Mentre ci inerpicavamo su per le scale del dormitorio, uno strillo acuto e furioso si propagò dal primo piano.
«Dov'è quella gatta? Odio. Quell'orrida. Bestiaccia.» Le parole di Wala ci arrivarono forti e chiare.
«Ma cos'ha contro Luna?» non potei fare a meno di chiedere. Sapevo che nei primi tempi Yoann e Wala erano stati amici, e anche ora rimanevano comunque gli unici due ad abitare il primo piano. Ormai si frequentavano più di rado, ma in ogni caso speravo che lui avrebbe potuto un minimo chiarirmi le idee sul suo caratterino... particolare. Spesso, con le persone più chiuse, percepire i pensieri traspariti dalla porta non era abbastanza per farsi un'idea.
«Niente, solo che... ogni tanto lascia la porta della camera aperta e qualche abito sul letto. Luna, trovandoli comodi, ci si sdraia sopra riempiendoli di peli, oppure gioca e perde i suoi gioielli, soprattutto gli orecchini...»
«Seriamente? Solo per questo?»
«Beh, Wala tiene molto al proprio abbigliamento e all'immagine che dà di sé. Però... sospetto che anche Luna lo faccia per dispetto. Più volte le ha soffiato o ringhiato contro, forse percependo l'astio che ha nei suoi confronti.»
Quindi è stata Wala, per prima, a indisporsi contro la gattina, o è stata una conseguenza delle sue azioni? Oppure è Luna ad aver percepito qualcosa di sgradevole nella sua persona? La nonna e Padma dicono che i gatti sono più percettivi in queste cose... Non dovrei fidarmi di lei, o è solo un malinteso? ... ma perché diamine sto perdendo tempo a ragionare su queste cavolate?
«Menomale che è egiziana!» sdrammatizzai con una risatina, per chiudere il discorso. "Dovrebbe venerarli, i gatti!"
Lui sorrise al messaggio mentale che sussurrai alla fessura della sua porta mentale. Mi piaceva giocare con quel piccolo trucchetto che avevo appreso, ogni tanto.
Nel mentre, avevamo raggiunto il terzo piano. In apparenza era identico al primo: moquette rossa, ampie finestre e una lunga fila di porte con i cartellini per inserire i nomi. Eppure, le porzioni scolorite o sporche del tappeto, le pareti da riverniciare e alcuni serramenti dischiusi che contrastavano l'aria stantia mi intrecciarono nel petto un'impressione di vissuto, di amore. Di casa.
«Qui ci vivono la maggior parte degli Ephuri esperti che risiedono all'Ephia, esclusi i Mindsmith» mi spiegò Yoyo, forse percependo i miei pensieri. Mi saltò all'occhio la camera di Elias, seguita da quella di Padma e poi da quella di Michael. Non l'avevo più visto in giro, tranne qualche giorno prima, intento a chiacchierare con Daniel. Avrei voluto porgli tante di quelle domande... peccato che non ne avessi il coraggio.
«Liss, invece, è al fondo del corridoio» proseguì Yoann, scambiando il mio viso pensieroso per un interrogativo sul nome assente. «Se ho capito bene, i primi tempi li ha trascorsi direttamente nella villa dei Mindsmith perché era molto piccola... per loro è un po' come una sorella. È stata lei a scegliere di trasferirsi qui.»
E che sorella, non potei fare a meno di pensare, considerando il suo carattere indisponente e aggressivo. Però, in effetti, l'avevo vista trascorrere spesso il tempo con i due Adelphi. Mi chiesi che fine avessero fatto i suoi genitori, oltre che quelli di Elias, di Padma e, ovviamente, di Yoann. Perché abitavano lì, lontani dalle loro case e luoghi d'origine? Ancora tanti misteri si celavano non solo dietro le porte che avevo sotto gli occhi, ma all'interno di usci luminosi immersi nel nero assoluto e protetti da Clypeus.
In ogni caso, meglio non pensarci al momento. C'era altro che richiedeva la nostra attenzione. Dalla porta socchiusa di Padma, infatti, spirava un profumo di incenso, sandalo forse, che mi solleticò le narici. Ad accompagnarlo, una sottile vibrazione mi rizzò i peli sulle braccia. Era bassa, appena percettibile, eppure mi penetrava sotto la pelle. Mi sento strana.
Mentre ci avvicinavamo, inghiottì ogni altro suono presente. Non si salvò nemmeno il fruscio del vento da fuori, né il lieve ticchettio dei nostri passi sulla moquette. Come fossimo sospesi in una realtà in cui non esisteva altro che quella vibrazione risonante che ci rimbombava nei timpani. Al contempo, tuttavia, percepivo con più intensità la mia respirazione, il battito del cuore e il movimento nelle gambe che avanzavano. Io stessa mi sentivo più leggera, come se avessi perso peso tutto d'un tratto.
