122.La figlia dell'inganno

Attraversare gli specchi significa affrontare se stessi. Ci vuole fegato per guardarsi negli occhi, vedersi per cioè che si è, immergersi nel proprio riflesso.

-L'attraversaspecchi-

Il ritorno all'Ephia dopo il funerale fu una marcia lunga e silenziosa. Non avremmo volteggiato tra i palazzi con il vento che gridava nelle nostre orecchie, e non avremmo chiacchierato come nostro solito.

Non quel giorno. In mezzo a tutte quelle persone che avevano perso una parte fondamentale delle loro vite, il dolore era ancora troppo intenso, e io me ne sentivo travolta, anche se questo non mi aveva toccata da vicino come a loro.

In quel momento avrei solo desiderato chiudermi da qualche parte per gridare il mio odio e la mia rabbia nei confronti di Hel, di Will, di Oliver, di me stessa, di ogni cosa che mi aveva portata a quel momento.

Era tutto così maledettamente sbagliato.

"Liv" quella voce. La sua voce. Non era mai entrato in comunicazione con me in un momento diverso da un sogno, ma lo avrei riconosciuto ovunque.

Rallentai lievemente il passo, per permettere che gli altri proseguissero e passassero oltre senza di me. Persino Yoann, forse perché troppo immerso nei suoi pensieri, non si accorse che non ero più al suo fianco.

Aspettai di essere a distanza di sicurezza, dopodiché mi allontanai a passo spedito fino a svoltare l'angolo in modo da non essere più vista dagli altri. Poi mi fermai.

"Tu" dissi con tutto l'odio che riuscii a tirare fuori. Era stata tutta colpa di Will. Era lui ad avermi convinta a portare tutti alla fabbrica abbandonata, così che Sandy avesse la possibilità di uccidere indisturbatamente Daniel e Clara e prendersi il frammento, facendo incolpare e imprigionare Padma.

Non aveva fatto altro che manipolarmi fin dal primo momento.

Mi dispiace Liv. Ma questa... era la soluzione migliore. Strinsi i pugni per la rabbia, affondando le unghie nei palmi, ricordando le sue parole nel momento in cui Hel li aveva uccisi davanti ai miei occhi.

"Cosa vuoi?" chiesi con tono brusco.

"Volevo solo sapere come stai..." rispose la sua voce. Il tono apprensivo sembrava sincero, ma io sapevo che non era così. Si trattava semplicemente di una nuova messa in scena, ordita per farmi sentire speciale e amata, per rendermi debole e manovrabile. Se davvero avesse voluto vedermi si sarebbe mostrato fisicamente, entrando totalmente in comunicazione mentale con me, invece sceglieva sempre di velarsi nell'ombra. Probabilmente anche quello era un modo per controllarmi di più: meno io sapevo di lui, meno erano le cose che potevo fare per scoprire le sue carte.

"Come sto? Certo, come se te ne importasse davvero qualcosa!" ribattei, scuotendo la testa.

"Liv... a me importa moltissimo di te" la sua voce era intrisa di dolore. Finto.

"Se così fosse stato non mi avresti mentito dicendo che gli Arkonanti avevano il frammento e che Sandy era debole! Non hai fatto altro che mentirmi, fin dal primo momento."

Silenzio. Almeno aveva la decenza di riconoscermi ragione. "Mi dispiace moltissimo per quel che è accaduto, ma era la soluzione migliore."

Di nuovo quelle parole. La soluzione migliore.

"La soluzione migliore dici? La soluzione migliore per Padma, che è stata imprigionata ingiustamente? Per Liss, che ha visto nuovamente morire davanti ai suoi occhi la sua nuova famiglia? Per Ewan e le gemelle, che hanno perso i loro genitori? Per Lauren, che ora deve tenere testa a Oliver per il controllo dell'Ephia, che rischia di finire nelle mani degli Ophliri? Per Mirea, diventata orfana a soli tredici anni?!"

