33.Parkour
Non atterrai propriamente in piedi. Per la precisione, rotolai.
La mia capriola in aria si trasformò con delicatezza in una capriola sul pavimento della hall dell'aeroporto.
L'ho fatto davvero? Continuavo a chiedermi, mentre, senza rallentare, trasformavo il capitombolo in una corsa forsennata, il cuore che batteva i tamburi della vittoria nelle mie orecchie. Ho... volato?
La sensazione era stata quella. La leggerezza che all'improvviso aveva ridotto il mio corpo a quel movimento fluido, quasi semplice. Avevo l'impressione che fossi nata per farlo.
Era venuto naturale.
Ma Isidoro era ancora dietro di me, e di certo anche lui era in grado di compiere salti del genere. Mi gettai sulle porte, spalancandole con l'impeto della mia stessa corsa. Ignorai il dolore dell'impatto e continuai a muovermi mentre l'improvvisa sferzata di calore del sole mi accecava.
Una rapida occhiata ai pullman posteggiati. Ce n'era giusto uno in procinto di partire. Svoltai nella sua direzione, l'adrenalina ad accelerarmi i movimenti e a gettare carburante sulle fiamme di impulsività che correvano lungo tutto il mio corpo.
Mise in moto. Cominciò ad avanzare, ma io non rallentai. Non mi sfuggirai, mi convinsi. Ero riuscita nell'impossibile, non mi sarei fatta fregare da un banale autista.
Quando fui a un metro virgola quindici dal retro del pullman che incrementava di velocità minacciando di allungare quella distanza, compresi che non c'era più tempo da perdere. Il concetto era lo stesso di una molla: per distendersi doveva essere schiacciata. Per saltare avrei dovuto prima raggomitolarmi, e poi levarmi di ogni freno. Volare.
L'ultima ampia falcata della mia gamba destra accartocciò le gambe, che si piegarono più a fondo possibile, insieme alle braccia. Il mio mento arrivò a sfiorare l'asfalto della strada, e poi...
Via. Le braccia mulinarono in aria e le mie gambe calciarono sgraziate il nulla nell'attimo in cui temetti di aver calcolato male qualcosa. Ero un goffo passerotto appena caduto dal ramo più alto dell'albero. Rischiavo di spaccarmi tutte le ossa fracassandomi al suolo.
Invece, all'ultimo ricordai come funzionassero le ali. La mia mano destra si aggrappò appena allo spigolo, purtroppo arrotondato. Produssi un suono fastidiosamente simile a quello delle unghie su un vetro, ma sfruttai lo stesso quel piccolo sostegno come spinta per la gamba sinistra, che si appoggiò con un ginocchio sul dorso in acciaio. Un leggero sforzo, e mi trovai seduta sul fondo del tetto del pullman che prendeva velocità. Ce l'ho fatta, mi resi conto con stupore misto a orrore. Sono davvero io?
Vidi le porte dell'entrata dell'aeroporto spalancarsi con violenza, sputando fuori Isidoro. Il terrore mi serrò gli occhi e risucchiò il mio fiato.
Lui, invece, appena un paio di passi dopo, si fermò. Una gamba avanti all'altra, il petto ancora ansante per la corsa arrestata all'improvviso. Fissò il mio pullman che si allontanava.
Senza fare niente. Cosa sta tramando? mi chiesi. Di sicuro conoscerà mille modi diversi per raggiungermi, perché allora non lo fa?
Si ricompose, riassumendo subito l'inquietante serenità di cui era sempre impregnato. Si ravviò i capelli con un gesto distratto della mano e, a passo leggero, rientrò dentro l'aeroporto. Il mio sguardo restò magnetizzato in quel punto fino a quando il pullman virò, inforcando la strada, e alcuni alberi e segni stradali si interposero tra me e l'edificio.
Doveva essere un trucco. Una trappola, forse. Sì, c'era sicuramente una spiegazione. Dovevo restare vigile, ero sicura che Isidoro avesse intenzione di prendermi alla sprovvista in qualche modo e...
Qualcosa mi impattò contro all'improvviso. Sentii solo la spinta improvvisa e la mia posizione che si sradicava. Persi la presa.
Ecco, ci siamo. Che illusa che ero stata, a pensare di cavarmela con un paio di saltini...
Di nuovo, fu la scaltrezza inaspettata dei miei movimenti a salvarmi: mi aggrappai a un appiglio sul retro del mezzo, che sfruttai per risaltare su. Mi osservai intorno, alla ricerca di tracce di Isidoro, che però non trovai.
Mi voltai indietro, per scoprire che a colpirmi era stato... un cartello stradale. Un classico.
