnica acquisita mi aveva permesso di utilizzare lo slancio dei suoi colpi contro di lui.

In fin dei conti consisteva nel seguire il meccanismo naturale che permeava ogni cosa. L'avevo intravisto negli occhi di Luna e l'avevo scorto per un attimo nella visione sui mens di cui Michael mi aveva fatto dono in aeroporto.

Forse fu quello il motivo per cui a me venne più facile che a Yoann. Avevo già toccato con mano – con tutti i sensi, in realtà – il significato più profondo dello Yin e dello Yang.

Tuttavia, l'apprendimento era appena cominciato. La settimana seguente fu un susseguirsi di lezioni e schiocchi nelle orecchie che intagliavano la melodia della fine della scuola. Ben presto, infatti, mi fu possibile dedicarmi allo sviluppo dei cebrim del Terzo Livello sia mattino che pomeriggio.

«Il cebrim dell'Antìlipsi si compone di più parti» spiegò Lauren. «Tutto ciò che riguarda le percezioni derivate dai cinque sensi verrà portato al suo estremo.»

Ma si può davvero parlare di estremi quando il potere è illimitato?

Più mi addentravo nella mia natura da Ephura, più mi imbarcavo nelle contraddizioni che si scontravano al suo interno. Questo non mi impedì, tuttavia, di scavare in profondità dentro la mia mente. Volevo vedere tutto.

E tutto vidi. Sconfissi le mie sei diottrie mancanti e aguzzai la vista fino a quando la distanza perse valore per i miei occhi. Le antenne di una farfalla posata sul mio naso non erano tanto più nitide di una adagiata su un fiore a cinque metri di distanza.

Le ombre si piegarono sotto il mio sguardo anche durante la notte, quando, con il cebrim che Padma chiamava della "felivista", l'oscurità si stancò di offuscarmi gli occhi e mi permise di scorgere nuovi particolari grazie alla luce raccolta dietro le retine. Il meccanismo era appunto lo stesso del tapetum luidum dei gatti, che permetteva loro di vedere al buio almeno otto volte meglio degli umani. Come ogni porzione del cebrim dell'Antìlipsi, si attivava solo a piacimento, anche se i risultati superavano pure quelli dei felidi.

Persino le superfici solide persero consistenza sotto i miei occhi. La cosiddetta "vista a raggi X" fu la più complessa, sconvolgente e inquietante al contempo. Toccare con gli occhi i materiali e le stratificazioni interne, valicare limiti all'apparenza insormontabili, scorgere il grottesco velato da facciate di purezza.

Per quanto la parte risvegliata nel mio Cerebrum si ampliasse, i mens continuarono a vivere solo nei miei ricordi. Dopotutto, percepirli era un dono riservato a pochi, non era cosa che si potesse insegnare o apprendere...

Ma c'erano mille modi per percepire il mondo: annusandolo, ad esempio. Sviluppai più recettori olfattivi di un segugio; la profusione di odori che mi invase la prima volta mi fece addirittura perdere i sensi. Poi gli effluvi si colorarono nella mia memoria ricordandomi alcuni dei flussi che non ero riuscita a interpretare durante la visione. C'erano mille fattori, non percepiti dall'ottusa e limitata percezione umana, che in realtà influenzavano la vita di tutti senza che ce ne accorgessimo.

I suoni, ad esempio: il mio apparato uditivo allargò i suoi orizzonti a suoni così lontani che mi conficcarono lame nelle orecchie, perché erano troppi. Superato il primo ostacolo, come per tutti gli altri sensi, imparai a distinguere un rumore da un altro e dissezionai ognuno di essi nelle loro componenti più indistinguibili, danzando con ognuna delle vibrazioni che facevano oscillare le molecole d'aria.

Anche il gusto, che le papille sparse sulla lingua inviavano al cervello, sbocciò nella mia bocca con sfumature così intense da sciogliermi il palato. Persino i piatti più complessi si disfecero sotto i miei denti sussurrandomi nell'orecchio ogni singolo ingrediente e quantità in cui erano presenti. La trovavo la parte meno utile dell'Antìlipsi: mi servì solo per guadagnarmi occhiate stranite dai miei genitori quando, a cena, mi commossi solo mangiando un boccone di pasta al ragù.