Riversai tutte quelle parole con tutto il disprezzo e il rammarico per l'accaduto che il funerale appena concluso aveva provocato in me. Nessuno di loro aveva meritato nulla del genere. E tutto era accaduto solo perché Will e Sandy avevano deciso che era la soluzione migliore.

"Se non fossero morti loro sarebbe potuta morire Padma! O Yoann! Avresti forse preferito questo?!" quelle parole furono gridate con voce arrochita nella mia testa, come se fosse disperato e alterato al tempo stesso.

Mi raggelò il solo pensiero. Non avevo idea di come avrei reagito. La sola idea di uno di loro morti, mi era inconcepibile. Ma tanto non aveva importanza, perché non era accaduto. E comunque, per lo meno sarei stata solo io a soffrire, e non tutte quelle persone. Almeno non avrei sentito arrovellarmi lo stomaco per quegli aspri e profondi sensi di colpa.

Perché alla fine ero io la ragione per cui tutto era accaduto. Ero io che avevo preso il frammento, io che avevo permesso che Elias ed Ewan se ne appropriassero. E questo Will l'aveva sempre saputo e, nonostante ciò, aveva permesso che accadesse.

"Chi ti credi di essere per poter decidere della mia vita? Tu non mi conosci affatto. Pensi che manipolare i miei sogni possa essere sufficiente?"

"Non ho deciso un bel niente Liv. Da che sono nato, mi è sempre stato impedito di scegliere veramente qualcosa. Sono prigioniero, capisci? Schiavo del volere di Sandy più di quanto lo sia stata tu. L'unica cosa che ho provato a fare per conto mio, a Venezia, si è conclusa con un disastro, così mi sono arreso alla realtà. Sono stato obbligato a incontrarti quella volta ai Giardini Reali, anche in quel momento, come ogni altro della mia vita, ero controllato. Perché non riesci a capirlo questo? Sono sempre stato dalla tua parte, ma spesso sono costretto a prendere delle scelte che non mi piacciono. Come permettere che questo accadesse."

Per un momento percepii l'istinto di cedere all'empatia che quella voce, che per me restava sempre inspiegabilmente speciale, provocava in me. Chiusi gli occhi e strinsi nuovamente entrambe le mani a pugno. No. Questa volta non mi sarei lasciata ingannare.

"Nulla dimostra che le tue parole siano vere. Pensi che giocare la parte della vittima possa impietosirmi ancora? Ormai ho capito di che pasta sei fatto, e non mi farò più fregare. Lo riconosco: è un'idea intelligente. Non mi sarei mai fidata di un Arkonante, quindi ti sei finto dalla mia parte, ti sei divertito con gli altri a inscenare situazioni di pericolo, e hai intessuto un legame con me per renderti familiare ai miei occhi, suonando ogni notte della mia vita quelle maledette canzoni di violino. Anche a Venezia, hai ballato con me solo per far sì che io-"

"No." Mi fermò lui, il tono disgustosamente disperato. "No, Liv, non è vero. Nulla di quello che io provo nei tuoi confronti è finto, e dentro di te già lo sai. Io... tu sei l'unica cosa bella della mia vita."

Ignorai lo stupido battito che accelerò la sua corsa nel mio petto a quelle parole, convincendomi che erano bugie. Will era bravo a fingere, fin troppo abile. Per questo finora era sempre riuscito a manipolarmi egregiamente. Ma ora che avevo svelato chi lui fosse veramente, non dovevo più permettere che le sue belle parole mi abbindolassero.

"Se davvero è così, allora dimostralo. Dimmi chi è Sandy, tanto per cominciare. Dimmi chi è la spia."

Silenzio. Di nuovo, non avrebbe rivelato alcunché. Bugiardo. Manipolatore. Come avevo fatto a non rendermene conto prima che fosse troppo tardi? Solo in seguito a quelle conseguenze disastrose, ero riuscita ad aprire gli occhi.

"Dimmi chi sei tu, Will" continuai. "Dimmi perché ti sogno ogni maledetta notte."

