22.Apri la porta

«Almeno il Secondo Livello è un po' più affollato» commentai, sedendomi accanto a Yoann. Ero felice di poter finalmente seguire le lezioni insieme a lui. Cosa che effettivamente facevamo già nella scuola normale. Però era diverso; nell'Ephia ogni momento era più emozionante e unico nel suo genere. Magico, quasi.

«Non pensavo ti piacessero i luoghi affollati» ridacchiò lui.

«No, infatti. Però fare lezione in tre era imbarazzante.»

E poi definire affollata l'aula era un'esagerazione. Oltre a me e Yoann, non c'era che una manciata di Ephuri. Il Signor Rinaldi mi salutò con uno svogliato cenno del capo, e Matteo agitando una mano, prima di tornare a chiacchierare animatamente con un altro bambino poco più grande di lui. Un paio di posti più su era accomodata una ragazza sui vent'anni, intenta a scribacchiare su un foglio, e altre due ragazze, all'incirca della mia età, confabulavano ininterrotte tra loro, lanciando occhiate lascive a Yoann, che però le ignorava.

C'era persino Wala, notai con stupore. Il suo malumore si leggeva nel ticchettio sul banco delle unghie smaltate d'oro, la cui forma era talmente perfetta da farmi sospettare fossero finte. Invece di risaltarne la grazia, quel giorno i gioielli dall'aria preziosa che indossava parevano inasprire il suo umore temporalesco. Quando si accorse che la osservavo, la sua espressione annoiata si spostò su di me. Fiamme incontrollate scoppiettavano pericolose dietro le iridi ambrate.

«Ma che ha?» sussurrai subito a Yoann, dopo essere fuggita al suo sguardo. Ancora non ero riuscita a spiegarmi quello strano avvertimento con cui mi aveva pungolata il giorno precedente.

Il mio amico si voltò per vedere di chi stessi parlando. «Ah, Wala. È bloccata in questo livello da più tempo di tutti, qui dentro. È qui all'Ephia da diverse settimane prima di me ed era già qui.»

«E perché non va avanti?»

«Non riesce. Le risulta difficile, credo. Per ognuno è diverso: alcuni lo passano in un giorno, altri possono impiegarci anche mesi. Non ho capito bene per quale motivo, ma credo che non le piaccia stare qui nell'Ephia, e forse questo ha influito.»

Aggrottai le sopracciglia. Ciò spiegava le sue parole ma non il motivo dell'astio. Tuttavia, non erano problemi che mi riguardavano. E poi non era un obbligo; cosa le impediva di andarsene definitivamente via a godersi la vita?

Proprio quando ero sul punto di porre altre domande a Yoyo, la porta si aprì di scatto, generando un tonfo sonoro che mi fece sobbalzare. Padma era piombata dentro, con un passo strascicato che evidenziava il suo disappunto. Non mi avevano informato del fatto che oggi fosse la giornata del malumore, qui all'Ephia.

Quel giorno indossava un maglione grigio di due taglie più grandi, sul quale una grossa macchia di sugo, spalmata in modo rozzo, sembrava chiedere di essere osservata,

Ignorò alcune voci di disappunto provenienti dalla zona del signor Rinaldi, che lamentava il fatto che a insegnare fosse qualcuno di così tanto giovane, e sospirò rumorosamente.

«Sentite, così come voi, anch'io al momento vorrei essere da tutt'altra parte e avrei di meglio da fare» cominciò Padma, facendosi tirare su le spalle dalla resa. «Ma mi hanno costretta!»

Mi manca Michael. Lui sì che avrebbe saputo fare una lezione interessante. «Perciò sappiate solo questo: superato il Secondo Livello, sarete in grado di percepire i pensieri altrui e trasmettere i vostri a chi volete e, soprattutto,» volse il capo nella mia direzione, «potrete proteggere le vostre menti con i Clypeus, degli scudi personalizzati che impediranno ad altri Ephuri di sbircispiare i vostri pensieri.»