Quanto al tatto, toccare le cose assunse un nuovo significato. Imparai a distinguere l'esatta temperatura degli oggetti e a riconoscerli solo sfiorandoli. Contai i microrganismi che li ricoprivano e ne accarezzai gli strati interni solo passandoci le dita sopra, come diventassero più solidi – o liquidi – sotto la mia mano. Scoprii che persino il respiro si poteva toccare.

Trascinare al massimo l'intensità delle percezioni trasmesse dai cinque sensi mi permise di comprendere ciò di cui si era parlato alla prima lezione: ogni cebrim era una parte in più della mente che sbocciava. Un germoglio che a fatica si scavava un'uscita dalla terra putrida e si faceva baciare dalla luce.

Inoltre... dare più spazio alle sensazioni e al semplice sentire il mondo, con tutti i significati con cui si poteva intendere quella parola, era un modo tutto nuovo di gustare la vita. Attivare un senso oppure un altro faceva assumere a ogni cosa un tono diverso, tuffava in un abisso più profondo dell'anima.

Potevo trascorrere anche delle ore solo ad annusare un fiore, seguire con gli occhi il volo di un uccello, gustare un piatto di pasta, toccare il cuore del vento, o, perché no, prestare ascolto alla dolce melodia dell'universo. C'è così tanto... ed è triste che nessuno se ne renda conto.

Ogni schiocco nelle orecchie si trasformò in un tamburo di guerra. Una battaglia personale contro lo strato nero che ricopriva gli esseri umani. Forse erano piccoli passi, ma nel mio piccolo iniziai a serbare la speranza di poter cambiare qualcosa. Il modo migliore per farlo mi sembrava, per il momento, andare fino in fondo. In ogni cosa che facevo.

La determinazione si infranse, però, contro scaglie di ghiaccio. Si incastrarono tra le mie ciglia dopo che Ewan mi ebbe spinto dentro una piccola stanza di appena un metro quadro, chiudendomici dentro.

«È proprio necessario? Non esistono metodi più... umani per sviluppare l'Immunità?» mi lamentai, mentre da fuori Lauren tirava giù la manopola che abbassava la temperatura.

«No. È un cebrim di sopravvivenza» fu la dura risposta che ricevetti.

Mi accucciai su me stessa, allacciandomi le braccia tra loro e intorno al corpo. Sfregai le mani e tentai di fare del movimento fisico per riscaldarmi, ma le sferzate di gelo rattrappivano ogni tentativo con orde di brividi violenti. Il freddo mi compresse il cranio e la cute, stringendomi tra le sue dita spietate. Il mio fiato divenne neve furiosa che non faceva che tremare e lacrime di ghiaccio iniziarono a ricoprirmi il corpo scosso dagli spasmi. Finii per sentire solo il ruggito del gelo, mentre il battito del mio cuore si affievoliva sempre di più. Poi...

Silenzio. Anche il mio respiro divenne di ghiaccio.

Fu a quel punto che uno schiocco più fragoroso di un tuono mi scoppiò nelle orecchie. Una piccola fiamma si accese nel mio petto e irradiò un calore accogliente in ogni parte del mio essere, fino a stabilizzare la mia temperatura media a trentasei virgola sette gradi centigradi, nonostante i trenta gradi sotto zero della cella.

L'estremo freddo raggiungibile dal mio corpo era sfociato nel suo complementare, in un gioco di opposti non diverso dal flusso che interessava il ciclo continuo del Taijitu.

Mi alzai, la risolutezza scolpita sul volto. Incrociai, dietro il vetro ricoperto da uno spesso strato di ghiaccio, gli occhi di Lauren, la quale comprese che ce l'avevo fatta. Quando la porta venne aperta, mi aspettai di sentire germogliare nel petto l'ormai famigliare tepore di soddisfazione mista a stupore che provavo ogni volta che mi rendevo conto di aver sviluppato un nuovo cebrim.

Invece, non accadde. Al suo posto, una sorta di malinconia si annodò attorno al mio cuore. Sentivo di aver perso il contatto con il mondo, anche se non sapevo perché. Il freddo non può toccarmi, mi resi conto, come se a separarmi da esso ci sia una spessa barriera incollata alla pelle...

Lo stesso avvenne quando, invece, mi venne chiesto di entrare in una cella calorifera, gemella ma opposta alla prima camera. Ormai abituata, non opposi resistenza.