Silenzio. "Dimmi la verità Will. Per una sola volta."

Altro silenzio. Sempre silenzio. Quando gli chiedevo spiegazioni, quando non capivo qualcosa di quel che mi diceva, lui non aveva mai risposto, o piuttosto rispondeva per enigmi. Non mi aveva mai rivelato nulla di sé stesso, e nonostante questo io avevo sentito empatia per lui. Mi ero dispiaciuta per le torture che ero convinta avesse subìto. Ero addirittura arrivata a provare... qualcosa per lui.

Qualcosa che decisi che avrei fatto di tutto per soffocare nell'angolo più remoto del mio cuore.

Chi sei, continuavo a ripetermi. Chi sei, rivelati, salvati dal mio odio, gridava una voce disperata dentro di me. Quella era l'ultima possibilità che ero disposta a concedergli, e lui la stava buttando al vento. La stava gettando sotto la pioggia furiosa, per farla calpestare dai miei piedi.

Il silenzio rimase immutato. Poi, solo due parole, sentite fin troppo spesso dalle sue labbra: "Mi dispiace Liv".

Era finita, compresi. Will aveva definitivamente chiuso con me.

Però era ancora lì, mi accorsi. Era lì, a portata di mente, se chiudevo gli occhi potevo vedere il suo Clypeus, al momento vacillante - forse perché sconvolto che il suo inganno ben ordito fosse stato rivelato -, che velava la sua porta. Forse se avessi approfittato del suo attuale disequilibrio sarei riuscita a penetrare oltre l'uscio del suo Cerebrum e vedere cosa si celava dietro i suoi occhi bicromatici, dietro le note del suo violino, dietro le sue bugie. Il vero Will.

Neanche il tempo di compiere quella decisione, che già mi trovai circondata da alte mura che si innalzavano fino al cielo, bianco come neve appena posata al suolo. Inizialmente pensai che fossero fatte di semplice vetro, poi mi accorsi di essermi sbagliata: specchi.

Alte e snelle mura costituite interamente di superficie riflettente. Si riverberavano tra loro e con il cielo niveo, rendendo tutto talmente candido e puro da risultare quasi nauseabonde e stordenti.

Un lieve canto di violino si innalzava, come uno stridio lontano in procinto di avvicinarsi, per penetrare nella mia anima e soggiogarmi. C'era solo quella musica lieve e il bianco immutabile.

E in tutto quel candore, io ero l'intrusa. La macchia di colore che spezzava la monotonia.

Mossi un passo avanti, e altre decine di migliaia di me ripeterono lo stesso movimento l'una dopo l'altra, raddoppiando e triplicando anche il più semplice dei movimenti. Gli specchi sulle pareti non erano completamente lisci, mi resi conto, ma ognuno era leggermente inclinato in una direzione piuttosto che un'altra, a originare riflessi e immagini distorcenti tutte diverse tra loro, di cui era a dir poco difficile seguire la logica.

Talmente tanto che neanche mi resi conto di stare andando contro una parete fino a quando non ci sbattei la testa contro. Così decisi di fermarmi e concentrarmi. Non dovevo lasciarmi ingannare da Will. Non di nuovo. Dovevo spezzare quel vetro, crearmi un varco nel Clypeus e trovare la strada che mi avrebbe permesso di trovare la sua porta.

Stavo giusto pensando a trovare un modo per farlo, quando mi sentii sfiorare la spalla da qualcosa, ma, quando mi voltai, non vidi altro che un drappo grigio scomparire tra i riflessi, come se avesse svoltato l'angolo del Clypeus. L'istinto mi diceva di seguirlo, ma lo ignorai, consapevole che così avrei solo fatto il suo gioco.

Mi accostai invece alla parete, e, facendo incontrare le mie mani con i loro riflessi, procedetti a tentoni, perché mi era impossibile capire se davanti a me ci fosse un muro o meno. Ovviamente non riuscii ad andare avanti per molto in quel modo, costringendomi a tornare indietro per più volte. Non sentivo il suono dei miei passi né del mio respiro, solo le note acute provocate dai pizzichi dell'archetto sulle corde di quel violino che sembrava immenso come il cielo infinito sopra la mia testa.