«Che cosa...» Yoann, percepite le medesime sensazioni, bussò piano sull'anta, senza produrre alcun rumore. Si schiuse il giusto necessario per intravedere le tende calate giù a spargere una lieve penombra. Si era formato lo spazio appena necessario per infilarci le teste dentro a dare una sbirciata. Non era il massimo dell'educazione, ma... perché no?
Mi sporsi. Oddio.
Padma era lì: le gambe incrociate nella posizione del loto, le mani giunte con i dorsi sovrapposti poco sotto l'ombelico a formare un cerchio con le braccia e con i pollici, gli occhi chiusi in un'espressione pacifica inalterabile.
E fluttuava.
A un metro virgola quindici di distanza dal letto, per la precisione. Il fumo degli incensi le si avvolgeva intorno pigro, nella lieve luce che spirava dalle tende sciolte, insieme a diversi oggetti, sospesi anch'essi – candele, palline di carta, ciabatte, anche grumi di peli di gatto.
La bassa vibrazione si era fatta talmente intensa da farmi tremare lievemente tutto il corpo. Proveniva da una sorta di ciotola in rame. Lungo la circonferenza del bordo, a tratti strusciava in senso orario una sorta di pestello in legno, senza che ci fosse mano a impugnarlo. Possibile che un oggetto così piccolo fosse in grado di produrre una tale vibrazione?
Doveva essere anche il catalizzatore che permetteva a Padma di fluttuare. Lo intuii perché non appena il suo naso si arricciò nel notare la nostra presenza, il pestello si bloccò, cadendo nella ciotola in un tintinnio. La vibrazione si arrestò con uno scatto improvviso che mi pizzicò quasi la pelle. Immediatamente, tutti gli oggetti sospesi e Pad stessa crollarono a terra, accompagnati da un fragore maldestro. Per fortuna le candele si erano spente, altrimenti sarebbe andato tutto a fuoco.
«Ahi» esclamò la ragazza con tono offeso, gli occhi schiusi a trafiggerci. «Ma grazie!»
Aprii la bocca per porre le nostre scuse, ma lei parlò prima che ne avessi la possibilità. «Avete almeno un motivo sensato per interrompere il mio Meditapacemento o era solo per rompere le scatole?» La sua voce, notai, era controllata nonostante l'evidente seccatura. Chissà, forse meditare le aveva fatto davvero bene. Sapevo che serviva, tra le altre cose, a calmare i nervi. Certo non avevo idea che favorisse anche la telecinesi e la levitazione...
«Non importa,» tagliò corto Yoann, «se sei impegnata torniamo dopo.»
«Oh no-no,» ribatté lei, rotando agilmente di lato per scendere dal letto e raggiungerci in un paio di passetti, «ormai siete qui, andate fino in fondo. Hai idea di quanto sia difficile trovare la concentrazione necessaria per la Gom? Una volta spezzata la pace e intrufolati i pensieri fastidiosi, meglio fare altro.»
«Ma... quindi gli Ephuri possono anche volare?» non riuscii a trattenermi dal chiedere.
«No» rispose subito, mentre raccoglieva gli oggetti caduti, «cioè, sì, suppongo che qualcuno in tutta la storia degli Ephuri abbia volato, sì, sicuramente. Però adesso non stavo "volando", quello era solo un effetto della risonanza spiritmensuale della campana tibetana.»
Un che? Risonanza. Dunque era così che si chiamava quella bizzarra vibrazione che avevamo percepito entrambi entrando?
Dato che Padma non sembrava intenzionata a fornire nuove informazioni, non ci restò che aiutarla a riporre tutto in ordine – se davvero ordine lo si poteva chiamare. Nella camera, seppur spaziosa, regnava un caos eccentrico ma accogliente, pregevole per la cura dei piccoli dettagli che lo componevano.
C'era una quantità tale di oggetti e cianfrusaglie varie per cui anche posizionare ogni candela in fila sulle mensole, tra decine di statuette di animali e omini di arti marziali, non faceva che rendere più affollato il tutto. Piccole lampade di carta pendevano da fili appesi un po' ovunque ad altezze diverse. Ricordavano sfere sospese di un modellino planetario ribaltato. Un tappeto rosso, attraversato da un andirivieni di articolati ornamenti d'oro, si stendeva per tutto il pavimento, colorando ulteriormente lo spazio.
«Complimenti» fu la risposta inespressiva e disinteressata Padma, quando Yoann le comunicò la notizia per cui eravamo venuti da lei. Al viso del mio amico si sostituì una maschera di delusione, che però si affrettò a sciogliere incurvando in su le labbra, mentre era intento a raccogliere grumi pelosi di Luna.
Notai che si rifugiava spesso in quell'abitudine. Se Wala teneva all'immagine che le conferivano determinati abiti e accessori, si poteva dire che Yoann facesse altrettanto con i sorrisi. Difficile capire se fossero per far stare meglio gli altri oppure se stesso.