Quando il calore raggiunse il suo picco, il mondo divenne così ardente che mi sembrava che la pelle potesse sciogliersi. Il sudore non fu più sufficiente a termoregolare la temperatura che sfiorava la soglia dei trentacinque gradi corporei.

E di nuovo, raggiunto il picco, il calore venne spinto via dal ghiaccio che ricoprì il mio cuore. La mia temperatura corporea si stabilì in meno di un attimo e la respirazione tornò regolare.

Un ulteriore scudo a distaccarmi dal mondo era calato su di me.

Silenzio. Non poteva esserci musica migliore per la biblioteca dell'Ephia. Definirla solo biblioteca, in effetti, era riduttivo. Somigliava più a un gigantesco nido accogliente in cui centinaia di mondi racchiusi tra le pagine d'inchiostro avevano trovato rifugio.

Mossi cauti passi dentro uno degli spaziosi corridoi che si diramavano tra gli scaffali. Le mie narici furono pervase dal profumo del ciliegio intarsiato. I ripiani più alti toccavano i sette metri e cinquantadue, ed erano raggiungibili esclusivamente con scalette a pioli dall'aria non molto rassicurante.

Dimenticai anche il motivo per cui ero entrata lì, catturata da un rifornito settore in cui le copertine erano di un arcaico cuoio odoroso. Trasmettevano un'impressione di vissuto, così intensa da togliermi il fiato. C'era qualcosa di strano, in quei libri. Non sapevo di cosa si trattasse, ma per qualche motivo mi piaceva. Mi sentii trasportata in un'epoca remota, in cui la letteratura aveva ancora un valore per la società.

La quiete che lì regnava sovrana trovò rifugio anche nel mio petto. Era una pace sacra, così delicata e sottile che sarebbe stato sufficiente un nonnulla, per...

«Anche questo inutile...ma perdindiffa!» Ecco, appunto.

L'esclamazione su seguita da un tonfo così sgraziato da farmi male al cuore. Ero sicura si trattasse di un libro deludente lanciato irrispettosamente per terra. Non potevo tollerare un tale insulto alla letteratura.

«Quel libro non ti ha fatto niente!» corsi subito in difesa del malcapitato, raggiungendo Padma per raccogliere il testo che aveva buttato a terra. C'erano una dozzina di altre possibili vittime sparse sul tappeto persiano e su un'ampia scrivania di mogano: da libretti leggeri a volumi che raggiungevano i quindici centimetri di spessore.

«Appunto, non mi ha fornito nessuna informazione utile al Cerebrum» rispose con noncuranza, già intenta a sfogliare un altro tomo.

Roteai gli occhi. Causa persa.

«Cosa stai cercando?»

«Non capiresti.»

«Se non me lo dici non capisco di certo.»

Ricordai il motivo per cui ero venuta – finalmente – nella biblioteca dell'Ephia: proprio per cercare Padma. Avevo completato tutti i cebrim richiesti del Terzo Livello e mi chiedevo cosa ci fosse dopo. Al momento, però, sembrava parecchio impegnata...

Raccolsi in una colonna ordinata alcuni dei libri che aveva già visionato. Le copertine in cuoio erano prive di scritte identificative. Anche il retro e il dorso, vuoti. Per curiosità ne aprii uno.

Sgranai gli occhi. «Sono scritti a mano!»

«Alcuni sì. Si tratta di istruzioni per sviluppare cebrim, appuntate dagli Ephuri che per primi li hanno avuti. Motivo per cui, vengono continuamente aggiornati con ogni nuova capacità che si sviluppa. Sono molto preziose, per cui trattali con cura.»

«Ma...» Ha parlato quella che ne ha appena lanciato uno a terra.

«Li comprendo perché sono scritti in Ephiano» dedussi, scorrendo gli occhi su alcuni passaggi per sviluppare un cebrim... che eliminava i brufoli?

«Quindi questa biblioteca potrebbe essere potenzialmente infinita» ragionai, osservandomi intorno con nuovi occhi, «perché è infinito il numero di cebrim che si possono sviluppare?»

«Sì. Infatti ce ne sono molte assai più vaste. In genere, più un'Ephia è antica e popolata, più le biblioteche sono fornite di cebrim, perché la conoscenza sviluppabile si somma nei secoli e quindi si ritiene che gli Ephuri delle Sette famiglie siano per questo più potenti... ma non è scontato che leggendo queste istruzioni si sviluppino determinati cebrim, perché ogni mente è unica e diversa dall'altra, adatta o meno a determinate capacità.