A quella notizia, il sollievo mi tirò su le sopracciglia e le spalle si rilassarono. In effetti quella situazione aveva cominciato a farmi uscire il fumo dalle orecchie per lo stress e l'ansia. L'idea di poter proteggere i miei pensieri era consolante, un po' meno la consapevolezza che significava anche che non mi avrebbero ancora insegnato a difendermi. Chissà quando avrei potuto riprendere a muovermi da sola senza venire inseguita dal timore di subire un attacco dagli Arkonanti in ogni secondo.

«Dato che sono solo un'insegnante di supplenza... sì, diciamo così,» continuò Padma, con praticità, facendo avanti e indietro intorno alla cattedra quasi il nervosismo le facesse bruciare la terra sotto i piedi, «oggi si farà solo un ripasso generale. Dividetevi a coppie, composte da uno studente più esperto e uno meno e... divertitevi. Se uno di quelli nuovi è in difficoltà per qualche motivo - troppo caos, e impossibilità di uscirne eccetera - allora è responsabilità del compagno chiamarmi per aiutarli. Chiaro? Orsù, al lavoro!»

«Orsù?» non riuscii a trattenermi dal ridacchiare io, guadagnandomi un'occhiata contrariata da Padma.

"Adesso nemmeno le parole del dizionario ti vanno più bene?" la vocina acuta ma dolce che mi risuonò nella testa mi incurvò in su le labbra. Non c'era niente da fare, adoravo come si esprimeva quella ragazza. Anche i suoi tentativi di essere presa sul serio con paroloni più ricercati o semplicemente da insegnante non erano che vetro attraverso cui passava in ogni caso la luce. Ed era una luce a cui mi stavo affezionando, con mia stessa sorpresa.

«Di solito chi insegna?» mi rivolsi di nuovo a Yoann, mentre un brusio solleticava le orecchie e i raggi del sole che baciavano i nostri visi venivano distorti e piegati dalle ombre degli spostamenti per la formazione delle coppie.

«Lauren Mindsmith o, a volte, direttamente Clara» spiegò lui, «questa volta dovevano essere impegnate, per qualche motivo. Comunque, tu con chi pensi di metterti in coppia?»

Raddrizzai la schiena, irrigidita. «Io...» Avevo dato per scontato che saremmo stati insieme...

Che sciocca che ero stata a pensare che io per Yoann contassi davvero qualcosa, era evidente che lui preferisse interagire con persone più interessanti e spiritose rispetto che alla noiosa, goffa, cicciotta-

«Liv!» esclamò Yoann, scandalizzato. «Ma stavo scherzando, ovviamente! Certo che sei proprio permalosa.» Sottolineò il suo disappunto scuotendo la testa.

«Non pensare mai più quelle cose di te stessa, chiaro? Non permettere a niente e a nessuno di farti sentire in difetto. E semmai sarò io a farlo, hai il permesso di darmi una borraccia in testa.» Portò una mano sul petto per consolidare quelle parole.

I miei occhi disegnarono una circonferenza in aria: la notizia si è già sparsa, ottimo. Passerò alla storia come... ehm, Lancia Borracce di professione?

Alla risata che scoppiò nel petto di Yoann seguì un rimbrotto di Padma: «Non abbiamo tutto il giorno! Basta chiacchiere; non a voce, almeno».

Giusto. Quel giorno si approfondiva quello che sembrava l'aspetto centrale degli Ephuri, la più diretta manifestazione del cosiddetto potere del Cerebrum. La mente umana avrebbe iniziato a dispiegarsi a me a cominciare da quei primi piccoli passi. Il pensiero.

«Ottimo punto di partenza» concordò Yoann. «Cosa rappresenta, secondo te, il pensiero?»

