15.Giro turistico
Fiotti d'acqua si alzavano verso il cielo e poi ridiscendevano verso la vasca della fontana, disegnando nell'aria orpelli artistici, diversi ogni volta. Non c'era nessuno a osservare quello spettacolo al di fuori di una ragazza accomodata su una delle panche che attorniavano la vasca. Accarezzava amorevolmente qualcosa di peloso poggiato sulle sue gambe. Un gatto, compresi.
«Ciao» salutai Padma, dopo averla raggiunta in un paio di passi. Nemmeno sollevò lo sguardo, come se non esistesse nulla al mondo al di fuori del micetto che emetteva un lieve ronfo, preda del piacere provocatogli dalle mani esperte che ne massaggiavano il pelo del collo.
Restai qualche minuto a osservarlo, indecisa su come muovermi. Il silenzio di Padma significava che non aveva intenzione di calcolarmi? Proprio quando stavo per arrendermi e andarmene, se ne uscì con un: «Allora? Soddisfatta delle risposte?»
Non aveva nemmeno sollevato lo sguardo dal gatto, tanto che per un momento mi chiesi se si fosse davvero rivolta a me. «Direi... sì, credo di sì, almeno per ora. Devo ancora cercare di assorbire tutte le informazioni.»
«E ora vorresti fare un tour dell'Ephia per conoscere meglio questo posto, giusto?»
Sorrisi radiosa. Era proprio quello che mi avevano consigliato Clara e Daniel! Bene, non c'è nemmeno stato il bisogno di implorare Padma per-
«Scordatelo.»
«Che cosa?»
«Che io ti faccia fare il giro dell'Ephia. Non vedi che sono occupata? Fusare Yuè è molto più importante.»
«Fusare?»
«Farle far le fusa.»
«Sì, beh, l'avevo capito. Ma Yoann dov'è?» Lui sì che sarebbe ben disposto ad aiutarmi.
«In camera sua, sta studiando italiano.» Aggrottai le sopracciglia, registrando l'informazione che Yoann abitava proprio lì. Studiare italiano. Dunque era vero, non avevamo mai parlato italiano tra di noi. Quella consapevolezza mi fece rabbrividire.
«Non riesco a capire» provai a esprimere a voce, «io ho sempre parlato con lui, in italiano...»
«Sì, certo, come adesso» Padma emise una lieve risata di scherno che roteò assieme alle sue pupille. «Mi duole informunicarti che né tu né io stiamo parlando italiano, in questo momento.»
«Tu no di certo» borbottai, riferendomi alle parole che mescolava di continuo.
Mi accomodai sgraziatamente accanto a lei. Quando lo zaino sferragliò sullo schienale della panca, il ron-ron si arrestò. La gatta sollevò la testa verso di me, all'improvviso irrigidita, e mi analizzò con due grandi occhioni, sfere verdi dorate intersecate da feline pupille sottili.
Anche Padma, come per riflesso della sua gatta, si irrigidì e chinò il capo verso di lei, facendole appoggiare il musetto sulla sua mano. Corte ciocche scure le coprirono il viso a quel gesto, senza però nascondere l'affetto che provava per quella piccola creaturina. «Tutto bene, mia piccola Luna?»
Lo smarrimento mi aggrottò le sopracciglia. Non si chiamava Yuè?
«Yuè è il suo nome cinese,» spiegò, con un sospiro, Padma, «che significa appunto Luna.»
«Significa Luna in italiano.»
«Sì, ma... no! Uff, adesso non stiamo parlando italiano, punto. Stiamo comunicando in Ephiano.»
Ritornò la trottola. La stessa che mi aveva girato la testolina ricciuta durante la lezione su quel Gaudì, quando Ahmed mi chiedeva in che lingua parlassimo io e Yoann. «Cosa intendi... dire?»
Padma sospirò di nuovo, dopo aver sfiorato il nasino rosa di Luna con il suo. «È la lingua insita in ogni Cerebrum, forse la stessa che usavano gli Eph per interagire tra di loro. Quando due Ephuri si incontrano, comunicano in automatico con questo linguaggio, tradotto da ognuno in ciò che più gli è familiare. Nel tuo caso, la lingua italiana. È un modo che usa la mentalità Letargiante per rendere più razionalmente comprensibile qualcosa di altrimenti inspiegabile.»
