29.Segreti

Dopo cena, mi rinchiusi in camera e lavorai con entusiasmo al progetto del Clypeus, quasi fino alle tre di notte. Definii ogni particolare con minuziosa attenzione, tenendo conto dei punti illustrati durante le lezioni. Dopodiché mi appisolai e mi risvegliai che erano solo le cinque. Provai a riaddormentarmi, ma le mie palpebre non ne volevano sapere di calarsi sugli occhi stanchi.

Ero più esaltata di una centrale elettrica. Il mio progetto era pronto... serviva solo la conferma finale di un esperto, ed ero così ansiosa di muovere quel passo avanti tanto agognato... Non posso aspettare.

Mi misi seduta con un movimento fulmineo, impaziente di avere un responso. Non mi andava nemmeno di attendere che facesse giorno per andare all'Ephia a chiedere a Lauren se il mio progetto fosse adatto.

Però... Così come mi era stato insegnato a "inviare" i pensieri, ero anche in grado di trasmettere immagini, concetti e idee. Teoricamente, se la sua porta fosse stata aperta, avrei potuto trasmetterle direttamente il mio progetto e questo avrebbe oltrepassato il Clypeus per raggiungerla. Infatti lo scudo mentale impediva di penetrare ma non di ricevere "sms mentali".

Durante una delle prime lezioni, la giovane insegnante si era persino resa disponibile a ricevere nostre domande "in qualunque momento". Qualunque momento comprende anche le cinque e mezza del mattino?

Decisi di no. O meglio, probabilmente sì, ma non mi andava di correre il rischio contrario. Lauren era già parecchio spaventosa la maggior parte delle volte, da arrabbiata sarebbe stata terrificante.

Non mi resta che andare all'Ephia. Quatta quatta, mossi alcuni passi verso l'armadio, tentando di non fare alcun rumore mentre mi vestivo. Se mamma e papà mi scoprono a uscire a quest'ora... meglio che non lo scoprano.

Dopo essermi infilata nei primi abiti che mi capitarono sottomano, uscii piano dalla camera. L'unica fonte di illuminazione era l'alone di un lampione in strada, nascosto però dietro la cappa della tenda sciolta sulla finestra. Devo fare attenzione a non-

Colpii il divano con un piede. Ecco, proprio questo. Per fortuna non fece troppo rumore, anche se la fitta al mignolino fu atroce. Agonizzai in un dolore muto per un po', poi indossai le scarpe, feci scattare la serratura della porta d'ingresso e mi chiusi l'anta alle spalle. Tirai un sospiro di sollievo. Non mi avevano sentita. Sto proprio diventando una ragazza trasgressiva.

In ogni caso, non si sarebbero accorti di nulla. La domenica erano soliti svegliarsi verso le dieci, e per quell'ora contavo di essere già tornata a casa. Mi avrebbero trovata nel letto come ogni mattina, assonnata e... con un Clypeus davanti alla porta che non potevano vedere.

Una volta scese le scale e piombata nella strada nascosta sotto una coperta di silenzio e ombre, mi resi conto di quel che stavo facendo. Mancava ancora una buona mezz'ora alle prime luci, ed ero da sola. Potevano esserci degli Arkonanti in agguato...

No, mi dissi, a quest'ora dormono pure loro.

Non ne incrociai nessuno, miracolosamente. Giunsi nei pressi dell'Ephia che già le prime timide luci facevano breccia nella notte, rischiarando il cancello dorato che la circondava. Rallentai il passo, ammaliata e rilassata da una visione così sublime. Visitavo l'Ephia praticamente tutti i giorni, eppure in ogni occasione sembrava assumere un colore, una sfumatura o un profumo diverso.

Chissà come mi sarebbe apparsa quando avrei sviluppato i cebrim che acuivano la vista, l'olfatto, o gli altri sensi. Chissà che forma avrebbe assunto la città, vista dalla copertura di uno dei palazzi circostanti...

Il cebrim del parkour. Era uno di quelli che desideravo avere più ardentemente. In fondo, era cominciato tutto con i tracciatori: la mia invidia, il desiderio di saper fare ed essere come loro.

Eccomi qui, mi dissi, ci sono quasi.

Superato quell'ultimo passaggio fondamentale, il Secondo Livello sarebbe stato completato e avrei cominciato ad ampliare il risveglio del mio Cerebrum aggiungendovi abilità sempre più complesse a varie. Sono davvero pronta? Avrei scoperto come superare ogni limite umano e raggiungibile, così da avvicinarmi sempre più all'equilibrio, come aveva detto...