«Beh, ciò che c'è dentro la nostra testa» supposi, provando a semplificare l'intrico nodoso per ricavarne delle parole di senso compiuto, «o meglio, è il caos che c'è dentro di noi. Tutte le sensazioni che ci vengono trasmesse dall'ambiente esterno si ingarbugliano in modo disordinato perché sono tantissime nello stesso momento in ogni attimo, troppe per poterle gestire. Per questo motivo, il pensiero le trasforma in immagini e parole c-così rapide che pure noi, spesso, facciamo fatica a seguirle. Soprattutto, però, è impossibile dirgli di fermarsi. Ti giuro, io certe volte ci provo, ma mi risulta impossibile, anche solo pensare di smettere di pensare è pur sempre pensare, no?»

Mi fermai, accorgendomi di aver parlato a raffica, provando a seguire il filo dei pensieri.

Provando, appunto, perché le parole non potevano mai manifestare appieno ciò che si sentiva dentro. «Anche se» mi contraddissi da sola, «certe volte questi intrichi si raccolgono a costituire delle idee, dei concetti, dei desideri, come fossero lana grezza che deve essere elaborata e trasformata in fili, per interpretare la realtà e dargli una forma definita. È per raffinarli e condensarli, dunque, che li trasformiamo in parole. Nello stesso momento in cui lo facciamo, però, arriva l'impressione di aver banalizzato la nostra... come chiamarla? Voce interiore... e che sarebbe stato meglio stare zitti, perché finché non avevano una forma erano ancora liberi, selvaggi, quasi. Tuttavia, quando si riesce a catturarne l'anima giusta, sotto forma di parole o immagini definite, diventano ancora più belli. Perché... in fondo i pensieri non sono mille occhi con cui guardare il mondo? A seconda del modo in cui catturiamo le sensazioni disegniamo una visione diversa di ciò che ci circonda, che ci permette così di creare... la nostra stessa realtà.»

Avrei continuato, andando a finire chissà dove, ma mi accorsi che Yoann mi stava fissando basito fin da quando avevo iniziato a parlare. Ops. Devo imparare a tenere a freno la lingua.

Non ero abituata a esternare i miei pensieri a voce. Azione che mi aiutava, appunto, a dargli una forma più definita e a evolvere i miei ragionamenti verso rotte che non avrei creduto raggiungibili. Proprio come era accaduto durante la prima lezione, con Makya.

«Ehm...» Yoann si passò un dito sulla tempia sinistra, in difficoltà. «Non so se sono riuscito a seguire bene il discorso, ma credo... sì, credo tu abbia ragione. Non me l'aspettavo questo tuo lato filosofico!»

«Per me è più che altro lambiccarsi il cervello in rimugini senza capo né coda, ma se vuoi chiamalo pure così.»

«Effettivamente,» ragionò però Yoann, «alcune delle cose che hai detto affondano in alcuni concetti che sono stati teorizzati dalla fisica quantistica, secondo cui è il nostro pensiero a creare la realtà, e dunque questa può essere manipolata a nostro piacimento. Il che è un paradosso, perché sono proprio i neuroni che trasportano le sensazioni emesse dagli stimoli esterni a provocare i pensieri che andrebbero a darle vita. Eppure... è proprio su questo che si basano i cebrim di noi Ephuri!»

Il ragazzo esclamò l'ultima frase come se fosse una rivelazione per lui stesso, due lacci che si annodavano a comporre un filo più lungo e resistente.

«L'unico ostacolo per il potere della mente è la mente stessa» intervenne una terza voce, a conferma delle parole di Yoann. Ci voltammo entrambi stupiti, scoprendo che Padma si era avvicinata, incuriosita dalle nostre chiacchiere, o forse per venire a rimbrottarci di pensare invece di parlare.

«È il precetto fondamentale degli Ephuri» continuò lei, sciolta, come se non si fosse appena introdotta a sorpresa all'interno di un discorso altrui. «Praticamente ciò su cui si basano tutte le nostre capacità. Dato che siamo noi a dare vita alla realtà tramite il pensiero, sempre tramite il pensiero possiamo manipolarla a nostro piacimento. La realtà è solo un'illusione creata da noi stessi, per cui l'unico confine al suo potenziale è quello che gli poniamo noi.»