«Anche per questo il percorso di apprendimento è individuale, al di fuori dei cebrim di base che è necessario sviluppare. Uno dei punti fondamenti dell'essere Ephuri è quello di sviluppare al massimo la propria mente con nuove abilità. Se sono nuove e originali, possono essere messe per iscritto e raccolte in una di queste biblioteche, così la conoscenza ottenuta non va persa e c'è la possibilità che altri, in futuro, possano ottenere un cebrim simiguale.»

«Aspetta, intendi dire che tutti questi libri sono stati scritti dagli abitanti di questa Ephia?»

Lei emise un verso di scherno. «Ti pare? Ma no, figurati. Solo quello. E quello... e quello...»

Prese a indicare diversi manuali. «Che ho scritto io. Gli altri sono delle copie di quelli di Roma – centro principale della famiglia Cervini. Altri ancora... potrei averli rubati di nascosto una volta o due...»

«Che cosa?» squittii.

«Shh, non farne un dramma. A Roma ci sono certi disgranfami malfisleali! Non se ne sono nemmeno accorti...»

«Ci vai spesso?»

«Dove?»

«Non so, allo zoo? All'Ephia di Roma, ovviamente.»

«Dipende da cosa intendi con spesso...»

Con uno sbuffo stanco, avvicinai uno sgabello e mi accomodai anche io alla scrivania. Certe volte comunicare con Padma è davvero complicato...

«Parlami di queste famose sette famiglie. Mi è sembrato di capire che anche i Cervini ne fanno parte...»

«Sono sette.» Grazie, hai ribadito l'unica cosa che sapevo.

Per fortuna proseguì subito dopo: «Mindsmith, la cui Ephia centrale è a Londra ma dominano praticamente tutti i paesi anglofoni, Stati Uniti compresi. Cervini, in Italia. Khalil, Egitto e Africa settentrionale. Razumov, Russia. Abutres, Portogallo e Sudamerica... e infine i Long, in tutta l'Asia a esclusione dei paesi russofoni.»

Sgranai gli occhi. «Mindsmith? Ma quindi... aspetta, Khalil... Wala è una Khalil, vero?»

Avevo letto quel cognome su una lista che mi aveva fatto firmare Oliver, oltre all'Attestato di presenza.

«Riguardo ai Mindsmith, è una lunga storia. E non so bene cosa sia accaduto a Wala o che ci faccia qui. Non è proprio loquace quando si accenna all'argomento e io comunque non ho insistito perché non mi importa. Hai visto come detesta Luna? Chi non ha rispetto per i gatti non merita la mia-»

«Che mi dici dei Long?» la interruppi, prima che discostasse troppo l'argomento.

Le sue labbra parvero seccarsi all'improvviso, risucchiandole il fiato. «Non c'è molto da dire.»

«Quella signora... Yordanka. Clara ha accennato qualcosa riguardo a un...» mi sforzai per ricordare. «Long Mu Chen. Ne sai qualcosa?»

Il libro che stava leggendo si chiuse di scatto. Ahia. Forse ho esagerato con le domande.

«È l'Epharca a capo della dinastia Long. Mi dispiace ma mi è stato vietato di dirti di più. Sappi solo che... non è un tipo raccomandabile. Come la maggior parte di quegli inf... politici. La società Umanente è molto più complerticolata di come possa sembrare e non tutte le Ephie sono come la nostra. Ci sono tanti scheletri che strabordano da armadi più grandi anche di questa biblioteca...»

Aggrottai la fronte, e tacqui. Percepivo dalla sua voce che desiderava davvero dirmi di più. Ma finché non avessi completato il Terzo Livello, purtroppo, ero ancora fuori da tutte quelle faccende.

«Me ne hai dette sei» mi resi conto, solo in quel momento. «Qual è la settima famiglia?»

«Ah, sì, vero. I Detentori del Dono. Si sono estinti con la guerra. Liss è l'ultima sopravvissuta.»

«Quale... dono?»