«Ma brinderemo alla vittoria della privagretezza dei tuoi pensieri» continuò Padma, prendendo in mano la campana tibetana, «quando sarà effettiva. Sai, vero, come costruire il tuo Clypeus, dopo averlo progettato?»
«Sì, cioè... Lauren ha accennato qualcosa...»
Pad storse il naso. «Lei non è molto percettiva in questo campo, perché il suo metodo è troppo analilogittuale, mentre per farlo è necessario prima un passaggio indispensabile: trovare la tua stessa porta.»
Colpita da quelle parole, mi voltai verso di lei. Dopo aver parlato, si era fermata a osservare la campana che non aveva ancora posizionato sulla mensola in legno. «In effetti... questa potrebbe tornarci utile.»
«Mediteremo insieme a te?» chiesi allettata all'idea, sorridendo vispa. Ammetto che non mi dispiacerebbe levitare facendo om...
Quel pensiero doveva essere sgusciato fuori dalla mia porta, perché suscitò un'espressione risentita sul suo viso.
«No» ribatté secca. «Non leviterete né nulla di simile, la campana servirebbe solo a stimolare la concentrazione, se volete. E, per la cronaca, il mantra della sillaba sanscrita om sta a indicare il suono che ha dato origine alla creazione, non è solo un verso a caso che si fa per fingere di meditare...»
«Scusa» borbottai, imbarazzata. In effetti ero alquanto ignorante in merito.
Seguendo le sue indicazioni, ci posizionammo in cerchio, a formare un triangolo sformato sul tappeto con l'incontro delle nostre ginocchia. Assumere la posizione del loto era stato così complesso che alla fine sia io che Yoann ci eravamo arresi al banale mezzo loto – semplici gambe incrociate una sopra l'altra.
Giungemmo le mani con i palmi rivolti in su e i dorsi sovrapposti, destro sopra sinistro. Entrambi i pollici si incontravano a formare un cerchio con le dita, collegato a quello tracciato dalle braccia.
Nonostante il mio Clypeus non fosse ancora pronto, nel senso che ero ancora bloccata al totale vuoto di idee, Padma assicurò che anche io potevo svolgere l'esercizio di individuare la mia porta, dal momento che sarebbe comunque stato necessario in futuro, e farlo prima o dopo non aveva importanza.
«Costruire il Clypeus è molto facile. Il passaggio più complesso è quello di attivarlo nel modo più preciso. Dev'essere in totale connessione con il nostro io più profondo, dal momento che è la porta della nostra mente che protegge.»
Padma gonfiò il petto in un respiro profondo. La imitammo.
«State già sbagliando» ci rimbrottò subito, seccata.
«Ma non abbiamo fatto ancora nulla!» ribatté giustamente Yoann.
«E invece sì! State facendo come me. Non dovete respirare al mio ritmo, dovete trovare la vostra personale musica. Rispettatela. Analizzatela. Esploratela più a fondo che potete. Dovete visualizzare voi stessi.»
La campana era posta al centro esatto creato dal nostro triangolo, ma l'asticella era ancora adagiata, inanimata, al suo interno.
«Ci sono alcuni determinati tipi di vibrazioni sonore che sono altamente dannose per noi Ephuri. Tuttavia...»
Il pestello si sollevò in aria lentamente, sotto il suo sguardo. «... ne esistono alcune, rarissime, in grado di amplificare le nostre percezioni. Il suono di questa campana ne è un esempio.»
Lo strumento prese a discendere adagio. «In chi entra in contatto con la sua vibrazione più profonda, può suscitare uno stato di gom, che significa familiarizzare la mente con il mondo e con il proprio io più profondo. Non mi aspetto che possiate intraprendere un vero e proprio percorso di meditazione, perché richiede conoscenza e disciplina che si apprenparano con anni e anni di allenamento... tuttavia può aiutare a concentrarsi su chi si è davvero.»
«Come facciamo a capirlo?» mi affrettai a chiedere, prima che il pestello avesse modo di sfiorare la ciotola di rame. «Come facciamo a capire chi siamo, o a comprendere di aver trovato la nostra porta?»
Per trovare quella di Yoann mi era stato sufficiente guardare. Ma come potevo guardare me stessa?
«Una volta che l'hai individuata, lo sai» rispose pacifica. «Non dovete per forza capire chi siete, perché è impossibile saperlo del tutto. C'è sempre una parte di noi che ci rimarrà oscura. Quel che dovete fare è... comprendervi. Abituarvi a voi stessi così da rendervi familiari e quindi comprensibili. Nessuna mente è davvero chiusa dietro una porta, è solo il modo in cui la razionalità la rende tangibile ai nostri occhi, per poterla toccare con mano.»
«In che senso?» insistei. Una volta che il bastoncino si fosse incontrato con la superficie generandovi la vibrazione, nulla avrebbe dovuto interrompere la risonanza, Pad l'aveva chiarito a dovere. Quindi meglio fare tutte le domande possibili finché sono in tempo.