«Allora perché gli Ephuri non possono fare tutto direttamente, fin da subito? Parlate sempre di potenziale illimitato della mente,» ribattei, «eppure esistono i cebrim, che te ne fanno sviluppare solo un pezzo per volta, e mai è capitato che venisse raggiunto il potere assoluto. Perché non lo si ha a portata di mano? Se siamo noi a manipolare la realtà, non dovremmo essere tutti invincibili? Da cosa derivano questi limiti?»

Quella domanda piombò in mezzo a noi come un masso, greve per tutti i muti interrogativi che la colmavano. Per qualche motivo, sentivo che quei dubbi erano collegati alle domande che avevo esposto durante la chiacchierata con Michael.

«Dal fatto che non siamo Eph» fu infine la risposta amara di Padma. «Siamo creature imperfette, creature di Arkon. Qualunque cosa questo significhi... ma non è questo il momento di pensarci. Comincia sviluppando questo cebrim, magari.»

La ragazza concluse con un tono di rimprovero e poi si allontanò per rispondere alla chiamata di aiuto di un'altra coppia.

Seguendola con lo sguardo, notai che una delle due ragazze che avevo notato prima era scoppiata a piangere, lamentando un intenso caos nel cervello. Padma sembrava essere intervenuta appena in tempo prima che perdesse il senno...

«Può capitare, sì» confermò Yoann, intuendo le ovvie preoccupazioni che tale avvenimento mi aveva germogliato nel petto. «Soprattutto le prime volte. Ma tranquilla, devi solo mantenere la calma e il sangue freddo. La mente è una porta, sta a te decidere se aprirla.»

«Allora il problema, per me, sarà trovare la chiave» ribattei con sarcasmo, stando al gioco.

«La chiave ce l'hai già. Ce l'abbiamo tutti: è il Cerebrum stesso.»

L'espressione di Yoann, questa volta, era talmente seria che mi fu sufficiente l'inflessibilità del suo sguardo per comprendere che non si trattava di un mero paragone.

I suoi occhi sembravano implorare di essere osservati. Non solo, ma anche analizzati, esplorati, investigati. Un abisso in cui tuffarsi.

Fu lì che compresi. La voce di Yoann nella mia testa e la mia stessa consapevolezza si fusero in una sola frase: "Gli occhi sono lo specchio della mente".

Immergendomi in essi, forse avrei trovato la porta. Forse avrei visto Yoann, non solo l'illusione che restituivano gli occhi, ma l'anima che celava dietro i sorrisi. E dopo di lui avrei osservato altre persone, altri Ephuri, e magari avrei trovato in essi le risposte che non trovavo dentro di me. Non desideravo altro: scoprire cosa si celava dietro il velo dell'apparenza, raccogliere con le mie stesse mani ogni cartoccio di pensieri che mi piombava addosso.

Neanche mi accorsi di essere sprofondata nell'oscurità. Per un momento pensai di aver calato per sbaglio le ciglia sugli occhi, ma non era così, perché non vi era traccia delle solite macchie di colori e luci che mi avrebbero altrimenti attorniata.

Il nero era l'unico colore che regnava. Piatto, monotono. Un'unica pennellata di colore, che non lasciava trasparire alcuna dimensione al suo interno, nulla che permettesse di intuire la forma del luogo in cui mi trovavo.

Identico al nero dei miei sogni.

Non badai a quel particolare, perché la differenza era che nemmeno i miei piedi poggiavano al momento su alcuna superficie solida. Ero sospesa, o immersa, in quel nero anonimo.

Voglio vedere. Desidero scoprire. Tutto.

Uno schiocco. Si originò nelle mie orecchie e poi dilagò tutt'attorno, come il riverbero di un tuono.