«Non lo so con esattezza. È sempre stato lasciato un alone di mistero sulla faccenda, forse per proteggerli. Si sa solo che è un cebrim, l'unico e solo, che si trasmette per eredità a un membro per generazione, fin dalle origini dei tempi. L'ultima ad averlo avuto è stata la madre di Liss, che l'ha usato per sconfiggere l'Erede di Arkon.»

«E Liss ha...»

«No, lei non l'ha ereditato, quindi il Dono è andato perduto. L'unico dono che ha quella serpe è riuscire a farmi incanfuriare con insinuazioni insensate e con stupide competizioni...»

Ridacchiai, poi mi alzai per gironzolare a sbirciare in giro. Chissà di che tipo di Dono si trattava, e perché gli Arkonanti si erano impegnati tanto a cancellarlo dalla faccia della terra. C'erano altre mille domande che avrei voluto fare, sul Consiglio, su quei misteriosi Delphini, sugli Ephuri in generale. Con Padma, tuttavia, mi veniva sempre l'istinto naturale di godermi il momento per quello che era.

Annusando il profumo della carta, non potevo fare a meno di contemplarne la sacralità. L'avevo percepita fin da subito, entrata in libreria, senza capirne il vero motivo.

Libri scritti a mano. Decine di diverse calligrafie, il prodotto diretto della mano che strusciava sul foglio e del pennino che spargeva strisce di inchiostro... già solo per quello, a mio parere, quei libri erano un bene prezioso. Buffo, inoltre, che gli Ephuri, che potenzialmente potevano fare tutto, non adoperassero tecnologie – o cebrim che le imitassero – per velocizzare il processo come si era soliti fare nella società contemporanea.

Forse è per mantenere l'unicità di ogni opera, supposi. Perché ogni volume sia irripetibile come la mente dell'Ephuro che l'ha generato.

Sfilai un libro dalla copertina in cuoio nero. Uno strano presentimento aveva attirato la mia attenzione. Compresi il motivo già con la prima pagina.

«Questo è vuoto!» esclamai, turbata come se si trattasse di un imperdonabile difetto di fabbrica.

«Non ci hanno ancora scritto dentro, no. Qualcuno deve averlo lasciato fuori posto... se Lauren lo scopre dovremo scontare tutti almeno una settimana di punizione a ordinare il magazzino. Mettilo dietro quella porta al fondo di quel corridoio, nell'archivio.»

Dopo un attimo, Pad sollevò lo sguardo, notando che non mi ero mossa di un passo, il manuale vuoto ancora inchiodato tra le mani, mentre un'idea sciocca non si decideva a scollarmi gli occhi dalla pagina bianca.

«Lascia perdere» disse però Padma, intuendo cosa mi ruzzolava tra i ricci annodati che mi avvolgevano il cervello. «Non sei certo la prima ad avere il cebrim dell'Architettura. Temo dovrai aspettare cebrim più originali per aggiungere un tuo spazio in questa biblioteca. Come... il curinghiozzo!»

«Il che?»

Padma mi rispose lanciandomi un piccolo manuale, che afferrai al volo. Lessi le prime righe, scritte con una calligrafia tondeggiante e minuta, che non riusciva a mantenere le righe parallele al bordo dei fogli. Decisamente scritto da Padma.

«Serve a curare il singhiozzo. Sai, a volte può essere davvero fastidioso.»

La fissai, in attesa che ammettesse di star scherzando. «Dici seriamente?»

«Mai stata più seria.»

«Se vuoi saperlo esiste anche un cebrim per far crescere unghie perfette senza prendersi la briga di doverle curare troppo o mettere quelle finte. E anche uno per togliere l'elettricità dai capelli, e... quello per grattarsi in parti del corpo difficili da raggiungere, tipo la schiena e-»

«Mi stai prendendo in giro.»

«Se non mi credi, leggi qui. Come credi che abbia fatto a raggiungere il numero di trecentotrentaquattro cebrim? E sono nella media Ephura. La maggior parte dei cebrim sono piccolezze utili proprio per la vita di ogni giorno.»

Scossi la testa, sconvolta. «Non ho parole.»

Dopo essere andata a riporre il libro nell'archivio, tornai con un nuovo dubbio a rosicchiami i pensieri. «Pad... ma se i cebrim sono manipolazione della realtà tramite il pensiero razionale, com'è possibile che invece alcuni si attuino in automatico con l'istinto? Come, ad esempio, il cebrim delle arti marziali, o del parkour... le due cose non collidono tra loro?»