«Vuoi dire che per tutto questo tempo... ma scusa, come si fa a parlare una lingua senza averla mai nemmeno studiata?»
Inoltre non sono mai stata tanto afferrata nelle lingue in genere...
«È già dentro di te, dal momento in cui sviluppi il tuo primo cebrim, capacità, o chiamale come vuoi. Non vederla come una lingua, ma più come... un modo di esprimersi, no? Cioè, quando vuoi davvero farti capimprendere da qualcuno, o vuoi manifestare qualcosa che provi nel tuo cuore, ti verrà in automatico parlare in Ephiano. Come prima, quando ho detto Luna anziché Yuè: si è tradotto in Ephiano perché mi riferivo al significato del suo nome mentre stavo parlando con te. Quando invece si parla tra sé e sé, o in genere con i Letargianti, si passa in automatico alla propria lingua madre. E quindi sì, tocca comunque dover studiare le altre lingue per viaggiare.»
La trottola smise di girare. E lasciò lo spazio al puro sgomento speziato di imbarazzo. «Credo di aver capito. Però non capisco... se non parliamo né italiano né francese, né nulla che sia una vera e propria lingua... cosa sentono gli altri? Cioè, i Letargianti?»
Ho paura di sapere la risposta.
«Ascreshieruplapalscertlobabibablustrakatralash.»
«Eh?!» Ma che-
«Devo ripetere? Uff, sarebbe tipo shibrkhupalalauflarahabl-»
«No, no, ho capito. Cioè: eh?»
Padma rise. «È così a orecchie esterne, te lo giuro! Parola di Pad!» si indicò sbattendosi il palmo sul petto. Poi sembrò accorgersi di star familiarizzando troppo, così arricciò il naso per sciogliere il sorriso, e tornò ad accarezzare Yuè.
Sul serio tutti gli altri sentivano me e Yoann parlare così? Avrei dovuto cercare una pala per sotterrarmi in un angolino dell'Ephia per l'imbarazzo, invece mi trovai a ridere anche io.
Intanto la gatta, ignara delle carezze della sua padrona, aveva abbandonato da un pezzo l'idea di far le fusa, troppo interessata a me. Allungai un dito verso il suo musetto e lei subito si sporse in avanti per annusarlo, incuriosita. Dopodiché, schiuse lievemente la boccuccia per rimanere a osservarmi con un'espressione che pareva scioccata. Non mi ero mai accorta di quanto fossero espressivi i gatti.
«Questa gatta è stupenda» non potei fare a meno di commentare. Non sapevo cosa in lei mi affascinasse di più, se gli occhi delineati da un sottile contorno nero seguito da una sfumatura più chiara, o le snelle zampette dai cuscinetti scuri. Senza contare il suo musetto che sembrava chiedere: baciami, avvolgimi, abbracciami. Diede anche prova del suo portamento regale sciogliendo la posizione accucciata per muoversi leggera su Padma, schivandola per raggiungere il bordo della panca. Lo percorse come un'esperta equilibrista, poi saltò giù.
Una volta a terra, si stiracchiò: prima arcuò schiena e coda, distendendo in avanti gli arti anteriori con gli artigli ben divaricati, e poi fece il movimento contrario, issandosi su quelli davanti per stirare invece le zampe posteriori e arcuare la schiena nel verso opposto.
«Ottimo, complimenti.» Seccata, Padma incrociò le braccine al petto.
«Non ti resta che farmi fare il giro turistico dell'Ephia.» Non volevo infierire e di certo non era stata mia intenzione allontanare la gatta, tuttavia, non mi rimaneva che approfittare della situazione. Non potevo certo tornarmene a casa rivelando ai miei genitori che avevo saltato le lezioni di quel giorno...
«Non sei una turista, chiaro? E tutto questo non è un gioco. Quando comincerai a prendere più seriamente chi sei e chi sono gli Ephuri, allora forse potrò prendere in considerazione-»
«Va bene.»