A quel punto, comparve la porta. Una semplice sagoma di luce dischiusa, la cui presenza era stata anticipata dal fruscio dell'acqua sospinta dal vento.

"L'hai trovata!" La voce di Yoann esplose fortissima da quella direzione, vibrando dello stesso chiarore turchese dei suoi occhi. "Hai visualizzato la mia porta."

"Quindi non era solo una metafora" constatai.

"Liv, pensavo che ormai l'avessi capito: qui non esistono metafore."

Mi avvicinai alla porta. O meglio, io rimasi immobile ma le sue dimensioni si ampliarono e la mia vista su di essa si fece più nitida. Non solo la vista. Un misto di profumi sconosciuti ne spirò fuori e s'infiltrò nelle mie narici, vezzeggiandomi, mentre sussurri, voci e suoni indistinti ne zampettarono fuori perdendosi nel nero vuoto.

"Cosa devo fare, adesso?" Già sapevo la risposta, la sentivo gridare dall'anta disegnata dalla luce bluastra. Mi chiamava. Non desideravo altro che rispondere. Eppure preferii aspettare, perché tenevo al suo proprietario e per nulla al mondo avrei voluto correre il rischio di disturbare quel suo antro più riservato.

"Semplice: apri la porta" La voce, di nuovo, fu soffiata dall'alone di luce blu che vibrava dietro l'anta.

Neanche mi accorsi di allungare la mano e piegare le dita su uno spigolo per tirarlo verso di me. Pur sapendo riconoscere ogni materiale, quella restava per me un punto interrogativo; forse era fatta di nero anche la porta stessa.

La luce mi invase. Caddi all'indietro, colpita da un acquazzone di sensazioni. I suoni e gli odori già percepiti prima mi esplosero nel cervello, insieme alle altre percezioni: tattili, gustative, visive. Avvertivo persino le emozioni che Yoann stava provando in quel momento. Ciò che era astratto si era fatto concreto e aveva assunto una consistenza zampettandomi sulle braccia e sulle gambe.

Non provavo direttamente ciò che emetteva la porta aperta, ma lo sentivo con più vigore. Non solo delle sensazioni... sentivo Yoann. Era quell'ammasso di sensazioni a formare i pensieri che stava provando il mio amico. Non erano sotto forma di parole, ma amalgamati al momento dalla preoccupazione, miscelati di affetto e conditi dell'entusiasmo per il mio risultato; una ricetta perfetta che affondava le sue radici in ingredienti di passato, ricordi e apprendimenti che avevano portato Yoann a essere Yoann, e che avevano contribuito a imbastire quel pensiero, se così lo si poteva chiamare, in quel determinato modo.

Mi pervase l'istinto di avvicinarmi ancora e penetrare direttamente dentro la porta, invece che guardare solo da fuori. Desideravo sciogliere ogni nodo, investigare fino al più insignificante particolare che mi era celato.

Yoann dovette avvertire le mie intenzioni, perché la luce vibrò e le sensazioni si intrecciarono in parole più definite, che mi riempirono le orecchie. "No, Liv. Non ci è ancora permesso oltrepassare la soglia. Per ora limitati a guardare da fuori."

Nel suo tono gentile percepivo il turchese tremare per un lieve disagio, misto a un pizzico di comprensione, forse perché anche lui si era trovato nella stessa situazione nei giorni trascorsi.

Così indietreggiai. Subito altri sussurri, suoni e profumi, sopraggiunsero alle mie orecchie. Da una porta delineata da una luce marroncino-ambrata, spiravano emozioni e sensazioni aride come sabbia: soffocanti, ma compatte ed ermetiche. Senza che ne avessi il controllo, la porta, nella quale riconobbi da alcuni sussurri la voce di Wala, si spalancò, riversando fuori malessere e risentimento, profondo desiderio di trovarsi altrove e di ottenere... giustizia.