Padma si voltò verso di me, le sopracciglia aggrottate. «Ecco... non ci avevo mai pensato, in realtà. Credo che sia semplicemente perché i cebrim sono la manifestazione del nostro potenziale sopito, che quindi può manifestarsi in modo sia consapevole che automatico. Le due cose non si escludono per forza. Magari c'è una parte di noi che è conscia senza che ce ne rendiamo conto e fa quindi reagire il nostro corpo di conseguenza.»

Deglutii un groppo amaro. Le sue parole avevano confermato proprio quello che temevo. «Quindi... è possibile che esistano cebrim in grado di attuarsi inconsciamente? Magari... nel sonno?»

Lei storse il naso in una smorfia. «Cosa stai cercando di dire?»

«Ecco, io...»

Non avrei mai saputo come proseguire la frase. Per fortuna venni interrotta dal tonfo del portone della biblioteca, seguito dalla voce acida di Liss: «Oh, ma guarda un po', ci sono le tue amichette del cuore!»

Poco dopo, la ragazza spuntò da dietro uno degli scaffali, insieme a Yoann, avvolto in una coperta morbida, i capelli fradici e il volto arrossato. Il corpo intero era scosso da violenti tremori e i denti non riuscivano a smettere di battere tra loro.

«Yoann, tutto bene?» mi preoccupai subito.

«A-al-la gr-an-ande...»

Si affrettò a sedersi accanto a un termosifone indicatogli da Liss. Probabilmente erano venuti nella biblioteca perché era l'edificio con i caloriferi più vicino alla scuola. Dal momento che gli Ephuri erano soliti ignorare la temperatura circostante, non tutti gli edifici erano provvisti di riscaldamento.

«Deduco che la lezione di Antìlipsi non sia andata proprio a gonfie vele.»

«È la terza volta che fallisce» spiegò Liss, le braccia incrociate al petto e un'espressione scocciata al posto del viso, «Ogni volta Lauren interrompe la refrigerazione per non rischiare che lo uccida. Fosse per me, io tenterei di andare giusto un goccio più in là. Certo, il rischio c'è, ma... e non guardarmi così, dai, sei un Ephuro, datti una svegliata!»

Yoann, che aveva risposto alle sue parole con dei feriti occhioni da pesciolino ferito, abbassò lo sguardo continuando a tremare. Lo consolai mentalmente inviandogli emozioni di supporto. L'esperienza nella camera refrigerativa era stata una delle peggiori della mia vita, anche solo l'idea di doverci entrare più di una volta... mi sentii fortunata per aver sviluppato l'Antìlipsi al primo colpo.

«Comunque, che ci fate qui? E di che parlavate?» Liss si rivolse a me e Padma, poggiando con impeto i palmi sulla scrivania, che fu scossa da un brivido tale che per poco non caddero alcuni dei libri che non avevo ancora ordinato. Sarà anche bella e delicata come un unicorno, ma ha la grazia di un elefante.

«Discorsi piccanti?» insistette.

Aggrottai le sopracciglia. «No, io ero venuta solo a cercare Padma perché ho completato il Livello e mi chiedevo cosa devo fare ora...»

Notai Yoann irrigidirsi appena. Mi chiesi se non avesse preso male il fatto che l'avessi superato nonostante fossi arrivata dopo. Lui, in effetti, mi ha sempre aspettata...

«E tu?» Liss assottigliò lo sguardo sull'altra ragazza. «Rispondi alla mia domanda, serpe.»

Sobbalzai. Quell'epiteto suonava così male, su di Padma.

«Passo molto tempo qui, dovresti saperlo» rispose con semplicità lei. «E adesso, nello specifico, stavo cercando qualche cebrim utile da sviluppare.»

«Per che cosa? Spiarci meglio?»

«Ancora con questa storia?» saltò su Pad, offesa.

«Non te la prenderesti tanto, se non fosse vero!»

«Se fosse vero, credi che ti permetterei di continuare a portare avanti questa assurda teoria?»

«Un attimo» mi intromisi. «Di che state parlando?»

Le iridi cremisi di Liss sfrecciarono verso di me, più rapide e letali dei suoi coltelli. «Non lo sapevi? Padma è una spia.»

Puntò l'indice ossuto verso di lei, per ribadire,tagliente: «Una maledetta spia Arkonante».

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