Nonostante tentassi di non farmi distrarre dalle immagini falsanti dello specchio, non potei fare a meno di notare un movimento innaturale, diverso dagli altri. Un'espressione sorridente. La mia espressione sorridente.

Peccato che io non stessi sorridendo. Nel momento esatto in cui mi accorsi di quella discordanza, una delle note che riverberavano tra le pareti si piegò in un suono stridulo, appena percettibile, come un improvviso errore, subito aggiustato. La musica tornò a scorrere seguendo il suo flusso non appena quell'immagine scomparve.

La stessa scena si ripeté neanche un minuto dopo. Decisi allora di sorridere io, ma non appena lo feci il sorriso riflesso si incurvò verso il basso, in un'espressione indispettita e schifata. Questa volta l'errore agghiacciante del violinista persistette, provocando un verso angosciante che mi intrise il corpo di terrore. Quasi senza rendermene conto, le mie gambe accelerarono il passo e mi ritrovai a correre, mentre le discordanze intorno a me aumentavano sempre di più. La musica si faceva sempre più dolorosa alle mie orecchie.

Ne ero certa: quella negli specchi non ero io. Eppure, allo stesso tempo, ero io. Era una cosa che proprio non sapevo come spiegarmi, sapevo solo che la odiavo e che avrei fatto di tutto per impedirle di prevalere sulla mia volontà.

Non dovevo affidarmi alla vista né all'udito. Entrambi erano ingannevoli. Provai a chiudere gli occhi ma mi fu impossibile, perché i fruscii continui intorno a me mi impedivano di sentirmi totalmente al sicuro, e avevo l'impressione che, se solo l'avessi fatto, Lei avrebbe prevalso e allora per me sarebbe stata finita. Tentai di ignorare quel suono orribile, ma questo era troppo forte, sembrava provenire da ovunque e da nessuna parte, anche coprendomi le orecchie con le mani il volume non diminuiva.

Quando mi resi conto che nel farlo i miei palmi si erano sporcati di sangue, sentii un capogiro e tutto prese a ruotare su sé stesso.

Gli specchi danzarono intorno a me e alla mia sofferenza, mostrandomi immagini confuse di una ragazza con le orecchie sanguinanti e un'espressione di terrore sul viso, che arrancava, caduta a terra, strisciando sui gomiti nel disperato tentativo di rialzarsi e trovare l'uscita da quell'incubo. Anche la ragazza identica a me stava soffrendo, soffrivamo entrambe. Ma, nonostante questo, continuavamo a combatterci. E l'avremmo fatto fino a quando non ci saremmo autodistrutte a vicenda.

Mentre lo stridio del violino, anzi, di mille violini, si faceva sempre più forte e sentivo che le mie, anzi, le nostre orecchie non avrebbero potuto sopportare oltre, il drappo grigio che avevo intravisto prima, tornò di fronte a me volteggiando, in mille forme diverse, riflesso in tutti i modi da quegli specchi implacabili.

Tentai di allontanarmi, ma invano, perché il drappo, che si era esteso fino a formare un abitino infantile, era ovunque riflesso ma da nessuna parte si trovava fisicamente. Approfittò della debolezza mia e della me riflessa per accerchiarci.

Era una sola ed erano mille, esattamente come i riflessi. L'abito era indossato da una figura con capelli grigi che ondeggiavano come immersi nell'acqua e baratri luminosi al posto degli occhi.

Hel.

Insieme a tutti i suoi riflessi, l'Arkonante allungò una mano - cento, mille mani -, mentre tutti i violini si lanciavano contemporaneamente in uno stridio acuto come un grido viscerale che mi fece mozzare il fiato per il dolore che provocava.