«Non è facile da spiegare. È tutto molto... astratto. L'identità non ha un sé, siamo noi a crearla, a dargli una forma. La risonanza, se percepita con la giusta predisposizione, dovrebbe portarvi in una dimensione inconsistente. Analizzatela e seguitene il flusso. Familiarizzare, appunto. In questo modo, potrete aprici una porta dentro e renderla tangibile.»
Avvicinò ancora il pestello alla ciotola. «Prima di tutto, però, cominciate con il porvi una domanda fondamentale: chi sei tu? Ma ricordate che la risposta non esiste.»
Perché chiedersi qualcosa di cui non c'è risposta?
Non ebbi modo di chiarificare quell'ultimo, fondamentale dubbio, perché il pestello aveva iniziato a scorrere il primo giro lungo il bordo della ciotola.
I miei occhi furono catturati da quel movimento ipnotico. Ne seguirono il flusso fino alla fine, quando il bastoncino si risollevò, lasciando il posto a un'intensa vibrazione che andò pian piano ad affievolirsi. Più il tempo passava, più la risonanza sembrava amplificarsi, facendosi così sottile da penetrare dentro e fuori di noi.
Solo quando si furono dissolti, mi accorsi dei suoni che prima avevano animato la camera. Tante piccole, impercettibili vibrazioni. Non sapevo nemmeno dare loro un nome, consapevole solo che ormai non aveva più importanza. C'era solo quel basso rimbombo, il resto era nulla, io stessa ero scomparsa dal mio corpo. Al contempo, non vi ero mai stata più in profondità di così.
Pur non vedendo i colori, mi sentivo come Yuè nel parco. Parte di tutto, e più consapevole di me stessa. Me stessa, provai a ragionare. Io.
Appena prima che il suono si spegnesse del tutto, il pestello ridiscese una seconda volta e compì un altro cerchio. La risonanza si rianimò e questa volta si prese pure il mio respiro.
Ascolta, mi dissi. Ascolta e abituati.
La respirazione era controllata: su e giù, avanti e indietro, spingere e tirare, contrarre e dilatare. Era un movimento perpetuo e oscillante, proprio come era costante il rimbombo nelle orecchie e nella pelle in fibrillazione. Era una parte del tutto, identico alle onde del mare, alle carezze del vento, al magma che scorreva nelle viscere della terra. Era mio.
Un nuovo incontro di legno e rame. Una nuova vibrazione. Il mio respiro però era sempre lo stesso. Era... abituale. Ripetitivo, prevedibile. Non mi restava che... focalizzare.
Me lo sentii riverberare fino alle tempie. L'aria che penetrava dalle narici, raggiungeva i polmoni, veniva pompata dalle palpitazioni, l'ossigeno che si espandeva in tutto il corpo, serpeggiando fino alla punta del dito mignolo e circolando nella sfera completa che formavo con le braccia e con le punte dei pollici. La stessa sfera che congiungeva il mio capo con quello di Yoann da un lato, e con quello di Padma, dall'altro. La sfera della terra stessa, che girava in continuo sul proprio asse e attorno al sole insieme agli altri pianeti. Senza fermarsi, senza smettere di girare e avanzare, spinta dal ritmo perpetuo del respiro dell'universo.
Il pestello tracciò ancora un cerchio sul bordo di rame. I miei occhi si chiusero. La mia stessa anima si fuse con ciò che percepiva ogni fibra della mia pelle.
Mens.
Erano ovunque. Erano tutto ed erano niente. Vibravano, sospesi. Un flusso catturato dalla risonanza.
Erano dentro di me. Erano me.
Nelle narici mi penetrò il mio odore. Non sapevo di avere un odore specifico, fino a quel momento. Non sapevo descriverlo, sapevo solo che era il mio.
Le mie papille gustative percepirono il gusto della saliva, nella mia bocca. Deglutii il mio respiro, senza spezzarne l'andamento. Il profumo rimasto del sandalo ancora mi vezzeggiava le narici.
La mia pelle. La sentii tramite il contatto, attraverso i vestiti, con le ginocchia di Padma e Yoann. Gli abiti non erano che un altro strato di mens: non ci separavano, fungevano da connessione. I pori della mia pelle si erano dilatati con la risonanza, facendosi nitidi ai miei sensi.
Come diceva Michael, percepivo il mio corpo e quello degli altri due ragazzi, pur senza vederli. Percepivo più nitidamente ogni cosa, intorno a me.
Udito. Olfatto. Gusto. Percezioni tattili e spaziali.
Non rimanevano che gli occhi. Li aprii.
Verde. Non c'era altro. Strati e strati di sfumature di mille tonalità. Si sovrapponevano, si arrampicavano l'uno sull'altro, ondeggiavano al ritmo del mio respiro e viravano in concomitanza del mio sguardo, condizionati dal mio pensiero. Flutti di mens, che scorrevano.