Quella consapevolezza mi fece ridere. Certo, nella caduta mi ero sgualcita una manica, e un piccolo taglio difficile da spiegare ai miei genitori mi attraversava, colpevole, il braccio. Però... ero letteralmente sul tetto di un pullman che sfrecciava in autostrada. Gli Arkonanti non sembravano davvero intenzionati a seguirmi, forse pensando che non ne valeva la pena, e io... ero libera. Libera, con il vento che mi infuriava sul viso costringendomi a socchiudere gli occhi. Mi annodava i capelli e mi tirava la pelle, ma non mi importava. Non esisteva sensazione più fresca e rigenerante.
Ho il cebrim del parkour, compresi. La consapevolezza dei limiti umani che si arrendevano, inermi, al cospetto al mio Cerebrum, mi riempì di euforia. Tutte le volte che avevo osservato con invidia i tracciatori – gli Ephuri – desiderando di essere come loro. Non immaginavo neanche lontanamente quello che si provava in realtà. Anche quando mi era stata illustrata la mia natura non avevo realizzato effettivamente che io ne sarei stata mai davvero in grado.
È tutto fuori da ogni razionale concez-
Un moscone mi si infilò in bocca e passai i successivi cinque minuti a tossire. Scorgendo, subito dopo, un secondo segnale stradale, mi affrettai a retrocedere, sfiorando con la schiena e con la nuca la copertura d'acciaio. Mi passò in un lampo davanti agli occhi, quattro centimetri e nove millimetri dal naso.
Mi rialzai, un piccolo tornado a vorticarmi nel cervello. Forse sarebbe più saggio scendere, mi dissi. Quantomeno avrebbe avuto senso. Era quello che avrebbe fatto una ragazza sana di mente.
Non scesi. Che non lo fossi era chiaro fin da quando, alla Dora, mi ero gettata a capofitto ad aiutare Yoann, senza nemmeno sapere quale minaccia mi trovavo ad affrontare.
Chissà se i passeggeri all'interno del pullman si erano accorti della mia presenza. L'autista non aveva certo dato segni di voler andare a controllare cosa fosse precipitato sul tetto, per cui supposi di no. Dunque perché non approfittare di quel piccolo servizio gratuito?
Sarei rimasta sulla sua groppa, disposta a lasciarmi trascinare in qualunque via avesse intrapreso. Fino a quando non sarebbe giunto il momento di saltare giù.
Le coperture di Torino non erano ottimali per barcamenarsi in acrobazie troppo spericolate, perché erano, almeno nella mia zona, quasi tutte a due falde; di tegole, per giunta. Quando le prime case avevano sostituito i campi verdi avevo capito che la copertura del pullman non era più il punto ideale per un viaggio comodo, così ero scesa. Non possedevo ancora nessun cebrim di illusioni per potermi nascondere alla vista dei Letargianti, per cui era meglio evitare possibili scandali.
Sparita la necessità della fuga e della sopravvivenza, si era fatto più difficile volteggiare tra gli edifici, com'era nei miei piani iniziali, fino a casa. Avrei fatto prima e mi sarei anche divertita di più, ma purtroppo non avevo ancora maturato un livello di parkour tale da potermi muovere in città come facevano gli altri Ephuri.
Tuttavia, era un primo passo. Anzi, un primo salto. Il primo di molti.
Dopo aver preso un altro autobus per un paio di fermate, giunsi finalmente a casa. Ero scompigliata dal sudore, i muscoli doloranti, con una ferita che pulsava il bisogno di essere medicata e lo stomaco che brontolava.
Come posso giustificarmi, questa volta?
Suonai il campanello. Salii le scale. Trovai la porta già aperta, dove mi attendevano i miei genitori. Ormai si erano fatte le nove, chissà cosa erano andati a pensare.
Appena feci capolino davanti a loro, mia mamma si portò le mani alla bocca, sconvolta. L'idea mi piombò in mente solo in quel momento, improvvisa come un meteorite che distrugge ogni possibilità di ragionare sulle conseguenze. Ogni migliore bugia, in fondo, contiene un pizzico di verità...
Papà fece per parlare. Lo anticipai, pronta a beccarmi la strigliata che ne sarebbe seguita: «Mi sono iscritta a un corso di Parkour».
Avvertenza! Il prossimo capitolo potrebbe essere un po' disorientante, perciò vi avverto: si tratta di un pov diverso da Liv. Presenterà inoltre delle particolarità... grafiche da interpretare. Spero sia comprensibile, ma in caso mi direte.
Lettori avvisati, mezzi salvati!
꧁ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA꧂
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