Quando la mano gelida di Hel raggiunse il mio viso ostruendomi definitivamente ogni forma di respirazione, mi sentii soffocare. Tentai inutilmente di gridare, il terrore e il dolore si miscelarono in un intruglio vorticante, che ruotò incontrollato intorno a me, coprendo ogni cosa.

La prima cosa che pensai, appena ripreso il respiro, crollata in ginocchio con entrambe le mani a terra sul marciapiede, le orecchie che ancora mi fischiavano dolorosamente, fu che avevo fallito.

Non ero riuscita a oltrepassare il Clypeus di Will.

Ancora una volta, lui aveva vinto. Hel aveva vinto.

Perché c'era proprio lei nel suo scudo mentale, inoltre? Un pensiero terribile sopraggiunse, insidioso, nella mia mente. E se Sandy non fosse mai esistita? Dopotutto era lui che intesseva le immagini nei miei sogni; quanto di quel che avevo visto era reale? La prima volta in cui era apparsa Sandy, era in un sogno. Quando era stata a Venezia, era probabilmente un'impostora, nulla imponeva che fosse da lei che si fosse originata l'illusione di Hel. Inoltre, sembrava sapere cose che solo Will poteva conoscere. Perché erano sempre stati tutti convinti che Hel fosse creata da una donna? Will non aveva fatto altro che mentirmi fin dal primo momento, e se mi avesse mentito pure su quello? Se avesse creato quella messinscena proprio con l'intento di sviare l'attenzione da sé?

Quell'idea era a dir poco orribile, ma anche tremendamente sensata. Sandy era la più esperta in inganni no? L'aveva detto Will stesso, quando mi aveva insegnato il cebrim delle illusioni. Aveva giocato con quel segreto proprio come Hel si divertiva a giocare con le sue vittime, prima di ucciderle.

Quando mi resi conto che le mie orecchie in realtà non avevano subìto alcun danno, feci per rialzarmi, ma non ebbi nemmeno il tempo di completare il movimento, che delle braccia mi presero violentemente per le spalle e mi spinsero con forza sul muro, trattenendomi poi per il collo della maglietta nera che indossavo.

«Cosa stai facendo?» Liss. Doveva essersi accorta della mia assenza ed era venuta a controllare. Le lacrime si erano seccate sul suo viso, ma gli occhi erano ancora gonfi dal pianto, il color sangue delle iridi sembrava essersi sfumato anche nella sclera.

«Lasciami» tentai di divincolarmi, e lei, sorprendentemente mi lasciò, con un gesto brusco.

«Si può sapere che ci fai qui? In che Clypeus sei entrata? Credi che non abbia capito cosa tu e Yoann vogliate combinare? Non vi permetterò di liberare Padma. Ha avuto quel che si meritava. Anche se io le avrei fatto anche di peggio...»

Liss strinse la mano a pugno, lo sguardo sprizzante odio da tutti i pori. Lo sapevo che lei le avrebbe fatto anche di peggio. L'avevo capito quando le era saltata al collo subito dopo aver visto i corpi di Clara e Daniel, e ne avevo avuto conferma quando avevo udito le sue parole di addio che promettevano vendetta.

«Non era quello che stavo cercando di fare» risposi, guardandola con tristezza. Perché non riusciva a capire? Perché doveva sempre ricoprire di odio tutta la sofferenza che provava?

«Ma non è stata Padma a ucciderli. E tu lo sai. Non è neanche mai stata la spia, ma ne sei sempre stata convinta, senza mai provare ad ascoltare il suo punto di vista, a prendere neanche in considerazione un parere diverso dal tuo...»

L'ira lampeggiò nel suo sguardo, pericolosa. «Questo non è vero!» mi gridò in faccia, la voce graffiante e sofferente.

«Non è vero» ripeté, con tono più controllato. «Poco prima di uscire, di sapere che lei non sarebbe venuta, Padma mi ha chiesto di aiutarla a vestirsi con la tenuta Umanente perché aveva difficoltà con il braccio. Noi, ecco... abbiamo parlato. E, tra una cosa e l'altra, visto che sembrava così tanto giù di morale, le ho rivelato che, diversamente da come ho sempre continuato a ripetere, non pensavo più da un pezzo che lei fosse la spia. Altrimenti non avrei mai permesso che lavorasse insieme a noi per tutto quel tempo...»