Pensieri che si sommarono a quelli di Yoann, camuffandosi in un intruglio disordinato. Retrocedetti ancora, solo per trovarmi innanzi alla speziata porta di Giacomo Rinaldi, a quella rumorosa di Matteo, e poi degli altri studenti presenti. Mi sentii scuotere da violenti tremori, mentre tutti gli uragani mi investivano da diverse angolazioni, in mille modi diversi. Non divenni che una pezza di stracci, vittima dell'infuriare incontrollato di pensieri.

Ne venni travolta. Altre porte si avvicinarono a me. Una ragazza in bici che attraversava Corso Novara. Un uomo intento a discutere al telefono in una delle case adiacenti. Dei bambini che giocavano. Un anziano che sfogliava una rivista. Persone. Porte. Pensieri. Caos.

Il nero si espanse, valicando i confini prima del quartiere e poi della città. Centinaia di migliaia di ante a mia portata di mano, eppure così inavvicinabili perché erano troppe. Mi sommersero.

Soffocai. Gridai. Piansi.

Il mio desiderio di districarmene, tuttavia, fu più forte. Individuai una corda di luce turchese e mi ci aggrappai, con tutte le mie forze. "Liv!" gridava la luce, "Concentrati su una porta per volta. Concentrati sulla mia voce."

Yoann. Un viso a punta, la carnagione rosa imperlata di efelidi, il vaporoso ciuffo rosso che si avvolgeva in morbide onde sull'orecchio sinistro, le ciglia raccolte da dita di apprensione. Tutto ciò si definì per gradi intorno al turchese che era tornato al suo posto nelle iridi del ragazzo.

Il nero, il caos, e tutto il resto avevano ora lasciato il posto all'aula in cui mi trovavo prima, irraggiata dalla luce pomeridiana e animata dalle voci degli studenti.

Accanto a Yoann, Padma mi osservava, il viso morbido indurito dalla concentrazione.

«Incredibile,» esclamò Yoann, con un entusiasmo dietro cui colsi un pizzico di invidia, «ci sei riuscita al primo colpo!»

Non m'importava: dietro di lui vedevo ancora la sua porta, così come quella di tutti gli altri presenti in aula. Tuttavia, queste, che fossero chiuse oppure aperte, non mi sconquassavano più come prima. Semplicemente sapevo che c'erano e potevo sbirciarci all'interno ogni volta che ne avessi sentito la necessità. Era strano percepire contemporaneamente entrambe le dimensioni, quella mentale e quella reale; non così strano, però, se si considerava la realtà un'illusione, una proiezione della razionalità.

Sì, in fondo avrei anche potuto abituarmici.

«Ottimo lavoro» commentò anche Padma, più dura. Mi sentii solleticare le guance e toccandole vi trovai, con mia sorpresa, delle lacrime. Anche io, come quella ragazza, avevo pianto e strillato? Forse per questo Padma è di nuovo qui, stava per intervenire ma io sono riuscita da sola a ritrovare la porta di Yoann in tempo...

Risollevai gli occhi verso di lei. Perché di Padma non ho percepito nulla?

Un battito di ciglia, e la realtà nera tornò a porsi sopra l'aula. Allungai la mano verso la sua porta, ma questa prese subito a rimpicciolirsi a grande velocità, facendosi sempre più lontana, inarrivabile. Avanzai verso di lei, ma i miei piedi impattarono contro una superficie liscia e solida. Trovarmi all'improvviso su qualcosa, e non sul nulla più assoluto, mi disorientò al punto da farmi perdere l'equilibrio. Le mie mani frenarono la caduta sostenendo il peso del mio busto su un pavimento di velluto rosso, attraversato da fini ghirigori che disegnavano draghi orientali e variopinte forme geometriche, indiane o forse tibetane.

Una lieve vibrazione e spesse pareti si innalzarono intorno a me a delimitare un corridoio lungo e stretto. La punta del mio naso ne seguì l'ascesa, reclinandomi la testa all'indietro quando le mura si fecero troppo elevate per poterne raggiungere la cima con lo sguardo. Si immergevano direttamente in un cielo blu lattiginoso, diventando un tutt'uno con esso.