Michael. Mi bloccai.

Era appena sbucato fuori da Via Cuneo, quella che si buttava ortogonalmente su Corso Vercelli, in cui mi trovavo al momento. Per la precisione, arrivava dalla via che intersecava Centro e Periferia dell'Ephia. Con una mano trascinava una valigia che borbottava rumorosamente sull'asfalto, e con l'altra reggeva una tracolla da viaggio. Sul capo era calato un borsalino nero che richiamava le bordature della giacca e sembrava fondersi con la lunga treccia lucente che gli scendeva lungo la schiena.

«Michael, ti prego, non puoi andartene così!» La voce era quella di Daniel. Lui e Clara fecero capolino nel mio campo visivo. Entrambi avevano cespugli scompigliati in testa e pantofole ai piedi, per cui dedussi si fossero appena svegliati. Nessuno dei tre parve notarmi.

«Non di nuovo» aggiunse Daniel, la voce spezzata.

Anche il tono usato era meno elevato, tanto che percepii appena quelle parole. Dovettero però colpire Michael, che si fermò. Dalla mia angolazione era di spalle, ma lo vidi distintamente abbassare il capo.

«Devi almeno fornirci una spiegazione motivata» insisté Clara, ferma nella sua posizione. In quel momento la sua fermezza e solidità mi ricordarono tantissimo Lauren. Non era difficile capire da chi avesse preso.

«Non posso.» Si voltò. Un semplice gesto di gentilezza, supposi, dato che di sicuro li percepiva benissimo anche rivolgendogli le spalle. «Vi prego solo di rispettare la mia scelta e di non cercarmi. Se vi chiedono di me, voi non mi avete mai conosciuto.»

«Aspetta» insisté il signor Mindsmith, fermandolo prima che si girasse di nuovo per andarsene. «Facci capire almeno come possiamo aiutarti, di qualunque cosa si tratti.»

L'espressione che non lo osservava, dietro gli occhiali scuri, era meno interpretabile di un libro sigillato dentro una copertina senza scritte. «È un problema che non ha soluzione. È il problema che rende torbida l'acqua dell'oceano in cui tentiamo disperatamente di navigare, è lo stesso che...»

«Ti abbiamo chiesto delle risposte. Non è il momento di filosofeggiare, Makya.» Il tono di Clara fu glaciale, e quell'ultimo nome, pronunciato con spietata cura fonetica, fu un pugnale mirato al punto giusto. Lo capii perché persino alla sua corazza imperscrutabile sfuggì un fremito a tradirlo.

Si ricompose subito. «Hai ragione, Clara. Meglio che io vada, rischio di perdere il volo.»

Senza aggiungere altro, si voltò e proseguì a passo quieto verso un'auto bianca su cui svettava un cartellino. Un taxi, compresi. Lo vidi scambiare alcune parole con il conducente, che aprì il bagagliaio per infilarci dentro la sua valigia. Michael tastò gli sportelli come se quello fosse l'unico modo che aveva per percepirli e schivarli, trovò la maniglia ed entrò, prima con una mano e poi con il capo. Si comporta proprio come un non vedente Letargiante.

Clara e Daniel lo seguirono fino a lì. Dato che erano rivolti verso di lui, da dove mi trovavo distinguevo nitidamente i loro profili. Se nella donna il viso aveva assunto una piega più dura della pietra, quello dell'uomo sembrava scavato da un profondo dispiacere misto a delusione. Tra i due era sempre stato lui quello più legato a Michael, dal modo in cui lo guardava sembrava quasi considerarlo una sorta di fratello maggiore.

Mi avvicinai senza curarmi di fare silenzio, catturata da quella scena. Perché Michael se ne sta andando?

Lo conoscevo appena, eppure le sue parole avevano messo un seme nei miei pensieri, che pensavo fosse sbocciato nei meandri della mia mente. Un fiore. Me lo sentii appassire dentro il cranio. Troppa poca luce.

«Ammettilo,» Clara si era sporta al finestrino, «è perché hai paura.»

Non c'era pietà nella sua voce, ma nemmeno insensibilità. Solo piena consapevolezza del significato di quella parola.

Aguzzai l'orecchio per sentire la sua risposta: «Non immagini neanche quanta».