Verde malachite.
Pur essendo consapevole del contatto della parte posteriore delle mie gambe con il terreno... levitavo. Sciolsi la posizione. I miei piedi non camminavano su nulla, erano verdi anch'essi.
C'è qualcosa che non va.
Il cuore mi accelerò il battito quando il verde sfumato dei miei occhi prese ad arrampicarmisi su per le gambe. Brividi violenti mi attraversarono il corpo.
Tutto ciò che toccava, dissolveva. Mi riduceva a quella vibrazione.
No. Vattene.
Non avevo più le gambe. Me le sentii sgretolarsi in mille porzioni e fondersi con quel verde incontrollato, che si era fatto furioso come il mio respiro. Stava prevalendo: l'irrazionalità, la percezione, la risonanza stessa, forse. Non sapevo cosa fosse, solo che mi avrebbe risucchiato anche il fiato. Mi stava uccidendo.
Mi ribellai. La testa mi esplodeva, il corpo si frammentava, millimetro dopo millimetro. Gridai, ma non avevo la voce.
Poi li sentii:
Yoann. Affetto, risate, calore. L'infuriare di una tempesta, sepolta sotto il velo sciolto di una singola goccia d'acqua.
Padma. Concentrazione, spiritualità, amore. Il vento che frusciava su un instabile ponte di legno sospeso sul nulla.
Equilibrio.
La loro esistenza, percepita attraverso quel lieve contatto delle gambe e consolidata dal cerchio che chiudevamo insieme, mi ricordò di esistere. Mi ricordò di avere una consistenza, un nome, un'identità – qualunque essa fosse.
Aprii le dita della mano destra, dove ancora il verde non mi aveva raggiunta. Era solida, consistente. Come lo era lei poteva esserlo qualunque cosa. La distesi in avanti e afferrai uno dei mille lembi di verde. Aveva una sostanza, perché io l'avevo scelto. Io avevo scelto di esistere. Ormai avevo familiarizzato.
Chi sono io? La mia mano sembrava esigere quella domanda senza risposta. Non la chiedeva soltanto, la imponeva. Trattenni il fiato, perché il verde mi stava risucchiando anche i polmoni, e saliva su per il collo.
Strinsi più forte il flusso catturato e chiusi la mano a pugno. Liberai solo un dito e con esso tracciai la sagoma rettangolare e definita di una porta. Razionale.
Dietro, il nero più assoluto. Esterno a me, lontano.
Distaccato.
Un'improvvisa nostalgia mi pervase il petto ormai dissolto nel verde. Anche i capelli erano stati inghiottiti. Le mie orecchie pure. Non percepivo più nemmeno la risonanza.
Un'indecisione.
Se io cerco la connessione con tutte le cose, trovando un varco per il nero assoluto non farei l'esatto contrario? E se fosse questo il mio posto? E se non dovessi imporre la razionalità all'irrazionale?
Non rimaneva che quella mano, ormai. La mano e i miei occhi, perché altrimenti non avrei potuto vedere.
Ma se la parte dissolta di me non fosse davvero morta? Se fosse rinata? E se...
Per qualche strano motivo, furono proprio quei pensieri a riportarmi alla logica. Come se il solo fatto di pensare scacciasse il verde, che infatti tornò, gradualmente, a restituire il mio corpo. Insieme a esso, mi invase una profonda tristezza.
Quel genere di tristezza generato solo dal desiderio: l'assenza di qualcosa che non si può avere proprio perché la si anela. Un serpente che si morde la coda.
Dovevo uscire. Trovare rifugio nel manto dell'apparenza. Non mi restava altra scelta.
Così mi gettai sulla porta, spalancandola con il mio stesso corpo, e precipitai nel nero piatto e assoluto, lo stesso che ci separava da tutte le cose.
Non gridai.
Schiusi le palpebre.
La vibrazione della campana. Il morbido tappeto rosso e dorato. Il caos affollato della camera. La penombra che filtrava dalle tende purpuree. Yoann e Padma seduti, accanto a me, nel cerchio immortale. Ogni cosa era tornata al suo posto e non si era mai mossa di lì.
Ero io, tuttavia, a essermi conferita una consistenza.
«Ce l'ho fatta.» Parlai nello stesso momento di Yoann. Stupiti, ci specchiammo l'un l'altra nei rispettivi sorrisi. La campana aveva smesso di vibrare non appena avevamo concluso di pronunciare l'ultima parola, il pestello crollato al suo interno con un tintinnio.
«Siete stati... bravini» ammise Padma. Questo significava come minimo che avevamo superato ogni sua più rosea aspettativa.
«Bugiarda» ribatté Yoann. «Siamo stati straordinari, ammettilo!»
«Suddai, adesso non montatevi la testa.»