La sua voce era quasi tremante, intrisa di sensi di colpa, come se si pentisse di quel che aveva pensato di lei. Mi si riaffacciò alla mente l'immagine di Liss e Padma che entravano nel salotto dei Mindsmith, poco prima del litigio con questi ultimi, e del lieve sorriso che incurvava le labbra della mia amica. Eccone, dunque, il motivo.

«Ma mi sono sbagliata,» continuò Liss, deglutendo le lacrime che minacciavano di rigarle nuovamente il volto, «e queste sono state le conseguenze. Ho permesso all'affetto di offuscare il mio giudizio, mi ha fatto abbassare la guardia, le ho dato la possibilità di fregarci tutti... in un certo senso è come se li avessi uccisi io, con il mio errore.»

«Liss...»

Anche lei, era, come me, sommersa dai sensi di colpa per l'accaduto. Non me lo sarei mai aspettato da Liss.

Ma non ne aveva alcun motivo, e questo doveva capirlo. Doveva comprendere che Padma era buona, avevo bisogno che almeno lei capisse. Quelle parole avevano acceso in me un lieve spiraglio di speranza, significavano che quella ragazza non era ottusa come avevo sempre temuto. Era stata addirittura sul punto di fidarsi di Padma, per un attimo.

«Avevi ragione su di lei, non è mai stata la spia. Non ha ucciso-»

«Questo lo so» mi interruppe Liss, le sottili labbra strette tra loro per la rabbia. «Padma è la spia, ma non è stata lei a uccidere Clara e Daniel, ha solo permesso che accadesse, è stata risparmiata dalla figlia dell'inganno.»

Aggrottai le sopracciglia, era la prima volta che sentivo quel nome. «La figlia dell'inganno?»

Liss prese un profondo respiro e mi voltò le spalle, il capo abbassato, immerso nei ricordi, cupa come le nuvole bianche del cielo che aveva appena finito di sfogare la sua sofferenza su di noi. «Mia sorella mi parlava sempre degli antichi dei norreni, avevamo anche un orribile libro illustrato. C'erano Thor, Odino, Freyr... e Loki, l'astuto e perfido dio dell'inganno. Sua figlia era Hel. La dea dei morti. Figlia dell'inganno. Inganno come quello che ha portato alla morte di Katrin, di mio padre e di mia madre. Lo stesso inganno che ha ucciso Clara e Daniel. Mi credevi davvero così stupida da non riconoscerlo? Lo rivedo ogni notte, nei miei incubi, quel sangue finto, lampeggiante, e l'ho rivisto anche quella sera nella mano di Padma. È Hel che devo uccidere, per vendicarli. Per vendicare tutti loro.»

Prese a incamminarsi, il passo deciso, le mani strette a pugno per la rabbia.

Nonostante ciò, le ultime parole che pronunciò prima di sparire alla mia vista, giunsero nitide alle mie orecchie: «Giuro che un giorno la troverò. E questa volta non potrà sfuggire alla mia lama. La Figlia dell'Inganno deve morire».

E così, infine, dopo 122 capitoli, scopriamo chi è sta stramaledetta FIGLIA DELL'INGANNO che dà il nome al libro. Per essere più precisi, in realtà, il titolo si riferisce un po' a tutti gli inganni in genere, e, in particolare, alle illusioni.

E dunque, eccoci alla fine. MA non del tutto. C'è ancora un piccolo, minuscolo ma fondamentale pezzettino, il reale Finale della storia, ovverosia, l'epilogo. Vi consiglio di non giungere a conclusioni affrettate su quel che leggerete perché la questione è più complicata di quel che può sembrare e si avvicina all'argomento centrale dell'intera trilogia.

Detto questo... buona lettura ✨

꧁ꟻAᴎTAꙅilɘᴎA꧂

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