Padma emise un verso stupito. Evidentemente non si aspettava che avrei accettato così in fretta. Peccato che io fossi intenta a osservare Luna allontanarsi verso l'interno dell'Ephia.
«Va bene» ripetei, per essere più chiara. «Se non vorrai guidarmi tu, allora sarà Yuè a farlo!»
Mi alzai con un'agilità che sorprese pure me e presi a camminare dietro Luna, lasciandomi alle spalle il disappunto di Padma. Non avevo percorso che pochi metri, che la ragazza mi raggiunse in un paio di falcate, borbottando un: «Vengo con te, prima che tu faccia disastri».
Stentai a trattenere il sorriso. Il mio diabolico piano aveva funzionato: Padma era proprio come un gatto. Mia nonna, che ne aveva uno, mi aveva spiegato che finché si tentava di imporre a un gatto di fare qualcosa, quello si sarebbe sempre ribellato; lasciandogli credere che fosse una sua idea, invece, l'avrebbe fatto di sua spontanea volontà. Per qualche motivo, Padma non parve sentire questo mio ragionamento. E menomale...
«Prima, lì dentro, ho visto una specie di enorme sala riunioni. È dove prendete le decisioni importanti?» Stavamo attraversando la stradina che si affacciava sull'edificio in cui mi aveva condotta Oliver.
«Diciamo di sì» rispose Padma, il mento alzato rivolto all'edificio, «ma generalmente non la usiamo molto se non per accogliere gli ospiti speciallustri, come Ephianti di altre città o Ophliri del Consiglio.»
«Ophliri?»
Padma piegò il viso tondo in una smorfia, ficcandosi le mani nelle tasche dei pantaloni. «Sono la milizia speciale del Consiglio dei Sette... ma non sono molto amichevoli, generalmente. Credimi, sei fortunata che qui non ne abbiamo a che fare. Sono dei tali...» Padma si trattenne dall'aggiungere altro, forse notando quanto la stessi osservando interessata.
Avevo sempre più l'impressione di scoprire passo per passo nuove sfaccettature di un mondo più complesso di come appariva. Anche solo calpestare il pavimento a mosaico dell'Ephia, composto da forme ad arco incastrate tra loro invece di quadrati, era un'esperienza surreale.
Per non parlare della stessa sala riunioni. Potendo osservare quell'immensa struttura dall'esterno, notai che la cupola si avvolgeva su se stessa come panna montata congelata nella sua massiccia forma vaporosa. Alte e lunghe finestre dagli intarsi gotici la attraversavano fin quasi alla cima, piegandosi però come una lattina stropicciata per seguirne l'ondulazione. Quasi per stare al gioco, strisce blu e quadrilateri color salmone si inerpicavano serpenteschi lungo l'intera struttura. Faceva eccezione solo la torre dalla cima esagonale su cui ero salita con l'ascensore: emergeva da un lato della struttura come un falco di vedetta appollaiato sul cocuzzolo di una montagna. Il bianco di cui era tinta veniva reso più nitido dalle scure travi legnose a vista, tipico delle case a graticcio tedesche. Terminava infine con una sorta di meringa a strisce blu e bianche avvolte tra loro, che si protendeva al cielo.
Era buffo come quell'architettura morbida e sinuosa riuscisse a produrre il duplice effetto di togliere il fiato e far sentire a proprio agio al tempo stesso. Invece di sentirmi piccola e inerme innanzi alla maestosità di certe opere sovrumane, me ne sentivo accolta.
Dovetti fare uno sforzo di volontà per ricordarmi che dovevo essere diffidente e che alcuni degli abitanti dell'Ephia potevano essere degli assassini. Sì, perché quello che Clara e Daniel mi avevano raccontato non cancellava certo gli eventi della Dora.
«Dove vai, Yuè?» chiesi alla gatta, vedendola allontanarsi ancora verso l'interno dell'Ephia.
«Se non sai pronunciarlo, allora non dirlo» borbottò, da dietro, Padma, «le mie orecchie te ne sarebbero grate...»