«Secondo voi,» chiesi, cambiando discorso, ancora immersa nell'esperienza ultraterrena che avevo vissuto, «cosa sarebbe accaduto se non avessi aperto la mia porta? Se l'irrazionalità avesse prevalso e non fossi riuscita a dare una consistenza alla mia mente?»
«Non sarebbe potuto accadere in ogni caso. Non si può smettere di pensare per troppo tempo, motivo per cui l'unico modo di compiere un'adeguata meditazione è concentrarsi su un unico pensiero, analizzarlo e approfondirlo, che è quello che avete fatto.»
«Quindi...» ragionò Yoyo, le sopracciglia aggrottate, «meditare non significa smettere di pensare, ma pensare con maggiore focalizzazione?»
«In effetti lo dice la parola stessa» concordai, «analizzare, ragionare, riflettere... è quello che facciamo sempre, in fin dei conti.»
«Giusatto.» Padma incurvò le labbra in sorriso così caldo da intiepidirmi il cuore. «Esistono infinite forme di meditazione: disegnare, leggere, scolpire, praticare arti marziali...»
«Ascoltare musica?» propose Yoann.
«Suppongo di sì...»
Ah-ha! «Allora non sei solo tu a praticare la gom, non puoi più fare tanto la mistica illuminata!»
«Non faccio la-»
«Infatti, sei solo più esibizionista, con quel tuo fluttuare mistico» si accodò Yoann, ridendo.
Padma incrociò le braccine al petto, assottigliando gli occhi affilati. Sillabò alcune parole in una lingua sconosciuta che supposi essere insulti in cinese, o forse tibetano – ancora non mi era chiara la sua nazionalità – e poi in Ephiano aggiunse: «Siete due idioscemi!»
In risposta le feci una piccola schicchera sul collo, a cui reagì sfilando una gamba dalla posizione del loto per sferrarmi un calcio che si arrestò a due centimetri virgola uno dalla punta del mio naso, il piede sospeso di taglio.
«Dovresti meditare di più, Padmina, ti vediamo un po' suscettibile...» commentò Yoyo.
«Siete impossibili!» squittì lei infine, esasperata, tornando nella sua posizione. Un pizzico di divertimento le si celava negli occhi adirati, facile da scorgere nonostante il suo atteggiamento. «E tu, non eri qui per un motivo? Costruisci il tuo Clypeus e poi finitela di importunarmi!»
Yoann alzò i palmi in segno di resa. «Come vuoi.»
«Bene» annuì Padma, soddisfatta.
«Bene» rafforzò Yoyo. Poggiò il mento sul palmo chiuso. «Ma... come si fa?»
La ragazza emise un verso esasperato che mi fece sfuggire un'altra risata. «Tutto io devo spiegarti?»
«Beh, sì, non credo che Liv possa aiutarmi...» Scossi la testa in conferma.
«Vi detesto» si arrese. «Allora. È molto semplice».
Yoann chiuse gli occhi, visualizzando nella mente le parole di Padma. In fin dei conti si era spiegata abbastanza bene, nonostante detestasse insegnare. Dietro le palpebre calate del mio amico, si potevano distinguere i movimenti delle cornee. In effetti, sembrava immerso in un sogno. Non che i Clypeus fossero tanto diversi... immagini e sensazioni che scatenavano emozioni tanto forti da provocare un brusco risveglio che gettava l'intruso nel mondo reale.
A quanto pareva, nonostante l'esperienza al suo interno non durasse più di qualche attimo, per costruirlo era necessaria una maggiore focalizzazione. Sembrava infatti che Yoann stesse vivendo in tempo reale le emozioni scaturite dal suo stesso Clypeus. Le sopracciglia si aggrottarono e la respirazione si fece meno controllata. Le sue mani tremavano vistosamente.
«È normale?» chiesi, mordicchiandomi un'unghia per l'apprensione.
«Sì» confermò Padma, pacifica. «Deve accertare l'efficacia degli elementi che ha inserito.»
Deglutii l'inquietudine. Yoann sembrava davvero vittima di un incubo. Beh, non c'è dubbio che sia un ottimo Clypeus...
D'un tratto, smise di respirare. Restò in apnea per qualche attimo, poi... allungò la mano di me, aggrappandosi con dita lunghe e ossute alle mie. In contemporanea, l'altra mano aveva afferrato quella di Padma. Dal suo verso stupito supposi che invece quell'azione non fosse stata prevista.
Fece per sfilare la mano, ma io la fermai, scuotendo la testa. Per qualche motivo, Yoann aveva bisogno di noi. Infatti strinse più forte la presa e piegò i gomiti, trascinando con uno scatto le nostre mani al suo petto. Padma inveì contro Arkon – una sorta di imprecazione Ephura? –, io invece mi abbandonai a una risata, intenerita.
Anche Pad si arrese con riluttanza ad assecondare quel bisogno d'affetto. Yoyo si stava aggrappando alla nostra presa per non soccombere. L'angoscia sul suo viso, infatti, si dissipò nel rilassamento delle sopracciglia e nei bordi delle labbra, che si incurvarono in un sorriso malinconico.