Incuriosita, sfiorai gli intarsi bronzei e dorati sul legno, che richiamavano le rappresentazioni simboliche del tappeto in una moltitudine tale di particolari che era impossibile riconoscerli tutti.

Non ricordavo più il mio nome, non sapevo chi ero e nemmeno cosa ci facessi lì. Sapevo solo che dovevo trovare una porta. La porta.

Presi ad avanzare. I miei passi erano lievi ticchettii nel silenzio di un tempio. Disturbavano la quiete, ma non avevano modo di spezzarne la sacralità. Svoltai più volte in quell'intreccio di ampi corridoi che si piegavano in vicoli ciechi e strade ingannevoli. Quando mi ritrovai per l'ennesima volta in un angolo che avevo già attraversato, compresi di trovarmi all'interno di un enorme labirinto.

Disorientamento. Sconforto. Disperazione.

Un boato.

Scosse interamente le pareti millenarie del labirinto e fece tremare il pavimento di velluto.

Un ruggito.

Divorò l'aria. Divenne eco.

Mi insegue. Corsi. Corsi a perdifiato, consapevole che non c'era altro che potessi fare. Il cuore mi martellava nelle orecchie al ritmo di tamburi e boati e ruggiti che si facevano sempre più vicini.

E inciampai. Era stata una lama di vento a colpirmi le tibie anteriori delle gambe.

Provai a rialzarmi, ma la mia schiena venne percossa da un nuovo colpo, che mi scartò di lato, facendo collidere una spalla sulla parete più vicina. Una scarica di dolore mi attraversò la schiena. Non era semplice vento: si trattava di essenze semi corporee, come... fantasmi, o spiriti.

Schivai il colpo successivo e ripresi a muovere le gambe, perché il rombo si faceva sempre più intenso e i ruggiti sempre più forti. Le presenze mi inseguirono, aggiungendosi alla paura. Una stonante musica allegra, condita di campane e tamburi, sgretolava intanto gli ultimi nervi che mi erano rimasti.

Corri più veloce, corri più veloce...

Mi resi conto di aver sbagliato strada quando fu troppo tardi. Sgomento.

Paura.

Terrore.

Il drago era innanzi a me. Enormi occhi verdi dorati, dalla pupilla felina. Strati e strati di morbidi aculei variopinti. Verde, rosso, oro. Due filamentosi baffi che sembravano ballare la melodia di quella musica caotica.

Era il lungo corpo sinuoso, sbattendo contro le pareti, ad aver provocato quei boati terrificanti. Ed erano quelle fauci che si stavano schiudendo, a ruggire via ogni forma di allegria.

Schiudendo su di me.

Provai a fuggire, ma il mio corpo era stato immobilizzato da cento mani, che mi tenevano ferma: gli spiriti di vento. Mi divincolai, preda del caos, vuota di ogni lucidità.

Le zanne erano spade acuminate. Furono in un attimo su di me. La mia carne venne recisa dalle lame in un'esplosione di scricchiolii e trambusto tale che quasi non sentii dolore. Tutto si avvolse su se stesso.

Mi soffocò. Mi sommerse.

Non rimase che il nero assoluto.

Confusi? Ipotesi su cosa possa essere accaduto?👀

Presto verrà spiegato tutto, ma intanto spero che il capitolo vi sia piaciuto perché è uno dei più importanti, dato che finalmente ci si addentra nella "mente".

Menzione d'onore a GiulSma che mi ha fatto notare come il funzionamento dei Cebrim (riguardo al manipolare la realtà con la mente) coincida con alcune teorie di fisica quantistica - di cui da ignorante coi fiocchi quale sono non ne sapevo niente ahahah

Buona lettura, ci vediamo al prossimo capitolo, con un paio di risposte e... molte altre domande ✨

ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA

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