Roteai gli occhi, nascondendo un sorriso. Irritare Padma era un'attività esilarante! Yoann aveva ragione. Quanto a Luna, spesso era facile perderla di vista, ma riuscii a starle dietro, nonostante il pelo grigio marroncino pezzato di parti bianche e nere, che ben si mimetizzava con le ombre e i colori predominanti di pareti e pavimenti.
Non appena la gatta si fermava ad annusare qualcosa o a cacciare lucertoline, ne approfittavo per porre a Pad domande di curiosità relative al luogo in cui ci trovavamo. Nell'Ephia c'era di tutto; era, a tutti gli effetti, una piccola cittadina, abitata però esclusivamente da Ephuri. Non che fosse tanto affollata, in verità: vigeva un silenzio contrastato solo da noi due e dal vento che faceva frusciare le fronde degli alberi.
Solo innanzi a un piccolo localino, affacciato su un esercito di tavoli a cielo aperto, intravidi un poco più di vita. Due ragazze intente a sorseggiare un tè, un signore solo che rimuginava, e un vociare squillante dall'interno, forse dal bar. Alberi dalle fronde larghe ombreggiavano i posti a sedere, intervallati da intarsiati lampioni su cui spiraleggiavano piante rampicanti. Appariva così accogliente da farmi venire voglia di sedermi a sbocconcellare qualcosa anche io...
«Scordatelo, non abbiamo tutto il giorno» mi frenò però Padma, con uno sbuffo.
Se le prestai ascolto fu solo perché anche Luna si era allontanata, per inseguire una vespa. Caspita, quanto vanno veloci i gatti, non potei fare a meno di pensare, quando finalmente l'ebbi raggiunta.
Padma fu dietro di me un attimo dopo. «Te l'hanno mai detto che sei proprio una spina nel piede?»
Aggrottai le sopracciglia. «Nel fianco, intendi? Di solito si dice così...»
«No, no. Una spina nel piede è molto peggio. E tu sei una spina nel piede.»
«La biblioteca, però, avrei voluto visitarla» borbottai, mentre uscivamo dal cancello. Avevamo attraversato rapidamente diverse imponenti e affascinanti strutture, tra cui una scuola, una piscina, una sorta di vecchio magazzino e... una biblioteca. Una stupenda, magnifica, gigante biblioteca stracolma di libri. O almeno così era nel mio immaginario, dato che Pad non aveva voluto nemmeno entrarci, perché «è per chi vuole studiare, non per turisti rompiscatole». Un giorno ci andrò.
Per mia fortuna, uscire dal cancello non significava uscire dall'Ephia. Sembrava che qualcuno avesse posizionato uno specchio nell'asse di Via Cuneo, perché un secondo cancello gemello osservava il primo, e una deliziosa strada acciottolata li collegava.
Dal corso, spuntò un uomo proprio mentre Padma chiudeva il cancello dietro di sé. Sobbalzai, irrigidendomi, come se fossi stata colta in fallo a fare qualcosa di illegale. Quello invece non sollevò nemmeno lo sguardo su di noi o sul cancello dorato, le mani ficcate nelle tasche e la schiena incurvata. Tornai a respirare solo quando fu sparito nella via successiva.
«Non... non ci ha viste, vero? Siamo invisibili?»
«Dal momento che siamo qui, all'interno dell'illusione dell'Ephia, no, non ci ha viste.»
Non mi abituerò mai a questa cosa.
«Ma questo non è nulla!» ribatté Pad con il suo solito tono "rassicurante". «Ci sono Ephie che si trovano anche in luoghi sovraffollati di Letargianti, sotto gli occhi di tutti eppure invisibili. Si crea così quella che potrebbe sembrare una sovrapposizione di dimensioni parallele, in cui nello stesso luogo ci sono in contemporanea persone e abitazioni del tutto diverse. Per mantenerle, però, serve un numero maggiore di Ephuri, per cui qui hanno preferito lasciare solo questa strada attraversabile. Strada tra l'altro quasi abbandosabitata.»
Un suo schiocco di dita, e il cancello gemello emise un lieve cigolio, cominciando a schiudersi.