Non ero abituata a prendere per mano le persone, e nemmeno ad altri gesti affettivi simili. Forse perché i miei genitori erano troppo espansivi e per riflesso avevo acquisito l'abitudine opposta. Tuttavia... quella stretta non mi infastidì. Non era un gesto forzatamente sentimentale o romantico, fatto da lui: era la mano di un amico dolcissimo che chiedeva aiuto alle persone a cui teneva. Restare appigliati a quel contatto così forte sembrava intessere una sorta di filo tra noi tre, che mi allacciò alla bizzarra impressione di conoscerli da sempre, come fossero una parte di me. Sembrava la naturale continuazione di quel gesto allungare l'altra mano e stringere quella di Padma.
Non lo feci. Pad se la sarebbe presa a morte, e non avevo per niente voglia di ritrovarmi di nuovo con un piede letale a due centimetri virgola uno dal naso.
Yoann schiuse le palpebre. Il blu intenso delle iridi gli accese ancora di più il sorriso rassicurato, piegandosi però subito dopo in un'espressione confusa quando si accorse di star stritolando le nostre povere manine.
«Scusate» soffiò fuori, rosso come i suoi capelli.
Riappropriate delle nostre braccia, ci massaggiammo l'arto dolorante.
«Potevi almeno avvertire!» lamentò Padma, «mi hai stirato un braccio.»
«Esagerata» ribattei io. Era un Ephura con trecentomila cebrim, figurarsi se quello era sufficiente a stirarle un braccio. «Comunque?» tornai a Yoann. «Il Clypeus è pronto?»
Un mezzo sorriso gli incurvò una fossetta sulle guance: «Dimmi cosa sto pensando».
Un invito a entrare, senz'ombra di dubbio. Accettai la sfida.
Sotto i miei piedi, al nero assoluto si sostituì una solida superficie grigia: asfalto, compresi dopo un attimo. Uno scroscio continuo e fragoroso mi penetrò nelle orecchie. Sollevando lo sguardo, scoprii perché. A fare da sfondo alla mia confusione, un'intera parete d'acqua ignorava la fisica. Sgorgava dal pavimento e si innalzava con furore verso l'alto, sotto forma di una sorta di cascata ribaltata, ribollendo di schiuma bianca che si dissolveva in lievi schizzi rinfrescanti.
Tutte le pareti, infine, si tuffavano in un cielo avvolto da imponenti nubi temporalesche, nere come una condanna a morte, gonfie di un furore disperato. Ignorai l'inquietudine che provocava e avvicinai invece una mano all'acqua, sfiorandone un tratto con la punta delle dita. Aguzzai lo sguardo e-
C'è qualcosa nell'acqua. Quella consapevolezza mi fece retrocedere di un passo. Il cuore mi balzò fino in gola, tuonandomi nei timpani insieme a un tamburo nel cielo. Due occhi vitrei mi fissavano, circondati da una fronte liscia e da sopracciglia inespressive. Un sorriso pacifico e misterioso incurvava il volto di quell'uomo congelato e immobile nell'acqua scrosciante.
Devo trovare la porta. Non sapevo altro, tutta la mia vita convergeva intorno a quel solo e unico obiettivo. Non sapevo il mio nome e non mi importava di trovarlo. Dovevo solo individuare l'uscio turchese e sgusciarne fuori prima che quell'uomo uscisse dall'acqua.
Quegli uomini, mi corressi subito dopo. Uomini, donne, di tutte le età ed etnie. Imprigionati nell'acqua. Man mano che procedevo per quei corridoi labirintici ne scorgevo sempre di più, nascosti nel liquido scrosciante, e tutti animati da quel ghigno enigmatico che somigliava alla migliore riproduzione del sorrisetto della Monna Lisa.
Un secondo rombo fece tremare le cascate perenni dell'intero labirinto. Ben presto si trasformò in un tamburo, sempre più incalzante. Il mio cuore prese a battere con esso, connettendovisi tanto che non era più possibile capire quando cominciava l'uno e finiva l'altro. Scandiva la mia ansia crescente.
Ciononostante, non potevo impedirmi di osservare ognuno dei volti che mi scorrevano intorno, cercandone qualcuno di familiare. Occhi e occhi che si spostavano al mio passaggio, fissandomi. Erano tutti sconosciuti, eppure uguali nella loro diversità: estranei. Una massa inconsistente di persone anonime, ugualmente prigioniere. Esseri umani, nulla di più.
Una chioma rossa. Fu una calamita per il mio sguardo. Quel volto mi era familiare.
Yoann, pensai, quando mi fui avvicinata. Le iridi, tuttavia, non erano turchesi ma di un castano così scuro da sembrare nero, e il viso, più morbido e infantile, era attraversato da appena una manciata di efelidi. Per non parlare della differenza di statura. Suo fratello minore.