A quell'amara conclusione, dei brividi mi formicolarono su per le braccia. Quando Clara si fu ritratta, il taxi accese il motore e cominciò a muoversi. Neanche il tempo di schiudere le labbra per salutarlo o riempirlo di domande, che era già al fondo della strada. Quando l'auto sparì alla vista della coppia, vidi la mano di Daniel cercare quella di Clara e la sua fare altrettanto. Appena si incontrarono, stringendosi in una presa delicata ma salda, parvero sciogliersi entrambi.

«Perché ancora non si fida di noi?» La voce di Daniel trasudava tristezza e delusione.

«Non lo so, Dan» lo carezzò lei, «non lo so. A volte ho l'impressione che non siamo mai riusciti a salvarlo davvero. I demoni che lo inseguivano quando l'abbiamo trovato sembrano ancora...»

Clara si fermò, lasciando sospeso a mezz'aria il seguito delle sue parole. Si voltò di scatto verso di me. All'improvviso mi sentii un'impicciona, invadente... spia.

«Liv.»

«Che è successo?» non potei fare comunque a meno di chiedere.

«Non ti facevamo così mattiniera» sogghignò Dan, ritrovando il sorriso, «comunque stavamo solo salutando Michael. Andrà a stare dai suoi parenti... per un po'

E come mai? fu la domanda che mi scolpii sulle sopracciglia aggrottate, senza pronunciarla a voce, ben leggibile anche senza sbirciare dietro la mia porta.

Clara mi si avvicinò con un sorriso, la tensione e la rabbia già sparite dal suo volto. «Adesso non devi preoccupartene. Piuttosto, ti serve qualcosa?»

Cercai nei suoi occhi nocciola una traccia di malessere. Erano bravi, sia lei che Daniel, a nascondere ciò che li turbava. L'Ephia, gestita da loro, era una distesa incolta di benessere, eppure qualcosa ribolliva sotto la superficie. Le frecciatine di Wala. L'arrivo tempestivo di quella Yordanka. I turbamenti degli altri Ephuri. I loro cenni riguardo a qualcosa accaduto a Pechino. Spesso vedevo Ewan ed Elias confabulare tra loro e lanciare occhiate ostili a chiunque li notasse. Più volte mi sembrava sottintendessero altro in alcuni discorsi, come tacessero qualcosa a noi novizi. E adesso... questo.

«Niente» sorrisi loro. Se tanto non avevano intenzione di condividere nulla, perché disturbarsi a insistere? Avrei fatto prima a scoprire tutto per conto mio.

Il dubbio scompigliò per un attimo quell'illusione di serenità sul suo viso. Poi i due fecero per dirigersi verso l'Ephia. Prima di andare, Clara mi fece un cenno affettuoso porgendomi il mento, per indicarmi di seguirli. Quell'accoglienza mi generò un piccolo abbraccio di calore nel petto. Certo, non erano tantissimi i frequentatori dell'Ephia, ma non erano neanche così pochi. Loro, però, si prendevano la massima cura di ciascuno, trattando come parte della famiglia chiunque capitasse sotto la loro ala.

Non era per farmi un torto che mi nascondevano i turbamenti. Era per proteggermi.

E probabilmente era la stessa ragione per cui Michael non diceva la verità sulla sua partenza.

Quella, e molte altre verità di cui custodiva, geloso, il segreto.

«Vi raggiungo più tardi» emisi in un fiato, facendo dietrofront. Corsi verso la fermata senza aspettare di scoprire quale sarebbe stata la loro reazione.

Quello che avevo intenzione di fare non aveva il minimo senso logico. I miei genitori si sarebbero preoccupati nel non vedermi in casa al risveglio. E di sicuro non avrei chiarito neanche la metà di un quarto di dubbio. Però valeva la pena tentare.

Sempre se ce la farò in tempo... da qui come accidenti lo raggiungo l'aeroporto?

Liv alle cinque del mattino riesce a essere più sveglia ancora del solito, sorprendente! Chissà dove la porterà questa sua genialata. Chiaramente non vuole prendere l'aereo, ma solo parlare con Michael prima che parta.

Inutile che vi dica di tenere a mente quanto ha origliato in questo capitolo. Anche se per il momento non avete gli strumenti per intuire alcunché, sappiate che c'è tutta una questione grossa dietro... che verrà fuori solo nel secondo libro ahahah

Comunque la seconda parte è quasi conclusa, poi si entrerà nella parte centrale della trama... pian pianino. Lo so, la storia è un po' lenta, spero solo non sia noiosa ahahah :')

Buona lettura e grazie di essere passati ❤️

ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA

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