«Come funziona?» insistetti però. «Cioè, state concentrati tutto il tempo per stare pronti, appena passa qualcuno, a creargli l'illusione?»
«Ti pare? No, viene creata inizialmente e poi resta in automatico, rendendosi più nitida con ogni Ephuro che vi partecipa mettendo la sua parte, con il proprio Cerebrum. È anche in grado di modificarsi nel tempo a seconda della concezione delle persone che la osservano. Se il mondo si aspetta che un pezzo dell'edificio crollerà, allora lo vedranno accadere. Lo stesso se pensano che manderanno qualcuno a demolire le parti a rischio, eccetera.»
Avevo ancora molte domande, che forse non avrebbero mai avuto fine, ma le tenni dentro di me e la seguii all'interno, dove anche Luna ci aspettava.
La parte di Ephia visitata prima di entrare lì era il Centro; già da solo si estendeva per trentaseimila virgola cinquantasette metri quadri. Quella in cui eravamo approdate ora la superava per dimensioni e ospitava invece le strutture di importanza minore, per cui veniva chiamata Periferia.
A sinistra della strada principale, accompagnata ai lati da due file di snelli alberi gemelli, mi saltò subito all'occhio una villetta in evidente stile inglese. Piante arrampicanti contrastavano il bianco lindo delle pareti, reso anche più chiaro dalle tegole scure, quasi nere, della copertura a elevata pendenza. Per accedervi, vi era un secondo recinto più piccolo, quasi umile, seguito da una fila serpeggiante di pietre piatte che componevano una stradina fino alla porta d'ingresso.
«Chi abita qui?» chiesi incuriosita, sporgendomi per vedere meglio oltre la bassa porta del cancelletto. E perché questa villa si discosta dallo stile esotico ed eclettico dell'intera Ephia? tacqui invece.
«Clara e Daniel. Di solito la famiglia degli Ephianti risiede in un'abitazione a parte rispetto agli altri, perché sono i protettori dell'Ephia.»
Quindi anche Ewan e Oliver. Arricciai le labbra, critica. «Solo in quattro in una villa del genere?»
«Solo otto» mi corresse invece lei. «Sono sei, tra fratelli e sorelle, più gli Ephianti.»
«Ah. Pochini.»
«Vero» annuì Pad, senza cogliere l'ironia. Aggrottai le sopracciglia. In che senso?
Dalla sua faccia mi resi conto che non volevo sapere quanto fossero numerose le altre famiglie Ephure. Meglio restare nella mia beata ignoranza.
Con la coda dell'occhio, notai Luna riprendere a zampettare via. Prima di seguire lei e Padma, tuttavia, la mia attenzione venne attirata da un movimento dietro una delle finestre scure. Una ragazzina che ci fissa, mi resi conto, distinguendo vagamente la forma di un viso. Quando si accorse che l'avevo notata, sparì nell'oscurità.
Inquieta, ignorai i brividi che mi si erano arrampicati su per la colonna vertebrale, e mi allontanai. Possibile che anche solo una bambina fosse in grado di spaventarmi? Devo restare calma.
Proseguimmo con il giro turistico, guidati da Luna. Seguendo la strada che diramava a destra, passammo accanto a un piccolo parco che da fuori sembrava delizioso, ma nel quale non ci inoltrammo. C'era addirittura un garage per jet, con tanto di pista d'atterraggio. Non si fanno mancare nulla, insomma.
Tornando sul lato sinistro, la mia attenzione venne attirata da un'imponente struttura bucata da ampie portefinestre, oltre le quali sporgevano balconi voluminosi decorati senza curarsi di eccedere nello sfarzo.
Alcuni serramenti erano aperti, lasciando intendere di essere abitati. Quando scoprii che si trattava del dormitorio, mi venne spontaneo chiedere: «Quanti Ephuri abitano qui?»
«Stabilmente? A malapena una quindicina, Mindsmith compresi. Tuttavia... molti vengono temporaneamente, giusto per seguire le lezioni necessarie, e poi se ne tornano alle loro vite, come probabilmente farai anche tu. Il che rende ancora più inutile tutto questo giro...»