Non ne avevo mai sentito parlare, eppure fui consapevole che fosse così. Perché, in quel momento, lo percepii come fosse il mio stesso fratellino.
Il battito del tamburo accelerò. E accelerò ancora, mentre avvicinavo una mano tremante al fratello di Yoann. Dovevo aiutarlo, portarlo via dall'acqua, trascinarlo in salvo fino alla porta, ovunque essa dimorasse.
Non appena le mie dita si posarono sulla sua spalla, il martellio del cielo si arrestò. Per un attimo mi parve che si fermasse anche il mio cuore.
Silenzio assoluto. Anche l'acqua aveva smesso di scorrere.
Tutto era immobile. Tranne il sorriso del ragazzino, che si allargò in maniera inquietante.
«Mostro!» gridò.
Prima che potessi ritrarmi, la sua mano scattò ad afferrarmi il polso. Strinse forte, la presa di ghiaccio.
Quando riuscii per miracolo a sfilarmi dalla presa scivolosa, il tamburo riprese, ancora più forte e incalzante di prima, tanto rapido che sembrava sul punto di esplodere.
Terrore. Incertezza. Senso di colpa.
Mossi dei passi indietro, mentre le suole si impregnavano d'acqua. Le cascate si stavano ricordando dell'esistenza della forza di gravità, perché avevano preso a sciogliersi, lente.
Corsi. Rischiai di scivolare sui miei stessi piedi più di una volta, mentre i corpi si liberavano dalle cascate e ne sgusciavano fuori. Da ogni dove, muovevano prima una gamba avanti, un braccio e poi spuntavano le teste. Sempre più occhi che mi inseguivano, mi giudicavano, mi attorniavano.
«Mostro» sussurravano.
«Mostro» piangevano.
«MOSTRO» gridavano.
Decine di ratti saltavano via da buchi apparsi dal nulla e mi si aggrappavano alle caviglie per rosicchiarmi i piedi, mentre altri s'insinuavano sotto i pantaloni e conficcavano i dentini aguzzi nella pelle, provocandomi scariche di dolore alle gambe. Il battito era sempre più intenso, mi faceva esplodere i timpani, mi faceva tremare l'intero corpo per la fatica. L'acqua allagava il corridoio rendendo sempre più difficoltosi i miei movimenti. Gli abiti fradici così sciolti sulla cute da formare una nuova pelle.
Destra. Sinistra. Sinistra. Di nuovo destra. Qualunque strada scegliessi, venivo accerchiata da centinaia di quegli zombie terrificanti, le cui parole riverberavano e echeggiavano dentro il mio cranio. Dovevo dimostrare loro che si sbagliavano. Io non sono un-
Impattai contro una superficie d'acqua più solida. Ghiaccio, eppure trasparente. Riflettente.
Vidi il mio viso riflesso: gli occhi pendevano con mille occhiaie rugose, la pelle era palmata e viscida di pustole, la mia bocca erano fauci cavernose.
Gridai.
Sono un mostro.
Furono su di me. L'acqua esplose e ci sommerse tutti. Mi toccarono con mille mani. Fredde, estranee. Appena mi sfioravano, perdevano la poca vita che era in loro. Gli occhi diventavano di vetro e gli arti si afflosciavano.
I corpi, morti, mi piovvero addosso. Ognuno di esso era una scarica elettrica, fulmini che mi ustionavano. Cadaveri su cadaveri, vittime del mio tocco, della mia sola esistenza. Si sommavano tra loro coprendo ogni luce, uccidendo ogni spiraglio di ossigeno.
Ne venni soffocata. Non trovai nemmeno la forza di piangere.
Dopotutto, mi meritavo quello e altro.
...Perché sono un mostro.
Tutto in regola, direi. 💀
Cosa ne pensate del Clypeus di Yoann? Si è guardato troppi film horror, è pustolefobico, o c'è altro sotto? 👀
Quanto alla parte prima, per trovare la porta ecc., se vi ha creato confusione tranquilli, è normale. Ho anticipato indirettamente delle cosine che verranno riprese più avanti.
Piccola curiosità sulla campana tibetana: può sembrare strano, ma è stata una delle primissime ispirazioni di Cerebrum, di talmente tanti anni fa che quando ho scritto la prima versione me ne ero pure dimenticata. Invece andandomi ad ascoltare degli audio sulla risonanza, con questa riscrittura, mi è venuto una sorta di flashback di quando per la prima volta avevo avvertito, per caso, quel suono così particolare. Nell'idea originale fungeva proprio da catalizzatore per riuscire a praticare la telecinesi, poi con il tempo le varie idee si sono evolute e un po' mi sono allontanata da quell'aspetto proprio a livello di struttura del sistema magico. Tuttavia, qualcosa sulla campana tibetana è rimasto lo stesso.🥺✨
꧁ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA꧂
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