Ignorai i suoi borbottii, stordita da quell'informazione. Come si può tornare alla propria vita dopo aver scoperto tutto questo? Si sbagliava di grosso. Magari non avevo intenzione di trasferirmi lì, ma di certo all'Ephia ci sarei tornata, e anche spesso.
Un tonfo squarciò l'aria, come per farmi cambiare idea. Aggrottai le sopracciglia, sentendone subito dopo un secondo e un terzo. Sembrava che qualcuno stesse lanciando ripetutamente dei mattoni di ferro dall'ultimo piano di un grattacielo.
Le orecchie della gatta si piegarono nella direzione di quel suono. Facendosi bassa, Luna avanzò a passetti rapidi, superando un ampio cortile di allenamento, abitato da ingombranti attrezzi, e si sporse verso l'alta e sottile finestra dell'edificio da cui provenivano i rumori. Da fuori poteva sembrare una struttura di almeno tre piani, ma gli infissi troppo lunghi e privi di interruzioni ne tradivano la natura: si trattava di una palestra.
Anche se la gatta perse subito interesse e si allontanò verso il campo di atletica, io continuai ad avvicinarmi, interessata.
«Qui è dove ci alleniamo» si affrettò a spiegare Padma, sciorinando le parole con urgenza, «ma è meglio non entrare, adesso, dato che è occupata...»
Troppo tardi: avevo già aperto la porta. Non sapevo nemmeno io da dove avessi tirato fuori tutto quel coraggio. Di solito non ero una che prendeva l'iniziativa e apriva porte a caso, se c'era il rischio di disturbare.
L'interno era ampiamente spazioso, dalla copertura a volta inframmezzata di lucernari che schiarivano la visuale sulle file di manichini di ferro a grandezza naturale stipati lungo le pareti. Dove non c'erano finestre, l'intonaco era ricoperto di bersagli, mentre corde e altri attrezzi bizzarri pendevano dal soffitto.
Un amo da pesca mi artigliò però lo sguardo verso il fondo della palestra, dove una decina di manichini di metallo, animati di vita propria, attaccavano da punti diversi una figura in movimento, troppo rapida per seguirne gli spostamenti. Armata di pugnali, schivava il colpo di uno e nello stesso momento colpiva quello accanto, lanciandolo su altri due dietro di lui, e senza fermarsi si volgeva verso un quinto aggressore, in uno scontro sferragliante ma sciolto. Sembrava quasi una danza.
La danza di un demone infervorato.
Feci per muovere un passo indietro, intimorita, quando un gruppo di manichini di ferro venne lanciato in aria.
Verso di noi.
D'istinto emisi uno strillo spaventato, retrocedendo verso la porta, che intanto si era chiusa, e proteggendomi con le braccia.
Un tonfo. Più forte ancora dei precedenti, perché questa volta era più vicino.
Sollevai lo sguardo e mi rialzai - mi dovevo essere accucciata su me stessa per lo spavento e la paura di essere colpita. Il cumulo di manichini era piombato a circa un metro di distanza da me e Padma. Gli uomini di ferro compressi l'uno sull'altro come un mucchio di cadaveri.
Insieme a loro era precipitato anche il silenzio, ora non più pizzicato dal suono sferragliante dello scontro. Aleggiò tra noi per un attimo, come un uccello del malaugurio.
Poi venne calciato via da un secondo tonfo, questa volta più leggero.
Una ragazza era appena atterrata sul cumulo di manichini, i lisci capelli quasi bianchi raccolti in una coda alta, la carnagione nivea. Un secondo balzo, e fu davanti a noi.
Ormai ero diventata di pietra, anche se il mio cuore si era trasformato in un tamburo che non smetteva di battere.
Con un'elegante rotazione dei polsi, la ragazza infilò in delle tasche i pugnali. Incurvò le labbra in una sorta di sorriso di ghiaccio, reso di fuoco dalle iridi rosse.
«Ciao. Ma guarda un po' chi si rivede» mi salutò l'assassina della Dora.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top